Indagini: Colle San Marco, 18 aprile 2011 - Prima Parte

Il Post Il Post 7/1/23 - Episode Page - 45m - PDF Transcript

Esiste una maniera per misurare la crudeltà? Quando un delitto può essere considerato crudele?

E che cosa vuol dire invece che un assassino ha agito con impeto?

E le due parole, crudeltà e impeto, possono stare insieme nella sentenza di una giuria?

Questa storia comincia nel primo pomeriggio di un giorno di inizio primavera,

quando un uomo, con un braccio e una bambina piccola, entra in un bar a lato di una strada che costeggia un bosco.

Hai pantaloni corti e una maglietta mezzemaniche.

Esceso da un'auto, una renoce in ic nera, chiede del bagno sempre agitato,

poi domanda a coloro che sono nel locale se per caso hanno visto una donna mora di 28 anni.

Dovrebbe essere entrata a cui 40 minuti fa, e mia moglie doveva andare in bagno.

Lui da quel momento non l'ha più vista, dice.

Nel bar, però, non è entrata nessuna donna.

È l'inizio della ricerca di una persona scomparsa che diventa alcuni giorni dopo l'indagine su un omicidio.

I giudici daranno a quel femminicidio interpretazioni diverse aggiungendo e scludendo la gravante della crudeltà,

e cioè, secondo il punto 4 dell'articolo 61 del codice penale,

la gravante di aver adoperato se vizie o l'aver agito con crudeltà verso le persone.

La Corte di Cassazione, in una sentenza definì nel 2016,

la gravante della crudeltà come contraddistinta da una condotta eccedente rispetto alla normalità causale,

che determina sofferenza aggiuntive e esprime un atteggiamento interiore specialmente riprovevole.

Cioè, in sostanza, quando l'assassino va oltre l'omicidio e vuole fare male, più male possibile.

Ma in questa storia conterà molto anche la definizione di dolo d'impeto,

quando il delitto viene commesso per una volontà improvvisa,

quando, cioè, chi commette al reato agisce di impulso.

Viene considerato, ai fini processuali, come una forma meno grave contrapposta alla premeditazione,

considerata invece una gravante.

Sono questioni giuridiche, tecniche, ma anche di interpretazioni di come è accaduto un fatto,

di che cosa l'ha causato, di che cosa c'è all'origine di un delitto.

E sono interpretazioni che fanno la differenza per l'entità della condanna,

di che cosa c'è all'origine di un delitto.

Ma questa è anche la storia di una lunga serie di bugie,

di come sia difficile mentire a lungo su tante cose senza commettere errori,

di come sia vero che chi mente tende a caricare la propria storia di particolari eccessivi

che sarebbero in realtà inutili, perché è spesso in quei particolari

che chi investiga trova un elemento, un appiglio, per far cadere un'imparcatura costruita con tante troppe parole.

Sigmund Freud disse,

Nessun mortale può mantenere un segreto.

Se le labbrare stanno mute, parla con la punta delle dita.

Certo, in un'indagine criminale non è così semplice distinguere cosa è vero da cosa non lo è,

però è un dato di fatto che oltre alle parole contano i gesti, la postura, il tono di voce, i silenzi,

i movimenti degli occhi.

Questa è anche la storia di due luoghi.

Il primo è una collina sopra Ascoli a 700 metri di altitudine,

un posto di pinete e di boschi dove la gente d'estate va a fare i picnic,

dove si portano i bambini a giocare sulle altalene.

Si chiama Colle San Marco e è attraversato da una strada stretta piena di curve.

È in provincia di Ascoli Piceno e confina a sud con la provincia di Teramo.

L'altro luogo si chiama Ripe di Civitella a 600 metri di altezza.

È sulla collina nel versante a Bruzzese, a quasi 20 km da Colle San Marco.

La provincia è quella di Teramo.

È un posto dove si svolgono spesso esercitazioni militari.

Questa è la storia di una famiglia che all'inizio al di là di onnilogica disse molte bugie

per difendere immagine e reputazione.

Alcuni media trasformarono la cronaca di un omicidio in una sorta di romanzo rosa e nero,

andando alla ricerca di tradimenti, addirittura chiedendosi in alcuni articoli,

come una donna, la vittima, avesse contratto un'infezione vaginale.

La caserma dove lavorava il marito della donna assassinata divenne nei titoli

la caserma del sesso proibito o la caserma lucirosse.

Quella caserma venne descritta a un certo punto per usare le parole

all'or utilizzate da alcuni giornali, come un bordello.

All'interno però erano avvenute cose gravi che non potevano essere ridotte a titoli pruriginosi.

Le notizie sulle indagini arrivarono regolarmente prima la stampa

e solo dopo agli avvocati delle persone coinvolte.

Questa è la storia di un uomo che un giorno avrebbe dovuto essere contemporaneamente in due posti diversi,

con due donne diverse e con le loro rispettive famiglie, seduto a due pranzi di Pasqua lontani uno dall'altro,

trovandosi così scrissero i giudici, in una strettoia emotiva.

Ma è soprattutto la storia di una donna, Melania Rea, che, 18 aprile 2011,

uscì di casa folignano in provincia di Ascoli, con il marito e la figlia di 18 mesi

per andare a fare una gita con le San Marco.

E poi scomparve.

Io mi chiamo Stefano Nanzi, faccio il giornalista da tanti anni

e nel corso della mia carriera mi sono occupato di tante storie come questa,

quelle che nel tempo vi sono diventate familiari e altre che potreste non aver mai sentito nominare.

Storie di cronaca, di cronacanera, di cronaca giudiziaria.

Il podcast che state ascoltando si intitola Indagini ed è prodotto dal poste.

Vi racconterò ogni mesi, una volta al mese, una di queste storie,

tentando di mostrare non tanto il fatto di cronaca in sé, il delitto in sé,

bensì tutto quello che è successo dopo, il modo in cui si è cercato di ricostruire la verità,

le indagini giudiziarie e i processi, con le loro iniziative, le loro intuzioni e i loro errori,

il modo in cui le indagini hanno influenzato la reazione dei media e della società

e il modo in cui media e la società hanno influenzato le indagini.

Sottotitoli a cura di QTSS

18 aprile 2011, è un lunedì.

Alle 15.25 circa, l'uomo in pantaloni corti e maglietta entra nel ristorante Bartabacchi, il cacciatore.

Noto anche come da assegà sul colle San Marco, a 20 minuti circa da Ascoli Piceno.

Dentro c'è poca gente, qualcuno che gioca a carte, un ciclista che si è fermato per dissetarsi.

L'uomo dimostra 30 anni e alto atletico.

Ha in braccio la figlia Vittoria, di 18 mesi.

Va in bagno, esce, chiede se qualcuno ha visto sua moglie.

Spiega, eravamo alle altalene con la bambina, poi lei si è allontanata.

Doveva andare in bagno, le avevo chiesto anche di portarmi un caffè.

Ma quanto tempo è passato, chiede la titolare del bar.

Forse 40 minuti risponde lui.

La donna chiede, ma ha provato a telefonarle?

Sì, un quarto d'ora fa ho provato due volte, ma niente.

Ho chiesto anche al signore del chiosco cui vicino, ma non l'ha vista.

Le persone all'interno del bar escono, iniziano a cercare lì attorno.

L'uomo lascia la bambina alla signora del bar, prende l'auto

e percorre avanti e indietro un tratto di strada.

L'aveva già fatto prima, dirà più tardi.

Quando torna la titolare del locale a dire che amiamo i carabinieri.

L'uomo, dal suo telefono alla donna, è torno in bagno.

Ecco, la prima parte della telefonata.

40, 12, 19, buona sera.

Buona sera, sento, sono la signora pia ristorante e scacciatore

a quelle per il marco, il bar, sei gato?

Sì.

E c'è un signore qui che la moglie della londaralla

si sconora e non la ritrova.

Il marito dove ha avesso?

Per il bambino, lascia la strada.

L'uomo esce dal bagno, la titolare del bar li passa il telefono.

Lui parla a stento.

I carabinieri li chiede, come si chiama sua moglie?

Rea Carmela risponde lui.

E suo nome qual è?

Parolisi Salvatore, 33 anni, residente a Follignano,

Caporal Maggiore del 235° Reggimento Piceno,

distanza presso la caserma Clementi.

Poil carabinieri cerca di capire che cosa sia successo.

Ma sua moglie come era prima di...

di allontanarsi, era tranquilla?

Sì, stava...

Stava giugando con la bambina all'altalena.

Sì.

E noi vogliamo andare in bagno?

I carabinieri chiede, come è sua moglie?

È bruna, alta?

I capelli come sono?

Mosi, lisci?

Lisci li ha?

Lunghi, lunghi li ha?

Come l'estiva?

Ci aveva un jeans chiaro e ci aveva un giubbetto blu.

Insomma, i copelli della Pinco l'aveva comprato.

Ci aveva la maglietta nera.

Scarpe?

Le scarpe.

Non mi ricordo che cazze scarpe aveva.

Bo, i virgin, Bo.

I carabinieri che io della telefonanza dice,

arriviamo.

Arrivano i carabinieri.

Nel verbale di quella sera notano

l'evidente stato di agitazione del denunciante

che presentava varie flussi gastrici.

In pratica ruttava

per alcuni casi interrompeva le parole che pronunciava.

Chiedono all'uomo, ma scusi,

perché l'ha cercata addirittura dopo 40 minuti

se si era allontanata solo per andare in bagno.

L'uomo risponde, giocavo con la bambina,

non mi sono reso conto del tempo che passava.

Avevate litigato, ma che?

Andiamo d'amore d'accordo.

E la frase, che ripeteranno in molti da quel momento,

diventerà quasi uno slogan,

andavano d'amore e d'accordo.

Iniziano gli accertamenti.

Innanzitutto sulla persona scomparsa

e su chi sta denunciando la scomparsa.

Lui, salvatore parolisi, è nato a fratta maggiore,

nel napoletano.

È istruttore di reclute donne

e ha una specializzazione in topografia.

Da tempo alla caserma Clementi di Ascoli,

in un rav, regimenti addestramento volontari.

Ogni tre mesi arrivano in caserma nuove reclute.

Erano i cosiddetti WFP,

volontari in ferma prefissata.

In quell'anno, il 2011,

potevano essere WFP1,

conferma di un anno,

o WFP4, conferma di quattro anni.

Accedevano e accedono ancora oggi

all'addestramento attraverso un bando.

Dal 2022,

i WF1 e WF4

sono stati sostituiti

dalle denominazioni WFI,

cioè volontari in ferma iniziale,

e WFP,

volontari in ferma triennale.

I volontari ricevono una paga

di circa 1.100 euro al mese.

Per chi è negli alpini,

ci sono 50 euro in più.

La durata dell'addestramento è di 6 settimane.

Ci sono prove di educazione fisica,

test intermedia e finali

su materie militari e prove pratiche.

Poi vengono svolte altre 8 settimane

di preparazione al combattimento.

Una volta terminato il periodo dei 12 mesi,

la volontaria o il volontario

può partecipare ai concorsi

per la ferma triennale.

Può anche usufriere di una riserva di posti

per l'accesso all'Accademia Militare di Modena,

alla carriera iniziale nelle forze di polizia,

ad ordinamento militare e civile,

o al corpo militare della Croce Rossa.

Ai volontari in ferma prefissata

sono riservati il 30% di posti

nell'assunzione delle pubbliche amministrazioni,

il 20% di posti

nei concorsi per l'accesso alle carriere iniziali

dei corpi di polizia municipale e provinciale

e il 50% dei posti per l'immissione

tramite concorso ai ruoli civili

del personale non dirigente della difesa.

Salvatore Parolisi si occupava di questo,

di addestrare le volontarie della caserma Clementi.

Prima di sposarsi, aveva partecipato a missioni in Koso,

poi in Afghanistan.

La donna scomparza si chiama Carmela Rea,

la chiamano tutti Melania,

e lei che vuole farsi chiamare così.

A 29 anni, il padre è un ex militare

di carriera dell'area onautica.

Ha sempre vissuto a Somma Vesuviana.

Dopo il matrimonio ha seguito il marito,

hanno trovato Casa Folignano,

a meno di 10 km d'ascoli,

non ha un impiego, sta casa,

e si occupa della bambina.

Le ricerche iniziano intorno al ristorante da Sega,

poi si allargano,

vengono fatti certamente sul telefono della donna.

È un Samsung, gestore Wind.

Ha agganciato, prima di essere spento,

la cella di Civitella del Tronto,

un'area ampia che copre anche

una zona ristretta di colle San Marco.

Una amica della donna, Sonia Viviani,

dice di averla chiamata due volte intorno alle 15,

senza ricevere risposta.

Sonia Viviani arriva a colle San Marco,

arriva anche a una coppia di amici di Salvatore Parolisi e Carmellaria,

Raffaele Paciolla, agenti di Polizia Penitenziaria,

e sua moglie Stefania.

Vengono avvertiti i genitori della donna.

Il padre e il fratello partono da Somma Vesuviana.

A colle San Marco arriva anche l'unità cinofila,

un istruttore con un cane di Sant'Uberto,

di 14 anni,

e specializzato nella ricerca di persone vive.

Al cane vengono fatti annusare un lucide alabbra,

un rimmel e un mazzo di chiavi appartenenti alla donna scomparse.

Lui fa un giro su se stesso,

poi inizia a seguire la strada asfaltata.

Ignora sia l'area delle Altalene, sia il Barse Gà,

che si chiama vicino al Monumento dei Caduti Partigiani.

Poi inizia a seguire alcuni sentieri.

In pratica, gira vuoto.

Quella sera, Salvatore Parolisi viene ascoltato

nella caserma dei Carabinieri.

Dice che quel giorno era di riposo.

In mattinata, lui e la moglie hanno accompagnato la bambina

da un fisiatra, all'ospedale civile di Ascoli Piceno.

Poi hanno fatto un po' di spesa lì per simpli,

vicino allo Stadio e al Morris verso le 11.

Una telecamera conferma il racconto,

quindi continua Salvatore Parolisi.

Abbiamo lasciato a casa la spesa e siamo andati alla clinica San Marco,

dove Milania è stata visitata per un problema di ernia inguinale.

Dopo pranzo, mia moglie mi ha proposto di andare a prendere

un po' di sole al Piano Oro di Colle San Marco.

C'eravate già stati, chiedono i Carabinieri?

Si risponde Parolisi, due o tre volte,

l'ultima una decina di giorni fa.

Le indagini accetteranno, che erano stati lì in effetti,

otto giorni prima.

Poi di nuovo la domanda, c'erano litigi tra voi?

La risposta di Parolisi è questa,

riportata dai verbali.

Non abbiamo cattivi rapporti con nessuno,

né ad Ascoli Piceno, né a Somma Vesuviana,

dove vivono i miei suoceri,

né a Fratta Maggiore, dove sono i miei genitori.

Ciò che dice Parolisi sul rapporto con la moglie

ha una nottevola importanza

per lo sviluppo delle indagini.

Quella sera, le amiche di Melania Rea

fanno notare che la bambina è senza ciuccio,

che non c'è la borraccia con il beccuccio da cui di solito beve,

che non ha un ricambio, ma solo un gilet.

Melania Rea era precisa,

non avrebbe mai lasciato quelle cose a casa, dicono.

E non ci sono nemmeno le sigarette,

le aveva sempre con sé.

Quella notte, a casa di Parolisi Rea,

si fermano i genitori e il fratello della donna.

Una vicina dirà poi di aver sentito all'alba

i rumori della lavatrice.

Non ci sarà però nessuna conferma.

Quella lavatrice verrà poi regalata da Parolisi a fratello,

e dopo qualche settimana verrà fatta demolire.

Il giorno dopo il padre e fratello di Melania Rea

lanciano un appello in televisione.

Il padre di Melania Rea dirà nei giorni successivi ai carabinieri

che la notte tra 18 e 19 aprile,

dopo il colloquio in Caserma,

aveva visto Salvatore rientrare in casa con un trolley nero.

Anche l'amico Raffaele Paciolla parlerà di un trolley.

Michele, fratello di Melania, confermerà.

I carabinieri però non viederò alla cosa nessuna importanza.

Chiesero a Parolisi che cosa ci fosse in quella valigia,

e lui disse che era quella già preparata per le vacanze di Pasqua,

da trascorrere a Somma Vesuviana in casa della famiglia della moglie.

Molti mesi più tardi vennero fatte perquisizioni

per cercare quella valigia,

sia a casa di Parolisi, sia a casa dei suoi genitori,

ma venne trovato solo un borsone che disse l'uomo.

Aveva usato il 23 aprile per portare dei vestiti di Melania ai genitori.

Torniamo al 19 aprile. Le ricerche stanno continuando.

Viene sentito il padre di Melania Rea.

I carabinieri chiedono, tutto bene tra suo figlio e il marito,

qualche malumore?

Lui risponde, ma quando mai?

Una vita tranquilla senza nubi?

Lo stesso, dice l'amico della coppia, Raffaele Paciolla,

che ripete ancora la frase, andavano d'amore d'accordo.

Anche le amiche di Melania sono concordi. Nessun problema.

Le ricerche si allargano.

Le trasmissioni televisive ricordano la storia di Rossella Goffo,

funzionaria della prefettura di Anconas comparsi 4 maggio 2010,

meno di un anno prima dell'asparizione di Melania Rea.

Il suo corpo, bene ritrovato mesi dopo il 5 gennaio 2011,

sotto uno strato di terra proprio a Colle San Marco,

non distante dal luogo dove si svolgono le ricerche di Melania Rea.

Bel omicidio di Rossella Goffo, nel 2015, è stato condannata in via definitiva

15 anni di carcere, Alvaro Bigni, ex funzionario della questura di Ancona

con cui la donna aveva avuto una relazione.

Quando scomparve Melania Rea, però la soluzione del caso era ancora lontana.

Il 19 aprile Alfredo Orranelli, proprietario del Chiosco vicino al ristorante Bartabacchi,

il cacciatore da Sega, parla più volte con i carabinieri.

Il giorno della scomparse il 18 aprile, dice di aver aperto il Chiosco

tra le 14.30 e le 14.45, e di aver visto, dopo circa un quarto d'ora,

mentre sistemava i tavolini, una coppia con un bambino.

Non sa dire se era un bambino o una bambina.

Vicino alle Altalene, poi afferma che verso le 15.30,

e questa è esattamente la sua deposizione,

si ferma davanti al Chiosco una auto-vettura con a bordo un uomo

che riconoscevo per quello che avevo notato poco prima nel Parco Giochi,

che mi domandava se avevo visto una donna.

Il giorno dopo, dice, sempre a verbale,

ho visto che nei presi dell'Altalena c'era una famiglia composta da un papà,

una mamma e un bambino.

L'uomo indossava dei pantaloncini corti,

nonostante la giornata, non fosse proprio calda.

La videocamera del Chiosco, in quadro Alfredo Orranelli,

che arriva in auto davanti al Chiosco, sono alle 14.50.

I carabinieri però accerteranno che l'orologio della videocamera

è indietro di cinque minuti e cinque secondi.

Quindi l'ora di arrivo va spostata alle 14.55.

Orranelli sisteme i tavoli dieci minuti un quarto d'ora dopo

e a quel punto che dice di vedere la famiglia.

Però a quell'ora, secondo Parolisi, la moglie era già scomparsa.

L'amica Sonia Viviani aveva chiamato Melania Reale 14.53 alle 14.56

e lei non aveva risposto.

Alfredo Orranelli sarà l'unico a dire di aver visto Melania Rea,

Salvatore Parolisi e Vittoria Parolisi, quel giorno a Cole San Marco.

La sua testimonianza verrà giudicata dagli investigatori non attendibile,

ma sarà al centro di forte discussioni tra accuse di Fesa in tribunale,

alcuni mesi dopo.

Il 20 aprile, due giorni dopo la scomparsi, alle ore 16 al 113,

arriva questa telefonata.

Ciotco della Pinetta.

Arripe dole, arripe di Civitella.

Sì.

Ciotco della Pinetta.

Non sa com'e' deve andare, ma c'è un corpo per terra.

C'è un corpo per terra?

Sì.

Vendrò a Ciotco?

No, poi, io stavo facendo una camminata.

Ciao.

L'uomo dice, arripe di Civitella, c'è un corpo per terra.

C'è un corpo per terra.

Poi dice ciao e mette giù il telefono.

La chiamata è arrivata da un telefono pubblico che si trova alla stazione di Teramo.

Non è mai stato identificato che abbia fatto quella telefonata.

Arripe di Civitella ha circa 20 minuti da Cole San Marco.

L'informazione data da chi ha telefonato è vera.

C'è un corpo.

È quello di Melania Rea.

Questa è la descrizione di come il corpo venne trovato.

Chi non vuole ascoltarla può andare avanti di 45 secondi.

Il corpo si trova nel bosco delle casermette,

arripe di Civitella.

È in posizione supina.

È su un terreno pieno di aghi di pino vicino a un chiosco,

che però in quella stagione è chiuso.

Ha molto sangue sul collo.

Sul corpo ci sono ferite da punta e taglio.

Melania Rea ha jeans collante e slip abbassati fino alle ginocchia.

Ha una seringa da insulina, priva del contenuto,

infilzata all'altezza del cuore.

Sulla dome è stata inciso una sorta di X.

Sulla coscia sinistra è una svastica.

A destra, una specie di grata a linee orizzontali e verticali.

Qualcuno, tra i carabinieri arrivati sul posto, dice, è un rituale.

I giornali, il giorno successivo,

parlano di killer della frangetta,

perché sia Melania Rea, sia Rossella Goffo,

trovata morta con le San Marco nel gennaio di quell'anno,

portavano la frangia.

Nei titoli delle trasmissioni televisive,

il luogo dove è stato ritrovato il corpo,

diventa inevitabilmente la collina dei misteri o degli orrori.

Il racconto dei fatti passa in secondo piano,

rispetto alla ricerca di presunte relazioni estra coniugali della donna.

Si ipotizza l'esistenza di amanti respinti.

Alcuni giornalisti fanno ammarito Salvatore Parolisi questa domanda.

Ma sua moglie aveva degli spasimanti?

Dice Giulia Siviero, giornalista del poste femminista.

Molto spesso, quando i giornali si occupano di violenza maschile contro le donne,

riproducono e legittimano quella violenza

attraverso le parole che la raccontano.

Assoggiano ad esempio il femminicidio all'amore S,

condando il fatto che la violenza possa far parte di una relazione

e trasformano il tutto in una specie di favola nera.

Nel caso di Rea si parla, ad esempio, di triangolo amoroso.

Si va poi alla ricerca di un movente che giustifichi l'atto,

per cui la violenza non sembra essere un'azione, ma una reazione,

una conseguenza delle scelte che ha fatto chi, quella stessa violenza, la subita.

È poi l'unico reato per cui si assume il punto di vista di chi l'ha commesso

e su quel punto di vista si costruiscono interi articoli.

Di Melania Rea si parla come della donna del soldato,

di una donna dunque che ha proprietà di qualcuno,

che ne può disporre come vuole e che può anche arrivare a eliminarla fisicamente

come un oggetto che non serve più o che è d'intralcio.

Infine, si racconta il femminicidio come l'esito di un raptus o di una patologia.

Si mostrifica l'aggressore, si dice che era malato,

e si suggerisce prende dunque che ci sia una straordinarietà nel fenomeno,

che invece è strutturale.

Per le nazioni unità al mondo ci sono più di 5 femminici di ogni ora, almeno.

Cifu all'inizio è una disputa sulla competenza.

Ripetici vitelle in provincia di Teramo,

ma la scomparsi era avvenuta in provincia di Ascoli Piceno,

la cui procura aveva già aperto un fascicolo.

Le due procure poi collaborarono.

A Melania Rea erano state date 32 coltellate.

Il medico legale parlò di tentativo di sgozzamento.

La maggior parte delle ferite era stata provocata da un coltello di piccole dimensioni,

un coltellino.

L'arma non è mai stata trovata.

Altre ferite erano state inferte con un oggetto contundente a punta smussata,

forse un cacciavite a stella.

Quelle ferite si scoprirà con l'autopsia e erano state inferte dopo,

forse uno o due giorni più tardi rispetto a quelle date con il coltello.

Melania Rea è morta di sanguata.

L'assassino l'ha lasciata aggonizzante, ma ancora in vita.

Il primo esame del medico legale non riesce a dare un'indicazione accettabile

sull'ora della morte che comunque è avvenuta secondo il medico il 18 aprile,

il giorno stesso della scomparsa.

Solo che viene indicato una forbice di tre o quattro ore,

e una forbice troppo ampia.

Viene così chiesto un suplemento di indagine.

La stampa inizia a riportare ipotesi che trapelano in qualche modo dalla procura

oppure dai carabinieri.

Si dice che Melania Rea è stata uccisa al trove e poi portata a ripe di civitella.

Viene escluso subito la rapina.

La vittima, quando viene trovata,

indossa orologio orecchini di madre perla,

un braccialetto con inciso il nome Salvatore,

una catenina d'oro con dei ciondoli.

Su uno iscritto,

con te sarà sempre un nuovo giorno d'amore.

I tecnici del RIS,

reparto di investigazioni scientifiche dei carabinieri,

trovano nel luogo dove è stato rinvenuto il corpo,

macchie di sangue che in gergo tecnico

vengono chiamate cast off,

cioè macchie che vengono proiettate dall'arma.

In questo caso, presumibilmente il coltellino,

dopo aver colpito la vittima.

Vicino a corpo è stato trovato il telefonino di Melania Rea,

poco distante un anello.

In una conferenza stampa,

il colonnello dei carabinieri Alessandro Patrizio,

dice che la scena del delitto è una messa in scena naif.

Parla di scena alternativa.

Nelle trasmissioni televisive vengono, come avviene sempre,

formulati ipotesi senza che ci sia ancora

alcun elemento concreto nelle indagini.

Lo psichiatra Alessandro Meluzzi dice con certezza

che uccidere è stata una mano femminile,

è stata una donna, dice.

Si scopre che il 18 aprile,

nel poligono di casermette,

cioè nell'area vicina a Ripedici Vitella,

c'è stata un'esercitazione di tiro.

Lungo il perimetro del poligono,

erano state messe alcune sentinelle,

come avveniva sempre,

per la salvaguardia dei civili.

La sentinella sulla strada che porta

al chiosco di Ripedici Vitella

non ricorda di aver visto nessuno.

Parla, ma vagamente,

di una Volkswagen Golf.

In quella zona vengono spesso esercitazioni militari.

C'è stato più volte anche salvatore parolisi.

In procura, ad Ascoli,

viene data indicazione ai carabinieri

di indagare sulla famiglia,

sulla vita della coppia.

Non è un caso, è una scelta ovvia

e consueta,

nei casi di assassino.

Gli omicidi in Italia, negli anni,

sono diminuiti in maniera molto rilevante.

Nel 1991,

anno con il record negativo

a partire dagli anni 80,

ce ne furono 1916.

Secondi dati Istat,

nel 2021, cioè 30 anni dopo,

sono stati 303,

184 uomini e 119 donne.

Il calo è quindi dell'84%

in 30 anni.

Dei 303 delitti,

le persone uccise

in una relazione di coppia e in famiglia

sono state 139.

I 45,9% del totale.

39 uomini e 100 donne.

Il 58,8%

delle donne uccise

è vittima di un partner

o di un ex partner.

Ed è da questi dati che inizia

qualsiasi dagine su un omicidio.

Comincia da qui,

anche l'indagine,

sull'omicidio di Milania Rea.

Vengono sentiti nuovamente

i familiari e gli amici.

La madre di Milania Rea

parla di armonia perfetta

tra la figlia e il marito, dice

quando venivano a Somma,

si scambiavano in continuazione

bacetti e carezze.

Non si appiccicavano mai,

e cioè non li tigavano mai.

I pade di ce carabinieri,

quando li ho dato mia figlia li ho detto

comportati bene, se no.

La rappresentazione andava in scena

anche negli studi televisivi

dove comparivano i familiari di Milania Rea

e gli amici della coppia.

Umberto Monti, il magistrato

della Procura di Ascoli che coordina le indagini,

ha dato intanto

mandato di effettuare intercettazioni telefoniche ambientali.

Tra le persone intercettate

c'è anche salvatore Parolisi.

Il telefono cellulare

viene messo sotto controllo e cimi

ci vengono posizionate in casa e nella sua auto.

Le indagini coinvolgono

la caserma Clementi,

dove Parolisi è struttore.

Lo fanno all'inizio con estrema cautela.

Si tratta di militari

che devono indagare in un'istituzione militare.

C'è poi un fatto strano

che il pubblico ministero

che indaghe i carabinieri hanno saputo.

La sera

del 20 aprile,

quella del rinvenimento del corpo della donna,

a casa Parolisi sono andati

Colonnello Ciro a Nichiarico,

amico di Parolisi e comandante del reggimento Piceno.

Era Fael e Paciolla.

Con loro c'è Michel Erea,

il fratello di Milania.

Parolisi dice tre.

E pensare che 15 giorni fa

il 26 marzo mi pare.

Siamo stati proprio lì,

dove l'hanno trovata.

Guardando la città

di Pascua,

mentre Vittoria dormiva in auto,

ci siamo messi con Milania

dietro a Ciosco

e abbiamo fatto l'amore.

Proprio dove l'hanno trovata.

Quel racconto colpirà

molto chi conduce le indagini.

Non si può giudicare come reagiscepresse

un dolore inimmaginabile

e quel giorno,

Salvador Parolisi l'ha vissuto.

Le reazioni non possono essere catalogate.

modo. Però il dato che colpisce gli inquirenti è che nei giorni attorno al 26 marzo le

temperature nell'ascolano erano rigidissime e a terra c'era ancora la neve. Durante un

interrogatorio condotto a Castello di Cisterna in provincia di Napoli dove Salvatore aveva

raggiunto i suoi genitori, il capitano Roberto D'Ortone è trasferta nella località campana

che esaparolisi, ma quel giorno davvero avete fatto l'amore lasciando la bambina in auto?

Sì ma dormiva perché me lo chiede? Per capire le tue abitudini dice D'Ortone e comunque io

non credo che avete fatto l'amore lì perché a marzo c'era ancora la neve e nessuno va a

fare l'amore sulla neve. A fine marzo non c'era neve disse Parolisi, ma faceva freddo.

Comunque andiamo avanti dice D'Ortone. Il dubbio degli inquirenti che Parolisi abbia raccontato

quella storia per giustificare eventuali altre tracce che si sarebbero potute trovare dietro

al chiosco di ripe di civitella. Resterà comunque una questione mai chiarita.

Intanto, dalle indagini nella caserma emerso altro. Storie più o meno rilevanti tra Salvatore

e Parolisi aglieve. Una di queste storie è stata, dicono alcuni militari in caserma,

piuttosto importante. È una storia che va avanti da tempo. Qui non faremo il nome della persona

coinvolta. Era una ragazza, aglieva per alcuni mesi della caserma clemente e poi di stanza altrove.

Bene totalmente escluso qualsiasi suo coinvolgimento penale. Questo non impedì che la sua vita venisse

sezionata dei medi estante dopo estante. Fu insultata e offesa, soprattutto sui social

network senza che varie per tutto fosse minimamente coinvolta a livello penale.

Nel corso delle consuette e trasmissioni televisive le fu imputato di non aver dimostrato nessun dolore

per la morte di Melania Rea, di essere concentrata solo su suo rapporto con Salvatore Parolisi.

Su di lei venono radati giudizi esclusivamente morali. I giornali riportarono il testo dei

messaggi che lei e Parolisi si erano scambiati, anche messaggi del tutto irrilevanti al fine

dell'indagine. Quella ragazza venne condannata dai media, senza che avesse commesso nessun reato.

Non riporteremo, se non per alcuni spunti fondamentali per le indagini, i messaggi che

si scambiavano quotidianamente lei e Parolisi. In due anni tra l'istruttore e l'ex al lieva ci

furono 5.000 telefonate e furono scambiati 4.000 messaggi, molti dei quali attraverso un profilo

Facebook che Parolisi aveva aperto con l'account veccio al pino. Questo solo per indicare che

il rapporto tra i due era solido, costante e durava da molto. Melania Rea era a conoscenza

dell'esistenza della ragazza. Lo aveva saputo in maniera banale. Parolisi per parlare con

la lieva usava un altro cellulare, uno dedicato solo a quello scopo. Un giorno per sbaglio usò

quel cellulare per chiamare la moglie. Melania Rea cercò poi quel telefono, lo trovò e chiamò la

ragazza. Tra le due donne ci furono due colloquie, non sereni. Il fatto è che di quella storia

sapevano in molti, ne erano conoscenza i genitori e il fratello di Melania Rea, solo che anche

dopo la morte della figlia non volevano che si sapesse. Ecco come salvatore Parolisi spiego

la cosa al magistrato che indagava sul delitto. Non dovevo parlare della ragazza, dovevo tenerla

fuori. C'era un patto, era un patto con i Rea, con mio suo acero in particolare. Non voleva

assolutamente che si sapesse che avevo tradito Melania. Per salvare le apparenze loro sono una

famiglia all'antica. Il signor Rea è stato molto duro su questo punto, non se ne doveva parlare.

Quindi il patto Rea, come lo chiamò Parolisi, imponeva che della relazione tra salvatore e

l'ex-allieva non si dovesse parlare. Ecco cosa dice Luca Steffenoni, giornalista e criminologo,

autore del libro Melania Rea, l'assassino alle spalle. Ma io credo che questo rientri. Ci sono

fatte molte tesi anche alcune complottiste come non mancano mai le versioni complottiste. In questi

casi legando il rapporto con la famiglia, elementi ricattatori. È venuto fuori qualcuno che diceva

che il rapporto tra Parolisi e il papà di Melania, il fratello di Melania, fosse di sudditanza di

paura, ma anche un posto, come dire, ricatto. Secondo me invece la cosa molto più semplice

rientra in quel tipo di cultura familiare nelle quali i panisporchi si lavano in famiglia.

Tutti hanno mentito, ha mentito soprattutto salvatore Parolisi. In un primo momento comunque

minimizza. Dice che la storia con la ragazza non aveva avuto nessuna importanza e che lui era

intenzionata a chiuderla, anche se ancora non lui aveva fatto. Il fatto è che gli inquirenti

iniziano a pensare che l'uomo menta su un sacco di cose. Distinguere verità in menzogno durante

un interrogatorio non è facile, non è per intenderci come nei film. In Italia non sono ammessi

strumenti come la macchina della verità a cui, per esempio, vengono spesso sottoposti

le indagati negli Stati Uniti. Ricordiamo comunque che il salvatore Parolisi in quel momento non era

indagato. Non vengono utilizzati quelli strumenti perché non sono considerati affidabili. Spiega

Isabella Merzagora, psicologa, criminologa e docente. Scombriamo subito il campo invece

da una cosa che potrebbe essere importante e cioè chi cloud si fida eccetera, dei vari sistemi

di lie detector. Cioè ci ne sono di più vecchiotti, ci ne sono di più raffinati, diciamo così.

Scombro il campo perché appunto c'è fiducia quasi miracolistica in questi sistemi. In realtà

si basano tutti più raffinati che siano sulle reazioni neurovegettative e anche sulla latenza,

perché l'idea è quella che noi per raccontare bugie abbiamo bisogno di un po' più di tempo,

parlando proprio di tempo neurologico. Oppure perché noi, se si mente, ci vengono sudoni

alle mani piuttosto che tremoli eccetera. Allora questo sarà anche vero, però questo significa

che i sistemi premiano i bugiardi incappitti. Penalizzano gli ansiosi perché non so, se

me chiedono se ho ammazzato qualcuno, mi agisco. Preniano di nuovo i mentitori patologici perché

non riconoscono quest'anno mentendo. Allora quindi scombriamo il campo da quello che non è vero

che è la panacea universale. Nelli Stati Uniti invece su questi strumenti si fa molto affidamento.

E può darsi che sia una sorta di sentismo di fiducia un po' a critica magari in mezzi

sì certo, meno artigianali, se vogliamo, del colloquio, che appunto passano per più

scientifici. Secondo me sono solo più pericolposi. La domanda che si fanno prokuratore che

abbinieri di Ascoli è semplice. Salvatore Parolizia, mentito solo su suo rapporto con

l'ex Alieva o menti anche su altro, che mentre ha suo rapporto con l'ex Alieva viene dato

ormai come acquisito. Ma questo non è certo un reato. Nei giorni successivi alla morte

di Milania Parolizia ha mandato più messaggi alla ragazza chiedendole di eliminare tutte

le loro conversazioni. Dirà poi che lo aveva fatto per proteggerla, per tenerla fuori

da ciò che stava succedendo. E fatto che Parolizi sia una persona che mente sulla

sua vita non vuol dire certo che sia un assassino, però quasi inevitabilmente le attenzioni

della Procura di Ascoli si concentrano sul sud di loro. Nessuno nei primi giorni ha pensato

di sequestrare i vestiti dell'uomo per cercare eventuali tracce. I vestiti vengono sequestrati

più avanti in tre diverse riprese. 19 maggio, 4 agosto e 23 agosto. Anche l'auto non è

stata esaminata, è stata solo perquisita sommariamente e all'interno sono state piazzate le cimici

per ascoltare eventuali conversazioni di Parolizi. Al momento della perquisizione comunque

nell'auto sono state individuate tra i minuscole macchie che però non sono state analizzate.

Solo il 21 giugno l'auto verrà sequestrate affidata al RIS, reparto investigazioni scientifiche,

ma a quel punto l'interno e l'esterno sono stati già abbondantemente lavati. L'inquirente

intanto intensificano gli interrogatori di Parolizi. In Procura si è presentato un

ragazzo, uno studente dell'Istituto Tecnico per Geometri, Umberto Primo di Ascoli. Il 18

aprile era con alcuni compagni, su colle San Marco. Erano lì fin dal mattino, dice perché

a scuola c'era autogestione. Avevano giocato a pallone, avevano presi e gelati il caffè

in barda a sega. Alle 15 e 15 aveva scattato alcune foto con il telefonino, aveva inquadrati

compagni che giochi chiavano. Il telefonino aveva inquadrati anche l'area giochi, quella

delle artalene, quella dove, secondo il racconto di Parolizi, proprio a quell'ora lui stava

giocando con la figlia Vittoria. Nelle foto scattate dal ragazzo con il telefonino,

però, nell'area giochi, non si vedeva assolutamente nessuno.

Avete ascoltato la prima parte della nuova storia di Indagini, sull'omicidio di Melania

Area, avvenuto il 18 aprile 2011. Trovate già la seconda parte sull'app del post e su

tutte le principali piattaforme di podcast. Prima di chiudere la prima parte di questa

storia vi racconto una novità che riguarda questo podcast. Il 10 luglio tra pochi giorni

uscirà una puntata speciale di Indagini, che racconterà una grande storia un po'

diversa da quelle che vi racconto ogni primo del mese. L'appuntata speciale sarà disponibile

per le persone abbonate al post. Sarà un modo per ringraziarmi, perché è il loro aiuto

che permette al post di esserci fare indagini e fare sempre di più. Se vuoi ascoltare l'appuntata

speciale e contribuire al lavoro che facciamo al post, puoi abbonarti anche tu e spiegato

come nella descrizione di questa puntata. Indagini è un podcast del post scritto e raccontato

da Stefano Nazzi.

Machine-generated transcript that may contain inaccuracies.

Il 10 luglio uscirà una puntata speciale di Indagini, disponibile solo sull'app del Post per le persone abbonate. Per abbonarti vai su abbonati.ilpost.it.

Il 18 aprile 2011 una donna scomparve a Colle San Marco, a venti chilometri da Ascoli Piceno. Si chiamava Melania Rea, era andata a fare una gita con il marito, Salvatore Parolisi, e la figlia Vittoria, di 18 mesi.
L’uomo disse che la moglie si era allontanata per andare in bagno e poi non era più tornata.
Due giorni dopo, il corpo della donna fu ritrovato a Ripe di Civitella, a venti chilometri dal luogo dove era scomparsa. Era stata assassinata con 35 coltellate. Sul suo corpo era stata incisa una svastica.
Vennero scoperte molte bugie e omertà e ci furono fughe di notizie che rischiarono di compromettere l’inchiesta.
Le indagini dopo alcune settimane si concentrarono sul marito che, secondo gli inquirenti, non aveva saputo gestire la propria vita, diviso tra la moglie e il rapporto con una ragazza, sua ex allieva, conosciuta in caserma. Gli inquirenti parlarono di una «strettoia emotiva». Parolisi fu arrestato a luglio, tre mesi dopo il delitto. Per gli inquirenti aveva ucciso la moglie e poi agito sulla scena del crimine per depistare le indagini.

Indagini è un podcast del Post scritto e raccontato da Stefano Nazzi.