Indagini: Emilia-Romagna e Marche, 1987-1994 - Seconda Parte
Il Post 4/1/23 - Episode Page - 55m - PDF Transcript
Da 19 giugno 1987 alla fine del 1990, una banda composta da 3, 4, 5 persone, il numero
allora non era chiaro, ha fatto oltre 40 rapine, 80 rapine, tra le province di Bologna,
Rimini, Forlice, Sena, Pesaro. Le azioni criminali nel complesso sono state 52.
I banditi hanno usato repliche civili di armi da guerra, a volte modificate, hanno ucciso
12 persone, anche senza motivo, alcune per rubare, altre per terrorizzare, altre ancora per razzismo.
Indagano procure diverse, i fatti non vengono messi in relazione. Si parla di due bande distinte,
quella della cosiddetta regata fantasma, perché era una fiat regata grigia all'autosata per
compiere molte delle rapine a caselle autostradali e la banda delle cop specializzata nelle rapine
ai supermercati. Invece è una banda sola, sono sempre loro. Ciò che dovrebbe endure qualche
sospetto è che dagli ambienti criminali dai consueti informatori non arriva nessuna soffiata.
Tra i delinquenti abituali, piccoli e grandi, nessuno sa niente. È strano, anomalo. Sui luoghi
delle rapine e degli omicidi si sono viste spesso auto Fiat 1 di colore bianco. I rapinatori le
rubano, le usano e poi le abbandonano. Scegono quel modello perché è il più diffuso in quegli anni.
La Fiat 1 fu commercializzata tra 1983 e 1995 e ne furono prodotte 9,5 milioni di esemplari.
Costava allora 14,5 milioni di lire. Sarebbe oggi circa 22.000 euro. Per questo verrà chiamata la
banda della Uno Bianca, anche se il nome più adatto, come si vedrà più avanti, sarebbe stato un altro.
Io mi chiamo Stefano Nazzi, faccio il giornalista da tanti anni e nel corso della mia carriera mi sono
occupato di tante storie come questa, quelle che nel tempo vi sono diventate familiari e altre
che potreste non avere mai sentito nominare. Storia di Cronaca, di Cronaca Nera, di Cronaca
Giudiziaria. Il podcast che state ascoltando sentitola Indagini ed è prodotto dal post.
Vi racconterò ogni mese, una volta al mese, una di queste storie. Tentando dimostrare non
tanto il fatto di Cronaca in sé, il delitto in sé, ben sì tutto quello che è successo dopo,
il modo in cui si è cercato di ricostruire la verità. Le Indagini Giudiziarie e i processi
con le loro iniziative, le loro intuizioni e loro errori. Il modo in cui le Indagini
hanno influenziato la reazione dei media e della società. E il modo in cui media e la società
hanno influenziato le Indagini.
Il 4 gennaio 1991 per la banda inizia una nuova fase. Bologna, quartiere Pilastro,
a nord-est della città, poco prima delle 22. Il Pilastro è un quartiere nato negli anni 50,
nei periodi della forte migrazione da sud. È quello che i giornali definiscono un quartiere
difficile. Quella sera c'è molta nebbia. Come le altre sere, nel quartiere c'è un auto dei
carabinieri. I militari devono vigilare su un ex scuola, la Romagnoli, che è diventato un
rifugio per cittadini estracomunitari. Ci vivono in 300 ammassati. A settembre del 1990
qualcuno ha tirato bottiglie Molotov contro la scuola. Poi ci sono state manifestazioni anche
violente contro la presenza dei migranti. I tre carabinieri di Pattuglia sono Andrea Moneta,
21 anni, Mauro Mitilini, anche l'Udentuno, Ottello Stefanini, 22. Non si sa, nello si
sa ancora oggi, se la Pattuglia dovesse restare fissa davanti alla scuola, oppure dovesse muoversi
intorno alle edifici e controllare anche le strade circostanti. Non lo si sa, perché l'ordine di
servizio di quella sera non è mai stato trovato. Era già successo il 20 aprile 1988, quando vennero
uccisi i carabinieri Cataldo Stasi e Umberto Eriu. Anche allora l'ordine di servizio scomparve.
La sera del 4 gennaio 1991, la fiatuno blu dei carabinieri entra in via Casini e incrocia
la uno bianca, alcun interno ci sono tre uomini. La uno bianca fa inversione, in segua l'auto
dei carabinieri sparando decine di corpi. Il retro dell'auto dei carabinieri apparerà devastato.
L'autista è ferito, perde il controllo, va a sbattere contro un cassonetto. I carabinieri provano
a reagire, ma riescano a sparare in tutto tre soli colpi. I banditi della uno bianca scendono
dall'auto. Ecco il racconto di un testimone.
Avanzavano lentamente, cadenzando i passi come in una danza macabra. Hanno iniziato a sparare
quando erano a pochi passi dall'auto dei carabinieri. Facevano paura, non solo perché
avevano le armi in pugno o il volto coperto, ma perché si spostavano con perfetto sincronismo,
muovendosi lateralmente da sinistra a destra, come si vede al cinema.
Sparavano sui carabinieri e per ammortizzare i colpi del fucile facevano una strana ginnastica
che non potrò mai dimenticare. Si piegavano per un attimo sulle ginocchia, poi con disinvoltura,
e dopo aver sparato altri colpi a distanza molto ravvicinata, se ne sono andati sicuri,
con passo non veloce e sono ripartiti con la Fiat 1 bianca.
Tutti e tre carabinieri vengono uccisi. Da una bianca riparte.
Qualcuno dice che i banditi indossavano passamontagna, altri parlano solo di cappucci scuri. Tutti
concordano nel dire che uno dei banditi è stato ferito. Dovrebbe venire quasi spontaneo
collegare ciò che accade al pilastro, con altri fatti accaduti in Emilia Romagna nelle
Marche nei mesi precedenti. C'è la 1 bianca, c'è l'uso sproporzionato
delle armi. Invece no, nessuno collega i vari fili che porterebbero tutti in una
carabiniera. E' una carabiniera in ripetizione semiautomatica,
marca Beretta, modello AR70. Soprattutto quest'ultima riveste una grande importanza.
Dice lo scrittore e giornalista investigativo Fabio San Vitale.
I carabinieri in pattuglia non sembrava poter essere un reale pericolo per qualcuno o qualcosa.
Il volume di fuoco che fu utilizzato in quel caso e anche la tecnica che fu utilizzata
fu qualcosa che lasciò assolutamente interdetti perché c'era una violenza innanzitutto molto
militare. Quindi non era proprio un conflitto a fuoco spontaneo, sparo ma più o meno dove
prendo prendo. Spesso capita nelle sparatorie perché c'era tensione e questo anche da parte
delle forze di polizia. Qui c'era stato un agguato sproporzionato
di una violenza incredibile. Poi a ben guardare, ricollegando all'indietro anche tutto un'altra
serie di casi però questa violenza assolutamente fuori luogo, c'era già all'inizio sostanzialmente.
Le indagini coinvolgono alcuni pregiudicati della zona, sono i cosiddetti pilastrini,
spacciatori di droga, delinquenti piccoli e medi. I nomi sono quelli di William e Peter
Sant'Agata, Messimiliano Motta e Marco Medda. Quest'ultimo è un nome più importante degli altri.
Medda era un tempo una figliato alla nuova camorra organizzata e clan camorristico di
Raffaele Coutono. Ma perché la procura di Bologna pensa che c'entri noi pilastrini?
Perché l'auto di Medda è stata ritrovata con alcuni fori di proiettile e lui stesso è ferito.
Si è rifugiato a Paullo tra Cremi e Milano e si è fatto curare da un medico compliacente che
verrà arrestato, solo che c'è un particolare. Medda è stato ferito al piede, mentre i testimoni
dell'Aguato del Pilastro dicono che il bandito che ha sparato ai carabinieri è stato colpito
al linguine. Però c'è un testimone, anzi come dissero i giornali, una super testimone.
Si chiama Simonetta Bersani. Per 18 mesi non dice nulla. Poi dà una versione che è però
diversa da quella fornita da due amici che erano con lei e che verranno arrestate per falsa testimonianza.
Dice Simonetta Bersani. Ho visto Peter Santagata, tra lui e il finestrino dell'auto dei carabinieri,
c'erano delle fiammate. Non ricordo di aver potuto distinguere il pistole.
Questa versione, Simonetta Bersani, la ripeterà al processo. I fratelli Santagata non sono proprio
dei bravi ragazzi, ma non sembrano avere il profilo criminale di chi commette una strage del genere.
Il processo inizia il 16 novembre 1993. Viene anche presentato una perizia balistica. L'auto
dei carabinieri è stata colpita durante un inseguimento e non dà marcia a piede.
I pilastreni sembrano comunque avviati all'Ergastono. Nel gennaio 1995 però vengono
scarcerati. Il processo termina. Ci sono stati altra arresti e le persone arrestate hanno confessato.
Ma Santagata e Medda erano lì oppure no quella sera. Ecco cosa dice Giampiero Moscato.
Che loro fossero lì è certo che alla fine nel processo al quale furono sottoposti che
era avviato a un Ergastolo praticamente certo. Era istruito molto bene quel processo. Vennero
fuori talmente tanti elementi di loro controvi loro che sembrava un processo destinato appunto
a un condannato certo. Era il fatto che loro erano lì e le prove erano forti perché avevano incontro
i fratelli Santagata. Ma la vita del pilastro erano dediti alle attività di spazio soprattutto di
droga. Avevano un appuntamento quella sera con un camorrista Marco Medda che era venuto lì
con la sua macchina una fa 164 che è talmente evidente che lui fosse lì che l'auto fu colpita.
Soprattutto c'era la ragazza di uno dei due fratelli Santagata, Simonetta Bersani che
il testimonio fu una forte testimona d'accusa perché raccontò che erano lì, via Casini,
i paraggi del luogo del triplice omicidio e fu costretta da lontanersi, c'era la nebbia,
quella sera una fitta nebbia e raccontò di aver visto, allontanendosi, di aver sentito gli
spardi, di aver visto dei bagliori davanti alle mani di Peter Santagata, uno dei due fratelli.
Era vaga però, era anche molto precise ne dire, io ho visto il foco vicino alle persone con cui ero,
quindi siccome erano lì non per fare due chiacchere ma per fare un'attività criminale probabilmente
lei pensò che in qualche modo fossero coinvolti. Non è mai stato tutto chiaro il motivo di questa
testimonianza molto dura e che c'è questo scambio, il processo tra Santagata e Simonetta Bersani
che dice, ma perché ne fai questo? E lei dice perché tu eri lì?
Certo è che su ciò che avvenne la sera del 4 gennaio 1991 le quartiere Pilastro esistono ancora
cose non chiare e inquietanti. L'avvocato Gamberini è convinto che tre carabinieri
dovessero svolgere vigilanza fissa davanti all'ex scuola Romagnoli perché allora si
allontanarono e andarono in via Casini. Come si vedrà? Loro vengono uccisi in via Casini che è una
via del quartiere che è lontana dalla scuola Romagnoli. La scuola Romagnoli da via Casini non
la si vede né pure. Ora è molto strano che dei carabinieri come dire che stanno facendo
un servizio di vigilanza fissa si spostino senza aver avuto un ordine di questo tipo perché se
nel frattempo qualcuno avesse per qualche motivo fatto un gesto vantalico nei convoli del portone
ovviamente questo loro aver disobbedito alla consegna li sarebbe costata con l'ordine e la
vigilanza fissa. In Grie si trovano in via Casini perché sono in via Casini? A questo non lo si
sa. L'unica cosa che si sa che come avvenuto rispetto anche ai carabinieri Stasi e Riu morti
due anni prima cioè l'aprile 88 a Castel Maggiore quello che scompaiono sono gli ordini di
servizio anche qui scompare l'ordine di servizio dei carabinieri scomparono è scomparso quello
di Stasi e Riu dell'88 che scompaiono qui. Nel caso di Stasi e Riu il fondamento della guatto è
dovuta ai tessimoni questi due carabinieri stavano a un passaggio a livello in coda ad altre macchine
improvvisamente queste macchine vedono, permettono come dire attaccano il lampeggiante e la sirena
fanno in versione rapidissima e cominciano a grande velocità ad andare in un certo luogo
è evidente che qualcuno in questo luogo li ha chiamati. Quelli sono anche gli anni della cosiddetta
falange armata è il nome di un'organizzazione che comparve la prima volta nel 1990 rivendicando
l'omicidio di Umberto Mormile un educatore del carcere di opera a Milano ucciso l'11 aprile
1990 la falange armata rivendicò l'omicidio il 27 ottobre 1990 quindi sei mesi dopo con
un comunicato in cui tra l'altro era scritto il terrorismo non è morto vi faremo sapere poi
chi siamo una rivendicazione strana la falange armata rivendicò decine di azioni criminali anche
le stragi di capaci e di via d'amelio rivendicò anche l'omicidio dei tre carabinieri al pilastro
per molti falange armata era una sigla di comodo usata per depistare o per rivendicare azioni
che non sarebbero state rivendicate da nessuno per qualcuno addirittura si trattava di una
persona sola un mitomane ma torniamo indietro al 14 gennaio 1991 il dirigente della squadra
mobile di bologna giovanni preziosa chiede che venga fatto un accertamento su quanti
sia nei fucili Beretta AR 70 e in Emilia Romagna sono 31 rispondono dagli uffici amministrativi
bene vanno controllati nell'elenco dei 31 possessori dei fucili d'assalto r 70 c'è un
nome che in quest'ora bologna conoscono roberto savi è la prima volta che compare questo nome
compare e poi scompare subito roberto savi è un poliziotto nelle note accanto al suo nome è
scritto appena collega risulta che abbia acquistato due ar 70 tomatricola m 47 0 40 e m 46 7 4 6
sono stati comprati il 3 gennaio 1989 il 27 dicembre 1990 roberto savi poliziotto consegna
il proprio fucile per la verifica ne dà uno solo però nessuno li chiede conto dell'altro dice
giampiero moscato l'analisi di questi fucili fu affidate in via amministrativa le forze dell'ordine
ma non fu fatta su scelta della procure della repubblica che non voleva indagare tutti i
possessori di ar 70 non voleva fare come si dice col mosto di Firenze che a un certo punto la
volcure di Firenze indagò tutti gli ulti a 60 anni fiorentini perché potenzialmente potevano
essere della provincia toscana che potevano essere potenzialmente il mosto di Firenze non
volle indagare tutti ma alla fine ognuno si fece le proprie naggi carabinieri dei carabinieri
finanziari quelle della finanza la polizia quella della polizia e roberto savi portò effettivamente
una era 70 ma mischiò i due era 70 c'è un montocane spolette diverse ne feziono una terza arma che
assolutamente era iriconoscibile alle paristi balistiche quindi diciamo che una possibilità lui
riuscì a scongelare la bene anche perché sapeva ovviamente muoversi nei meccanismi investigativi
il 2 febbraio 1991 un dirigente del commissariato di Rimine oreste capo casa mi risposto a una
richiesta che arriva dalla criminal poll scrive si comunica che dagli accertamenti esperiti è
emerso che presso l'armeria di Rimini nel periodo 1988 1991 sono state vendute le seguenti armi
nell'elenco c'è una carabina sig manoring calibro 222 remington vendute il 18 gennaio 1989 a
fabbio savi fabbio savi e fratello di roberto per la prima volta compare i nomi di fabbio savi
compare e poi scompare dice l'avvocato gamberini beh io penso che la banda poteva essere fermata
molto prima e a un certo punto loro presero questo aerosettante era un fucile d'assalto di tipo
militare l'ho preso nella versione civile ma che sparava raffica piccoli proiettri con effetti
devastanti peraltro quando attingevano il corpo umano ed erano tutti segnalati questi rifle questi
questi fusili d'assalto venduti e lui roberto savi che seppe in anticipo ovviamente che c'erano
indagine per scoprire chi erano i possessori dei dei rifle di questi fusili degli aerosettanta ne
acquistò un altro per poterlo immediatamente consegnare ecco tutte cose che però appartengono
anche queste alla possibilità di essere scoperte in maniera eclatanti è il momento di conoscerli
i fratelli savi roberto il primo genito è nato nel 1954 ed è in polizia dal 1976 è esposato a
un figlio ma se ne è andato di casa nel 1991 vive assasso marconi in provincia di bologna con una
ragazza di origine nigeriana di 21 anni capo pattuglia lavora nelle strade di bologna e taciturne
riservato lo chiamano il monaco è considerato autorevole e affidabilissimo fallezionale recrute
però è stato segnalato in passato per alcuni episodi una volta tirato un violento pugno in
pancia a un ladro d'auto e un'altra volta arasati capelli a zero a un tossico dipendente fabbiosavi
nato nel 1960 avrebbe voluto entrare in polizia ma non viene preso lo scartano per un difetto
alla vista apre un'officina la devi chiudere per via di alcune fatture mai pagate poi fai
il camionista esposate a un figlio nel 1992 si separerà durante un viaggio a butapest ha conosciuto
una ragazza eva micula che lo ha seguito in italia poi c'è un terzo fratello alberto savie il più
piccolo dei tre è nato nel 1965 fa il poliziotto anche lui a rimini i due fratelli più grandi
lo considerano poco sveglio anzi di lui dicono apertamente è un coglione i tre fratelli
sadi condividono una passione vanno regolarmente i poligoni di tiro è una passione che gli ha
trasmesso il padre juliano che si vanta molto dell'abilità dei figli dice certo che sparano
da dio gli ha l'onsenato io fabbio e roberto hanno poi simpatie di estrema destra roberto da
ragazzo anche militato nel fronte della gioventù l'organizzazione giovanile dell'allora movimento
social italiano il 20 aprile 1991 i banditi entrano al distributore agib a burgo panigale
arrivano chiedono al titolare claudio bonfiglioli di dar loro i soldi lui fa resistenza gli sparano
lo ammazzano poi sparano anche al suo cane un pastore tedesco e lo uccidono il 2 maggio alle
945 un uomo entra in un'armeria di via voltorno a bologna un cliente che sta uscendo lo sente
chiederà la titolare e lì cianzaloni di vedere una pistola bereta 98 fs un altro luomo è rimasto
fuori dall'ingresso poco dopo in armeria arriva anche pietro capolungo carabinieri in pensione
che da una mano alla titolare circa mezz'ora dopo arriva un cliente abituale trova la
sarra cinesca quasi del tutto abbassata aspetta un po poi la alza gli cianzaloni è morta per
un colpo di pistola alla tempia pietro capolungo è stato ucciso con due colpi di proiettine alla
gola e allo stomaco a sparare è stata la pistola che l'uomo dentro il negozio aveva chiesto di
vedere aveva con sé un caricatore di proiettini c'è una scena un frammento d'immagine che racconta
molto della vicenda della uno bianca e un filmato girato fuori dall'armeria di via voltorno circa
un'ora dopo gli omicidi la scena del crimine è delimitata dal nastro bianco e rosso ci sono
alcuni poliziotti che stanno tenendo lontani curiosi uno di loro lo si vede distintamente
e roberto savi lo si scoprirà soltanto tre anni più tardi ma quel giorno roberto savi è
entrato nell'armeria d'assassino e rapinatore ha ucciso e è andato in quest'ora si è vestito
da poliziotto ed è tornato sulla scena del crimine questa volta indivisa
dal 5 maggio al 25 giugno i banditi assaltano 11 distributori di benzina e 19 giugno la uno
bianca si presenta un distributore ipi di cesena il titolare graziano mirri sta per chiudere il
distributore e in compagnia della moglie dalla uno bianca scende un uomo con il passamontagna
li punta contro una pistola e li dice dammi soldi mirri risponde ma cos'è uno scherzo il bandito
gli spara contro nove colpi di pistola e lo uccide la uno bianca va via senza che sia stato rubato
nulla dal 5 luglio a nove agosto rapinano quattro uffici postali a san lorenzo di riccione usano
l'esplosivo per accedere all'area dove si trova il denaro la porta però non si apre urlano al
direttore a nielo di martino apri la porta lui da dentro risponde non posso non ci riesco i banditi
se ne vanno una settimana dopo a nielo di martino è nauto a marciano di romagna con il figlio una
uno bianca e fianca da dentro sparano rimangono entrambi feriti il 18 agosto sulla statale
adriatica dalle parti di cesenatico la uno bianca incrocia una fiatuno azzurra targata
como a bordo ci sono tre ragazzi senegalesi lavorano nell'ecchese sono in romagna per
qualche giorno di vacanza la uno bianca fianco la una azzurra poi gli spari ma licken di ai e
babbo in cieca muoiono subito dia ma dia è ferito gravemente pochi minuti dopo la uno bianca rischia
di scontrarsi con una fiat ritmo con a bordo tre ragazzi che stanno tornando dalla discoteca
i ragazzi scendono dall'auto e urlano contro gli occupanti della uno bianca che si sta allontanando
poi risalgono in auto e se ne vanno dopo 30 secondi e ragazza la guida vede la uno bianca che
sta arrivando velocissima alle spalle iniziano gli spari e ragazza la guida celera a scappa va
più forte che può dopo poco la uno bianca rallenta e scompare sparano e uccidono con continuità
dice la professoressa isabella merzagora specializzata in criminologia clinica che alla
base di questo comportamento c'è una perversione qui forse c'entra qualcosa una perversione diciamo
pure del potere anche quello scampolo di potere che potevano avere questi soggetti e potrebbe
centrare potrebbero centrare quelle dinamiche di gruppo che peraltro la criminologia ha studiato
fin dagli albore dai tempi del positivismo quindi un raffotuzzarsi avvicenda e dopo di che ripeto io
non solo non ho visto gli atti dei processi ma non ho neanche visto le persone però dopo di che
il virgolette divertimento forse l'orgoglio sempre tutto virgolettato di fare il male si esiste
pensi pensi anche solo ai serial killer più una dimostrazione come dico di un potere a tattone
e così una quasi male quasi ludico nel 1992 le rapine sono 5 il 10 agosto sparano due colpi
eduardo merendi casiere di banche lo feriscono gravemente morirà quattro anni dopo per le
ferite di quel giorno intanto si continua in dagare ma come dicono l'investigatori i banditi
sembrano sempre un passo avanti dopo gli omicidi dell'alarmeria in viavolturno grazie ad alcune
testimonianze è stato realizzato un identikit viene appeso anche in quest'ora a bologna davanti
a quelli identikit passano in molti ogni giorno guardarlo adesso fa impressione lo potete vedere
sul post nell'articolo dedicato a questa puntata di indagini quelli identikit sembra una fotografia
la fotografia di roberto savi eppure nessuno ci fece il caso o più probabilmente qualcuno lo
fece ma non disse nulla dice fabbio san vitale sì io sono convinto che non ci siano stati
secondi terzi o quarti livelli nella vicenda della uno bianca perché il racconto di chi ha
fatto l'indagine da baglione costanza al pubblico ministero paci è il racconto di gente che è
rimasta estere fatta i fronte poi alla realtà i chi erano veramente irresponsabili di quelle
azioni criminali eppure c'era stato un precedente non fu la prima volta che in italia abbiamo visto
le poliziotti mettersi dall'altra parte così totalmente perché mi sembra tra le finiti anni
70 l'inizio dell'anno 80 non mi vorrei ricordare male ma a roma c'è stata una cosiddetta banda
dell'arancia meccanica cosiddetta per via delle aggressioni fatte in casa ci sono andati di mezzo
anche personaggi famosi dello spettacolo che sono stati rapinati con una violenza anche
propositata e il capo era agostino panetta col inzeristato di roma tornano a uccidere nel 1993
il 24 febbraio una morte assurda senza colpa alcuna stamane alla periferia di bologna in una
strada di campagna è stato ammazzato a sangue freddo con cinque colpi di pistola un giovane di
21 anni massimiliano valenti davanti a casa appena sceso dal furgone col quale di notte aveva
distribuiti giornali se trovato di fronte due banditi che subito dopo l'apertura avevano
rapinato 200 milioni all'agenzia del creditoro maniolo poche decine di metri più in là i banditi
che tolti si passa montagna stavano solendo su un'auto pulita non hanno avuto esitazioni il
giovane stato sequestrato armi alla mano condotti in una zona abbastanza isolata assassinato e
scaraventato in un fosso avevano già ucciso con ferocia ma forse questa volta lo fanno con
maggiore crudeltà racconterà un testimone che era la finestra che fecero entrare i ragazzi in
auto abbassandogli la testa proprio come fanni poliziotti poi l'uomo seduto al posto di guida
fice con il dito il gesto dell'elicottero che si alza in volo come dire lo spediamo in cielo
ma similiano valenti fu ucciso con colpi sparati dall'alto in basso lo avevano fatto in ginocchiale
dice ancora fabbio san vitale risulta francamente per tante persone incredibile quel livello di
violenza però la verità che queste erano persone totalmente prive di senso morale per
esercitare una violenza che era fortemente familiare nella famiglia sale familiare dei
figli per bisogno di soldi hanno fatto questo ma erano voglio dire erano cattivi dentro erano
proprio violenti dentro loro il 7 ottobre un nuovo tentativo di rapina e un nuovo morto
alla sede di reale vicino a bologna della cassa di risparmia di vignola nella banca
entra il lungo e armato di fucile calashnico minaccio un'impiegata a oretta prata ordinando
le di aprire la porta blindata che è d'accesso agli uffici lei si divinco la scappa il rapinatore
esce fu ribondo sale in auto ma dice al complice al volante di passare lentamente davanti alla
banca il lungo spara con il calashnico e ferisce
il calashnico e ferishe tutti presenti un cliente carlo poli muore
il poliziotti che erano presenti il 3 ottobre 1987 al chilometro 104 dell'acquattordici durante l'asparatoria
due poliziotti balione il collega pietro costanza chiedono il permesso di continuare a indagare balione e costanza non hanno molto su cui lavorare c'è il frammento di un video di una banca si vede un uomo con grandi occhiali scuri una parrocca anche saschura e il lungo tutto qui non c'è altro le attività della banda proseguano
Il 24 maggio 1994, poco dopo le 8 del mattino, i rapinatori sono in auto davanti alla figliale
di Villa San Martino della cassa di risparmio di Pesaro, nella periferia della città.
Quando arriva il direttore della figliale, i banditi scendono dall'auto e ordinano all'uomo
Baldo Paci di aprire le porte dell'Istituto. Quando lui si rifiuta, li sparano e lo uccidono.
È l'ultimo umicidio dei banditi della Uno Bianca.
Balione e Costanza concentrano la loro attività proprio nella sorveglianza delle banche. Sono
convinti che, nei giorni precedenti alle rapine, i banditi facciano sopra luoghi, decidono di fare
come loro, presentarsi di fronte alle banche la mattina, prima dell'apertura o il pomeriggio,
al momento della chiusura. Hanno selezionato una serie di banche che potrebbero essere obiettivi.
Sono 85, non possono controllarle tutte, ne scelgono 7. Sono quelle vicini all'autostrade o alle
statali e dove non ci sono guardie giurate. La mattina del 3 novembre 1994, Balione e Costanza
incrociano una fiat tipo bianca nella zona di Santa Giustina, a Rimini. L'auto va piano,
c'è un uomo solo all'interno, la targa è molto sporca di fango, non è leggibile. Vedono poi
l'autore allentare davanti alla banca, iniziano a seguirla, entrano nel paese di Torriana in
provincia di Rimini, lasciano l'auto e si muovono a piedi. Vedono l'uomo della fiat tipo bianca
entrare in una casa. Balione e Costanza vanno alla Nagrafe, chiedono a un impiegato chi abiti a
quell'indirizzo. L'impiegato risponde, ci abita un certo Savi Fabio. Il nome non dice nulla.
L'impiegato mostra ai poliziotti una licenza di pesca su cui c'è la foto. Costanza tira fuori
frammento di video che portava sempre con sé, lo mette vicino alla foto che li sta mostrando
l'impiegato della Nagrafe. Costanza dice solo, cazzo. Costanza e Balioni tornano in procura,
dicono a Paci, abbiamo trovato il lungo, il resto succede in fretta. Risulta che Fabio Savi
possiede a numerose armi e che suo fratello Roberto, anche lui possessore di armi, abiti a
Bologna. Costanza e Balioni non sanno però che Roberto savi a un poliziotto. Vanno a Bologna per
fare un accertamento all'ufficio amministrativo della questura, e lì che sono schedate le armi
regolarmente registrate. La poliziotta all'ufficio amministrativo della questura di Bologna apre
il fascicolo del proprietario di quelle armi. Guarda la foto e dice, ma questo è uguale
all'identikit che ha peso al piano di sopra. Un poliziotto che sta scrivendo a macchina si
alza dalla sua scrivania, va al tavolo della donna, vede la foto e ride. Dice, ma guarda che
questo è un collega, sta lavorando alla centrale operativa. Disse Luciano Baglioni,
intervistato da RAI2. Gli Pietro siamo rimasti veramente di marmo, si si è gelato il sangue,
ha capito la ragazza probabilmente che avevamo scoperto qualcosa di importante ed è stata
zitta, per fortuna veramente è stata grande. Abbiamo detto loro, guardate, se mi dite che è
un collega ci siamo probabilmente sbagliati, noi siamo indagando su un traffico di armi,
lasciamo perdere, siamo sbagliati. Abbiamo chiuso il fascicolo, non abbiamo preso nulla,
anzi devo dire che abbiamo ritirato anche la richiesta che avevamo fatto per vederlo,
perché non lasciamo traccio, portiamo via tutto. Siamo scappati dalla questura di Bologna perché
scoprire che all'interno, perché noi eravamo sicuri che questi soggetti appartengono alla
bandone bianca a scoprire che c'era un po' di siotti in servizio e ci ha fatto paura. I telefoni
dei Savi vengono messi immediatamente sotto controllo. Il 20 novembre, grazie a un'intercettazione
telefonica, gli investigatori capiscono che il giorno dopo i Savi tenteranno una rapina a Ravenna.
Fabio e Roberto Savi escono alle 4 del mattino del 21 novembre dalle rispettive abitazioni.
Fabio si accorge di essere seguito, per essere il 4 del mattino ci sono troppe
macchine dietro di lui, eravamo in troppi, disse poi Costanza. Fabio Savi avverte fratello
tramite RadioCB, quello che normalmente veniva chiamato BaracchinoCB, una rice trasmittente
mobile. Roberto Savi dice a fratello, come verrà ricostruito dopo, tu vattene,
io alle 19 prendo servizio, se tutto a posto ti chiamo i tu torni, altrimenti capisci.
Quella sera Roberto Savi ha restato mentre si trova nella sala operativa della Questora di Bologna,
e in piede, al centro della sala, quando si accorge di avere 5 colleghi intorno.
Li dicono, Roberto devi venire con noi. Lui risponde, avrei potuto farvi saltare tutti in
area. Viene portato nel carcere militare di peschiera del Garda.
La Questora di Bologna è ancora scossa, dalla notizia dell'arresto di Roberto Savi,
l'agente inservita alla Centrale Operativa ha ritenuto uno dei killer della 1 Bianca.
Lo stesso Savi, inoltre, appena catturato, avrebbe ammesso di aver sparato e ucciso,
e che avrebbe potuto farlo anche con gli agenti che era qualche tempo lo stavano pedinato.
Il fratello del Poliziotto, Fabio Savi, considerato il secondo killer, è ancora latitante.
In circolazione ce ne dovrebbe essere sicuramente un terzo, come riferirono a suo tempo alcuni testimoni.
A casa di Fabio Savi vengono trovate numerose armi, anche le due pistole erubate dopo gli
omicidi nell'armeria di Via Voltorno a Bologna. Fabio Savi viene arrestato il 24 novembre,
mentre insieme a Eva Mikula, tracercando di scappare in Austria. La donna racconterà
poi tutto della banda della 1 Bianca. Della notte del pilastro disse, e queste sono le
sue esatte parole, secondo i verbali di Polizia dell'Interrogatorio, espressione razzista
compresa. Fabio mi disse che quella notte andavano a negri, incontrarono invece la patulia dei
carabinieri, ma lui disse che andava bene lo stesso. Raccontarono tutto anche gli stessi
fratelli Savi. Così Fabio Savi parlò all'inquarente della notte del pilastro. Quella sera eravamo
sulla 1 Robata, io con il mio sig, Roberto con la sua AR70 e Alberto con la sua 357 alla
guida dell'auto. Abbiamo visto la 1 dei carabinieri e abbiamo iniziato a seguirla. Roberto ha
cominciato a sparare dal finestrino dalla parte anteriore destra. I carabinieri hanno
risposto al fuoco. A un certo punto la nostra macchina si è poi fermata in via casini. Non
so spiegare il motivo per il quale la nostra macchina si è fermata. Ho iniziato a sparare
anch'io uscendo fuori, parzialmente all'auto. La macchina dei carabinieri continua ad andare
e la mia impressione è che stessa lo fuggendo. A un certo punto l'auto dei carabinieri si
fermò, andando a sbattere contro un cassonetto. In quel momento ripartinmo e ci andamo a
fermare a 20 metri dalla macchina dei carabinieri. Noi siamo scesi dalla macchina sotto i colpi
d'arma da fuoco. Logicamente non potevamo risalire in macchina e andarci nei sotto i
colpi d'arma da fuoco. Se noi risaliamo in macchina, loro ci sparano addosso. Era iniziato
un discorso e andava chiuso. O noi o loro. Fabio e Roberto Savi erano i capi. Participarono
a tutte le azioni, ma non erano soli. Alberto Savi, il terzo fratello, viene arrestato qualche
giorno dopo. Faceva parte anche lui della banda. Ne faceva parte anche Pietro Gugliotta,
poliziotto in servizia alla questura di Bologna. Marino Chipinti era vice-sovrintendente della
sezione narcotici della squadra mobile a Bologna. Participò all'assalto al furgone
blindato alla Coppa di Casalecchio di Reino del febbraio 1988, quando una guardia giurata
venne uccisa. Luca Vallicelli, agente scelto della polizia stradale a Cesena, partecipò
solo alla prima rapina, copri le altre. Disse Daniele Paci, il capo del pool.
Secondo me un insegnamento riguarda prima di tutto gli investigatori. Credo che noi
abbiamo individuati i criminali perché siamo partiti da un presupposto giusto, non avere
alcun preconcetto. Nella nostra ricostruzione, per come si muovevano, ritenevamo che dovessero
essere degli incensurati. Questo perché non veniva dalla criminalità a nessuna imbeccata,
non c'era nessuna soffiata. Quindi noi capimmo che doveva essere un corpo estraneo
alla criminalità comune e alla criminalità organizzata. Partendo da questo presupposto,
abbiamo scartato tante possibilità di investigazione sul mondo della criminalità. E questo non
ha reso il lavoro più facile, però ci ha consentito di guardare le cose con una mente
sgombra. Questo è un insegnamento che io poi ho seguito nei trent'anni successivi
della mia attività professionale. Per quanto riguarda le forze di polizia, l'insegnamento
da trarre è quello di porre una maggiore attenzione ai comportamenti e agli stili di vita anomali
dei propri adderenti per prevenire possibili fenomeni di corruzione o mala vita. Infatti
i componenti della banda dimostravano un certo benessere e quindi una maggiore attenzione
ai comportamenti che queste persone avevano e anche ai modi attraverso i quali ottenevano
i soldi avrebbe permesso di scoprirli prima.
La chiamano la banda della uno bianca era la banda dei poliziotti. Quando venne chiesto
a Fabio Savi se avessero avuto coperture da qualcuno, se dietro di loro ci fosse qualcuno,
due sprezzante rispose, dietro la uno bianca c'erano solo la Targa e i fanalini posteriori.
Eppure molti credono che ci sia ancora tanto da scoprire, che se non altro ci siano state
coperture. Dice la scrittrice Antonella Beccaria.
Allora sicuramente ci sono state delle gravissime svisse, perché al nome di Alberto Savi, per
cui del più giovane dei fratelli Savi, si arrivò più di tre anni prima che ci fossero
gli arresti e si collegò il cognome Savi a un poligono di tiro clandestino in cui appartientemente
le forze dell'ordine andavano a sparare. Questo nome poi viene dimenticato, ufficialmente
viene dimenticato. Se poi ci sia una svista in capacità investigative o del dolo, queste
le indagini non ce lo dicono. L'avvocato Gamberini sta per presentare
un esposto firmato dal fratello di Mauro Mitilini, uno dei carabinieri ucciso al pilastro.
L'esposto sarà probabilmente firmato anche da altri parenti delle vittime.
Punta a evidenziare come la vicenda d'Uno Bianca si scriva a pieno titolo nella strategia
dell'attenzione. Quindi non solo la strategia di un gruppo terroristico, lo era già all'epoca
in maniera lineare, come dire, era evidente a me che ero l'avvocato dei familiari delle
vittime, era evidente al punto che io presentai una memoria nella quale evidenziando il fatto
che la giurisprudenza consentiva di disgiungere la finalità di terrorismo da quella di eversione,
pur non capendo all'epoca se c'erano elementi di eversione, ma sicuramente c'era una finalità
terroristica, emergeva, ma ha tutte le azioni che hanno fatto, che sono alcune fatte a
questo scopo esclusivo, che il loro scopo era creare panico, creare terrore in questa
regione, in questa città, quindi fare degli atti che avevano questa finalità. La finalità
di terrorismo non è mai stata contestata, questo è un altro degli elementi inquietanti
di questa vicenda, perché il PM che prese in mano nel 1994 la vicenda, quando ci fu
la scoperta della banda, non intese farlo e è uno dei tanti elementi che fa capire
come si sia voluto stendere rapidamente un velo di silenzio sui possibili approfondimenti.
Chi svolse le indagini, cioè Daniele Paci, ha detto, tenderei a escludere l'esistenza
di coperture per ragioni logiche, ovviamente la certezza nessuno può averla, però per
quella che è stata la nostra esperienza, non appena abbiamo avuto degli elementi che portassero
a individuare questi soggetti, c'è stata, dentro la Polizia di Stato, che è la forza
di polizia con cui sono stati individuati, una gara a chi svolgeva maggiori indagini
per svelare questi retroscena. Secondo l'avvocato Gamberini, nella vicenda della Uno Bianca
ci sono state coperture importanti e un ruolo fondamentale l'avrebbero avuto anche i servizi
segreti. Anche la conclusione della storia presenterebbe aspetti da chiarire. C'è
chi pensa che sia stata una soffiata in realtà, a segnalare la presenza di Fabio Savi, la
mattina del 3 novembre 1994, a Rimini. Che ci siano molti punti che non sono stati
chiariti a un dato di fatto. I dipistaggi ci sono stati. L'identi kit perfettamente identico
al volto di Roberto Savi era appesa in quest'ora. Possibile che a nessuno sia mai venuto
un dubbio. E perché l'indicazione di controllare tutte le armi non è stata seguita così come
avrebbe dovuto essere? E poi ci sono i punti oscuri sul reale obiettivo del Brigadiere
Macauda, che mise il bossolo nell'auto degli assiasini dei suoi due colleghi uccisi a
Castel Maggiore. E quanto persone sono state sospettate anche arrestate come i membri
della banda, mentre quelli vere continuavano a fare rapine e a uccidere. Dice Giampiera
Moscato. Quello è ovviamente il punto che rimane più oscuro di tutta la ricetta, perché
c'è un Brigadiere che in corso d'opera inquina le indagini sulle domicili di due colleghi.
Questa indagina è probabilmente quella che è stata meno chiarificatrice, che meritano
un approfondimento. Io sugli approfondimenti ovviamente sono sempre favorevole. Quello
che temo è che come in altri vicendi italiani questa tendenza vuole comunque vedere il complotto,
anche la dove forse sia stata fatta chiarezza. Poi sono roba che poi illudere delle persone
che hanno avuto danni da queste dicende sono stati danni irreparabili e immensi. Forse
è un ulteriore danno che si fa loro a far di credere che non tutto è stato scoperto.
Secondo me la confessione dei Savi e la ricostazione fatta dalle procure dei rimini di Bologna
sono molto molto ben fatte, molto bene riuscite e come disse Fabio Savi dietro la banda del
Lono Bianca c'era Veluzzi e la Targa. Giuliano Savi, il padre dei tre fratelli, si è suicidato
nel 1998 dentro un A1 Bianca. Luca Vallicelli ha scontato tre anni e otto mesi di carcere.
Marino Chipinti, condannato all'Ergastolo, è uscito dal carcere nel 2018. Il suo
pentimento è stato giudicato sincero. Pietro Gugliotta viene condannato a 18 anni di carcere
e libero dal 2008. Alberto Savi sta scontando l'Ergastolo. Ultimamente ha beneficiato
di alcuni permessi. Roberto e Fabio Savi scontano l'Ergastolo nel carcere di bollate. Non
si parlano più da tempo e entrambi a lungo hanno rifiutato il cibo del carcere come
se avessero paura di essere avvelenati. Fabio Savi non ha mai chiesto di poter usufruire
disconti di pena. Roberto Savi ha chiesto tre volte senza successo
la Grazia, il provvedimento di cremenza che può essere adottato solo da Presidente della
Repubblica dopo il parere del Procuratore Generale della Corte d'Appello. Roberto Savi
si è sposato con una donna landese detenuta a Monza, conosciuta via Lettana. Ha presentato
richiesta di scarcerazione sempre a respinte. Recentemente ha chiesto di fare deposizioni
spontanea ai pubblici ministeri. Ha messo di essere stato l'autore, prima delle azioni
della Uno Bianca, di alcuni attentati dinamitardi nell'ambito della sua attività dimilitante
di estrema destra. L'avvocato Gamberini ha detto, perché Savi
decide di parlare ora? Viene il dubbio che lo faccia per mandare segnale a chi dì dovere
perché potrebbe raccontare di più per far capire che sa più cose.
Noi continuiamo a pensare che dietro quella banda ci fossero complicità istituzionali.
La banda dei poliziotti della Uno Bianca ha compiuto più di 80 tra rapine e tentaterapine.
22 banche, 19 caselli autostradali, 20 distributori di benzina, 15 supermercati,
9 uffici postali, una tabaccheria o un'armeria. Ha tentato un'essorsione.
Dei 23 umicidi, 11 non sono stati compiuti per rubare denaro. Sono stati uccisi 5 carabinieri,
un carabiniera in congedo, tre pensionati, due cittadini nomadi, due operai di origine
Senegalese, due guardie giurate, due benzinae, un poliziotto, un commerciante, un artigiano,
un dirigente d'azienda, un fattorino, un elettrauto, un direttore di banca. Si chiamavano
Antonio Mosca, Giampiero Piccello, Carlo Beccari, Umberto Errio, Cataldo Stasi,
Adolfino Alessandri, Primo Zecchi, Patrizia della Santina, Rodolfo Bellina, Luigi Pasqui,
Pari De Pedini, Mauro Mitileni, Andrea Monetta, Otello Stefanini, Claudio Bonfiglioli, Lice
Ansaloni, Pietro Capolungo, Graziano Mier, Babbon Cecca, Malik Ndiay, Massimiliano Valenti,
Carlo Poli, Ubaldo Paci. A titolo di Risarcimento, lo Stato italiano
avversato nel 1998 una somma complessiva di 19 miliardi di lire ai parenti delle vittime.
Pari a circa 13 milioni di euro di oggi. Con la storia della Uno Bianca finiscerà
prima stagione di Indagini. La seconda stagione comincerà il 7 maggio con una nuova storia,
di cui ci sarà un anteprime 6 maggio, per chi parteciperà a Voices, una giornata dedicata
ai podcast del post, che stiamo organizzando a Torino, alle OGR, le officine, grandi riparazioni.
Troverete le informazioni e la possibilità di prenotare a partire da 4 aprile, sul sito del post.
Da giugno, Indagini tornerà a uscire primo di ogni mese, come è stato fin qui.
Ascolta dal 4 aprile, Le Onorate, Donne Dentro e contro l'Andrangheta, un podcast del post di
Stefano Nazzi e Anna Sergi, realizzato in collaborazione con Disney+, in occasione
dell'uscita della serie The Good Mothers.
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Iniziò tutto lungo l’autostrada A14, la notte del 19 giugno 1987. Una Fiat Regata si fermò al casello di Pesaro. Scesero due rapinatori e puntando i fucili a pompa contro l’addetto al casello si fecero consegnare 1 milione e trecentomila lire, circa 1.500 euro di oggi. A quella prima rapina ne seguirono molte altre, lungo l’autostrada A14. Poi i banditi passarono agli uffici postali, ai supermercati Coop e quindi alla banche. Rapinarono in Emilia-Romagna e nelle Marche. Qualche mese dopo iniziarono a uccidere: in sette anni quella banda uccise più di 20 persone, ne ferì più di 100, compì almeno 103 azioni criminali.
Uccisero per denaro ma anche senza nessun motivo. Uccisero persone inermi che avevano osato mettersi sulla loro strada, e uccisero per razzismo.
Quel gruppo di criminali è diventato famoso come la banda della Uno Bianca.
Le indagini furono ostacolate da depistaggi, sviste, noncuranze, incomprensioni. Ma anche dal fatto che nessuno poteva immaginare chi fossero davvero quei criminali. Li arrestarono nel novembre del 1994. Cinque di loro erano poliziotti in servizio in Emilia-Romagna.
In molti pensano ancora oggi che non tutto sia stato scoperto. Che i banditi della Uno Bianca abbiano goduto di coperture e che i servizi segreti dell’epoca abbiano avuto un ruolo nella vicenda.
Dopo una sanguinosa rapina in un’armeria di Bologna, in questura venne appeso l’identikit di uno degli assassini. Quell’identikit era identico al volto di Roberto Savi, uno dei poliziotti che tre anni dopo venne arrestato. Nessuno notò quella somiglianza. O forse nessuno volle notarla.
Indagini è un podcast del Post scritto e raccontato da Stefano Nazzi.