Indagini: Bologna, 12 giugno 1983 - Prima parte

Il Post Il Post 10/1/23 - Episode Page - 44m - PDF Transcript

You are not alone anyway. Tu comunque non sei sola.

È una scritta fatta con una matita da trucco scura impressa sul vetro opaco della finestra di un bagno, in un appartamento.

La finestra è protetta all'esterno da un'inferriata.

La scritta è nel pannello di sinistra della finestra, nella metà superiore.

Quella scritta è in un inglese scorretto. C'è scritto Y-O-U-R.

E a seguire l'apostrofo, mentre l'apostrofo dovrebbe essere, dopo la parola U, e a precedere, l'elettere R-E.

Dopo la parola E-NI, ci sono tre puntini, e poi altri tre puntini, dopo U-E.

Il bagno è piccolo, stretto. Sopra l'avandino c'è uno specchio che riflette la finestra.

Quel bagno, dove c'è la scritta, è in un appartamento in via del Riccio, a Bologna, al numero 7, secondo Piano.

È una via stretta del centro, piazza maggiore a meno di dieci minuti di cammino.

An quarto d'ora, ma anche meno, c'è l'Università, l'Alma Mater, una delle più antiche università del mondo.

Ma torniamo all'appartamento, in via del Riccio. Si entra attraverso una porta in legno a una imposta.

Ci sono due serrature. La porta è chiusa solo con lo scatto, non a chiave.

Non distante dal bagno, c'è la cucina. C'è un tavolo con i ripiani in marmo.

Sopra due bicchieri, una zuccheria raperta, un pacchetto di sigarette came il quasi pieno, un posacenere con sei mozziconi.

Sul fornello, una piccola caffettiera. Nella stanza da letto c'è un materasso matrimoniale poggiato a terra.

Su un piccolo tavolo, una macchina per scrivere. Ci sono tanti libri sui ripiani, ma anche a terra.

Poi c'è l'ambiente principale. È l'ingresso soggiorno. C'è un divanetto in vimini, una poltrona,

un grande quadro sulla parete di fronte all'ingresso dove era affigurato un coltello tenuto in un pugno chiuso

che incombe su una testa umana, appena bozzata, con la bocca spalancata.

Ci sono altri quadri e disegni appesi. C'è neò un originale di Kittering.

È una caricatura anche se originale firmata da Paz. Andrei a pazienza tra i più geniali disegnatori e fumittisti che l'Italia abbia avuto negli ultimi decenni.

Poi c'è un televisore piccolo, appoggiato su un ripiano su cui ci sono anche il telecomando e una rosa rossa di plastica.

Su un tavolo c'è un portamonete vuoto, una borsa, il quotidiano La Repubblica, condata 11 giugno 1983.

Sotto il ripiano del televisore c'è il corpo di una donna.

È appoggiata sul pavimento con il fianco sinistro. A coprire la parte superiore del corpo ci sono due cuscini.

Addosso una maglietta righe bianche rosse orizzontali, un gilenero, un paio di pantaloni bianche e scarpe di vernice rossa.

Al collo ha una catenina di metallo bianco, al polso un braccialetto di cuoio e un orologio Rolex con il cinturino metallico.

È un orologio a carica automatica, si carica cioè con i movimenti del polso.

L'orologio è fermo alle 5.12 o 17.12 e sul datario c'è il giorno 14.

A descrivere quell'appartamento è la prima relazione degli agenti di polizia.

Sono i trati chiamati dai vigili del fuoco alle 18.30 del 15 giugno 1983.

Non ci sono segni di lotta, nulla sembra fuoriposto. C'è solo quel corpo, coperto da due cuscini.

La donna ha molte ferite come certifica il medico legale, da punta e da taglio,

alla testa, agli arti superiori, al torace, alle spalle, alla schiena, alla coscia destra.

La maggior parte delle ferite è concentrata nella parte destra del corpo.

Poi ci sono ferite come arraggera. L'assassino ha girato attorno al corpo.

In tutto le coltellate sono 47. Sono state date con un coltello piccolo.

Le ferite sono poco profonde, due e tre centimetri. Una sola è stata mortale, al collo.

Ci sono tracce di sangue sul televisore e sulla parete intorno all'interruttore vicino all'ingresso.

Questa è una storia in cui l'analisi della scena del crimine è stata determinante.

E sono state determinanti soprattutto le perizie, quella tossicologica, quella per determinare l'ora della morte,

quella calligrafica e una perizia sul loro logio che la vittima aveva al polso.

Sono stati determinanti tre diari che la donna uccisa aveva sul tavolo.

Diari con molte pagine che furono lette a rilette, analizzate, interpretate.

Ma questa è anche la storia di una città bologna, di movimenti artistici che nascevano e si sviluppavano in quegli anni,

anni in cui quella città era una vanguardia di creatività e di novità.

È una storia nata all'interno del dams, discipline delle arti, della musica e dello spettacolo.

Il corso di laurea della Facoltà di lettere e filosofia creata nel 1971 dal grecista Benedetto Marzullo,

Donberto Eco, dal critico cinematografico Adelio Ferrero, dal critico d'arte Renato Barilli.

Fu il primo corso di laurea del genere in Italia, il corso più nuovo e moderno nell'università più antica d'Europa.

Con la persona riversa sul fianco sinistro, la donna assassinata si chiama Francesca Alinovi, 35 anni.

È nata a Parma, vive e meglio, viveva da tempo a Bologna.

Il suo nome è conosciuto in tutta Italia e è una ricercatrice del dams, dove tiene elezioni,

a lieve e collaboratrice di Renato Barilli.

Ha pubblicato testi sul dadaismo e sulla fotografia e specializzata nello studio delle avant-guardie artistiche

ed è considerata una delle migliori critiche d'arte italiana, scopritrice di giovani talenti,

la più brillante, la più talentuosa.

È stata lei a far conoscere in Italia Catering, Kenny Sharp, Ronnie Cutrone.

È stata la prima in Europa a studiare graffitari in New Yorkese,

a considerarli autore di una forma d'arte contemporanea, nuova.

Francesca Alinovi è parte e protagonista del nuovo mondo culturale che a Bologna

è successo il sviluppo attorno al dams, lo è lei e lo è la persona che sarà sospettata per i suoi amicidia.

Le indagini si concentrano subito in quel mondo e quel mondo sarà al centro dei processi,

un mondo da cui però Francesca Alinovi verrà quasi separata,

sottrata a quell'ambiente di cui faceva interamente parte,

quasi a santificarla, ad escriverla e stranea, a un modo di vivere, è una cultura che erano invece suoi.

Santificare una vittima, descriverla diversa da quello che era,

non la rende più vittima e non rende suo assassino più assassino.

Francesca Alinovi, la persona che presto verrà indagata per i suoi amicidio,

erano parte e protagonisti di quel mondo, di quei movimenti artistici che nascevano nell'Italia

che stava cambiando dopo gli anni 70, gli anni di Piumbo.

Questa storia racconta anche di quell'Italia, di quel tempo, di quella città,

ma racconta anche di reperti che furono distrutti subito dopo il processo.

Racconta di sentimenti aggrovigliati e disallineati,

vissuti in maniera diversa dai protagonisti, descritti in maniera diversa.

E racconta di tre diversi moventi indicati per il delitto.

Dirà un avvocato difensore.

Quando vengono indicati tre moventi, vuol dire che non c'è ne uno solido, credibile.

È una storia che parla di un processo totalmente indiziario

e cioè un processo in cui non esiste una prova reale e concreta a carico dell'imputato.

I codici di procedura penale nell'articolo 192

dice che la prova non possa costituirsi per indizia

meno che questi indizi non siano legati tra loro dal vincolo della gravità, precisione e concordanza.

Cioè quando gli indizi convergono su una conclusione logica.

Secondo i giudici, non tutti i giudici.

L'indizi nel caso dell'omicidio di Francesca Linovi

portavano alla conclusione logica che l'assassino fosse stato un ragazzo,

un giovane artista di 11 anni più giovane della vittima.

Si chiama Francesco Ciancabila.

Il suo nome, già dalmeno due anni prima dell'omicidio,

è legato a quello di Francesca Linovi.

Era un pittore su allievo,

lei lo sponsorizzava, lo aiutava, lo promuoveva.

Secondo gli amici stavano insieme.

Lui disse che erano grandi amici, che avevano un rapporto strettissimo,

ma che erano appunto solo amici, migliori amici.

I giornali scrisselo che lei era la sua musa.

Di quel rapporto vissuto dai due in maniera diversa,

si parla moltissimo il processo, leggendo pagine e pagine dei diari di lei.

Noi la faremo solo per ciò che è essenziale per capire.

Perché sono molte altre cose determinante in questa storia.

Quegli indizi, come furono interpretati.

Come alcuni elementi furono trascurati, o perlomeno considerati non importanti.

Come i giudici, non si miserò d'accordo su un movente.

Come non sia stato possibile stabilire l'ora della morte con esattezza.

Come non si sia riusciti a capire realmente

l'origine di quella scritta in inglese sgrammaticato.

Io a notte l'ono, anyway.

E come poi alla fine fu determinante quanta carica.

Avesse quel loro loggio Rolex, che Francesca Linovi portava al polso.

Io mi chiamo Stefano Nazzi, faccio il giornalista da tanti anni.

E nel corso della mia carriera mi sono occupato di tante storie come questa.

Quelle che nel tempo vi sono diventate familiari.

E altre che potreste non aver mai sentito nominare.

Storie di cronaca, di cronaca nera, di cronaca giudiziaria.

Il podcast che state ascoltando, si intitola Indagini ed è prodotto dal post.

Vi racconterò ogni mesi, una volta al mese, una di queste storie.

Tentando dimostrare non tanto il fatto di cronaca in sé, il delitto in sé,

bensì tutto quello che è successo dopo.

Il modo in cui si è cercato di ricostruire la verità,

le indagini giudiziarie e i processi con le loro iniziative,

le loro intuzioni e i loro errori.

Il modo in cui le indagini hanno influenzato la reazione dei media e della società.

E il modo in cui media e la società hanno influenzato le indagini.

L'ultima volta che gli amici videro Francesca Linovi,

fu sabato 11 giugno 1983.

Alle 9 di sera aveva inaugurato e presentato una mostra di giovani artisti

alla Galleria Neon e via Solferino a Bologna.

Con lei c'erano alcuni dei suoi allievi, giovani pittori, performer, fotografi.

Aveva da poco dato vita con loro una corrente artistica, gli enfatisti.

Ne aveva parlato pochi mesi prima sulla rivista Flash Art,

definendo il movimento come un'enfasi maniacale della quotidianità più accesa.

Lei stessa si definiva infattista, perché mi piace enfatizzare su di me, Scrisse.

È il caso però di capire meglio chi fosse Francesca Linovi

e che cosa rappresentasse per il mondo dell'arte.

Lo spiega Ludo V. Calulli, giornalista del post, autrice del podcast Comodino.

Francesca Linovi era una critica militante,

cioè una studiosa di arte contemporanea che si occupava delle opere

realizzate negli stessi anni in cui scriveva e degli artisti emergenti che in quel periodo le producevano.

Insieme a suo maestro Renato Barilli e a Roberto da Olio,

Alinovi organizzò le settimane internazionali della performance,

che si tennero a Bologna tra il 1977 e il 1982,

e mostrarono i lavori di artisti già famosi o che lo sarebbero diventati molto in seguito.

Alla prima edizione, ad esempio, parteciparono Marina Bramovic e Ulai

con Imponderabilia, una delle loro performance più note.

Nel 1977, Alinovi fece il suo primo viaggio a New York,

dove, oltre a visitare la Galleria di Solomon, andò al CBGB,

il celebre locale della Scena Punk dove ascoltò i Ramones e i Tolkienettes.

Dalla collaborazione con Solomon, nacca una mostra di giovani artisti italiani proprio a New York,

dei Italian Wave, che si tenne nel 1980.

Negli anni Alinovi sarebbe stata New York altre 5-6 volte.

Erano viaggi di esplorazione in cui la critica cercava nuovo materiale artistico per i suoi studi.

Quello che le interessava era quel fenomeno interdisciplinare che fu il postmoderno,

un momento in cui la creatività degli artisti di ogni genere si esprimeva in rialaborazioni nuove,

più o meno citazioniste, dell'arte dei decenni e dei secoli precedenti,

abbinando cose diverse e sperimentando in tutti i linguaggi.

Alinovi conceptualizzò questo tipo di arte in vari modi,

in particolare con l'espressione arte mia, cioè l'arte che, nelle sue parole,

ciascuno può e deve fabbricarsi da sé e per sé, in armonia con le proprie possibilità creative,

anche solo scegliendola tra le opere di altri artisti.

Oggi Alinovi è ricordata nel premio Alinovi da Olio,

che ogni anno viene assegnato a un'artista contemporaneo che ha lavorato con l'interdisciplinarità

e attraverso la contaminazione dei linguaggi espressivi,

ma è anche conosciuta dagli studenti d'arte, grazie al suo lavoro pionieristico sull'arte dei graffiti,

che scopri durante i suoi viaggi a New York.

Con Francesca Alinovi, quella sera al Neon, c'è anche Francesco Ciancabilla.

Ha 24 anni e di pescara, ma vive a Bologna.

Era già stato a Bologna nel 1977, partecipe del movimento che proprio Bologna aveva vissuto,

soprattutto attorno al Dams, sia le giornate più creative che quelle più violente.

È tornato a Bologna nel 1981, è iscritto al Dams.

Lui e la sua insegnante diventano inseparabili, il loro è un rapporto molto stretto.

Ciancabilla, intervistato da Franca Leosini,

disse che Francesca Alinovi era un insegnante diverso da tutti gli altri al Dams.

Era affascinante, trascinatrice.

Disse che era bellissima, diversa anche nel modo di vestire, di portare i capelli.

Le definì pettinature estrambotiche, usando un termine spagnolo, c'è originali, bizzarre.

In un suo diario, Francesca Alinovi scrive di essere innamorata di Ciancabilla, scrive che lui e il suo alter ego,

all'inizio della loro relazione, definisce tapee su amore da racconti di Pasolini.

Francesco, un sose alter ego bruno, con i capelli rasati e i grandi occhi labbra, tre grandi bocche.

Lo scalpo d'amoicano, romano napoletano chissà dove.

Un'amore da racconti di Pasolini, folclore e amore romantico pittoresco.

Un ragazzino, 10-15 anni di differenza di età.

Al mio nome e mi somiglia nell'italico aspetto bruno.

Assomiglia a me bambina, zingaresca e scalza sulla spiaggia di forte dei marmi.

Assomiglia alla mia versione maschile, quello che avrei voluto essere.

Non so nulla di lui, fino a ieri non sapevo nemmeno il suo nome.

Sapevo solo che mi somigliava e che mi piaceva perché mi somigliava.

Poi ho capito che suo nome è Francesco.

Mi piace come se fossi una ragazzina di 13 anni.

Mi piace come se non mi fossi mai presa una cotta in vita mia.

Mi piace come se fossi fresca fresca di esperienze

senza averne passate di tutti i colori come su questo quadernetto si può leggere.

Non dormo nemmeno più, come se non avessi passato infinite notti in sonni per altri uomini.

È quasi primavera e io, come al solito, sono pazza di un lui che questa volta vedo più che altro come il riflesso di me.

Sentimentalona.

Qualche tempo dopo, Alinovi scrive

Lui dice di amarmi come un'amica e di non essere innamorato.

Eppure io sento le vibrazioni tutt'altro che amichevoli.

Una specie di bisogno organico di divorarmi, di assorbirmi.

Quello che prove diverso dal solito innamoramento.

Avrei voglia di assalirlo fisicamente.

Nel suo diario scrive più volte che l'ora è un rapporto senza sesso, che lui si sottrae.

Scrive di essere disperata.

E scrive più volte che Ciankabilla fa uso di heroina che lei detesta perché annulla la persona.

Ciankabilla, quando sarà interrogato, dirà che è vero che è un frequentatore dell'eroina,

ma che non è un tossico dipendente.

Dice anche.

Ho avuto proficui e soddisfacenti rapporti sessuali con Francesca fino al periodo in cui siamo andati insieme in America,

nell'ottobre del 1982.

Già nel periodo americano ho cominciato invece ad avere minore attrazione fisica per Francesca,

mentre continuava sia l'affetto che l'amicizia nei suoi confronti.

In gennaio ho cominciato ad avere una vera e propria difficoltà da avere rapporti intimi con lei,

tanto che se ne accorta.

E ciò ha portato anche ad avere debistici.

Ecco come Francesco Ciankabilla, intervistato da Franca Leosini per Storie Maledette,

descrisse il suo rapporto con Francesca Linovi.

C'è stato sesso, non siamo mai stati amanti.

Patti mi è sorpreso quando c'hanno stati alcuni testi che hanno detto che erano amanti,

perché siamo stati sempre ottimi amici, c'hanno stato sesso in i primi tempi,

però hanno andato poi sempre più sciamando rapporti speciali.

Ma io queste frases di di là dopo mi sembra quasi di ascoltarle per la prima volta.

Forse sono stati lette durante il processo, però neanche mi ricordo.

Questo tipo di rapporto tra me e Francesca non è mai uscito fuori poi tra di noi.

Non so se erano cose che Francesca sentiva e che non aveva coraggio di esteralizzare, esprimermi.

A me piaceva molto, piaceva moltissimo a quale persona e anche fisicamente era una donna bellissima.

Non so, probabilmente non ci siamo incontrati al punto di vista fisico.

Io quando ho passato stavo con un'altra ragazza, dopo un tempo ci siamo lasciati

e negli ultimi tempi che l'ho frequentata anche stavo con un'altra ragazza

che Francesca conosceva perfettamente e sapeva che era la mia ragazza.

Perfetto le dico che non ci mai stanno anche in una menzogna,

a parte mia, o farle credere cose che...

Ma torniamo all'11 giugno 1983.

Dopo l'inaugurazione della mostra al Neon, Francesca Linovi e i suoi amici,

compreso Ciancabilla, vanno a ballare in un locale nel quartiere barca.

Nelle prime ore di domenica 12 giugno si separano.

Francesca ospita a dormire due amici di fuori Bologna.

Poi, verso le tre de Pomeriggio, esce, sale sull'auto

e va a prendere Ciancabilla in via Ruggi 3, dove il ragazzo vive con una mica.

Insieme, tornano nella casa di Via del Riccio 7.

I due amici se ne sono ne frattempo andati.

Questo verrà ricostruito anche in base alle dichiarazioni dello stesso Ciancabilla.

Lui col Pomeriggio, sul tardi, deve partire per pescara.

Perciò le 19 telefonano la mica con cui divide l'appartamento.

Le dà appuntamento alla stazione dove lei deve andare per prendere una mica che arriva da Firenze.

Le chiede di portargli una dose di heroina.

Alle 19.30 Ciancabilla esce da casa di Francesca Linovi e va in stazione.

Qui incontra la mica che li consegna l'heroina.

La ragazza testimonierà di averlo visto vestito in stazione

con gli stessi abiti che indossava quando Francesca Linovi è andato a prenderlo.

Altre persone testimonieranno di non aver notato nulla di strano in stazione in Ciancabilla.

Non aveva, sui vestiti, nessuna macchia visibile.

Sono le 20 del 12 giugno.

Poi passano due giorni.

Francesca Linovi ha vari appuntamenti a cui non si presenta.

Non va nemmeno al damsa a fare elezione.

Al telefono non risponde.

L'ultima volta che ha risposto è stato il 12 giugno verso le 17.

Il 15 giugno, preoccupati, due amici vanno in via del Riccio 7.

Francesca Linovi non risponde.

La finestra dell'ingresso soggiorno è aperta.

Di amici chiamano i vigili del fuoco che entrano in casa.

Poi arriva la polizia.

I primi appunti del medico legale indicano che Francesca Linovi è morta da 3 giorni,

tra le 6 del mattino e le 18 del 12 giugno.

Ma sono appunto solo le prime indicazioni.

In seguito l'ora della morte verrà indicata tra le 17,

momento in cui Alli 9 ha ricevuto l'ultima telefonata a cui ha risposto, e le 23.

Secondo il medico legale è stata prima colpita al viso, poi alla parte superiore del corpo.

Ci sono numerose ferite sulle bracce, sulle mani, segno che si è difesa.

La lama che ha colpita è approssimativamente larga a 3,3,5 cm.

Una sola ferita è profonda a 5 cm, a collo.

Un'altra a 4 cm, al fegato.

Altra e tre, all'imitorace destra, sono profonde 3 cm.

Tutte le altre sono profonde 1-2 cm.

Si parlerà, ma senza mai avere un riscontro, di un coltello da formaggio.

Francesca Linovi è morta soffocata da suo sangue per la ferita al collo.

Lagonia è durata 10 minuti, scrive il medico legale.

E i colpi non sono stati vibrati con violenza, scrive, ma con meccanica reiterazione.

I due puccini che l'assassino ha messo sulla parte superiore del corpo della vittima

farebbero pensare a un undoing, cioè letteralmente annullare.

In criminologia significa che l'assassino non vuole vedere ciò che ha fatto,

ne vuole prendere almeno simbolicamente le distanze.

Secondo il medico legale, però quei due puccini sono stati messi perché non si sentissero i lamenti,

forse anche per accelerare la morte.

Le indagini iniziano subito e, come è normale, partono dall'ambiente di amici più vicini a Francesca Linovi,

un cerchio ristretto che poi si allarga man mano che procede l'inchiesta.

E quindi le indagini iniziano dal dance.

I giornali in quei giorni lo descrivono come una sorta di gironedantesco di droga ed eccessi.

Ma che cos'è davvero il dance? Lo spiega Stefania Carini, giornalista del post ed esperta di media.

Il dance nasce nel 1971 grazie all'intuizione di Benedetto Marzurlo, filologo e grecista,

e ha fin da subito una forte identità perché è un corso unico nel suo genere,

che svecchia il panorama accademico italiano.

L'intuizione di Marzurlo è infatti creare un corso manistico aperto alle arti, al cinema, alla radio, alla tv e alla comunicazione.

I professori sono, tra gli altri, Umberto Eco, Furio Colombo Gianni Celati e il regista Luigi Squarsina.

Gli studenti possono assistere ai venti e conferenze con Moravia Arbasino, Bene e Bertolucci.

Insomma, il contesto didattico è originale, anche perché c'è una forte collaborazione tra docenti e studenti.

Il dance diventa quasi umito e viene percepito come una università non università, come uno spazio di libertà e creatività.

E poi arriva il 77, con le sue proteste, con il movimento studentesco, che al dance si esprime con il suo lato più trasgressivo.

Ci sono le occupazioni, le assemblee, le feste notturne.

Tutta questa energia si manifesta poi nelle opere degli studenti del dance, nei fumetti di Andrea Pazienza, nei concerti degli Schiantos, nei romanzi di Pierre Vittorio Tondelli.

Tra la fine degli anni 70 e gli anni 80, dunque, tutto questo rende il dance un polo capace di attrarre studenti da tutta Italia.

Studenti che vogliono anche mescolarsi alla vivace e vita di Bologna, perché a Bologna è il rapporto tra università e città e molto stretto.

Studenti e professori che arrivano da tutta Italia diventano parte del tessuto cittadino, spesso influenzandolo e trasformandolo.

Già il primo giorno, dopo il ritrovamento del corpo, vengono arredatti 16 verbali di sommari e informazioni testimoniali.

giovedì altri 13, venerdì altri 17, sabato l'altri 18, domenica l'altri 19, in tutto nei primi 5 giorni 83 sommari e dichiarazioni testimoniali.

Alcuni punti sono da subito chiari.

Dalle 17 di domenica 12 giugno nessuna parte Francesco Ciancabilla ha più visto o sentito Francesca Linovi.

Nessuno in via del riccio ha sentito quel giorno nulla di strano.

I due amici che hanno dormito da Francesca dicono di non aver notato la scritta sulla finestra del bagno.

La finestra si riflette sullo specchio, sopra l'avandino, quindi avrebbe dovuto essere notata, visto che entrambi dicono di essersi lavati, mani e viso.

Francesca Linovi ogni volta che suonava il citofono, si affacciava la finestra per guardare chi era.

Non apriva gli sconosciuti, era prudente. Più volte aveva detto di temere aggressioni quando tornava a casa la sera da sova.

Quasi tutti i testi non interrogati, gli amici di Francesca Linovi, parlano di Francesco Ciancabilla.

Dicono quello che poi lui negherà, che a Linovi e Ciancabilla stavano insieme, anche se il rapporto era complicato, strano.

A Linovi aveva parlato con le amiche del fatto che lui si rifiutava di avere rapporti intimi con lei,

ma dicono anche che Ciancabilla fa uso di heroina, che questo Francesca Linovi non lo sopportava,

che lei era stufa perché con i soldi dei quadri che lei le aiutava a vendere, lui comprava heroina e che lui è un violento.

Francesca Linovi ha raccontato che una volta in auto, lui ha guidato fino al bordo di un dirupo minacciando di gettarsi con lei di sotto,

che un'altra volta li ha provocado l'inclinatura di una costola durante un litigio.

Ciancabilla dirà che è vero, quella volta si sono picchiati e che lei scivolando si è fatta male, testualmente a verbale.

Ci percuotemmo in maniera violenta, lei riportò una contusione a una costa di un occhio nero.

Passato quell'episodio, i nostri rapporti sono continuati in maniera normale.

Diranno anche alcuni testimoni che un giorno lui l'ha inseguita con il mano delle forbici,

altri diranno però che era uno scherzo che lui minacciava di tagliarle e capelle,

ma è soprattutto la testimonianza della sorella di Francesca Linovi, Brenna, a interessare in inquirente.

Dice Brenna Linovi, così come messo a verbale.

Ella non aveva mai avuto rapporti intimi con lui, nemmai, addirittura, lui l'aveva mostrato al proprio corpo.

Si spogliava sempre in bagno o comunque appartandosi e si accadeva che dormissero nella stessa stanza o nello stesso letto, lui non la toccava con un dito.

Non voleva neppure che lei gli si avvicinasse, ne discutevano spesso, ma egli finiva sempre con il dire che lei poteva avere la sua anima, ma non il suo corpo.

L'eliti e la violenza erano legate alla gelosia che Ciancabilla mostrava nei confronti di mia sorella e mia sorella nei confronti di lui,

tutto ancora più assurdo se si tiene conto dell'indisponibilità fisica di Ciancabilla che ho riferito.

Altro tema ricorrente era l'uso e lo spaccio di droga da parte di Ciancabilla.

Il diario di Francesca Linovi viene analizzato fin dei primi giorni. Scriveva

Dio che spasemi di Angoscia, una tenaglia di pensieri mortiferi e appestanti, la mia vita senza amore, la mia vita senza sesso,

la mia vita senza la felicità di sentirmi amata assieme a un altro accompagnata.

Continuare ad amare Francesco quando lui non può amarmi. Come costringere uno ad amarti se non può, se non mi desidera carnalmente, se non vibra della mia passione?

Sola, sola, io da sola e lo amo e non posso essere riamata.

E ancora?

Non è nemmeno l'eroina, non è la perversione, lo schifo, l'immondezza, è solo il nulla, il nulla eterno di un rapporto che non scorre, che non è, non esiste.

E io sono più confusa e ora brutta, sciupata, piangente, lobaciato, accarezzato e lui niente.

Tra i primi verbali delle testimonianze c'è anche quello dello stesso Francesco Ciancabilla. L'hanno cercato a casa a Pescara, lui non c'era, si è presentato in questura.

L'hanno fatto spogliare per vedere se assegni sul corpo, non c'è nulla.

Disse anni dopo l'avvocato Alessandro Gamberini che chiese la riapertura del processo.

Quando si utilizza un coltello, anche un coltello di quel tipo e lo si utilizza con violenza sulla persona, è pressoché impossibile dicono sempre gli esperti che con lui che lo utilizza non si produca qualche taglio,

perché si produce il taglio tra l'impugiatura e l'inizia della lama, quindi la difesa valorizzava molto il fatto che Ciancabilla fosse uscito dalla casa,

non insanuinato, avesse incontrato persone sul piazzale della stazione con le quali aveva presa appuntamento e non avesse mostrato di essere particolarmente alterato.

Ciancabilla durante l'interrogatorio parla a lungo del suo rapporto con Francescalinovi e dice quello che continuerà a ripetere per sempre,

che lui è uscito da casa di Via del Riccio 7 alle 19.30 di domenica e che Francescalinovi era viva, che l'assassina è qualcun altro.

Non fa nomi, non indica sospetti.

Racconta che la sera precedente al neon lui e Francesca hanno snifato un po' di cocaína che l'era stata regalata da un amico

e che ciò che era rimasto di quella cocaína l'ha nassunta domenica pomeriggio in Via del Riccio.

Parla del suo rapporto con la donna, ripete e lo ripeterà sempre che non stavano insieme, erano in sintonia, avevano un legame strettissimo,

ma lui non l'amava, non l'amava almeno come si amano due persone che stanno insieme.

Più avanti a processo quando verranno lette in aula le pagine del diario di Francescalinovi, lui dirà che lei non gli aveva mai espresso quei sentimenti.

Nei giorni successivi a delitto i giornali inseguono una suggestione, scrive il Corriere della Sera,

inquietanti interrogativi su una città che ha torto e ritenuta tranquilla.

L'uccesione della professoressa Bologna è l'ultimo di una serie di delitti insoluti.

Il resto del Carlino fa collegamento con un altro delitto, scrive.

Le prime indagini hanno già individuato importanti punti di contatto con l'assassinio di Angelo Fabri,

lo studente del Danse, massacrata coltellate, la vigilia di Capodanno.

Ma non è vero, non è stato indicato nessun collegamento.

Le indagini in realtà stanno andando in tutta altra direzione.

Angelo Fabri era uno studente del Danse che il 30 dicembre stava per partire per Roma per festeggiare Capodanno con Amici.

Verso mezzanotte di quel giorno sentì un amico al telefono, poi scomparve.

Lo trovara nel giorno dopo, sull'appenino, in Val di Zena, due cercatori di funghi.

Era stato ucciso verso le 11 del 31 dicembre con numerose coltellate alla schiena, sei delle quali mortali.

Il suo assassino non è mai stato individuato.

Ma quel delitto, con la morte di Francesca Linovi, non c'entra nulla.

I giornali parlano di Francesca Linovi come di una donna dalle frequentazioni disordinate.

Intanto, sui muri di Bologna, nei giorni successivi all'omicidio, sono comparsi dei manifesti.

C'è il volto di Anthony Perkins, protagonista di Psaico, fin di Alfred Hitchcock,

e sotto la fotografia di Francesca Linovi.

Sul manifesto c'è una scritta, Cadaveri squisiti.

Non si scoprirà mai chi disegnò e stampò quei manifesti.

In 20 giugno, alle 18.30, Francesco Ciancabilla viene convocato in quest'ora a Bologna.

Il sostituto procuratore Pasquale Sibiglia lo informa che, nel corso delle indagini preliminari di Polizia Giudiziaria,

in merito all'omicidio di Francesca Linovi, sono emersi indizi di colpevolezza nei suoi confronti,

per cui si procede, all'interrogatorio, qual è indiziato di reato.

Ciancabilla ripete la sua versione.

Dice che il pomeriggio del XII, lui e Francesca Linovi lo hanno passato chiaccherando di cose senza grande importanza.

Che il clima era sereno, che non c'è stata nessuna lite.

Dice di aver telefonato due volte, dopo le 18.30, a una amica per concordare l'appuntamento alla stazione

e ammette di averle chiesto di portarli delle ruine.

Dice di essere uscito da Via del Riccio alle 19.30.

A domanda esplicita, il sostituto procuratore risponde di aver avuto rapporti sessuali, completi e soddisfacenti con Francesca Linovi

nel primo anno della loro conoscenza.

Ma che questi si erano diradati dopo una vacanza trascorsa insieme,

nella primavera del 1982, fino a cessare completamente dopo un viaggio che avevano fatto insieme a New York.

Su perché Francesco Ciancabilla non volesse avere rapporti sessuali con Francesca Linovi, si disse e si scrisse ovviamente molto.

Noi non lo faremo, ci interessa solo il fatto in sé, per ciò che concerne le indagini.

Nel suo diario, Francesca Linovi scriveva spesso di questo aspetto.

Francesco, la perla dei miei sogni recenti, è omosessuale.

Innamorato di un ragazzino 25 anni è incontrato per caso alla soffitta la sera della performance di Orlan.

Mentre io non c'ero, l'unica sera in cui non c'ero.

Ero sul treno da Milano per Bologna e curavo delle fotografie.

E' omosessuale ed heterossessuale, fino a l'ora non mi era mai capitato.

Io divento sempre più ossessuata.

L'interrogatorio di Francesco Ciancabilla si interrompe alle 0,53 del 21 giugno.

Poche ore dopo il ragazzo viene fermato con l'accusa di omicidio volontario di Francesca Linovi, commesso a Bologna, il 12 giugno 1983.

Il giorno dopo la Repubblica Titola ha restato l'amico pittore, un gioco finito male per colpa della cocaina.

Il giorno, uccisa dall'allievo del cuore, un cocktail di gelosia, sesso, cocaina e filosofia punk dietro al delitto del dance.

Il resto del Carlino l'aveva creato lei perché ucciderla se lo chiedono i genitori di Francesco Ciancabilla, convinti dell'innocienza del figlio.

E sotto, Francesca non doveva lasciare parma, dice il padre della Linovi.

Ma perché è stato arrestato Francesco Ciancabilla? Su quali basi?

Ci è andato ovvio, una morte della donna è stata fissata tra le 17 e le 23.

Se è morta prima delle 19,30 è stato Ciancabilla.

Se è morta dopo, non può essere stato lui, dato che poco dopo è stato vista in stazione a Bologna.

Questo disse il funzionario della questura di Bologna Gaetano Chiusolo alla trasmissione Mistero Blue di Carlo Luccarelli.

Ciancabilla è diventato l'imputato perché è trascorso l'intero pomeriggio del XII a casa della donna.

Gli esperti collocano l'ora della morte a cavallo delle 18.

Ciancabilla si è fermato all'interno dell'appartamento fino alle 19,30.

Francesca Linovi non risponde più al telefono dalle 18 in poi.

Ciancabilla, prima di lasciare all'appartamento effetto due telefonate.

Lo fa, sono senza alcuna logica, per costruirsi un alibi.

I vicini di casa della Linovi rientrano verso le venti e da quel momento non sentono più segni di vita fino al momento del ritrovamento del cadavere.

La porta non presenta segni di effrazione, le numerose testimonianze raccolte dicono che la donna non apriva a nessuno prima di affacciarsi dalla finestra che guarda in via del riccio.

Tutte queste cose portano ad escludere che altre persone possono essere entrate nell'appartamento dopo che è uscito Ciancabilla.

Ma perché Chiusolo parla di ora della morte presunta attorno alle 18?

C'è un motivo, l'orologio.

Il Rolex, che era al posto di Francesca Linovi.

Gli esperti consultati dall'inquarente spiegano che la carica di QR Rolex dura esattamente 35 ore.

L'ora in cui l'orologio si è fermato indica le 5-12, quindi o le 5-12 o le 17-12 del giorno 14.

Siccome l'orologio è, secondo i periti in condizioni perfette di funzionamento, quelle 35 ore di carica corrispondono o alle 18-12 pomeridiane di domenica 12 giugno 1983 o alle 6-12 mattutine di lunedì 13 giugno.

Perché gli inquarenti sono convinti che si tratti delle 18-12?

Perché l'autopsia ha dimostrato che quella sera Francesca Linovi non cenò.

Francesca Linovi non cenò e poi era interamente vestita.

Inoltre non andò a un appuntamento che aveva quella sera e l'inquilini vicino di casa, rientrati dopo le venti, non sentirono rumori sospetti.

Quindi, è la conclusione dell'inquarente, l'orologio è iniziato a esaurire la sua carica alle 18-12.

35 ore dopo alle 5-12 del mattino del 14 giugno l'orologio si è fermato.

Questo ragionamento è ovviamente valido se l'orologio al momento della morte di Francesca Linovi era totalmente carico.

Il perito disse che tale carica completa si può raggiungere se il soggetto è molto dinamico.

In caso contrario, possono correre anche 10-12 ore per arrivare alla carica completa.

Oppure potrebbe rimanere anche quasi scarico se il soggetto si muove se molto poco durante tutto il giorno.

Secondo l'inquarente, ma soprattutto in base alle testimonianze, Francesca Linovi non si toglieva mai l'orologio ed era una persona estremamente dinamica.

Quel giorno aveva guidato l'auto, aveva risposto al telefono, aveva insomma mosso il braccio.

Quindi, eccola conferma, sarebbe stata uccisa alle 18-12.

Già, ma se la carica fosse stata a 97% o al 90%, questi calcoli non varrebbero più.

La questione dell'orologio verrà però stranamente poco discosta al processo.

Solo anni dopo, altri avvocati diversi da quelli dei processi di primo e secondo grado chiederanno.

Ma chi dice che Francesca Linovi quel giorno sia stata molto dinamica?

E soprattutto chi può garantire che Rolex fosse carico al 100%

e perché il fatto che non abbia cinato quella sera dovrebbe costituire un indizio solido?

Altri elementi intanto emergono.

Dalla casa è scomparsa un asciugamano e in bagno sono stati trovati occhiali a ribana goccia graduati.

Francesca Linovi portava le lenti.

E resta una domanda, come ha fatto Ciancabilla se non si è cambiato a non avere i vestiti sporchi di sangue?

Quei vestiti sono stati sequestrati, non esiste nessuna traccia di sangue.

E anche se fossero stati lavati, delle tracce a un esame scientifico attento sarebbero visibili.

Questo dubbio verrà risolto nelle tesi del Pubblico Ministero

con il fatto che Ciancabilla quel giorno indossava una camicia a maniche corte

e quindi, essendo le ferite poco profonde,

il sangue è schizzato in maniera lieve.

Se la camicia avesse avuto le maniche lunghe, il sangue si sarebbe visto insomma.

Già, ma i pantaloni?

Sei vero come è stato ipotizzato che l'assassino ha girato attorno al colpo della vittima a terra continuando a colpirla?

Si deve essere accucciato, quasi inginocchiato.

Non è strano che non ci fosse sangue sui pantaloni?

C'è poi la scritta.

I due amici che hanno dormito a Casalinovi dicono che quella scritta non l'hanno vista.

Quindi forse è stata fatta dall'assassino.

C'è però un fatto ed è rilevante.

Francesco Ciancabilla è stato sottoposto a una perizia caligrafica.

Quella scritta non l'ha fatta lui.

Di questi periti sono certi.

Ma se la mattina del 12 giugno quella scritta non c'era,

e invece rappresente sulla finestra al momento del ritrovamento del corpo,

quando è stata fatta?

E se non l'ha fatta Francesco Ciancabilla?

Chi l'ha fatta?

E perché?

Avete ascoltato la prima parte di indagini sulla storia dell'omicidio di Francesco Alinomi.

Trovate la seconda parte e tutte le altre storie sull'app del post,

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Indagini è un podcast del post scritto e raccontato da Stefano Nanzi.

Il 10 luglio è uscito una puntata speciale di questo podcast,

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Quella puntata che raccontava la storia del disastro di Seveso,

è stata molto apprezzata,

e per questo abbiamo deciso che altre indagini continueranno.

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Il 15 giugno 1983, in via del Riccio 7, a Bologna, venne trovato il corpo di una donna. Era stata uccisa nel suo appartamento con molti colpi inferti da un piccolo coltello.
La donna, stabilì l’autopsia, era stata uccisa tre giorni prima, quindi il 12 giugno: si chiamava Francesca Alinovi, aveva 35 anni ed era insegnante al Dams, Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo dell’università di Bologna. Era una delle giovani critiche d’arte italiane più stimate e all’avanguardia, scopritrice di nuovi talenti. Era stata lei a portare per la prima volta in Italia l’arte dei graffitari newyorkesi, a far conoscere in Italia Keith Haring, a promuovere i disegni di Paz, Andrea Pazienza. Le indagini si concentrarono nell’ambiente del Dams e in particolare su un ragazzo, Francesco Ciancabilla, di dieci anni più giovane di Alinovi. Gli amici sostennero che Ciancabilla e Alinovi stessero insieme anche se lui nel corso delle indagini lo negò. Vennero analizzati i diari scritti dalla vittima in cui lei parlava del suo rapporto con il ragazzo, del loro legame ma anche del fatto che lui si rifiutasse di avere rapporti sessuali.
Complesse perizie, compresa una su un orologio che era al polso della vittima, indicarono l’ora della morte intorno alle 18-19 del 12 giugno 1983 quando Ciancabilla, per sua stessa ammissione, a casa della critica d’arte. Ciancabilla però si è sempre dichiarato innocente.
Il processo a Francesco Ciancabilla fu un processo indiziario, senza prove ma con una serie di elementi che, secondo il pubblico ministero, portavano a una conclusione logica: che il ragazzo fosse colpevole.
Detenuto in carcerazione preventiva da quasi due anni, Ciancabilla fu assolto in primo grado e poi condannato nel processo d’appello a 16 anni di carcere. Nel frattempo, però, aveva lasciato l’Italia. Restò latitante dieci anni prima di essere arrestato in Spagna. Per quattro volte una richiesat di revisione del processo venne respinta.
Ha scontato la sua pena e oggi è un uomo senza nessuna pendenza con la giustizia.
Ha continuato a dichiararsi innocente. Secondo molte delle persone che seguirono il caso e il processo, quel procedimento non rispettò il principio del ragionevole dubbio.

Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi