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Tutto quello che è successo dopo alcuni dei più noti casi di cronaca nera italiana. Una storia ogni mese, il primo del mese. Un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi.
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Date | Title | Description | |
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3/1/23 | Novi Ligure, 21 febbraio 2001 - Prima parte | Il 21 febbraio 2001 una ragazza a piedi nudi, sporca di sangue, fermò... un’auto che passava vicino a casa sua, nel quartiere Lodolino, a Novi Ligure. Disse che due persone, un giovane e uno più anziano, erano entrate in casa: avevano ucciso sua madre e suo fratello di 12 anni. Disse che erano stranieri, albanesi. Fece gli identikit, riconobbe anche una fotografia che i carabinieri le mostrarono: era quella di un ragazzo di origine albanese. I militari lo andarono a prendere ma lui aveva un alibi, venne rilasciato.Il procuratore capo di Alessandria, che entrò nella casa, dove erano avvenuti i due omicidi, si sentì male. Disse che non aveva mai visto nulla di simile. Intervistato dal telegiornale di Raiuno disse: «C’è gente feroce».Ci furono proteste e fiaccolate contro i migranti, molti politici soffiarono sul fuoco. I giornali nei titoli parlarono di una banda di slavi. Poi, dopo due giorni, si scoprì che la verità era molto più banale e la ferocia molto più vicina.La ragazza che cercava aiuto sporca di sangue venne arrestata con l’accusa di aver ucciso la madre, Susy Cassini, e il fratello Gianluca. Con lei venne arrestato il suo fidanzato, Mauro Favaro, che tutti chiamavano Omar.La storia di ciò che accadde, del processo che seguì a quelli avvenimenti, di come la giustizia minorile si trovò ad affrontare un delitto feroce, “da adulti” commesso però da due poco più che bambini, è una di quelle che più hanno segnato la storia d’Italia degli ultimi vent’anni. more | Transcribed |
3/1/23 | Novi Ligure, 21 febbraio 2001 - Seconda parte | Il 21 febbraio 2001 una ragazza a piedi nudi, sporca di sangue, fermò... un’auto che passava vicino a casa sua, nel quartiere Lodolino, a Novi Ligure. Disse che due persone, un giovane e uno più anziano, erano entrate in casa: avevano ucciso sua madre e suo fratello di 12 anni. Disse che erano stranieri, albanesi. Fece gli identikit, riconobbe anche una fotografia che i carabinieri le mostrarono: era quella di un ragazzo di origine albanese. I militari lo andarono a prendere ma lui aveva un alibi, venne rilasciato.Il procuratore capo di Alessandria, che entrò nella casa, dove erano avvenuti i due omicidi, si sentì male. Disse che non aveva mai visto nulla di simile. Intervistato dal telegiornale di Raiuno disse: «C’è gente feroce».Ci furono proteste e fiaccolate contro i migranti, molti politici soffiarono sul fuoco. I giornali nei titoli parlarono di una banda di slavi. Poi, dopo due giorni, si scoprì che la verità era molto più banale e la ferocia molto più vicina.La ragazza che cercava aiuto sporca di sangue venne arrestata con l’accusa di aver ucciso la madre, Susy Cassini, e il fratello Gianluca. Con lei venne arrestato il suo fidanzato, Mauro Favaro, che tutti chiamavano Omar.La storia di ciò che accadde, del processo che seguì a quelli avvenimenti, di come la giustizia minorile si trovò ad affrontare un delitto feroce, “da adulti” commesso però da due poco più che bambini, è una di quelle che più hanno segnato la storia d’Italia degli ultimi vent’anni. more | Transcribed |
2/1/23 | Roma, 17 giugno 1983 - Prima Parte | Il 17 giugno 1983, alle 4.30 del mattino, i carabinieri bussarono alla... porta di una stanza dell’Hotel Plaza, a Roma, in via del Corso. Iniziò così una delle vicende di cronaca più incredibili della storia d’Italia. Enzo Tortora, giornalista televisivo famosissimo, conduttore di una trasmissione che andava in onda Rai2 il venerdì sera ed era seguita da oltre 20 milioni di spettatori, venne arrestato con l’accusa di far parte della camorra e di essere uno spacciatore di droga, amico e complice dei più celebri capi della criminalità organizzata degli anni Ottanta.Contro di lui c’erano i racconti di due pentiti, Pasquale Barra detto o’animale, e Giovanni Pandico, chiamato o’ pazzo.La storia del caso Tortora è la storia di indagini che non vennero fatte, di pentiti che si giurarono vendetta e morte l’un l’altro, di elastici di slip che si ruppero e costringendo una donna ad appartarsi e vedere, disse poi lei, cosa non avrebbe dovuto vedere. Ma anche di centrini da tavola realizzati all'uncinetto da un carcerato, di serate al derby club di Milano, di elezioni europee, di soldi del terremoto del 1980, di giornali che inventarono di tutto e di quattro anni di una vicenda giudiziaria che oggi, a raccontarla, pare davvero impossibile che sia potuta realmente accadere.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
2/1/23 | Roma, 17 giugno 1983 - Seconda parte | Il 17 giugno 1983, alle 4.30 del mattino, i carabinieri bussarono alla... porta di una stanza dell’Hotel Plaza, a Roma, in via del Corso. Iniziò così una delle vicende di cronaca più incredibili della storia d’Italia. Enzo Tortora, giornalista televisivo famosissimo, conduttore di una trasmissione che andava in onda Rai2 il venerdì sera ed era seguita da oltre 20 milioni di spettatori, venne arrestato con l’accusa di far parte della camorra e di essere uno spacciatore di droga, amico e complice dei più celebri capi della criminalità organizzata degli anni Ottanta.Contro di lui c’erano i racconti di due pentiti, Pasquale Barra detto o’animale, e Giovanni Pandico, chiamato o’ pazzo.La storia del caso Tortora è la storia di indagini che non vennero fatte, di pentiti che si giurarono vendetta e morte l’un l’altro, di elastici di slip che si ruppero e costringendo una donna ad appartarsi e vedere, disse poi lei, cosa non avrebbe dovuto vedere. Ma anche di centrini da tavola realizzati all'uncinetto da un carcerato, di serate al derby club di Milano, di elezioni europee, di soldi del terremoto del 1980, di giornali che inventarono di tutto e di quattro anni di una vicenda giudiziaria che oggi, a raccontarla, pare davvero impossibile che sia potuta realmente accadere.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
1/1/23 | Parma, 4 agosto 1989 - Prima Parte | Un camper, marca Ford, con sei posti letto, bianco con strisce beige. ...Partì da Parma il 4 agosto 1989, destinazione Spagna, o forse Nordafrica. Comunque, vacanze. Era di proprietà di una famiglia composta da quattro persone: la famiglia Carretta.A inizio settembre quel camper non era ancora tornato. Giuseppe Carretta avrebbe dovuto riprendere il lavoro nell’azienda di cui era il contabile ma non si era fatto vivo, nemmeno una telefonata. Eppure, dissero i suoi colleghi, avvertiva anche se tardava pochi minuti. Con lui era sparita la moglie, Marta Chezzi. Neppure dei due figli, Nicola e Ferdinando, si sapeva più nulla.Iniziò la caccia al camper: per settimane arrivarono segnalazioni da tutta Italia, ma anche dall’estero. Alla fine venne ritrovato, parcheggiato in una strada di Milano. Degli occupanti non c’era nessuna traccia.Iniziò a diffondersi la voce che Giuseppe Carretta fosse scappato portando con sé 10 miliardi di lire sottratti alla sua azienda: fondi neri, e quindi non denunciati. Si disse che l’intera famiglia si fosse trasferita ai Caraibi a godersi i soldi. Che fossero tutti lontani e felici.Per quasi dieci anni i Carretta vennero segnalati in varie parti del mondo. Investigatori e giornalisti partivano alla ricerca ma ogni pista alla fine si rivelava falsa, o inconsistente.Fino a che un poliziotto inglese fermò un ragazzo che in moto, a Londra, stava facendo zig zag tra le auto…Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
1/1/23 | Parma, 4 agosto 1989 - Seconda Parte | Un camper, marca Ford, con sei posti letto, bianco con strisce beige. ...Partì da Parma il 4 agosto 1989, destinazione Spagna, o forse Nordafrica. Comunque, vacanze. Era di proprietà di una famiglia composta da quattro persone: la famiglia Carretta.A inizio settembre quel camper non era ancora tornato. Giuseppe Carretta avrebbe dovuto riprendere il lavoro nell’azienda di cui era il contabile ma non si era fatto vivo, nemmeno una telefonata. Eppure, dissero i suoi colleghi, avvertiva anche se tardava pochi minuti. Con lui era sparita la moglie, Marta Chezzi. Neppure dei due figli, Nicola e Ferdinando, si sapeva più nulla.Iniziò la caccia al camper: per settimane arrivarono segnalazioni da tutta Italia, ma anche dall’estero. Alla fine venne ritrovato, parcheggiato in una strada di Milano. Degli occupanti non c’era nessuna traccia.Iniziò a diffondersi la voce che Giuseppe Carretta fosse scappato portando con sé 10 miliardi di lire sottratti alla sua azienda: fondi neri, e quindi non denunciati. Si disse che l’intera famiglia si fosse trasferita ai Caraibi a godersi i soldi. Che fossero tutti lontani e felici.Per quasi dieci anni i Carretta vennero segnalati in varie parti del mondo. Investigatori e giornalisti partivano alla ricerca ma ogni pista alla fine si rivelava falsa, o inconsistente.Fino a che un poliziotto inglese fermò un ragazzo che in moto, a Londra, stava facendo zig zag tra le auto…Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
12/1/22 | Brembate di Sopra, 26 novembre 2010 – Prima parte | Il 26 novembre 2010, a Brembate di Sopra, a poco più di dieci chilome...tri da Bergamo, scomparve una ragazza di 13 anni. Si chiamava Yara Gambirasio. Era uscita di casa per andare al centro sportivo dove si allenava abitualmente: faceva parte della squadra locale di ginnastica ritmica. Quel pomeriggio era andata in palestra per consegnare alle istruttrici uno stereo che sarebbe servito per una gara, due giorni dopo. La ragazza entrò in palestra, si fermò meno di un’ora, poi venne vista uscire. Da quel momento, di lei, per tre mesi, non si seppe più nulla.Il corpo fu ritrovato il 26 febbraio 2011 in un campo di Chignolo d’Isola, a pochi chilometri da Brembate. Yara Gambirasio era stata colpita con un’arma da taglio, un coltello o un taglierino. Non morì però per le ferite: morì di freddo, in quel campo, stordita e debilitata, incapace di muoversi.Sui suoi vestiti furono trovate tracce biologiche. Iniziò così un’indagine scientifica senza precedenti in Italia. Vennero raccolti oltre ventimila campioni di DNA tra gli abitanti della zona. Fu individuato un ragazzo, poi un nucleo familiare e infine un uomo, Giuseppe Guerinoni, morto nel 1999, che secondo secondo le analisi del DNA più volte era il padre dell’assassino. Nessun profilo genetico dei suoi figli era però quello trovato sui vestiti di Yara Gambirasio. L’indagine scientifica si trasformò così in una ricerca, paese per paese, del figlio mai riconosciuto di quell’uomo. La ricerca si concluse nel giugno del 2014 con l’arresto di un uomo di 44 anni.Nel corso delle anni ci furono polemiche, errori, ma anche intuizioni. E intorno a quella indagini scientifica, a quei campioni di DNA, si aprì una disputa tra procura di Bergamo e la difesa dell’imputato che ancora non si è conclusa.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
12/1/22 | Brembate di Sopra, 26 novembre 2010 – Seconda parte | Il 26 novembre 2010, a Brembate di Sopra, a poco più di dieci chilome...tri da Bergamo, scomparve una ragazza di 13 anni. Si chiamava Yara Gambirasio. Era uscita di casa per andare al centro sportivo dove si allenava abitualmente: faceva parte della squadra locale di ginnastica ritmica. Quel pomeriggio era andata in palestra per consegnare alle istruttrici uno stereo che sarebbe servito per una gara, due giorni dopo. La ragazza entrò in palestra, si fermò meno di un’ora, poi venne vista uscire. Da quel momento, di lei, per tre mesi, non si seppe più nulla.Il corpo fu ritrovato il 26 febbraio 2011 in un campo di Chignolo d’Isola, a pochi chilometri da Brembate. Yara Gambirasio era stata colpita con un’arma da taglio, un coltello o un taglierino. Non morì però per le ferite: morì di freddo, in quel campo, stordita e debilitata, incapace di muoversi.Sui suoi vestiti furono trovate tracce biologiche. Iniziò così un’indagine scientifica senza precedenti in Italia. Vennero raccolti oltre ventimila campioni di DNA tra gli abitanti della zona. Fu individuato un ragazzo, poi un nucleo familiare e infine un uomo, Giuseppe Guerinoni, morto nel 1999, che secondo secondo le analisi del DNA più volte era il padre dell’assassino. Nessun profilo genetico dei suoi figli era però quello trovato sui vestiti di Yara Gambirasio. L’indagine scientifica si trasformò così in una ricerca, paese per paese, del figlio mai riconosciuto di quell’uomo. La ricerca si concluse nel giugno del 2014 con l’arresto di un uomo di 44 anni.Nel corso delle anni ci furono polemiche, errori, ma anche intuizioni. E intorno a quella indagini scientifica, a quei campioni di DNA, si aprì una disputa tra procura di Bergamo e la difesa dell’imputato che ancora non si è conclusa.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
11/1/22 | Ladispoli, 17 maggio 2015 – Prima parte | Nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 2015 un ragazzo di vent’anni, ...Marco Vannini, fu raggiunto da un colpo di pistola mentre era a casa della sua fidanzata, Martina Ciontoli, a Ladispoli, in provincia di Roma. Il proiettile trapassò il braccio destro, entrò nell’emitorace, attraversò il polmone destro, poi quello sinistro e si fermò nel pericardio, la membrana che circonda il cuore. La famiglia Ciontoli chiamò il 118 oltre mezz’ora dopo lo sparo annullando però, nella stessa telefonata, la richiesta di intervento. Il 118 venne chiamato di nuovo molti minuti più tardi. Furono due telefonate surreali, in cui i Ciontoli dissero molte bugie cercando di mascherare ciò che era realmente accadutoMarco Vannini morì quattro ore dopo essere stato ferito. Le perizie stabilirono che, se fosse stato soccorso tempestivamente, si sarebbe potuto salvare: nel suo torace fu trovata una quantità di sangue tra il litro e mezzo e i due litri. Morì lentamente, dissanguato dall’emorragia.Le indagini e i processi cercarono di ricostruire ciò che avvenne a Ladispoli, nella casa della famiglia Ciontoli, la notte in cui Marco Vannini venne colpito dal proiettile sparato da una pistola marca Beretta calibro nove. Tutto si basava sulle dichiarazioni della famiglia Ciontoli, sulle contraddizioni, le evidenti menzogne. Soprattutto il processo cercò di chiarire cosa avvenne nei minuti, nelle ore e poi nei giorni successivi quando un intero nucleo familiare raccontò che Marco era caduto dalle scale, quindi che aveva avuto un attacco di panico perché dalla pistola era uscito un colpo d’aria, poi che si era ferito con un pettine e infine che una pistola aveva sparato ma il colpo era partito praticamente da solo. E che Marco Vannini era stato ferito solo di striscio. Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
11/1/22 | Ladispoli, 17 maggio 2015 – Seconda parte | Nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 2015 un ragazzo di vent’anni, ...Marco Vannini, fu raggiunto da un colpo di pistola mentre era a casa della sua fidanzata, Martina Ciontoli, a Ladispoli, in provincia di Roma. Il proiettile trapassò il braccio destro, entrò nell’emitorace, attraversò il polmone destro, poi quello sinistro e si fermò nel pericardio, la membrana che circonda il cuore. La famiglia Ciontoli chiamò il 118 oltre mezz’ora dopo lo sparo annullando però, nella stessa telefonata, la richiesta di intervento. Il 118 venne chiamato di nuovo molti minuti più tardi. Furono due telefonate surreali, in cui i Ciontoli dissero molte bugie cercando di mascherare ciò che era realmente accadutoMarco Vannini morì quattro ore dopo essere stato ferito. Le perizie stabilirono che, se fosse stato soccorso tempestivamente, si sarebbe potuto salvare: nel suo torace fu trovata una quantità di sangue tra il litro e mezzo e i due litri. Morì lentamente, dissanguato dall’emorragia.Le indagini e i processi cercarono di ricostruire ciò che avvenne a Ladispoli, nella casa della famiglia Ciontoli, la notte in cui Marco Vannini venne colpito dal proiettile sparato da una pistola marca Beretta calibro nove. Tutto si basava sulle dichiarazioni della famiglia Ciontoli, sulle contraddizioni, le evidenti menzogne. Soprattutto il processo cercò di chiarire cosa avvenne nei minuti, nelle ore e poi nei giorni successivi quando un intero nucleo familiare raccontò che Marco era caduto dalle scale, quindi che aveva avuto un attacco di panico perché dalla pistola era uscito un colpo d’aria, poi che si era ferito con un pettine e infine che una pistola aveva sparato ma il colpo era partito praticamente da solo. E che Marco Vannini era stato ferito solo di striscio. Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
10/1/22 | Cogne, 30 gennaio 2002 – Prima parte | Il 30 gennaio 2002, alle 8.27 di mattina, giunse una telefonata al 118.... Proveniva d Montroz, una frazione di Cogne, in Valle d’Aosta. Una donna disse urlando che aveva bisogno di aiuto perché suo figlio stava vomitando sangue dalla bocca. Quando arrivarono i soccorsi si resero conto che c’era molto di più, e molto peggio. Il bambino non stava vomitando sangue. Aveva una profonda ferita alla testa da cui fuoriusciva materia cerebrale: qualcuno l’aveva colpito più volte, con estrema violenza. Quel bambino si chiamava Samuele Lorenzi, aveva tre anni: venne dichiarato morto appena giunto all’ospedale di Aosta. La donna che aveva chiamato il 118 era sua madre, Annamaria Franzoni. Le indagini che seguirono furono soprattutto basate su perizie scientifiche, la scena del delitto vene ricostruita, le tracce di sangue analizzate secondo una tecnica innovativa per l’Italia, la bloodstain pattern analysis. Ci furono scontri potenti tra l’avvocato difensore, Carlo Taormina, e chi conduceva le indagini e qualcuno tentò anche di inventare dal nulla delle prove. La televisione entrò prepotentemente nella strategia difensiva mentre attorno alla figura di Annamaria Franzoni si crearono due schieramenti, innocentisti e colpevolisti. E ancora oggi, a vent’anni di distanza, ci sono dubbi e domande senza risposta.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
10/1/22 | Cogne, 30 gennaio 2002 – Seconda parte | Il 30 gennaio 2002, alle 8.27 di mattina, giunse una telefonata al 118.... Proveniva d Montroz, una frazione di Cogne, in Valle d’Aosta. Una donna disse urlando che aveva bisogno di aiuto perché suo figlio stava vomitando sangue dalla bocca. Quando arrivarono i soccorsi si resero conto che c’era molto di più, e molto peggio. Il bambino non stava vomitando sangue. Aveva una profonda ferita alla testa da cui fuoriusciva materia cerebrale: qualcuno l’aveva colpito più volte, con estrema violenza. Quel bambino si chiamava Samuele Lorenzi, aveva tre anni: venne dichiarato morto appena giunto all’ospedale di Aosta. La donna che aveva chiamato il 118 era sua madre, Annamaria Franzoni. Le indagini che seguirono furono soprattutto basate su perizie scientifiche, la scena del delitto vene ricostruita, le tracce di sangue analizzate secondo una tecnica innovativa per l’Italia, la bloodstain pattern analysis. Ci furono scontri potenti tra l’avvocato difensore, Carlo Taormina, e chi conduceva le indagini e qualcuno tentò anche di inventare dal nulla delle prove. La televisione entrò prepotentemente nella strategia difensiva mentre attorno alla figura di Annamaria Franzoni si crearono due schieramenti, innocentisti e colpevolisti. E ancora oggi, a vent’anni di distanza, ci sono dubbi e domande senza risposta.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
9/1/22 | Veneto e Friuli Venezia Giulia, 1994-2006 – Prima parte | Il 21 agosto 1994 a Sacile, in provincia di Pordenone, durante la sagr...a degli osei, una fiera antichissima, esplose una bomba che ferì leggermente alcune persone. Era semplice polvere da sparo in un tubo. La notizia passò quasi inosservata, in fondo nessuno aveva riportato danni troppo seri. E nessuno poteva immaginare che nelle settimane seguenti a quelle bombe ne sarebbero seguite altre, e poi altre ancora negli anni successivi. Dal 1994 al 2006 in Veneto e Friuli Venezia Giulia esplosero bombe sempre più sofisticate: bombe trappola, nascoste in ovetti Kinder, barattoli di Nutella, tubetti di maionese, candele. Vennero ferite moltissime persone e a lungo in tanti ebbero paura di cose consuete, come fare la spesa al supermercato, andare in chiesa, aprire un barattolo. Indagarono tante procure, Venezia, Treviso, Pordenone, Udine, Trieste. E tanti investigatori che spesso non si parlavano tra di loro. Ci furono fughe di notizie, vennero tracciati molti profili psicologici. Una persona fu sospettata, restò al centro delle indagini per cinque anni. Si scoprì che una prova, la cosiddetta “pistola fumante” che avrebbe dovuto dimostrare la sua colpevolezza, era in realtà stata manomessa. E ancora oggi non sappiamo chi abbia costruito e messo tutte quelle bombe, se fosse una persona sola, se fossero tanti. E perché.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
9/1/22 | Veneto e Friuli Venezia Giulia, 1994-2006 – Seconda parte | Il 21 agosto 1994 a Sacile, in provincia di Pordenone, durante la sagr...a degli osei, una fiera antichissima, esplose una bomba che ferì leggermente alcune persone. Era semplice polvere da sparo in un tubo. La notizia passò quasi inosservata, in fondo nessuno aveva riportato danni troppo seri. E nessuno poteva immaginare che nelle settimane seguenti a quelle bombe ne sarebbero seguite altre, e poi altre ancora negli anni successivi. Dal 1994 al 2006 in Veneto e Friuli Venezia Giulia esplosero bombe sempre più sofisticate: bombe trappola, nascoste in ovetti Kinder, barattoli di Nutella, tubetti di maionese, candele. Vennero ferite moltissime persone e a lungo in tanti ebbero paura di cose consuete, come fare la spesa al supermercato, andare in chiesa, aprire un barattolo. Indagarono tante procure, Venezia, Treviso, Pordenone, Udine, Trieste. E tanti investigatori che spesso non si parlavano tra di loro. Ci furono fughe di notizie, vennero tracciati molti profili psicologici. Una persona fu sospettata, restò al centro delle indagini per cinque anni. Si scoprì che una prova, la cosiddetta “pistola fumante” che avrebbe dovuto dimostrare la sua colpevolezza, era in realtà stata manomessa. E ancora oggi non sappiamo chi abbia costruito e messo tutte quelle bombe, se fosse una persona sola, se fossero tanti. E perché.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
8/1/22 | Lombardia, 1998-2004 – Prima parte | Nel racconto di delitti e casi di cronaca nera, spesso sono i media a ...dare nomi e nomignoli ai protagonisti delle vicende: l’espressione “Bestie di Satana”, invece, se la diedero i protagonisti stessi. Un gruppo di ragazzi della provincia di Varese che negli anni Novanta prese a frequentarsi tra la fiera di Senigallia, un pub a Milano famoso per la musica metal, i boschi di Somma Lombardo, e che fu considerato responsabile di almeno tre omicidi e un suicidio indotto tra il 1998 e il 2004. È una vicenda che oscilla tra l’inquietante e il grottesco, prima di diventare tragica. All’inizio prevale il grottesco: le camerette da ragazzini pitturate tutte di nero, le teste di caprone in plastica, gli scambi di gocce di sangue, le frasi lette al contrario, le prove di resistenza al dolore con le sigarette spente sulle braccia, i nomi di battaglia, i riti in cui veniva evocato un improbabile essere demoniaco. C’erano anche sostanze stupefacenti, moltissime, usate fino al punto di perdere lucidità e consapevolezza delle proprie azioni: ed è lì che la storia da grottesca diventa prima inquietante e poi tragica, portando a omicidi, torture e suicidi: «Delitti feroci senza alcun senso», dice Stefano Nazzi. «Erano dieci-quindici. Qualcuno era un capo, qualcuno un gregario e qualcuno è scappato in fretta. Hanno fatto del male per il gusto di fare del male».Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
8/1/22 | Lombardia, 1998-2004 – Seconda parte | Nel racconto di delitti e casi di cronaca nera, spesso sono i media a ...dare nomi e nomignoli ai protagonisti delle vicende: l’espressione “Bestie di Satana”, invece, se la diedero i protagonisti stessi. Un gruppo di ragazzi della provincia di Varese che negli anni Novanta prese a frequentarsi tra la fiera di Senigallia, un pub a Milano famoso per la musica metal, i boschi di Somma Lombardo, e che fu considerato responsabile di almeno tre omicidi e un suicidio indotto tra il 1998 e il 2004. È una vicenda che oscilla tra l’inquietante e il grottesco, prima di diventare tragica. All’inizio prevale il grottesco: le camerette da ragazzini pitturate tutte di nero, le teste di caprone in plastica, gli scambi di gocce di sangue, le frasi lette al contrario, le prove di resistenza al dolore con le sigarette spente sulle braccia, i nomi di battaglia, i riti in cui veniva evocato un improbabile essere demoniaco. C’erano anche sostanze stupefacenti, moltissime, usate fino al punto di perdere lucidità e consapevolezza delle proprie azioni: ed è lì che la storia da grottesca diventa prima inquietante e poi tragica, portando a omicidi, torture e suicidi: «Delitti feroci senza alcun senso», dice Stefano Nazzi. «Erano dieci-quindici. Qualcuno era un capo, qualcuno un gregario e qualcuno è scappato in fretta. Hanno fatto del male per il gusto di fare del male».Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
7/1/22 | Avetrana, 26 agosto 2010 – Prima parte | Il 26 agosto 2010 una ragazza di quindici anni, Sarah Scazzi, scomparv...e ad Avetrana, in provincia di Taranto, in Puglia. Con le ricerche della ragazza, che fu trovata morta in un pozzo il successivo 6 ottobre, iniziò un clamore mediatico con pochi precedenti persino per la ricca storia italiana di rapporti morbosi tra la stampa, la televisione e chi indaga sui casi di cronaca nera, culminato nell’annuncio del ritrovamento del cadavere di Scazzi in diretta televisiva mentre sua madre era in collegamento. Per mesi migliaia di persone si misero in viaggio verso Avetrana per curiosare tra i luoghi della scomparsa e dell’omicidio, mentre decine e decine di testimoni più o meno credibili offrirono ogni pomeriggio in televisione le loro testimonianze, spesso a pagamento, spesso contraddicendosi da un momento all’altro, pur di ottenere qualche soldo e un po’ di visibilità: a questa cacofonia di dimensioni inedite partecipavano anche le persone indagate dalla procura, che parlavano contemporaneamente con gli inquirenti e con i media.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
7/1/22 | Avetrana, 26 agosto 2010 – Seconda parte | Il 26 agosto 2010 una ragazza di quindici anni, Sarah Scazzi, scomparv...e ad Avetrana, in provincia di Taranto, in Puglia. Con le ricerche della ragazza, che fu trovata morta in un pozzo il successivo 6 ottobre, iniziò un clamore mediatico con pochi precedenti persino per la ricca storia italiana di rapporti morbosi tra la stampa, la televisione e chi indaga sui casi di cronaca nera, culminato nell’annuncio del ritrovamento del cadavere di Scazzi in diretta televisiva mentre sua madre era in collegamento. Per mesi migliaia di persone si misero in viaggio verso Avetrana per curiosare tra i luoghi della scomparsa e dell’omicidio, mentre decine e decine di testimoni più o meno credibili offrirono ogni pomeriggio in televisione le loro testimonianze, spesso a pagamento, spesso contraddicendosi da un momento all’altro, pur di ottenere qualche soldo e un po’ di visibilità: a questa cacofonia di dimensioni inedite partecipavano anche le persone indagate dalla procura, che parlavano contemporaneamente con gli inquirenti e con i media.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
6/1/22 | Potenza, 12 settembre 1993 – Prima parte | La storia di questo mese è quella di Elisa Claps, una ragazza di sedi...ci anni scomparsa a Potenza il 12 settembre 1993 e la cui morte fu accertata soltanto nel 2010, in un caso giudiziario segnato da una montagna di insabbiamenti, depistaggi e bugie – pronunciate sia dalle persone coinvolte che da quelle non coinvolte nel processo – e che riguardò sia l’Italia che il Regno Unito. E il sottotetto di una chiesa.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
6/1/22 | Potenza, 12 settembre 1993 – Seconda parte | La storia di questo mese è quella di Elisa Claps, una ragazza di sedi...ci anni scomparsa a Potenza il 12 settembre 1993 e la cui morte fu accertata soltanto nel 2010, in un caso giudiziario segnato da una montagna di insabbiamenti, depistaggi e bugie – pronunciate sia dalle persone coinvolte che da quelle non coinvolte nel processo – e che riguardò sia l’Italia che il Regno Unito. E il sottotetto di una chiesa.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
5/1/22 | Erba, 11 dicembre 2006 – Prima parte | La sera dell’11 dicembre 2006 in un condominio di Erba furono uccise... quattro persone, tra cui un bambino di due anni. La storia di quella strage ottenne grandissime attenzioni da parte dei media, che inizialmente trattarono come il principale sospettato – quando non già acclarato colpevole – un uomo tunisino rivelatosi poi innocente. Furono invece indagati e condannati in via definitiva all’ergastolo Olindo Romano e Rosa Bazzi, i vicini di casa delle persone uccise. Molti oggi ricordano la strage di Erba per la sua efferatezza, per il clima di odio e le conseguenze estreme che seguirono delle banali liti condominiali e per il rapporto morboso dei due coniugi poi condannati. Ma c’è molto altro di notevole, nelle pieghe di questa storia: interrogatori e perquisizioni condotte in modi rivedibili, l’unico fondamentale testimone oculare che cambia improvvisamente la sua versione dei fatti, una confessione piena di dettagli poi ritrattata.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
5/1/22 | Erba, 11 dicembre 2006 – Seconda parte | La sera dell’11 dicembre 2006 in un condominio di Erba furono uccise... quattro persone, tra cui un bambino di due anni. La storia di quella strage ottenne grandissime attenzioni da parte dei media, che inizialmente trattarono come il principale sospettato – quando non già acclarato colpevole – un uomo tunisino rivelatosi poi innocente. Furono invece indagati e condannati in via definitiva all’ergastolo Olindo Romano e Rosa Bazzi, i vicini di casa delle persone uccise. Molti oggi ricordano la strage di Erba per la sua efferatezza, per il clima di odio e le conseguenze estreme che seguirono delle banali liti condominiali e per il rapporto morboso dei due coniugi poi condannati. Ma c’è molto altro di notevole, nelle pieghe di questa storia: interrogatori e perquisizioni condotte in modi rivedibili, l’unico fondamentale testimone oculare che cambia improvvisamente la sua versione dei fatti, una confessione piena di dettagli poi ritrattata.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
4/1/22 | Garlasco, 13 agosto 2007 – Prima parte | Il 13 agosto del 2007 a Garlasco, un paese in provincia di Pavia, una ...ragazza di 26 anni di nome Chiara Poggi fu uccisa nella sua abitazione. L’omicidio della ragazza ottenne grandi attenzioni nell’opinione pubblica, alimentando e a sua volta nutrendosi di un clamore mediatico che avrebbe segnato la successiva fase delle indagini. I processi che ne seguirono furono tra i primi in Italia basati interamente sulle perizie scientifiche, e per questo sono diventati un caso emblematico: per come le perizie abbiano dato risultati contrastanti e spesso opposti, ma anche per i moltissimi errori commessi durante le indagini e per la lunghezza dell’iter giudiziario.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
4/1/22 | Garlasco, 13 agosto 2007 – Seconda parte | Il 13 agosto del 2007 a Garlasco, un paese in provincia di Pavia, una ...ragazza di 26 anni di nome Chiara Poggi fu uccisa nella sua abitazione. L’omicidio della ragazza ottenne grandi attenzioni nell’opinione pubblica, alimentando e a sua volta nutrendosi di un clamore mediatico che avrebbe segnato la successiva fase delle indagini. I processi che ne seguirono furono tra i primi in Italia basati interamente sulle perizie scientifiche, e per questo sono diventati un caso emblematico: per come le perizie abbiano dato risultati contrastanti e spesso opposti, ma anche per i moltissimi errori commessi durante le indagini e per la lunghezza dell’iter giudiziario.Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi. more | |
3/28/22 | Trailer |