Indagini: Este, Broni, Bascapè, 1995-1999 - Seconda Parte

Il Post Il Post 8/1/23 - Episode Page - 51m - PDF Transcript

La storia di Milena Quaglieni, di ciò che subì e fece, non è molto conosciuta.

In passato qualcuno propose di farne un film.

I produttori risposerò che era una storia troppo dura, troppo pesante.

Una storia senza sentimenti.

Dopo l'omicidio del marito nel 1999, Milena Quaglieni è stata condannata in primo grado a 14 anni di carcere.

Sono stati accordati su richiesta della sua avvocata gli arresti domiciliari.

Milena Quaglieni è stata un po' a casa della madre che poi l'ha cacciata.

Le sue due figlie vivono ora con la sorella.

Il figlio grande ha avuto con il primo marito e lontano, non ha più contatti con la madre.

Lei ha trovato un luogo dove vivere in una comunità per minori gestita da religiosi.

L'hanno cacciata da lì quando hanno scoperto che si fa portare di nascosto bottiglie di licuori da un ragazzo che lavora in un supermercato.

E' entrata a Pavia in una clinica della fondazione Maugeri, terzo reparto, quello della riabilitazione archeologica.

Deve andarvi anche da lì, non collabora, rifiuta le cure di con i medici.

A rapporti pessimi, spesso fatti di urla insulti con il personale della clinica e anche con gli altri pazienti.

E di nuovo fuori e di nuovo non sa dove andare.

Alla fondazione Maugeri ha conosciuto un uomo, un ex-carabinieri di sassari che ha 36 anni.

Milena Coalini lo descrivesse poi come un uomo solo, come lei, e che come lei beveva e quando beveva perdeva il controllo.

Era stato violento con la moglie, allontanato di casa i figli non lo volevano più vedere.

Milena Coalini si trasferì da lui in una casa molto piccola a Bressana Bottarone, in provincia di Pavia.

L'uomo li affittò una stanza, ricominciò la storia.

Lui raccontò Coalini, allungava le mani.

Lei si allontanava spesso da quella casa, non avrebbe potuto farlo, che alle arresti domiciliari deve rispettare le regole che vengono in poste dal magistrato di Sorveglianza.

La misura cautelare degli arresti domiciliari è prevista dall'articolo 284 del codice di procedura penale.

Attraverso questa misura, dice il codice, il giudice prescrive all'imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o testuale,

da altro luogo di privata dimora, oppure da un luogo pubblico di curo di assistenza ovvero o vestituita, da una casa famiglia protetta.

Chi alle arresti domiciliari non può salvodero che allontanarsi da dove domiciliato non può ricevere visite e ne può comunicare mediante mezzi come telefono o social network, con il mondo esterno.

Il Pubblico Ministero o la Polizia Giudiziaria possono controllare in qualsiasi momento che la persona soggetta a restrizione, rispetti le regole in poste.

Quando si parla di Polizia Giudiziaria, si parla di chi acquisisce hizo notizie di Areato, ricerca l'autore del Areato, acquisisce stops gli elementi di prova.

Sostanzialmente si tratta di coloro che svolgono le indagini, direttamente su indicazione del Pubblico Ministero.

I membri della Polizia Giudiziaria hanno funzioni distinte da quelli della pubblica sicurezza e non sono solo appartenenti alla Polizia.

Della polizia giudiziaria possono fare parte carabinieri, guardia di finanza, ma anche in

casi specifici gli spettori del lavoro, il corpo delle capitanerie di Porto, i vigili

del fuoco, le guardie zofile.

Milena Quaglini comunque le regole decise dal giudice non le rispetta.

Per andare in giro con un auto ha falsificato in maniera grossolana la propria patente.

Ha sbianchettato il suo nome e ha scritto Maria Thea Quaglianetti.

Una sera l'uomo da cui era andata a vivere, l'ex carabinieri di Sassari, tenta di violentarla.

Lea raccontò come riporta Elisa Jobbine, il suo libro, che dopo aver bevuto, aver guardato

un po' del programma Ciao Darwin in televisione, era andata a letto.

Si era svegliata di colpo con l'uomo addosso.

Reagì, urlò, che cazzo stai facendo, mentre lui urlava a sua volta, sono pazzo di te.

Decise di andarsene, trova un giornale di inserzioni, c'era un annuncio.

Cinquantatrene divorziato, dinamico, l'ongilinio, casa propria, cerca compagnia piacevole Max Quarantenne,

per amicizia convivenza.

Poi si vedrà.

Milena Quagliani li telefonò e tutto ricominciò da capo.

Io mi chiamo Stefano Nanzi, faccio il giornalista da tanti anni e nel corso della mia carriera

mi sono occupato di tante storie come questa, quelle che nel tempo vi sono diventate familiari

e altre che potreste non avere mai sentito nominare.

Storia di Cronaca, di Cronaca Nera, di Cronaca Giudiziaria.

Il podcast che state ascoltando, sentito la indagini ed è prodotto dal post.

Vi racconterò ogni mese, una volta al mese, una di queste storie.

Tentando dimostrare non tanto il fatto di Cronaca in sé, il delitto in sé, ben sì tutto quello che è successo dopo,

il modo in cui si è cercato di ricostruire la verità, le indagini giudiziarie e i processi con le loro iniziative,

le loro intuizioni e loro errori.

Il modo in cui le indagini hanno influenziato la reazione dei media e della società

e il modo in cui media e la società hanno influenziato le indagini.

Il processo d'appello per l'omicidio di Mario Fogli è andato bene per Milena Cualdini.

È stata condannata a sei anni e otto mesi con la possibilità di scontare la pena agli arresti domiciliari.

Presentando il ricorso contro la condanna a quattordici anni ha ricevuto in primo grado,

la sua avvocata, Licia Sardo, aveva spiegato bene qual era secondo lei, la situazione della sua assistita.

Le dichiarazioni rese dall'imputata sono state erroneamente interpretate,

in modo tale da travisarne il reale significato.

Si pensa in particolare alla diversa valenza che è stata attribuita a due affermazioni estremamente significative

quali volevo solo spaventarlo e dargli una lezione e, vivendo da sola, avrei avuto meno difficoltà.

In altri termini, mentre per quanto concerne la prima affermazione all'imputata non viene ritenuta credibile,

al contrario si attribuisce alla seconda una valenza pregnante,

nel senso di desumere dalle sole parole della Cualdini l'esistenza in capo alla stessa della volontà di uccidere il marito.

L'affermazione della Cualdini può essere invece interpretata nel senso che la stessa

voleva certamente endurlo ad andarsene di casa, ma credeva di riuscirci soltanto spaventandolo,

senza peraltro arrivare a cagionarne la morte.

Certamente la morte di una persona non è la soluzione nulla in nessun caso.

Al tempo stesso però non bisogna dimenticare che la Cualdini cercò più volte di trovare una soluzione ragionevole,

cercando di separarsi dal marito sia formalmente sia di fatto.

Ma in entrambi i casi, in seguito alle minacce del marito, l'imputata era dovuta tornare su sue passi.

In conclusione, questa difesa ritiene pertanto che alla luce di quanto è sposto,

i fattori attenuanti del gesto criminoso siano prevalenti rispetto al fattore aggravante che, come sopra detto,

è inconfutabile sul piano giuridico, ma risulta pressoché svuotato del contenuto.

In tal senso le dichiarazioni della signora Cualdini non appaiono in alcun modo contraddittorie.

Il suo intento era quello di spaventare il marito e dargli una lezione tale da endurlo a lasciarla da sola, in pace.

Unico dato certo è che l'imputata, ormai in uno stato di assoluta disperazione,

voleva soltanto, almeno per una volta, dimostrare al marito la propria forza e determinazione in un subire più le sue angerie.

I giudici con la sentenza di appello eliminano le aggravanti.

L'accusa di reato passa da un miscidio volontario o un miscidio preterintenzionale.

Piene concesse all'attenuante prevista dall'articolo 62.2 del codice penale,

dell'aver agito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto al trui.

Come già detto, per poter scontare la propria pena agli arresti domiciliari è indispensabile avere un domicilio.

Milena Cuallini se ne va dalla casa di Bressana Bottarone, dove aveva affittato la stanza dell'uomo conosciuto alla Fondazione Magugeri,

ha risposto a un annuncio su un giornale.

Si è trasferita a Bascapè, sempre in Epavesi, a casa di un uomo che si chiama Angelo Porrello,

53 anni, di professione tornitore.

Porrello è da poco uscito dal carcere, ha scontato 6 anni di reclusione perché è ritenuto colpevole di violenza sessuale su minori.

Il 15 settembre 1999 Angelo Porrello va alla Stazione di Polizia di Bascapè,

compila un atto in cui certifica, io sottoscretto Porrello Angelo,

voglio che la mia compagna a Cuallini Milena rimanga presso la mia abitazione per tutto il tempo che lei ha ritiene opportuno, nel comune di Bascapè.

Milena Cuallini, quindi tra la fine di agosto e i primi di settembre 1999, era andata a vivere a casa di Angelo Porrello.

Lui la definiva la mia compagna.

Lei dirà poi magistrati inquirenti che non sapeva nulla di quell'uomo, non sapeva del suo passato, se l'avessi saputo non avrebbe mai risposto al suo annuncio.

In quel periodo Milena Cuallini continua a bere ed è ancora fortemente affetta da depressione.

Dice la ricercatrice dell'Università Cattolica di Milano, Antonia Sorge.

La letteratura psicologica in questo senso ci dice che tanto più le donne vittime di violenza si trovano in situazioni di precarietà, tanto più precarietà socioeconomica,

tanto più poi sono esposte all'azione da parte di costibili futuri predatori.

E' quello che poi di fatto è successo a Milena nel posto della vita, cioè è tentativo di riuscire a fronteggiare questo mondo vissuto in maniera pericoloso.

Lei ha tentato di aggrapparsi a quelli che in quel momento le offrivano un sostegno o un aiuto, ok?

Lei, stessa in alcuni fastaggi, poi in alcune dichiarazioni, ha dichiarato di avere riposto speranza nelle uniche possibilità che di fatto le venivano osperte.

I 5 ottobre 1999 a Bascapè di notte i carabinieri fermano un'auto fiat arregata bianca che gira per il paese.

La guida è una donna, mostra la patente militari, il nome è Maria Thea Quaglianetti.

La patente è visibilmente grottescamente contraffatta, dai controlli risulta che l'auto appartiene Angelo Porrello, residente a Bascapè, pregiudicato.

I carabinieri non ci mettono molto a scoprire che la donna si chiama Milena Quaglini,

che agli arresti domiciliari in seguito alla condanna per l'omicidio pretterintenzionale del marito.

Pretterintenzionale significa che si tratta di un omicidio che l'autore non voleva commettere.

L'autore non voleva insomma provocare la morte della vittima, ma causarli, comunque un danno, anche se minore.

La denunciano per evasione, se questa non la fiat arregata.

Milena Quaglini viene riportata a casa, da lì non deve muoversi in attesa di decisioni del magistrato di sorveglianza.

Due giorni dopo a Bressana Bottarone, i vigili del fuoco ricevono una telefonata.

È una donna che dice di aver dimenticato le chiavi di casa, chiede aiuto per rientrare.

L'abitazione è quella dell'ex-carabiniere che in quel momento era fuori casa.

Milena Quaglini stava tentando di entrare.

La donna però fa confusione e non riesce a dare una spiegazione logica, i vigili del fuoco chiamano i carabinieri.

Milena Quaglini questa volta rientra in carcere, in base alla disposizione del magistrato di sorveglianza di Pavia.

Viene rinchiusa nella sezione femminile della casa circondariale di Vigevano.

Casa circondariale non è sinonimo di casa di reclusione.

Nella prima ci sono detenuti in attesa di giudizio condannati a pene brevi o a fine pena,

mentre nella seconda possono esserci detti inuti destinati a scontare qualsiasi tipo di pena,

indipendentemente dalla durata.

Il 6 ottobre una figlia di Angelo Porrello ne denuncia la scomparsa.

È andata a casa del padre, si erano dati appuntamento ma lui non c'è.

La donna verde anche la madre è x-molle di Porrello.

Tutti pensano però in quei giorni ha un allontanamento volontario.

15 giorni dopo l'x-mollie torna a suonare alla casa di Porrello.

Con lei c'è una amica, si unisce Sorti anche un vicino di casa.

Girano attorno alla casa, poi si avvicinano alla Concimaia.

L'odore fortissimo, nausea bondo, capiscono e chiamano i carabinieri.

Angelo Porrello è completamente nudo, rannicchiato in posizione fetale.

Il corpo è, come certifica in medico legale, in avanzato stato di decomposizione.

Angelo Porrello ha un segno intorno al collo, ma per capire le cause della morte servirà l'autopsia.

I vicini non hanno sentito nulla.

Dicono però che ultimamente hanno visto Porrello in compagnia di una donna sulla quarantina,

mora, minuto, ben vestita, da descrivono così.

Anche la figlia dice che il padre le aveva parlato di una donna che era andata a vivere da lui.

Nella casella della poste i carabinieri trovano due lettere.

Una dice,

Signor Angelo, la sto cercando da diversi giorni ma non riesco a rintracciarla.

Ho telefonato giorni fa diverse volte, ma il suo telefono è muto.

O da lei, diversi oggetti personali, per favore si faccia sentire.

Le due lettere sono firmate da Milena Cuallini.

E la stessa donna, ora nel carcere di Vigevano, trovate a bordo dell'auto di Porrello.

In casa dell'uomo i carabinieri trovano nel letto dei capelli più lunghi di quelli di Porrello.

Vengono inviati per l'esame del DNA.

Viene anche trovato nella pattumiera avvolto in carta stagnola un salva slip.

E poi diversi blister di Halchon,

una benzo di azzepina utilizzata per i disturbi del sonno.

Anche nella casa di Bressana Bottarone dove la donna aveva vissuto prima di trasferirsi a Bascapè

e dove avviene una perquisizione, vengono trovati blister di Halchon.

Milena Cuallini viene indagata per l'omicidio di Angelo Porrello.

Qualche giorno dopo la sua avvocata, Licia Sardo, le chiede di raccontarle che cosa sia realmente accaduto.

Le dice l'avvocata, Milena alza la testa, scorta mi ti prego non piangere.

Per quanto sia brutto da dire un omicidio o un omicidio, ma due sono un problema.

Vuole dire che c'è qualcosa in te che non ti rende solo un'assassina, ma un caso clinico.

A quel punto Milena guardò l'avvocato, disse l'ho ammazzato, l'ho ammazzato io.

Dice Flaminia Bolzan, psicologa e criminologa.

La vittima può divenire carnefice.

In talvole situazioni non possiamo dire ad oggi, a mio avviso, ancora con assoluta certezza

che questo sia quello che è successo nel caso di Milena Qualini.

O meglio, è successo probabilmente, ma alla base di tutto questo c'era comunque una fracapatologia psichiatrica.

Davanti ai magistrati inquirenti alla sua avvocata, Milena Qualini racconta che cosa ha accaduto a casa di Angelo Porrello.

Dice che non è vero che stessero insieme, che a lei semplicemente serviva un posto dove stare,

mentre lui cercava una donna che, così le aveva detto, si prendesse cura di lui e della casa.

Un giorno Porrello arrivò con un regalo, le disse così, ho un regalo per te.

Nel pacchetto c'era una sottoveste, corta e trasparente.

Mettila, vatti vedere come ti sta, dice Porrello.

Lei non vuole si rifiuta, lui la prende per il collo, la colpisce.

E poi è inutile raccontare ciò che accadde.

Ciò che viene messo agli atti dai magistrati è la descrizione di una violenza, di più violenze, ripetute.

Quando riesce a uscire dalla camera Milena Qualini va in cucina, scioglie nell'acqua calda sei pastiglia base di un antidepressivo,

ansiolitico e ipnotico, il trazzodone.

Aggiunge gocce di un altro ansiolitico, mette tutto in un caffè zuccherato e lo porta Porrello.

Lui beve, poi vede in fondo alla tazzina un liquido di colore azzurrognolo, urla, la insegue per la casa, poi crolla.

Lei lo prende per le ascelle, lo porta in bagno, lo mette nella vasca, mette il tappo, apre l'acqua ed esce.

Va al bar, beve, quando torna l'acqua in tutta la casa, va in bagno, Angelo Porrello è morto.

Poco dopo lo prende, lo trascina nella concimaya, pulisce Allez, pulisceïsce casa, prende la macchina e va in giro tutta la notte.

Va a Bressana Bottarone, come abbiamo visto, non riesce a entrare nella casa dove ha vissuto con l'ex-carabiniere, quindi chiama i vigili del fuoco.

Milena Qualini ha confessato tutto, ha anche detto che ha scritto due lettera ad Angelo Porrello da Carcere per fare in modo che non sospettassero di lei.

Ecco cosa dice Elisa Giobbi.

Ha spiegato, in maniera molto dettagliata, anche in alcuni momenti verbosa, di soffrire di questo bisogna rivendicarsi per una vita in cui gli abusi sono stati costanti fin dall'infanzia con il padre.

Quindi io ci tengo a dire che chiaramente la mia contributo di autrice sicuramente non vuole andare nella direzione di una gestificazione di nessun tipo nei confronti di questa donna,

ma di un tentativo di comprendere quello che hanno portato una donna che in realtà appunto appariva a chiunque molto mite e gentile a commettere questi amicini.

Una domanda che viene fatta spesso è se Milena Qualini si fosse pentita di ciò che aveva fatto. Ancora Elisa Giobbi.

Io non credo si possa parlare di un vero proprio pensimento, perché Milena ha spiegato che in realtà lei era talmente esaperata insomma dalla vita che aveva vissuto e quindi da questi continui incontri, scontri con uomini di questo tipo, quindi uomini violenti, prevaricatori.

Angelo Corrello era un pedofilo, giusto dalla costa era uno usurario.

La storia di Milena Qualini viene spesso paragonata a quella di Eileen Wornos, una donna che in Florida, 3.989-1990, uccise 7 persone, 7 uomini.

Anche per lei in media inventarono un soprannome, di Iway Hooker, la descatrice dell'autostrada.

Alla sua storia è ispirata un film di 2003, Monster, con Charlize Theron.

Eileen Wornos era nata in Michigan in 1956, suo padre che poi si suicidò in carcere venne arrestato più volte per molesti e su minori.

La madre affidò a lei e suo fratello e a i nonni.

A 14 anni Eileen Wornos rimase in cinta e entrò in un istituto per ragazze madri di Detroit.

Ne usci lasciando il figlio in un istituto e iniziò a girare l'America, lavorò come prostituta.

A 15 anni l'arrestarono perché guidava completamente Brijak a un'autorubata, sparando fuori da un finestreno, con una pistola calibro 22.

Quando la liberarono torna in Michigan, sposò a un uomo, lo lasciò poco dopo.

Venne arrestata di nuovo, stavolta per Rapina.

Quando fu liberata, iniziò a portare con se ne la borsa una pistola.

Uccise il primo uomo il 30 novembre del 1989.

Dopo ne ammazzo altri sei, tutti bianchi, dietà compresa tra 40 e 50 anni.

In tribunale sostenne di essersi solo difesa da uomini violenti, alla gioria che la condannava Orlo.

Vi auguro di subire ciò che ho subito io.

Eileen Warners venne condannata a morte e uccisa il 12 ottobre 2002 con un'iniezione letale.

In realtà, di analogie tra Milena Collini e Eileen Warners, non ce ne sono, se non il fatto di essere convinte, di aver agito entrambe perché costrette dalla violenza degli uomini.

Dice Flaminia Bolzani.

In realtà, noi dobbiamo fare una distinzione da rispetto a queste due personalità,

perché è vero che probabilmente se analizzavola qualsiasi un piano superficiale,

l'acquandini sembra agire con i termini di una necessità dilendetta maturata anche sulla scorta di una litra istituzione.

Di fatto, vediamo che invece gli agiti dell'acquandini arrivano sempre nel momento in cui queste violenze aisodiando in vengono per pedrate,

ma in un momento specifico sull'impedo, quindi in assenza della premedidazione.

Ma Milena Collini è rientrare realmente nella categoria che criminologi individuano come assassini seriali?

Ecco, cosa ne pensa? Fabio San Vitale, giornalista investigativo e criminologo.

Milena Collini può essere definito una serie killer?

Sì, nel senso che non solo abbiamo un numero sufficiente di vittime che ricordiamo secondo la più recente definizione americana,

poi in realtà non credo di simposso internazionale, è di più di due vittime, cioè di almeno due vittime.

Secondamente, perché le vittime di Milena Collini sembrano essere tante quante collegate da un movimento espressivo,

cioè di qualche cosa che proveniva all'interno di lei.

Questo, diciamo, può far rientrare l'acquandini all'interno del discorso del viciglio seriare.

Secondo alcuni studi di criminologi americani, nello specifico Murder Most Race,

the famous serial killer di Keller and Keller, le assassine seriali uccidono in maniera minovolenta rispetto agli uomini e sono più difficili da individuare.

Statisticamente, ci vorrebbe il doppio del tempo per arrestare una donna serial killer rispetto a un uomo serial killer.

Le differenze sono anche altre, nelle donne serial killer non ci sono caratteristiche di sadismo né di perversione.

Qualcuno ha detto è come se andassero dritti al punto, efficienti e determinate, né risolvere il loro problema.

Esiste anche una classificazione che identifica le donne serial killer.

Anche in questo caso sono state date a queste categorie, forse in maniera semplicistica,

nomi che tendono alla spettacolarizzazione.

Lo spiega Fabio San Vitale.

Dobbiamo sempre pensare che queste categorie sono anche poi non totalmente impermeabili una dall'altra,

ma sono anche sovrapponibili eventualmente, non dobbiamo stare a queste cose troppo rigidamente.

Una è la vedovanera che uccide sistematicamente mariti, amanti e altri membri della famiglia.

Agisce generalmente per un interesse gonomico e, siccome queste omicili sono spalmati nel lungo periodo,

questi sono anche difficili poi da rimettere insieme e capire che c'è un unico caso.

Un altro è il cosidduangelo della morte, che posserebbero l'infirmiere killer,

uccide quindi sistematicamente persone affiliate alle sue cure.

Qui la spinta principale sembra essere invece un io o un nepotente di un bisogno di dominio e controllo

o di far venire che sia capaci, che sia presenti, che sia in grado di fare le cose.

La predatrice sessuale è una categoria rara, perché è una categoria, diciamo, che nelle donne si mostra poco,

così come è piuttosto rara anche la vendicatrice che uccide generalmente per motivi di celosia

o di lendetta, generalmente all'interno della famiglia. Piuttosto diffusa invece il caso, per esempio,

di Dorothea Puente, dell'estate Unite, l'assassina per profitto, che uccide per un guadagno economico

e colpisce persone estranea alla sua famiglia. Qui quello che era un vecchio uso del veleno

può diventare per esempio il busso dei moderni psicofarmaci.

E questa è una omicila molto organizzata. Raro anche che l'assassina a maniera imprevabile,

la serial killer donna possa uccidere in gruppo. Cioè, per esempio, possa essere la spalla,

come è successa Carol Bundy negli Stati Uniti, o come è successo nel caso di Michel Rourdiei in Francia,

possa essere una spalla di un uomo serial killer. Qui possono entrare in campo anche motivazioni di natura sessuale.

Poi può esserci anche un'assassina psicotica, quindi che ha un delirio, che ha un allucinazione

e a quel punto diventa difficile di riuscire a trovare il movimento perché chiaramente

gli elolicili vengono commessi in maniera del tutto casuale.

Era sicuramente l'assassina per profitto, la più raccontata tra le omicide seriali italiane,

Leonardo Cianciulli, ribattezzata negli anni 40, la saponificatrice di Correggio.

Uccideva le sue vittime per entrare in possesso dei loro beni.

Al processo sostenne però che lo aveva fatto perché aveva sognato la Madonna che le diceva di uccidero una persona

per ognuno dei suoi figli che altrimenti sarebbero morti. Le sue vittime furono tre.

In precedenza, tra morti spontanei e morti premature, Leonardo Cianciulli aveva perso otto figli.

La chiamare non l'assapo unificatrice perché, equiparticolari, sono per forza di cose macabre,

scioglievi i corpi delle sue vittime nella soda caustica e poi con allume di potassio e resina vegetale ne faceva saponette.

Milena Qualini non rubò mai nulla alle sue vittime e ne parlò di istruzioni ricevute da entità superiori.

Semplicemente diceva che la sue era stata una difesa che non aveva nessun interesse né volontà di uccidere.

Lo aveva fatto perché la vita l'aveva condotta col punto.

O meglio, diceva, l'avevano condotta col punto gli uomini che aveva incontrato.

Ecco cosa disse Aline Adombra, immagistrato che la interrogò Mauro Vittiello.

Gli elementi indiziari a suo carico raccolti erano parecchi, significativi,

per cui dopo una prima fase di interrogatorio che durò un paio d'ora in cui lei continuò a negare la sua responsabilità,

si fece una pausa, lei parlo col suo avvocato difensore che probabilmente beve un ruolo anche nel cercare di convincerla a confessare la sua responsabilità.

E alla ripresa dell'interrogatorio confessò di aver ucciso Angelo Porrello con le modalità che poi corrispondevano sostanzialmente a quelle che erano le risultanze delle indagini.

Il primo dicembre 1999, nel pomeriggio, dieci giorni dopo aver confessato l'omicidio di Angelo Porrello,

Milena Qualini incontra nuovamente i sostituto procuratore.

Esordisce così, sono qui per dire che questa storia non è iniziata con mio marito, Mario Fogli.

C'è un'altra cosa di cui devo parlare, è la storia, digiusto dalla pozza.

È il pensionato di Este, la cui morte, nel 1995, era stata archiviata come morte accidentale.

Milena Qualini racconta, dice che l'era piaciuto molto stare a Este, che gli aveva trovato un po' di serenità dopo essere scappata da suo marito,

che dipingeva molto e che anche giusto dalla pozza l'era sembrato gentile, una brava persona.

L'aveva incontrato in gelateria, lui le aveva offerto un gelato, l'aveva offerto anche alle bambine.

Quando andò per la prima volta a casa sua per fare le pulizie, lui le diede una busta.

Conta, conta, le disse, c'erano quattro milioni di lire.

Poi un giorno mentre lei stava sierando si accorse che l'uomo seduto in poltrona, la guardava intanto si toccava.

Non se ne andò, avrebbe dovuto farlo, disse, ma non lo fece.

Poi dalla pozza inizio a chiederle baci, a dire frasi come ho la mia età ma ancora me la cavo.

Poi il 27 ottobre 1995 la prese per un braccio e la trascino verso il letto.

Le reagì, disse, ma cosa fa signor Giusto, mi lasci.

Lui rispose così, ti ho dato quattro milioni, o mi alliri dai 500 mili a lire al mese, o mi ripaghe in altro modo, scegli.

Milena Qualini prende la lampada sul comodino e colpisce giusto dalla pozza.

Lo colpisce finché lui non cade a terra.

Poi esce, va nella palestra dove fa le pulizie.

Torna a casa si cambia, le 18 torna da Giusto dalla pozza.

Lui a terra, ma non è dove lei l'ha lasciato.

Li sente il polso ancora vivo, allora chiama l'ambulanza.

Questa è la storia di Milena Qualini, ha ucciso tre persone.

Dovrai essere processata per gli omicidi di Angelo Porrello e Giusto dalla pozza.

È in attesa della pronuncia della corte di Cassazione sul processo per l'omicidio di suo marito Mario Fogli.

In carcere viene sottoposta un'altra perizia psichiatrica.

La incontra è il professor Gianluigi Ponti, docente di criminologia e psicopatologia forense dell'Università di Padova.

A richiedere la perizia è questa volta tribunale di Padova, dove la donna verrà giudicata per la morte di Giusto dalla pozza.

È con estratto della perizia.

Ho incontrato Milena Qualini nel maggio scorso per conto del tribunale,

trovandola ben curata nell'abbigliamento nella persona, lucida, ben partecipe e normalmente orientata.

Molto disponibile a parlare della sua vita e anche dei tre delitti con un elocchio molto articolato, ricco e semmai fin troppo esuberante.

Anche se spesso si distrae e improvvisamente cambia argomento per finire spesso e volentieri a parlare di pittura.

Anche mentre sta raccontando i dettagli degli omicidi, certe casuali associazioni di idee la portano a parlare di quello che sta dipingendo.

Comunque l'ho trovata relativamente serena.

Mi è passo che in carcere si trovi bene, che abbia fatto amicizia con gli agenti di custodia e che abbia ricominciato di pingere.

L'unica cosa che mi pare le dispiaccia è non riuscire a vedere i propri figli.

Anche per il suo futuro mi è parsa relativamente tranquilla, come se ritenesse in fondo che quello che è accaduto non sia stata colpa sua, ma colpa delle circostanze, colpa dell'alcol, colpa degli uomini che la picchiavano e la violentavano, e non soltanto le sue vittime.

All'epoca della Commissione dell'Uxoricidio, come pure quando attuoglie altri omicidi, Milena Quaglini era affetta da dipendenza alcolica e, da altra, sintomatologia psicopatologica, dovuta, secondo i criteri scientifici, la terminologia medica, a disturbi indotti da alcool, in altri termini a cronica e intossicazione alcolica.

Tale condizione morbosa all'ora in atto configura in fermità idonea a scemare grandemente, pur senza escluderla, la capacità di intendere e di volere.

La scomparsa delle manifestazioni psicopatologiche renderebbe la Quaglini nella prospettiva psichiatrica non più socialmente pericolosa,

ma tenuto conto delle vicende della sua vita, della durata e della gravità della pregressa dipendenza alcolica, delle molte recidive e della fragile struttura di personalità, non può, allo stato, escludersi, con certezza o con giudizio di semplice probabilità, il rischio di future ricadute nell'abuso di alcool.

Il Professor Ponti sottolinea che Milena Quaglini non sembra aver nessuna preoccupazione per il suo futuro processuale.

In sostanza è convinta di non avere colpe, di aver agito essendo dalla parte della ragione.

La perizia si conclude dicendo che l'imputate affetta da vizio parziale di mente, non una totale incapacità.

Dice Elisa Giobbi

La vicenda di Milena Quaglini poi in seguito al domicilio del marito, quindi l'uxericidio un po' si complica, perché appunto viene fuori poi l'omicidio porrello, che da questo emerge anche un mistero che è allegato a questa figura,

il motivo per cui lei in qualche modo andasse anche a cercare figure di questo tipo, quindi uomini violenti, perché lei da Angelo Porrello decide di andare a scontare gli arresti domiciliari, che appunto le aveva fatto avere il suo avvocato difensore.

Quindi diciamo che è un caso anche che presenta alcune contraddizioni e alcune zone grigie. La giustizia lo ha capito almeno fino a un certo punto, sicuramente quello che appunto aveva passato Milena.

Per l'omicidio digiusto dalla pozza, Milena Quaglini viene condannata nel febbraio 2001, in primo grado, a un anno e otto mesi di reclusione per eccesso colposo di legittima difesa.

È previsto dall'articolo 55 del codice penale che dice che quando ne compiere alcuni fatti, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine dell'autorità, ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti di elitti colposi.

L'eccesso colposo c'è quando viene meno la giusta proporzione tra offese e difesa. L'omicidio colposo è quando si causa la morte di una persona, senza che ci fosse l'intenzionalità.

In sostanza i giudici dicono che Milena Quaglini ha reagito a un'aggressione di dalla pozza e ne ha causato la morte senza averne l'intenzione.

È diverso dall'omicidio pretereintenzionale che prevede comunque la volontà di provocare un danno. L'omicidio è colposo quando manca proprio la volontà di commettere un reato.

La pena di un anno e otto mesi si suma agli anni che ancora deve scontare Milena Quaglini per l'omicidio del marito, Mario Foglio. Ma c'è ancora un terzo processo, quello per l'uccisione di Angelo Porrello.

Sui giornali che raccontano dell'omicidio, ormai Milena Quaglini è diventata la Casalinga serial killer.

È strano pensarci, ma se la definizione di serial killer a base scientifiche e razionali aveva ucciso tre uomini, quella di Casalinga non si sa da dove sia nata.

Milena Quaglini aveva sempre lavorato in negozi, palestre, supermercati, uffici, finché l'alcolismo gli aveva permesso e prima degli arresti. Quindi perché Casalinga?

In carcere a Vigevano dipinge molto, ha fatto amicizia con alcune detenute. La giustizia ha dimostrato quella che possiamo definire una certa comprensione, valutando bene le circostanze in cui i delitti sono avvenuti.

Da una parte ci sono le violenze subite, dall'altra lei ha ucciso e lo ha confessato, sono fatti e su questo che i giudici si sono trovati a decidere.

Milena Quaglini, se la Corte d'Appello confermasse l'anno 8 mesi deciso per il delitto dalla Pozza e la Corte di Cassazione confermasse i 6 anni per l'omicidio di Mario Fogli, non dovrebbe rimanere in carcere a lungo.

Ma c'è, appunto, ancora il processo per l'omicidio di Angelo Porrello. Viene stabilito di sottoporre la donna a una nuova perizia psichiatrica.

Viene incaricato un neurologo e docente di criminologie e psicopatologia forenze delle Università Sapienza di Roma, Maurizio Marasco.

La terza perizia è diversa dalle due precedenti. Marasco incontra Milena Quaglini il 9 maggio 2001.

Annota che il coaziente intellettivo della donna è 115, quindi sopra la media e che parla spesso di sé stessa in terza persona.

Per il professore, Milena Quaglini ha un disturbo borderline di personalità che ha compromesso la sua capacità di giudicare sé stessa.

Però, dice Marasco, l'alcolismo non può essere in alcun modo considerato un attenuante. La sua mente ragiona bene, la sua capacità di agire intatta.

Insomma, è vero che Milena Quaglini presenta anomalie del carattere e alterazioni attrati della personalità,

ma è anche vero che quando ha ucciso Angelo Porrello era assolutamente lucida, consapevole che in quel momento stava uccidendo un uomo.

Le motivazioni di quel gesto sono assolutamente chiare anche dopo dice il professore non commette atti inquarenti.

Cerca di costruire Sionalibi, anche articolato scrivendo due lettere a Porrello.

In modo in cui cide, dice la Perizia, suggerisce dependsi tutt'altro che uno stato psicopatologico.

È vero che ha agito di impulso e che si rende conto delle conseguenze di ciò che ha fatto solo quando l'omicidio è stato consumato,

ma ciò non toglie il fatto che si è un'assassina, quando uccide sembra spinta da una furia vindicativa.

Milena, secondo Marasco, ogni volta che puniscia gli uomini è come se punisse il padre, ed è comunque totalmente capace di intendere di volere.

E questa è la perizia che sarà presentata al processo.

Dice Flaminia Bolzane

Ancora ad oggi diverta difficile chiarire se effettivamente lei ha agito sulla scorta di un impulso, di una necessità di vendetta,

oppure nell'ambito di quella che era la costruzione di una sua realtà e di una sua modalità reattiva.

Allora è vero che talvolta le vittime possano di venire a loro volta carnetici, e questo avviene anche in una casistica differente.

Quindi quando parliamo di abusi sessuali sui minori che poi a loro volta crescendo diventano abusatori,

e quindi tendono a riproporre e a porre nuovamente in estra nei confronti degli altri quelle violenze che sono state subite.

Nel caso della gualdini probabilmente non è solo indesiderio la necessità di vendetta,

o addirittura la necessità di, come era stato sostenuto dal Professor Marasco nell'ultima perizia psichiatrica,

di rappresentare se stessa attraverso quegli agiti e quindi di rappresentare anche la sua persona nei termini di un potere riacquisito,

ma probabilmente un qualcosa che aveva a che fare con un'aggressività che invece di essere autodiretto a etero direto,

quindi direto verso l'esterno, verso l'oggetto che in quel momento, come la persona in quel momento aveva perpetrato ai suoi danni una violenza,

appunto c'è stata un'aggressività incontrollata.

Questo rimane a mio viso ancora un nodo da chiarire nel senso che essendo ci stata tra l'altro una distonia tra queste due perizie,

una che la detiene se mi ferma e l'altra che la detiene sana, ma che ha agito appunto sulla scorta di questo,

rimane una nemmulosa e purtroppo non sarà possibile per oggi motivazioni, essendo Milena Wendy Nimorta, a chiarire profondamente questo aspetto.

Il processo per l'omicidio di Angelo Porrello inizia a Pavia il 24 settembre 2001.

Milena Cuaglini è presente in aula.

La perizia psichiatrica a cui è stata sottoposta sossiene che quando uccise Porrello era assolutamente capace di intendere di volere,

che era lucida e che l'ha fatto per vendetta.

I pubblico ministero nell'interrogatorio della donna è deciso a dimostrare che ci sia stata premeditazione.

Dice che quando Porrello era a terra sordito dai farmaci, lei avrebbe potuto fermarsi, avrebbe anche potuto chiamare i soccorsi, impedirne la morte,

che non c'è stato un eccesso di legittima difesa in questo caso.

Non è stato nemmeno un atto punitivo che poi è finito male.

Milena Cuaglini voleva uccidere.

Il fatto che poi lei abbia scritto lettere da carcere per crearsi un alibi dimostrebbe che tutto era già stato pensato, tutto appunto premeditato.

Lei risponde alle domande del pubblico ministero, parla lungo, dice

L'ho ucciso ma non volevo farlo morire, non avevo nessuna ragione.

Motivo, forse, motivo perché mi avevo usato violenza, perché ero stufa di queste violenze, perché sono stufa marcia,

perché è una vita che va davanti così, perché quando qualcuno reagisse male io reagisco peggio, perché ero stanca.

Ero passata dalle botte in famiglia, alle botte del marito, alle botte della gente che non conoscevo neanche, non ne potevo più di essere picchiata.

Basta, basta, basta.

Che motivo avevo di uccidere quell'uomo se non ero uno schifoso, un maiale, un bastardo come tanti altri che ho trovato per strada?

Non ne ricavavo niente dalla sua morte.

Ero già in galera cosa ci ricavavo, dieci anni, venti anni, mi sarei fatta l'ergastro.

Cosa ci ricavavo secondo voi, cosa ci ricavavo?

Forse un'eredità per me, forse una casa per me, forse dei soldi per me, niente.

Ero semplicemente stufa di correre da sola come una pazza, da sola per tutta la vita.

Disse pubblico ministero Vitello, ricordando quella deposizione.

Fu una deposizione caratterizzata da momenti di una certa intensità, direi, anche drammatici.

Per il giorno è l'ultimo, in cui Milena Cuallini compare in tribunale.

Alla tesi dell'accusa l'avvocata Sardo ribatte dicendo,

i motivi degli omicidi di Milena Cuallini non sono l'alcol e l'esasperazione, ma l'alcol e l'esasperazione.

Ti possono indurre a fare cose folle, allucinanti.

Le botte prese, le umiliazioni subite, la paura del futuro, tutto il dolore patito,

possono farti esplodere in un momento di follia, creando un cortocircuito fatale.

Intanto in carcere, qualcuno si preoccupa.

Il medico della casa circondariale di Vigevano scrive questa nota.

In occasione della visita medica si consiglia di tenere aperto il blindato notturno per la detenuta a Cuallini Milena,

affetta da psicosi e claustrofobia, fino alla visita neurologica, precedentemente prescritta dal medico di Guardia.

Il blindato, o blindo in gergo, è la porta pesante che viene chiusa nelle ore notturne,

quella con solo lo spioncino, mentre la tapporta della cella e quella con le grate verticali.

Nella notte del 16 ottobre Milena Cuallini si impica con un lenzuolo alla grata della finessa della cella.

La trova una Guardia Carceraria a l'une 30 e ancora viva, muore alle due quimici.

Dice Antonia Sorge.

Le persone che entrano in carcere sono valutate attraverso il servizio di appoglianze e servizio nuovi giunti,

allo scopo di valutare il rischio suicidario autolesivo della persona.

In base al livello di rischio che si intercetta, vengono disposte tutta una serie di misure

che consentono di tenere sotto controllo la situazione.

Questo però ha dei margini di intervento di possibilitana.

Il caso di Milena per esempio, lei era attenzionata, tanto è vero che la gente che poi ha effettivamente trovato Milena

l'ha trovata ancora viva e dal primo al secondo controllo che erano stati effettuati erano passati all'incirca 40 minuti,

quindi questa donna era effettivamente molto attenzionata, ovvero non era una questione di controllo,

cioè pare in modo che le persone non abbiano il tempo o lo spazio per compiere gessi e treni,

ma fornire gli strumenti adeguati a queste persone per far sì che non c'era niente,

neanche a tentare di poter vedere nel quesidio l'unica alternativa possibile alla risoluzione del chisaggio.

E questo è possibile solo ed effettivamente se si comincia a pensare ad un carcere di formato

che prevede da quindi innanzitutto la possibilità proprio di pensare che all'interno degli uavi di intenzione

possa essere preso in carico il disagio psichico delle persone e questo passa attraverso un incremento del personale

nelle carceri, la situazione dal punto di vista proprio ai tutti i livelli, quindi personale amministrativo,

direttori con l'inizia penitenziaria, psicologi, psichiatri, ed è tutto insufficiente rispetto alla popolazione detenuta,

i numeri della popolazione detenuta, ma anche attraverso la valorizzazione del lavoro svolto da questi operatori

perché se andiamo a vedere quali sono i contratti o comunque le ore di lavoro che l'amministrazione o comunque il ministero

mette a disposizione per queste vivure professionali non si rimane abbastanza valorditi perché in media

una persona detenuta può usufluire di circa 10 minuti di assistenza psicologica e psichiatrica a settimana

che è un tempo veramente insufficiente per poter prendere in carico concretamente il titaggio di queste persone che tra l'altro

sta aumentando in maniera esponenziale nelle carceri di disazio psicologico e tempo più raffentato rispetto al passato.

Finesce così la storia di Milena Collini. Pochi giorni prima di uccidersi aveva scritto alla sua avvocata che riusciva a stare bene

e solo a letto immobile ma che il cervello non si calmava mai. Pensava con Angoscia al 24 ottobre

giorno in cui il processo sarebbe ripresa e Tribunale dei Minori li aveva tolto definitivamente la responsabilità genitoriale

sulle sue due figlie. Con la morte di Milena Collini si chiude il processo, lo stabilisce circogio l'articolo 69 del codice di procedura penale

con la morte dell'imputato cessa sia il processo penale sia quello eventuale civile collegato.

Ha detto l'avvocata Sardo, intervistata da Elisa Jobbi per il suo libro. Milena era una personalità problematica, molto intelligente e sensibilità ordinaria.

Credo che fosse cosciente del problema che l'affliggeva e c'è lo sdoppiamento della personalità, parlava degli omicidi in terza persona, non diceva ho detto fatto, ma Milena ha detto Milena ha fatto.

L'ultima domanda dell'intervista l'avvocata Sardo è questa, davvero pensa ci siano state altre vittime di Milena?

Non è che lo penso, ne sono sicura e la risposta.

Vennero svolte indagini, nei luoghi dove aveva vissuto Milena Collini, in particolare su alcuni casi e risolti di omicidio di uomini.

Sindago a lungo su un caso ayesi, nelle Marche, la morte di un pensionato, non vennero mai trovati riscontri.

Non sapremo mai se i giudici avrebbero considerato premeditato l'omicidio di Angelo Porrello.

Se avrebbero giudicato Milena Collini incapace, anche solo parzialmente, di intendere o di volere, o se, al contrario, avrebbero applicato l'aggravante della premeditazione.

Se nel corso della sua vita Milena Collini abbia ucciso altri uomini, è una domanda la quale non c'è e quasi certamente non ci sarà mai.

Risposta

Avete ascoltato la seconda parte di indagini sulla storia di Milena Collini.

Trovate la prima parte e tutte le altre storie sull'app del post e su tutte le principali piattaforme di podcast.

Indagini è un podcast del post scritto e raccontato da Stefano Nancy.

In questa puntata di indagini si parla di un suicidio. Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112.

Se tu o qualcuno che conosce a dei pensieri suicidi, puoi rivolgerti al telefono amico.

Il servizio di aiuto telefonico raggiungibile chiamando lo 02-23-27-23-27 o scrivendo su WhatsApp al 324-01-17-252.

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Il 2 agosto 1998, domenica, alle 15.50 una donna telefona alla stazione dei carabinieri di Bascapè, in provincia di Pavia. Dice: «Venite, ho ucciso mio marito». Il corpo dell’uomo è sul balcone, avvolto in una coperta e nascosto da un tappeto. La donna ha ucciso il marito la sera prima, al termine di una lite. Entrambi, come facevano con continuità, avevano bevuto molto. In casa c’erano le due figlie della coppia che non si erano accorte di nulla.
Poi quella donna uccise ancora. Si scoprì che aveva ucciso anche in precedenza: sempre uomini violenti, che l’avevano maltrattata, l’avevano violentata o avevano tentato di farlo.
Quella donna si chiamava Milena Quaglini, i giornali la chiamarono la vendicatrice del pavese o la casalinga serial killer.
La sua è una storia di violenza, subita e inflitta, di tre omicidi che la Giustizia italiana considerò in maniera diversa nei tre gradi di giudizio e di come anche le perizie psichiatriche diedero risultati diversi l’una dall’altra. Tutte le perizie però concordarono su un punto: Milena Quaglini non dimostrò mai nessun pentimento: considerò quello che aveva fatto come una conseguenza logica di ciò che aveva subito fin dall’infanzia.
Sulla sua storia, sulla sua reale lucidità quando commise i delitti, sull’effettiva capacità di intendere e di volere e su quanto la dipendenza da alcol abbia influito sulle sue azioni restano ancora molti dubbi, tante domande che non potranno mai avere risposta. E resta una domanda senza risposta anche se Milena Quaglini, nella sua vittima, abbia ucciso anche altri uomini, oltre ai tre accertati dalle indagini.

Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi