Indagini: Colle San Marco, 18 aprile 2011 - Seconda Parte

Il Post Il Post 7/1/23 - Episode Page - 48m - PDF Transcript

Le informazioni sul rapporto tra Salvador e Parolisi e la sua ex a lieva escono dagli

uffici della procura o da quelli della Polizia Giudiziaria e arrivano ai giornali.

Inviati della stampa e delle televisioni si mettono alla caccia della ragazza.

È un brutto modo di dire alla caccia, non andrebbe utilizzato, ma in questo caso rende

bene l'idea di ciò che succede.

È come se parallelamente all'indagine per omicidio si aprisse un'altra inchiesta per

tradimenti e relazioni extracogniugali, come se il fatto di essere stata con una

persona sposata facesse intuire gravi colpevolezze.

La ragazza viene accusata di essere totalmente indifferente alle sorti di melania rea.

Se anche fosse vero, se anche fosse così, non è orreato.

Ancora una volta piani diversi si sovrappongono, andacquando tutto, in un racconto mezzo

nero e mezzorosa, in cui il peccato è areato, sembrano confondersi.

E poi c'è la caserma, basta guardare i titoli di allora, la caserma lucirosse, la caserma

d'essesso, i segreti della caserma, festa e essesso in caserma.

Sui giornali si raccontano storie di incontri tra lieve e istruttori, che avverrebbero in

un albergo della zona.

Il fatto è che quello su cui la procura militare apre un'indagine non può essere rappresentato

solo come una sorta di commedia sexy all'italiana.

In quella caserma ci sono state soprafazioni e ci sono stati abusi.

Alcune ex reclute hanno denunciato di essere state minacciate o ricattate.

Graduati avrebbero detto se vuoi sapere la tua destinazione devi offrire te stessa,

a me e ad altri istruttori, oppure se vuoi la licenza devi pagare, sai tu come.

La procura militare ipotizzò il reato previsto dall'articolo 146 del Codice Penale Militare

di Pace, e cioè il superiore che minaccia l'inferiore per costringerlo a fare un atto

contrario ai propri doveri, ovvero a compiere o a domettere un atto inerrente al proprio

ufficio o servizio, è punito con la reclusione militare da sei mesi a cinque anni.

Nell'ambito dell'inchiesta sui presunti abusi all'interno della caserma Clementi, ben

indagato anche lo stesso salvatore Parolisi, che poi fu prosciolto.

Ma questo è appunto un'indagine parallela, un'altra indagine, torniamo a quella per

l'omicidio di Milania Rea.

L'inquirente di Ascoli hanno convocato la ragazza con cui il salvatore Parolisi ha

avuto un rapporto dal molto tempo.

Le racconta, difende Parolisi, dice che sicuramente non può essere un assassino, e un buggiardo

dice.

Mi ha mentito in continuazione, ma escludo, che possa essere un assassino.

Ne scrive però una situazione molto diversa da quella di cui invece ha parlato l'uomo.

Secondo la ragazza, Parolisi aveva deciso di separarsi dalla moglie.

Lei stava aspettando da tempo che lui parlasse a Milania, che le dicesse la verità.

Lui, così riferisce macro, riferisceразzierebbe a la ragazza, li assicurava che sarebbe successo

in troppo, li aveva detto che avrebbero trascorso insieme la giornata di Pasqua e domenica 24 aprile.

C'è la domenica sucessiva a lunedì, in cui avvenuto il delitto.

Quell giorno, lei li avrebbe presentato i suoi genitori che erano informati di tutto.

Addiritura il padre della ragazza aveva prenotato per loro una stanza in un albergo di Amalfi, l'Excelsior.

Pascua, pranzo di Pasqua, era già organizzato, tutta la famiglia, Parolisi compresa.

Al inquirante lui dirà che si, era tutto vero, ma che in realtà lui non era piuttanto coinvolto,

che stava solo procrastinando, non avrebbe mai lasciato la moglie disse.

Spiego anche all'inquirenti che Melania era molto dura, mentre la sua ex al lieva era più dolce e comprensiva.

Parolisi, il giorno di Pasqua, avrebbe dovuto essere in due luoghi,

a Soma Vesuviana, con la famiglia della moglie, ed Amalfi, con la famiglia della ragazza, con cui stava da tempo.

Chi conduceva le indagini, iniziò a ipotizzare che il Movente fosse proprio quello,

il tentativo di districarsi in una situazione in cui Parolisi si sentiva costretto, da cui non sapeva come uscire.

Il fatto però è che poi l'unico elemento che conto in un'indagine è che mancavano totalmente le prove.

Quella era solo un'ipotesi, un'idea, una suggestione, senza però che nessun elemento concreto la supportasse.

Io mi chiamo Stefano Nazzi, faccio il giornalista da tanti anni, e nel corso della mia carriera mi sono occupato di tante storie come questa,

quelle che nel tempo vi sono diventate familiari, e altre che potreste non aver mai sentito nominare.

Storie di cronaca, di cronacanera, di cronaca giudiziale.

Il podcast, che state ascoltando, si intitora Indagini ed è prodotto dal post.

Vi racconterò ogni mese, una volta al mese, una di queste storie,

tentando di mostrare non tanto il fatto di cronaca in sé, il delitto in sé, bensì tutto quello che è successo dopo,

il modo in cui si è cercato di ricostruire la verità, le indagini giudiziarie e i processi, con le loro iniziative, le loro intuzioni e i loro errori,

il modo in cui le indagini hanno influenzato la reazione dei media e della società,

e il modo in cui media e la società hanno influenzato le indagini.

Salvatore Parolisi viene sentito nuovamente. Non è ancora un indagato.

Viene sentito come partelesa, ma le domande sono sempre più mirate, più aggressive.

Li chiedono ancora di raccontare del rapporto con la moglie, e poi con l'ex aglieva.

Lui dice che a Melania voleva bene e non l'avrebbe mai lasciata, e la ragazza li domanda.

Alla fine si sarebbe stancata, tiravo avanti, tra uno scusa e un'altra.

Al termine di un interrogatorio li sequestrano le scarpe.

Ma come, ribatte Parolisi?

Siete venuti due volte a casa sequestra i vestiti, vi ho chiesto dovete prendere anche le scarpe e voi avete detto di no.

E ora me le chiedete?

Sì, rispondono i carabinieri.

Secondo Antonio dell'Itala, di cui sulla vicenda è stata pubblicata postumo lo strano caso di Melania Rea,

quel giorno Parolisi uscì dalla caserma senza scarpe.

La strategia delle inquirenze è abbastanza chiara.

Sono convinti che Parolisi continua a mentire e sperano che si contraddica e commette errori.

Ma esistono tecniche durante un colloquio o durante un interrogatorio per capire se una persona sta mentendo?

Ecco cosa dice Monica Chiovini, criminologa, psicologa penitenziaria,

docente alla scuola di Polizia Penitenziaria e all'Accademia di Scienze Forensi.

Allora, come tecniche diciamo che dobbiamo ricondurci soprattutto la capacità di osservazione?

Dobbiamo allenare proprio l'osservazione, diciamo, dell'esperto forense che cerca di capire

se la persona davanti a lui li sta mentendo, se lo sta manipolando.

Osservazione soprattutto del linguaggio del corpo, che è il segnale non verbale fondamentale.

Quindi si può fare un'analisi della comunicazione verbale di quello che la persona ci dice,

però assolutamente osservare la sua comunicazione non verbale sul linguaggio del corpo.

Nello specifico ci sono dei segnali sia verbali, ma soprattutto, come dicevo, non verbali che ci indicano che la persona sta mentendo.

Non è vero, per esempio, secondo gli esperti, che chi mente tenda a essere molto agitato, frenetico,

a muoversi molto, a gesticolare in continuazione. In realtà non è così.

Chi mente è spesso molto statico, immobile, cerca di mantenere un autocontrollo su tutto quello che il suo corpo potrebbe comunicare.

Dice ancora Chiovini.

Ci può ingannare facilmente con invulto, con l'espressione facciale, per esempio continuando a sorridere,

che è un sorriso di compiacimento, è un sorriso falso, cosiddetto sorriso sociale, cioè per compiacere l'altra persona.

Poi tende a spostare lo sguardo, a spostare gli occhi verso destra, verso sinistra, non attiene lo sguardo sull'interlocutore.

Poi, dal collo in giù, vediamo proprio un corpo fermo, immobile.

Lui è molto rigido, trattiene le emozioni di ansia di paura che, in realtà, approva il suo interno.

In questa rigidità del corpo si possono cogliere, attraverso un'osservazione attenta, delle microespressioni.

Sono proprio dei piccolissimi segnali. A volte non sono visibili all'occhio nudo,

quindi occorre magari la videoregistrazione, che si fa durante un interrogatorio in quest'ora o in tribunale,

e poi andare a prendere la videoregistrazione e rianalizzarla rallentatore.

E li si cogliono delle microespressioni, che sono magari dei piccolissimi espostamenti del ginocchio,

movimento del piede, della caviglia, della mano, del braccio, che ci fanno capire che il saggetto sta tenendo una rigidità.

Però a un certo punto non ce la fa più, deve scaricare il suo stato di paura e di ansia,

e quindi ecco che subentra la microespressione, che lui non può controllare.

Dal punto di vista di quella che viene definita comunicazione verbale,

la persona che mente tende, sempre secondo gli esperti, a pronunciare molte negazioni,

a usare spesso le parole niente, nulla, non so.

Le ricerche indicano che il racconto di chi mente carente di descrizioni, sensazioni personali,

chi mente a difficoltà descrivere ciò che ha provato, le sensazioni che ha vissuto, ancora chi ovvini.

Quindi c'è proprio una tecnica, c'è una strategia che rientra nell'ambito dell'interrogatorio

ed è la ricostruzione del contesto fisico ed emotivo avvenuto nel momento criminoso,

per cui si chiede il soggetto di descrivere quello che ha vissuto, dove era il contesto,

e quello che ha sentito, che ha pensato, che ha provato.

Allora, il menzogniero cerca di inserire magari dei particolari per far risultare credibile il suo racconto,

però dall'esterno l'esperto dovrebbe proprio cogliere una carenza, cioè sono particolari comunque la punosi.

Poi ci sono molti silenzi, esitazioni, balbti, perché la persona deve pensare a cosa inserire.

Siccome sta inventando, sta costruendo un qualcosa che non è reale, prende tempo per rispondere.

Come il tono della voce e il tono della voce si alza, il menzogniero tende a innalzare il tono della voce.

Questo nel tentativo di prevaricare sull'altro.

Siccome non riesce a convincerlo, allora viene fuori un aspetto un po' autoritario, aggressivo della sua personalità

e cerca di prevaricare sull'altro.

Che poi si riesca a ingannare chi conduce l'interrogatorio, è un altro discorso.

C'è una tecnica che può essere utilizzata durante l'interrogatori, è una strategia,

cioè chi interroga, quindi l'autorità giudiziaria, potrebbe chiedere al spettato l'interrogato di ricostruire

tutto quello che ha detto e che quindi lui avrebbe vissuto, però non più dall'inizio alla fine.

Ma magari dalla fine all'inizio, a ritroso, oppure da un punto intermedio del racconto fino ad un altro punto,

ad un'altra fase, perché in questo modo si va proprio a verificare se lui possa aver mentito.

Cioè, se è sincero non cade, riesce a rimanere di nuovo coerente.

Se prima è stato menzogniero, adesso potrebbe avere difficoltà a ricordare le cose che ha detto, a dirle coerentemente.

In Procura, intanto arrivano anche se in tempi diversi, le risposte ad alcuni coesiti tecnici posti

all'anatomo patologo Adriano Tagliabracci e al medico legale Sabrina Canestrini.

I due consulenti, innanzitutto, confermano che la morte di Melania Rea è avvenuta il 18 aprile

e che il corpo è rimasto all'aperto fino al ritrovamento.

È stata assassinata, sempre secondo la perizia, entro due ore da suo ultimo pasto.

Dati tempi di assorbimento della caffeina, secondo i periti, la donna è morta un'ora dopo aver bevuto un caffè,

cioè presumibilmente a fine pasto.

Quindi l'ora del decesso, incrociando i dati con le dichiarazioni di vicini di casa che hanno visto uscire parolisi,

Rea e la figlia, quell'une di dall'abitazione di Follignano, dovrebbe essere tra le 14.30 e le 15.30.

In base alla mancanza di segni di trascinamento e alla quantità di sangue trovato sul posto,

i periti affermano che Melania Rea è morta, dove è stata ritrovata.

Le ferite sono 32.

La maggior parte è profonda ed è nella zona cervicale, al tronco e agli arti superiori.

Altre sono più superficiali, di solo taglio, soprattutto le braccia.

C'è poi un particolare, duro da riferire e duro da ascoltare,

ma va riportato perché sarà importante nella ricostruzione del delitto fatta dai giudici.

Le ferite sul collo sono probabili tentativi di sgozzamento,

cioè la rescissione delle vie respiratorie e di quelle sanguigne.

Le ferite alle mani ai polsi sono da difesa.

Melania Rea ha cercato di fermare i colpi.

L'arma del delitto è un coltello, mono tagliente, lungo almeno 8 centimetri.

È stato impugnato con la mano destra.

La morte di Melania Rea è avvenuta in un tempo che varia tra i 10 e i 30 minuti.

Successivamente, a distanza di ore, forse di uno o due giorni,

sono stati incise con un'altra arma, una X sull'addome.

Una svastica sulla coscia sinistra e una grata sulla coscia destra.

Si tratta di uno staging.

Il linguaggio criminologico, cioè di una messa in scena di un depistaggio.

E vedremo dopo il perché di quella svastica.

C'è poi un'altra lesione.

È una contusione sul capo.

Compatibile scrivono i periti, con un colpo ricevuto da parte di un corpo contundente

privo di grossolani e reglievi.

Ad esempio, un pugno.

L'unica traccia biologica trovata sul corpo è il DNA del marito, Salvatore Parolisi.

Repertata sulla regione labiale e sulla arcata dentaria inferiore di Melania Rea.

I giornali parleranno molto di questo particolare.

Si parlerà di un bacio appassionato o della mano opposta sulla bocca per non farla gridare.

Si parlerà anche di altro.

Nessuno studio può stabilire, però da quanto tempo quel DNA si trovasse lì.

È impossibile da sapere.

Vengono poi analizzati alcuni oggetti trovati sulla scena del crimine.

Su un accendino bicchi ci sono tracce sia di Melania Rea sia di Salvatore Parolisi e questo è normale.

Sul telefonino ci sono tracce della figlia Vittoria e di un altro bambino.

Altre tracce sono rimaste sconosciute.

Sul laccio emostatico trovato vicino al corpo, sulla syringa piantata sul seno e su alcune salviettine,

ci sono tracce appartenenti a sconosciuti.

Poco lontano dal luogo del ritrovamento del corpo viene trovato un anello con una pietra bianca.

Era di Melania, anche su questo la stampa formulerale sui ipotesi.

Qualcuno dirà che lei l'ha scagliato lontane in un gesto di rabbia.

La madre della donna sosterrà che Melania era dimagrita molto ultimamente e che l'anello le scappava spesso dal dito.

I periti riportano che i pantaloni collano e gli slip abbassati,

ma non strappati e il trucco al volto completamente in ordine,

ci indicano che i pantaloni sono stati volontariamente abbassati e che la vittima era in condizioni di tranquillità,

non si sentiva minacciata, né cercava di sfuggire a qualcuno che aveva identificato come impossibile aggressore.

I pantaloni abbassati potrebbero indicare che Melania rea se li era abbassati per esigenze fisiologiche,

come testimonia, anche l'assenza di urine della vescica.

Secondi periti, Melania rea sarebbe stata aggredita alle spalle, mentre cercava di allontanarsi,

seppur con difficoltà, a causa dei pantaloni abbassati,

ma comunque spostando il bersaglio in modo tale che l'aggressore non riuscisse a produrre ferite più incisive.

A un certo punto, dopo aver percorso un tragitto di pochi metri, scrivono i periti,

la vittima è stata gettata a terra, poi non vi è più stata di fatto alcuna resistenza

e in questa fase, verosimilmente, l'aggressore ha ripetutamente colpito la regione pettorale sinistra

in corrispondenza dello sterno.

I periti hanno anche analizzato i vestiti sequestrati a Parolisi. Non è emerso nulla.

Tutte queste informazioni vengono riportate dalla stampa. La fuga di notizia è costante e sistematica.

Ecco cosa ricorda, la cronista Alessandra Gavazzi.

Le trasmissioni televisive e giornali, ma soprattutto la TV, intervisteranno tutti.

La famiglia di Melania, la famiglia di Parolisi, amici conoscenti, tutti verranno messi sotto la lente della televisione,

intervistati, soprattutto Parolisi, e Parolisi entrerà in varie contraddizioni.

A un certo punto la procura di Ascoli acquisirà queste interviste mettendole agli atti,

perché da queste interviste si evinceranno più elementi e più contraddizioni rispetto a quanto riescono a raccogliere effettivamente gli inquirenti.

Intanto le cose sono cambiate. La famiglia Rea ha preso le distanze da Parolisi.

Tra poco inizieranno ad accusarlo apertamente.

La Micora Fele Paciola dice, intervistato,

Salvatore Mica me raccontava la sua vita, delle sue storie non sapevo nulla.

Ecco cosa disse in una intervista qui riportata, la Mica di Melania Rea, Sonia Viviani.

Mi ricordo la telefonata di una Mica, Stefania, che mi dice, Sonia, Melania non si trova.

Da quel momento non so quante volte ho chiamato il telefonino di Melania,

l'essa va già morendo e era già morta.

Abbiamo iniziato a dubbitare di Salvatore quando sono uscite le prime notizie.

Da quel momento per forza le nostre opinioni sono cambiate.

Noi abbiamo avuto un abbaglio su di lui.

Salvatore in quei giorni è diventato di ghiaccio.

Io anche dopo non volevo pensare a lui come la persona che aveva ucciso Melania,

però le sue bugie erano tante, troppe, nei nostri confronti, che è il meno,

ma soprattutto nei confronti dei genitori di Melania.

Se sei innocente non hai paura di niente e la verità la devi dire subito.

E lui invece ha detto moltissime bugie.

Il 3 giugno del 2011 accade qualcosa.

Salvatore Parolisi ha andato a Follignano a ritirare alcuni ingetti e vestiti.

Mette tutto in auto e riparte.

Ferma la macchina vicino al campo sportivo di Villa Pigna.

Scende, fa qualche passo, sicchina e raccoglie qualcosa da terra,

solo che ormai Parolisi non può fare nulla senza che qualcuno lo controlli e lo segua con lo sguardo.

In seguito alle notizie apparse sui giornali, ormai lettori e telespettatori lo considerano di fatto colpevole, il colpevole.

Un uomo lo vede e avverte i carabinieri, dice che Parolisi ha raccolto una busta di plastica da terra,

una giornalista chiese poi, che cosa era accolto al campo sportivo?

Una margherita pensava a Melania, rispose lui.

I giornali scrissero che probabilmente Parolisi aveva invece raccolto il telefonino che usava per parlare con la ragazza, la sua ex allieva,

e chi aveva nascosto dopo la morte della moglie.

Gli inquirenti non diedero importanza al fatto.

Di quel telefonino sapevano già tutto.

I tabulati delle telefonate e i messaggi erano già stati scaricati ed erano agli atti.

Ma ancora una volta il fatto che Salvatore Parolisi abbia mentito sulle sue relazioni non significa certo che sia un assassino.

Le due cose non coincidono ovviamente.

Disse l'avvocato Walter Biscotti, che con Nicodemo Gentile assunse la difesa dell'uomo.

Ha combinato questo guaio di non dire da subito l'esistenza di questa relazione.

Cosa che ne ha compromesso l'immagine di fronte all'opinione pubblica, che da quel momento in poi lo ha distrutto.

Da qui a tradire la moglie ad ucciderla ce ne corre.

Disse invece l'avvocato della famiglia Rea, Mauro Johnny.

Non è una cosa strana avere un amante e non è nemmeno un comportamento processualmente censurabile e non è la prova dell'omicidio.

Ci mancherebbe, ma il nasconderlo diventa un elemento importante.

Negarlo agli inquirenti è un elemento importante.

Il 21 giugno 2011, Salvatore Parolisi viene scritto nel registro degli indagati.

Da parte l'ESA diventa sospettato di aver ucciso la moglie Melania Rea il 18 aprile 2011.

Il 19 luglio viene messa nei suoi confronti, un ordinanza di custodia cautelare.

Da quattro giorni, i giornali scrivevano che il pubblico ministero aveva chesso l'arresto.

Gli avvocati dell'uomo chiesero al ministero della giustizia di accertare la responsabilità della fuga di notizie.

Furono sentiti due giornalisti che avevano dato la notizia, ma che, come loro dovere e diritto, non rivelarono la fonte.

L'ordinanza di custodia cautelare fu firmata dal giudice per le indagini preliminari, Carlo Calvarese,

per i pericolo di possibili atti autolesionistici, che Parolisi aveva più volte minacciato,

e per i pericolo di inquinamento delle prove.

Genaro Rea, padre di Melania, partece poi in quei giorni a programma all'estate indiretta, Surayuno,

disse, per me, lui e l'uomo nero.

Gli ho dato mia figlia su un piatto d'argento e lui non ha saputo proteggerla.

Non riesco a guardarlo negli occhi.

La madre di Melania, chi l'ha visto, disse, devi dire tutta la verità.

Fallo per i beni di tua figlia, quello che sai me lo devi dire.

Non si può vivere con questo peso sul cuore.

I genitori di Melania Rea chiesero che vittoria la bambina venisse loro affidano.

L'accusa, per Parolisi, è di omicidio aggravato dal vinculo di parentela e di villipendio di cadavere.

Per l'avvocato biscotti non c'è una sola prova contro il suo assistito.

Sfido chiunque a leggere la montagna di carte e a trovare non una prova,

ma un indizio della presenza di Parolisi sul luogo del delito.

Secondo il Pubblico Ministero che ha chiesto l'arresto,

Salvatore Parolisi, Melania Rea e la figlia Vittoria al 18 aprile non sono stati a Colle San Marco.

Le due telefonate di Sonia Viviani, alle 14.53 e alle 14.56 e due SMS, di cui l'ultima alle 15.04,

non sono stati smistati dalla cella di Colle San Marco, come avrebbero dovuto essere, secondo il racconto di Parolisi,

ma dalla cella di Castel di Lama, che copre la zona di Ribello,

ma c'è un'obiezione, secondo la difesa. C'è un punto a Colle San Marco, vicino al monumento ai caduti partigiani,

in cui le telefonate agganciano la cella 451, quella che serve a Ribello,

e il monumento è proprio il punto verso cui si è indirizzato il cane dell'unità cinofina, all'inizio delle ricerche.

C'è un altro punto a Colle San Marco,

c'è un altro dato, il 20 aprile, alle 7.39 il telefono di Melania Rea è tornato a funzionare per 15 secondi,

secondo l'inquirenti qualcuno l'ha acceso per controllare i messaggi ricevuti quel giorno dalla vittima,

e poi lo ha di nuovo spento.

La cosa sostiene poi che nessuno, a parte il titolare del chiosco di Colle San Marco e signor Ranelli,

ha visto il 18 aprile la famiglia in quel luogo. La sua testimonianza viene però messa in dubbio.

L'inquirenti sostengono che il titolare del chiosco sia stato suggestionato dai mezzi di informazione e si sia confuso.

Ha visto sì la famiglia Parolese dice l'accusa, ma 8 giorni prima.

Per la difesa ovviamente, il titolare del chiosco è invece attendibile.

Ci sono poi per l'accusa le foto scattate dallo studente, però quelle foto sono solo su Facebook,

quelle sul telefonino con cui rano state scattate sono state cancellate.

Per questo secondo la difesa non c'è nessuna certezza reale sull'orario in cui vennero scattate quelle immagini.

Ancora, è vero che il cane di Sant'Uberto ha seguito le tracce di Melania Rea fino al monumento dei partigiani a Colle San Marco,

ma quelle tracce secondo l'accusa risalgono a 8 giorni prima, per la difesa invece sono le tracce del 18 aprile.

La morte, dice l'accusa, è avvenuta tra le 14.20 e la 14.45.

Entro due ore dall'assunzione del pasto ed entro un'ora dall'assunzione del caffè.

Per la difesa invece non esiste certezza sull'ora del decesso.

La forbice sarebbe di tre ore perché il calcolo dell'ora della morte in base al contenuto gastrico sarebbe soggetta e errori.

Ancora, per l'accusa Salvatore Parolisi ha baciato Melania Rea prima di ucciderla,

oppure le ha messo una mano sulla bocca perché non gridasse.

Per la difesa Parolisi ha baciato la moglie prima che lei sia lontanassa e sparisse.

L'accusa poi sostiene che tra le 11.30 e le 12.30 del 19 aprile c'è un buco nei movimenti di Salvatore Parolisi.

In quell'ora sarebbe tornato a ripedice Vitella per metter in atto il depistaggio.

La difesa ribatte che quel giorno dalle 11.21 alle 11.46 ha telefonato alla sua ex Alieva.

Il telefono ha agganciato la cella di Folignano.

Dalle 12 alle 12.30 sarebbe poi rimasto in caserma e su questo c'è la testimonianza di un commilitore.

Il Movente

L'accusa ne indica sostanzialmente due.

Primo, la forte pressione esercitata dalla ragazza che li chiedeva di decidersi a lasciare la moglie.

Secondo, alcuni segreti inconfessabili, non meglio precisati, che la moglie avrebbe conosciuto legati alla caserma Clemente.

La difesa ribatte, la pressione esercitata dalla ragazza in realtà non scalfiva Parolisi che continuava a rinviare qualsiasi decisioni.

Secondo, i segreti inconfessabili non erano necessariamente notizie di eccessiva gravità.

C'è poi un punto su cui gli inquirenti si concentrano.

Salvatore Parolisi non varie i pedici Vitella quando viene ritrovato il corpo della moglie.

Chiede l'amico Raffaele Paciolla di andare lui quando viene interrogato nei giorni successivi,

però Parolisi parlando indica esattamente il luogo del ritrovamento del corpo.

Li chiedono, ma tu come lo sai, lui risponde che ha visto le fotografie scatate da Paciolla,

ma Paciolla, interrogato in procura, nega di aver scatato fotografie.

La difesa sosterrà che Parolisi aveva visto le foto su un giornale e si era poi confuso,

ricordando di averla invece viste sul telefono di Paciolla,

quello su cui punta l'accuso e punterà anche nei processi,

e la condizione emotiva di Parolisi, che si sentiva stretto in una situazione che non riusciva più a tenere sotto controllo.

Dice la psicologa Antonella Pomilla.

Le persone che si trovano in una condizione di questo tipo sono fortemente imprevedibili e alt allenanti nella loro costituzione psichica,

nel senso che apparentemente tengono una condotta, un atteggiamento anche interpersonale, sociale,

perfettamente controllato e socialmente aderente, come si suol dire, insomma alla convivenza civile,

salvo poi trovarsi in delle situazioni di forte scossa e di forte turbamento emotivo,

condizione appunto psichica emotiva, che li porta a degli agiti che sono appunti improvvisi e impreventivabili.

La condotta di Parolisi viene associata a questo, ad un turbamento emotivo molto forte,

in una vita che apparentemente stava sotto il suo controllo, in un controllo che sicuramente aveva delle caratteristiche

autoreferenziali narcisistiche molto forti, che quindi avevano una facciata,

ma che si discostavano insomma poi da quello che era effettivamente il suo stato emotivo,

e che lo porta a questo agito, insomma, improvviso e forte e ferato, insomma, 35 coltellate, sono tante obiettivamente.

La Procura di Teramo, nel gennaio 2012, chiede il giudizio immediato per Salvatore Parolisi.

Il giudizio immediato è disciplinato dall'articolo 453 del codice di procedura penale.

Viene richiesto dal Pubblico Ministero, dice l'articolo del codice, quando la prova pare evidente.

Il group di Teramo, giudice per l'udienza per eliminare, accoglie la richiesta del Pubblico Ministero.

A quel punto i difensori di Parolisi fanno richiesta, come il loro diritto, di giudizia breviato.

Di giudizia breviato si parla nell'articolo 438 del codice di procedura penale.

L'imputato chiede di rinunciare alla fase del dibattimento.

In pratica il processo si svolge sulla base degli elementi raccolti dalla accusa e di quelli presentati dalla difesa in fase di indagine.

Tutto si svolge a porte chiuse.

In cambio della rinuncia al dibattimento, l'imputato tiene uno sconto di pena, considero regole, in caso di condanna.

Il giudizia breviato venne introdotto nel codice nel 1980, lo scopera quello di accelerare i tempi della giustizia.

Nel 2019 è stata apportata una modifica importante.

Al giudizia breviato non può accedere chi è imputato di un reato che può comportare il ergastro.

Allora, quando fu processato Parolisi, questa modifica non esisteva ancora.

Si crede comunemente che chiedere al rito a breviato equivaga in sostanza dichiararsi colpevoli, cercando così uno sconto per una pena giudicata inevitabile.

Non è così, o almeno non è sempre così. Lo spiega l'avvocata che ha la penna.

La premessa è che è una scelta tecnico difensiva.

Qualsiasi valutazione che viene fatta, cioè scelgo il rito a breviato perché so di essere responsabile, quindi ottengo uno sconto.

Non è ammissibile perché la scelta del rito a breviato può essere anche formulata proprio perché sono certo di non essere responsabile,

accetto di essere giudicato sulla base dello stato degli atti e quindi di non sottopormi anche ad una gogna processuale,

quindi ad un'udienza pubblica che richiede diverso tempo, diversi accertamenti.

E quindi voglio essere giudicato sulla base degli atti raccolti dal pubblico ministero o anche di quelli che ho prodotto io prima dell'udienza.

Pertanto ribadisca una scelta tecnico difensiva.

In questo caso all'epoca era possibile chiedere in giudizio a breviato anche per questi reati e quindi si è scelto di procedere in tal modo.

Restano prima del processo e in verità resteranno anche dopo. Alcune domande.

Melania Rea è stata il 18 aprile a Colle San Marco.

L'accusa sbinuisce le due indicazioni supportate dalla difesa, cioè la testimonianza del titolare del chiosco e la pista seguita dal cane.

Melania Rea il 18 aprile aveva sentito la madre alle 13.30 prima di uscire di casa.

La madre disse che sua figlia era assolutamente tranquilla, quindi, presumibilmente, fino a quel momento non c'era stato alcun litigio.

Ma se non c'è stato litigio, ribate chi sostiene l'innocenza di Parolisi, allora si sarebbe trattato di un delitto premeditato.

E allora perché Parolisi aveva con sé solo un coltellino e non un coltello se aveva già deciso di uccidere?

Su Salvatore Parolisi ci sono indizi convergenti e vero, ma non sembrano esserci prove.

Il 26 ottobre 2012, il giudici per l'udienza preliminare, Marina Tomollini, emette la sentenza nel procedimento corrito abbreviato.

Salvatore Parolisi viene condannato all'Ergastro. Nella motivazione della sentenza viene prima ricostruita la dinamica secondo il racconto di Parolisi, poi il Goop scrive.

Evidentemente, la dinamica è stata ben altra.

Secondo quanto ricostruito nelle motivazioni della sentenza di primo grado, Melania Rea, Salvatore Parolisi e la figlia Vittoria, quel giorno andarono a Cole San Marco,

ma poi la donna chiese al marito di andare al chiosco della pineta di Errite di Civitella, perché voleva conoscere i luoghi dove il marito faceva le esercitazioni.

Lungo il tragitto arrivarono le due telefonate di Sonia Viviani, ma Melania Rea aveva silenziato la sonneria per non svegliare la figlia che dormiva.

Una volta a Ripe di Civitella, Salvatore Parolisi aveva indossato pantaloni militari a giacca di Goretex, che aveva nel bagagliaio e preso il coltellino.

Voleva cercare un ramo da tagliare per fare un albero della cuccagna da portare alla sua cena.

Intanto Melania Rea, sempre secondo la ricostruzione della giudice, si sarebbe arreccata dietro al chiosco per una banale esigenza fisiologica.

Vedendola a sé minuda, Parolisi si sarebbe citato e avrebbe tentato un approccio.

Sarebbe stato respinto duramente da una moglie.

Ecco poi come proseguono le motivazioni della sentenza.

Melania Rea, sia per il problema allernia, sia per le condizioni, la bimba in auto che forse dormiva e la possibilità che qualcuno sopraggiungesse,

ha rifiutato e in tale contesto deve aver rivolto rimproveri pesanti al cognuge, che, a quel punto, ha reagito all'ennesima umigliazione sferrandio i primi colpi.

La vittima ha tentato di allontanarsi, perdendo il cellulare che aveva vero similmente nella tasca della giacca, ma con la difficoltà di avere ancora i pantaloni abbassati.

Si è portata verso un albero in prossimità del camminamento posto sul lato est.

A quel punto deve essere caduta in ginocchio e con le braccia di varicate si è appoggiata alle tavole forse subendo altri colpi al collo in tale frangente.

Il Parolisi ha recuperato in fretta tutto quello che avrebbe potuto incastrarlo, soprattutto gli abiti che indossava sopra i suoi, gli scarponcini, il coltello e i guanti, e, conoscendo il luogo, li ha nascosti.

Ha fatto quindi squillare il cellulare della moglie alle ore 15-26 e, dopo essersi accertato di dove fosse, se ne è andato con lo scopo di tornare a Colle San Marco e inventare la storia della scomparsa improvvisa di Melania.

Lungo il tragitto ha effettuato altre telefonate alla moglie perché è utili all'alibi che stava elaborando e ha raggiunto il bar SEGA alle ore 14-45 circa,

o vi ha iniziato a recitare la propria, necessariamente frettolosa, versione dell'accaduto, fatta di un misto tra il reale e l'inventato,

non riuscendo tuttavia ad isimulare l'enorme tensione in cui versava.

Dopo l'omencidio, Parolisi si sarebbe tolto i vestiti che indossava, cambiato gli scarponcini, avrebbe fatto sparire tutto ciò che poteva incriminarlo.

Tornando verso Colle San Marco, secondo la giudice, avrebbe fatto altre telefonate alla moglie per crearsi un alibi.

La mattina dei 20 aprile poi riuscì a tornare a ripedicci vitella, ripulì la zona ed eliminò a ciò che lo comprometteva,

e forse tra gli oggetti c'era anche il ciuccio di vittoria.

Quindi effettuò il villipendio sul corpo della moglie incidendo anche una svastica, per indirizzare i sospetti contro il gestore del chiosco,

di note simpatia e nazi fasciste, cosparsa il luogo di oggetti che sapeva già dove andare a cercare,

perché gli aveva notati correndo da quelle parti durante le esercitazioni.

Dopo il rinvenimento del cadavere, invettò il rapporto sessuale, avuto con la moglie 15 giorni prima dietro il chiosco

per rendere plausibile il ritrovamento di eventuali tracce.

Nel capitolo denominato dosimetria della pena, la giudice spiega che le contestazioni dell'accusa,

se appure secondo una dinamica diversa hanno trovato riscontro, per cui l'imputato va ritenuto,

oltre ogni ragionevole dubbio, colpevole di quanto ha scrittoli.

La pena è la più dura possibile, considerando il giudizio abreviato che comporta uno scontro rilevante.

Ancora chiara penna.

Dunque la sentenza di primo grado di Salvatore Parolisi fu pesantissima.

A mio avviso ritengo che fu fortemente condizionata anche dalla pressione mediatica.

Scelse il giudizio abreviato e all'epoca dal 2019 non è più possibile per i reati punibili con la pena all'ergastolo.

Fondamentalmente il giudizio abreviato è chiaro che è un giudizio premiale e che comporta una diminuzione della pena fino a un terzo

e per i reati punibili con la pena all'ergastolo ha 30 anni.

Il pubblico ministero però chiese l'ergastolo con l'isolamento di urno.

Dunque in questo caso la pena può essere equivalente all'ergastolo e così si determino il giudice di primo grado.

Disse Salvatore Parolisi dopo la sentenza.

Credevo di dover essere giudicato da un giudice, non da un psicologo.

Il 30 settembre 2013 la Corte d'Appello concesse alcune attenuanti generi che riduse la pena a 30 anni di carcere.

Rimase l'aggravante del vinculo di parentela e quello già riconosciuto in primo grado della crudeltà.

Venne confermata la condanna anche per vilipendio di cadavere.

La Corte di Cassazione non confermò la sentenza e decise di rinviare il processo alla Corte d'Appello

perché rideterminasse la pena, in sostanza perché la recalcolasse in base a una considerazione.

Secondo la Corte di Cassazione infatti doveva essere esclusa l'aggravante della crudeltà

in quanto la mera reiterazione di colpi, pur consistente, non può essere ritenuta come aggravante di crudeltà.

Secondo la Corte quindi l'aggravante della crudeltà non può essere determinata da quanti colpi si danno per uccidere.

E l'omicidio di Melania Rea, disse la Corte, avvenne in termini d'occasionalità,

cioè fudolo di impeto, non essendo mai stata ipotizzata, la premeditazione.

Dice l'avvocata che ha la pena.

L'aggravante della crudeltà è un'aggravante innanzitutto comune ad effetto comune

e si sostanza nel porre una condotta che va ad agire sostanzialmente

con una particolare azione, viene definita circostanza comune per questo

perché può essere applicata a qualsiasi reato, in questo caso chiaramente all'omicidio,

che denota una azione particolarmente crudela nei confronti non solo del soggetto passivo

perché attenzione non è necessariamente da ricondurre al soggetto passivo del reato, ma anche ad altri soggetti,

ma manifesta un comportamento particolarmente riprovevole.

È diversa, infatti, dall'azione della compiere servizie nei confronti del soggetto

perché sì, sono tutte e due dei comportamenti soggettivi delle circostanze che attengono al soggetto,

però mentre nelle servizie c'è un quid pluris che è rivolto nei confronti della vittima,

per così dire in criminologia si parla, per esempio, di overkilling,

nella gravante della crudeltà c'è proprio una indole particolarmente violenta e aggressiva

che fa sì che il soggetto agente provi quasi soddisfacimento nella gire in maniera violenta

nei confronti di un soggetto che già fondamentalmente è stato attinto dalla sua condotta,

quindi sostanzialmente è importante tutto leader criminoso che segue il soggetto agente,

quindi si manifesta proprio l'ansia della gente nella pagare la propria volontà di arrecare dolore al soggetto stesso.

Quindi è una circostanza, ripeto, comune che ad effetto comune comporta un incremento della pena.

I giudici della Cassazione parlarono di dolo d'impeto, ma come si coniuga il dolo d'impeto?

Ha venuto cioè in termini di occasionalità, come venne scritto,

con ciò che parolisi anche secondo la Cassazione fece dopo, cioè vi dipendio di cadavere il depistaggio.

In parole semplici, la non premeditazione può coincidere con la lucidità di chi poi mette in atto un depistaggio?

Dice ancora l'avvocata.

Sono momenti successivi, quindi il dolo d'impeto si manifesta nel momento in cui si realizza l'azione omicidaria.

Se noi chiaramente ci sono diversi passaggi che ancora rimangono obiettivamente oscuri,

quindi al di là di quello che si può pensare, circa la criticità di alcuni momenti,

noi dobbiamo ritenere che Salvatore Parolisi è ritenuto l'unico responsabile del fatto,

con sentenze ormai definitive passate in giudicato,

per cui Parolisi è l'unico soggetto che è stato interessato dalla vicenda

e quindi si ritiene che sia stato lui successivamente a porre in essere tutte quelle azioni

che hanno poi anche gettato un po' d'ombra sull'intera situazione,

che hanno, diciamo, fatto pensare all'intervento di qualcun altro.

Per cui sono momenti che vanno separati, si può coniugare in questo modo,

perché l'azione omicidaria si è perpetrata in quel momento,

quindi in quel momento si è manifestata quell'azione successivamente,

probabilmente per cercare di ritardare le indagini, per cercare di depistare,

è intervenuto con razzionalità per porre in essere quelle condotte

che hanno fatto pensare all'intervento di qualcun altro,

di un mania che si parlava inizialmente, di un reato a sfondo sessuale.

Quando ci fu la sentenza della Cassazione,

non era ancora stata emessa una sentenza delle sezioni unite penali della Corte di Cassazione,

che nel settembre del 2016 risolse un contrasto giurisprudenziale

tra la gravante della crudeltà e il dolo d'impeto.

Le sezioni unite stabilierano che è compatibile la gravante della crudeltà

anche quando si parla di dolo d'impeto.

Fino al 2016 invece, e quindi anche quando venne giudicato Parolisi,

si riteneva incompatibile l'applicazione della gravante

quando viene riconosciuto appunto il dolo d'impeto.

Salvatore Parolisi, con la riedeterminazione della pena,

venne condannato a vent'anni di carcere.

La Corte di Cassazione scrisse che la relazione è estracognugale,

cioè la relazione con la sua ex aglieva,

non poteva essere considerato un movente in senso tipico,

ma un antecedente logico e storico,

di un profondo disagio personale che nel determinare una strettoia emotiva,

ben può aver determinato quelle particolari condizioni di aggressività

o slatentizzatesi nel momento del deletto.

Lo slatentizzare, citato dai giudici,

significa fare emergere qualcosa che è latente.

Salvatore Parolisi ha continuato a dichiararsi innocente.

In carcere ha studiato giurisprudenza.

Attualmente è detenuto a bollate in provincia di Milano.

Periodicamente ci sono state polemiche,

quando sono state pubblicate notizie,

con i presenti presunti per mesi premio di cui avrebbe soffruito.

Va ricordato che i per mesi premio

possono essere concessi dal magistrato di sorveglianza

dopo che un detenuto ha scontato almeno metà della pena.

I per mesi premio non possono superare i 45 giorni in ciascun anno di espiazione.

Possono essere concessi solo al detenuto,

che ha tenuto una buona condotta o meglio,

utilizzando il termine corretto, regolare condotta.

Nel 2017 il tribunale per i minori di Napoli

ha tolto a Salvatore Parolisi la responsabilità genitoriale,

quella che fino a qualche anno fa si chiamava potestà genitoriale,

e molto tempo fa, patria potestà,

rendendo immediatamente esecutiva la decisione.

Dall'ora è stato sospeso qualsiasi incontro,

visita, rapporto telefonico e pistolare tra la bambina e il padre.

Vittoria vive con i nonni, ha cambiato il cognome.

Si chiama Rea, non più Parolisi.

I padri potrebbero avanzare in stanza per vedere la figlia,

ma sarebbero i nonni a decidere.

Quando Vittoria Rea avrà compiuto di 18 anni,

spetterà a lei e solo a lei decidere se rivedere il padre.

Avete ascoltato la nuova storia di indagini

sull'omicidio di Milania Rea,

avvenuto a Ripe di Civitelle il 18 aprile 2011.

Trovate la prima parte tutte le altre storie di indagini

sull'app del post e su tutte le principali piattaforme di podcast.

Prima di salutarvi, vi racconto una novità che riguarda questo podcast.

Il 10 luglio, tra pochi giorni, uscirà una puntata speciale di indagini

che racconterà una grande storia un po' diversa da quelle che vi racconto ogni primo del mese.

L'appuntata speciale sarà disponibile per le persone abbonate al post,

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perché è il loro aiuto che permette al post di esserci fare indagini e fare sempre di più.

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Indagini è un podcast del post scritto e raccontato da Stefano Nez.

Chi volesse scriverci può farlo all'indirizzo Indagini,

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La prossima puntata di Indagini sarà online il 1 agosto.

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Il 10 luglio uscirà una puntata speciale di Indagini, disponibile solo sull'app del Post per le persone abbonate. Per abbonarti vai su abbonati.ilpost.it.

Il 18 aprile 2011 una donna scomparve a Colle San Marco, a venti chilometri da Ascoli Piceno. Si chiamava Melania Rea, era andata a fare una gita con il marito, Salvatore Parolisi, e la figlia Vittoria, di 18 mesi.
L’uomo disse che la moglie si era allontanata per andare in bagno e poi non era più tornata.
Due giorni dopo, il corpo della donna fu ritrovato a Ripe di Civitella, a venti chilometri dal luogo dove era scomparsa. Era stata assassinata con 35 coltellate. Sul suo corpo era stata incisa una svastica.
Vennero scoperte molte bugie e omertà e ci furono fughe di notizie che rischiarono di compromettere l’inchiesta.
Le indagini dopo alcune settimane si concentrarono sul marito che, secondo gli inquirenti, non aveva saputo gestire la propria vita, diviso tra la moglie e il rapporto con una ragazza, sua ex allieva, conosciuta in caserma. Gli inquirenti parlarono di una «strettoia emotiva». Parolisi fu arrestato a luglio, tre mesi dopo il delitto. Per gli inquirenti aveva ucciso la moglie e poi agito sulla scena del crimine per depistare le indagini.

Indagini è un podcast del Post scritto e raccontato da Stefano Nazzi.