Indagini: Novi Ligure, 21 febbraio 2001 - Prima parte

Il Post Il Post 3/1/23 - Episode Page - 40m - PDF Transcript

C'è una frase che racconta questa storia. La pronuncia è una ragazza di 16 anni.

È ferma ai piedi di una scala che porta al piano di sopra della casa dove vive con i genitori e con il fratello.

Attorno a lei c'è molto sangue, gli oggetti sono in terra, c'è un tavolo sfondato.

Di sopra, in bagno, l'acqua continua a scorrere, sta riempiendo la vasca, ma il rumore non si sente perché c'è musica al massimo volume.

Il suono copre tutto.

C'è un'altra persona in piedi, a pochi metri da lei. È un ragazzo, è poco più grande, ma a meno di 18 anni.

Sta andando verso la porta di casa velocemente e a quel punto che lei pronuncia la frase.

Il ragazzo racconterà poi che quelle parole furono dette con rappia.

Ma che fai, te ne vai? E mio padre, non lo ammazziamo?

Ci sono storie che non riusciremo mai a capire. Sapremo il nome dell'autore di quel determinato delitto.

Conosceremo come ha colpito, con quale arma, che movimenti ha fatto.

L'analisi delle tracce sulla scena del crimine ci potrà raccontare ogni singolo movimento.

Le macchie di sangue, la loro forme e grandezza, ci spiegaranno come una persona è stata uccisa,

a che altezza era il braccio che sparava o che colpiva con un colpello.

Sapremo anche la strada fatta per fuggire, da che parte è andato chi ha commesso quel diritto.

Potremmo ricosuire tutto dal primo istante all'ultimo, ma ciò che non capiremo mai è perché si è successo.

Che cosa c'è stato prima di quell'istante? Quanto è durato il prima? Che cosa non abbiamo capito, visto, ascoltato?

Sui giornali leggeremo magari di un raptus omicida, ma parlare di raptus omicida significa poco, anzi non significa nulla.

Sono parole che usano in media, che usiamo noi normalmente, non le psichiatri e le psicologi.

Il DSM, cioè il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, redatto dall'Associazione Americana di Psichiatria,

contempla circa 370 disturbi, 370 psicopatologie.

Nel termine raptus non esiste.

È una parola che in qualche modo de responsabilizza come se l'azione fosse separata dall'individuo.

Oppure, istintivamente, meccanicamente, cercheremo le responsabilità lontane da noi, estranee.

In questa storia, il Procuratore della Repubblica arriva sulla scena di crimine disse,

io non credevo che potesse esistere tanta crudeltà, e dicendolo pensava a uomini feroci,

delinquenti abituali venuti chissà da dove e scappati chissà dove.

Dirà la professoressa Isabella Merzagora, docente di criminologia che per anni ha lavorato nelle carceri.

I cattivi esistono, mica sono tutti matti. Esistono e come.

Non capiremo mai la storia del delitto di Novi Igore.

Non capiremo che cosa abbia spinto due adorescenti, Erika De Nardo e Mauro Favaro, chiamato da tutti omare,

a colpire con decine di coltellate la madre e fratello di lei.

Erika De Nardo aveva 16 anni, Mauro Favaro ne aveva 17.

Di loro hanno parlato per mesi, anni, le trasmissioni televisive.

I periti hanno stilato centinaia di pagine di relazioni psicologiche.

Hanno scritto che quella dei due ragazzi era una macchina d'amore trasformatasi in una macchina di morte,

in quanto essendo sia malata per sopravvivere ha compiuto un gesto estremo,

l'unico che avrebbe potuto garantirle una sorta di eternità.

I giudici descrivono il rapporto tra i due ragazzi come passionale, morboso e onnipotente.

Ha detto la pubblico ministero Livi Alocci che indagò su quel delitto.

I motivi più profondi di quanto accaddevano cercati nel rapporto che Erika aveva con i propri genitori e soprattutto con sua madre.

C'erano già campanelli dall'arme che non sono stati raccolti perché le relazioni erano molto orizzontali.

Non c'erano una comunicazione autentica.

C'erano dei tentativi da parte di questa mamma di aprire un dialogo che però riuscivano inadeguati allo scopo.

Per esempio, sul diario di scuola di Erika abbiamo trovato delle frasi che la mamma aveva scritto per la figlia.

Erano tratti dalla Bibbia.

Era difficile che questi due mondi si toccassero.

L'articolo 98 del codice penale dice

è imputabile che, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i 14 anni, ma non ancora i 18,

se aveva capacità di intendere e di volere.

Per i minori la capacità di intendere e di volere in relazione al reato compiuto deve essere sempre accertata,

mentre per gli adulti imputati di un reato è presunta.

È il presupposto indispensabile allo svolgimento di un processo che riguarda i minori di 18 anni.

Prima bisogna rispondere alla domanda.

Quella 16 anni, quelli 17 anni, erano in grado di intendere e di volere, erano maturi?

Solo se a questa domanda viene risposto sì, il minore di 18 anni sarà processato.

Ma questa storia ci spiega anche come sia difficile stabilire confine tra immaturità e maturità.

Al termine del processo, dopo aver letto la sentenza, i giudici si rivolse a Erika De Nardo e a Mauro Favaro.

Disse, ricordatevi, la vostra vita non finisce

Prima di arrivare a quella sentenza, a quelle parole, bisogna però tornare al 21 febbraio 2001.

È inverno, è buio, e in una strada di novi ligure c'è una ragazza con i piedi nudi sporchi di sangue, piùrla e chiede aiuto.

Io mi chiamo Stefano Nanzi, faccio il giornalista da tanti anni e nel corso della mia carriera mi sono occupato di tante storie come questa.

Quelle che nel tempo vi sono diventate famigliari e altre che potreste non avere mai sentito nominare.

Storia di Cronaca, di Cronaca nera, di Cronaca giudiziaria.

Il podcast che state ascoltando, sentito la indagini ed è prodotto dal post.

Vi racconterò ogni mese, una volta al mese, una di queste storie.

Tentando dimostrare non tanto il fatto di Cronaca in sé, il delitto in sé.

Ben sì tutto quello che è successo dopo, il modo in cui si è cercato di ricostruire la verità.

Le indagini giudiziare e i processi con le loro iniziative, le loro intuizioni e loro errore.

Il modo in cui le indagini hanno influenziato la reazione dei media e della società.

E il modo in cui i media e la società hanno influenzato le indagini.

Novi Ligure è una cittadina piemontese di 22.000 abitanti.

Una di quelle che vengono definite cittadine ricche del nord, con una solida tradizione industriale.

Alessandria è distante una ventina di chilometri.

La sera del 21 febbraio 2001, un mercoledì, allora vicino c'è una ragazza che cammina ai lati di una strada e a piedi nudi.

Agita le braccia per fermare le auto, ma queste proseguono, vanno oltre.

Solo una macchina si ferma, scendono due donne, una madre e una figlia.

La ragazza dice solo, hanno ammazzato mia mamma e mio fratello. Forse gli assassini sono ancora in casa.

Lei si chiama Erika Denardo, compierà 17 anni il 28 aprile.

Le due donne la fanno sedere in un bar poco distante e avvertono i carabinieri.

Lei continua a dire, hanno ammazzato mia mamma e mio fratello.

Lo ripete meccanicamente, poi dall'indirizzo via Don Beniamino da catra 12 nel nuovo quartiere, l'Odolino.

I carabinieri vanno e entrano. C'è molto sangue.

In cucina c'è il corpo di una donna e la madre di Erika Denardo si chiama Susanna Cassini, la chiamano Susi.

Ci sono ormeda per tutto.

Il tavolo da pranzo, come scrisse Luciano Garofano, allora capo del RIS reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri, è collassato su se stesso.

La donna è stata colpita da 40 coltellate.

Al piano di sopra, nella vasca da bagno col madacqua, c'è il corpo del fratello di Erika Denardo, Gianluca, 11 anni.

Anche al piano di sopra ci sono impronte e segni dappertutto.

Sulle scali i carabinieri notano qualcosa di strano.

Sono grumi di una sostanza celeste. Si scoprirà che è veleno per topi.

Gianluca Denardo è stato colpito con 57 coltellate.

Sono informazioni difficili da ascoltare e assimilare.

Servono però a far capire perché le indagini presero una direzione, perché nessuno all'inizio capì, anche se poi a posteriori.

Tutto sembrava così evidente.

Quando il Procuratore Capo di Alessandria, Carlo Carlesi, entrò nella casa, si sentì male.

All'uscita disse al TG1 queste parole.

Sono tratti dalla serie delitti di History Channel.

È un commento duro di ciò che aveva appena visto.

Può essere difficile da ascoltare.

La testimonianza del Procuratore Capo dura 30 secondi circa.

È una cosa di una feroce senza limite praticamente, senza senso.

Gli episodi più feroci che abbia visto in vita mia, senza scopo non esiste.

Staglio nella spalla e poi ha diverse strane, un cacchiatore come non parlo di serviti, ma insomma ci assomigliano molto.

A coltellato?

Eh beh.

Fuori dalla villetta color salmone a due piani di Via Decata a 12, inizia a radunarsi gente.

Molti urlano contro il sindaco che è arrivato.

Lo accusano di non occuparsi della sicurezza dei cittadini, di non fare nulla contro i delinquenti.

In molti hanno già individuato i colpevoli.

Sono stranieri, non possono che essere loro e una storia già sentita.

L'ha detto anche Erika Denardo, d'altra parte.

Dice che quella sera è tornata a casa ed entrando ha incrociato il padre Francesco che stava uscendo per una partita di calcetto.

Lui le dice, non appare chiare per me, ho già mangiato qualcosa.

Poi sono tornate la madre e fratello.

Susi Cassini era in palestra e la stessa doveva la figlia a fare kickboxing.

La madre è passata a prendere il figlio piccolo Gianluca che era giocare a basket.

Erika dice che quando la madre e fratello sono rientrati in casa, lei è andata al piano di sopra in camera sua.

Si è gettata sul letto e ha acceso lo stereo ad altissimo volume.

Poi a un certo punto ha sentito qualcosa. Urla, due tonfi.

Aperto la porta di camera ha sentito il fratello gridare.

Ecco il suo racconto.

Erano in due, uno con la barba bianca corpulento sui 100 kg, l'altro giovane sui 25 anni.

E cos'ultimo che mi è inseguito giù per le scale, era invasato, avevo il coltello in mano.

Mi stava per raggiungere quando l'ho colpito a ferrando una bottiglia in vetro nella tavernetta.

Poi da lì sono scappata in strada.

Carabinieri e porcoratore pensano a una rapina non riuscita.

Ancora Carlo Carlesi, al TG1, tratto dalla serie di story channel.

Cercava di rapinare.

Hanno visto poi delle gente, magari hanno fatto spauriti.

Ci sono anche delle gente crudere in quella maniera lì al mondo.

Certamente ci sono due morti.

La casa sembra un matatoio pieno di sanca.

La madre si è presa subito la coltellata in pazza

e ha detto che la figlia è scappata.

La figlia è scappata per tutta la casa e si è la fatta.

Tra la folla, fuori dalla villetta, è arrivato anche in scooter Mauro Favaro.

Dirà poi di essere stato chiamato al telefono da Erika.

Vieni, ti prego, ho bisogno di te, avrebbe detto lei.

Erika è in caserma, è arrivato il padre.

Lei racconta.

Dice che è sicura, i due assassini sono albanesi.

Le credono.

D'altra parte non avrebbero motivo di non farlo.

Perché dovrebbe mentire?

Lo stesso procuratore ha parlato di gente feroce.

Le persone assiepate fuori dalla casa non hanno dubbi.

Erika e Nardo vengono anche mostrate alcune fotografie.

Lei riconosce una persona e un ragazzo di origini albanesi

ai permesso di soggiorno regolare.

Si chiama Arben, a qualche piccolo precedente.

I carabinieri lo vanno a prendere, lo portano in caserma.

Nel racconto Erika e Nardo ha detto di averlo colpito in faccia con una bottiglia di whisky,

ma Arben non ha nessun segno sul volto.

E poi a un alibi, in quelle ore era giocare al bullying di Novi, lo hanno visto in tanti.

Ricorda la cronista Bianca Giammanco.

Senz'altro, in un primo momento,

gli investigatori credono ad Erika che appare come l'unica testimone di quanto ha caduto.

Nelle ore successive al delitto, gli inquirenti definiscono il racconto della ragazza

preciso, lineare, cuerente.

Cuerente a tal punto che il giovannissimo albanese che è stato riconosciuto da Erika,

come uno degli assassini, viene prelevato dalla sua abitazione,

portato in caserma e messo sotto torchio.

Per sua fortuna alla fine il ragazzo riesce a dimostrare di avere un alibi inattaccabile.

Il giorno dopo, giornali e telegiornali raccontano quello che viene dato come un fatto acquisito.

Inaudita ferocia, madre figlio di 12 anni massacrata in casa,

Novi Ligure, caccia aperta agli assassini, sarebbero due estranieri.

Cercano una banda di slavi mentre cresce la rabbia dell'intero Paese.

Il 22 febbraio, i politici fanno una gara per rilasciare dichiarazioni.

Marco Zacchera, di Alleanza Nazionale, dice

Non si tratta di delinquenti che uccidono con un colpo di pistola realizzando una rapina.

Sono assassini sanguinari della peggior specie.

Non pensino le istituzioni che cittadini,

convinti quasi certamente a ragione che si tratti della solita banda di slavi,

storicamente geneticamente avvezzi a tale feratezze,

possano continuare a mantenere la calma aspettando l'intervento dello Stato.

Alcuni giornali riportano le dichiarazioni dei vicini di casa dei Denardo.

Una donna dice, questo è il risultato del governo, del governo italiano.

Ci ammazzano noi altri nelle case e lo Stato dice che dobbiamo fare entrare altri stranieri.

Nelle trasmissioni televisive del giorno dopo, Vanni Nonda interviste come questa.

Mettere il lato, pesare il monumento, le garli e poi tutti i giorni, una volta ciascuno, andiamo a dare una coltellata.

Sono gente che se si prendono, tagliarsi la testa.

Un carabiniere però inizia a dire al suo capo, c'è qualcosa che non mi torna.

Perché mai due uomini grandi e grossi, forti, non sarebbero riusciti a uccidere un bambino

e avrebbero dovuto tirarli oltre 50 coltellate, e in più a foggarlo nella vasca da bagno.

La scena presenta quello che viene chiamato overkilling, e cioè in criminologia,

un'azione criminale che va oltre a uccidere la vittima, che fa di più di peggio,

come se chi sta uccidendo non riuscesse a fermarsi.

Ma poi perché i ladri, una volta scoperti, invece di scappare hanno ammazzato Susanna Cassini e Gianluca Denardo?

E poi se erano così forti e determinati, come ha fatto Erika a fuggire?

Dice la cronista Alessandra Gavazzi, che allora seguì il caso.

Inizialmente gli inquirenti si concentrano sulle le feratezza del delitto,

convincendosi che solo degli adulti possono aver fatto un scento del genere.

In realtà si capisce

quasi immediatamente che non ci sono segni di infrazione.

Dalla casa non è stata portato via nulla e che i coltelli utilizzati sono stati presi dal set della cucina della vittima.

Intanto i giornali raccontano della famiglia Denardo.

La sua famiglia è stata scritta all'iceo-cientifico-statale.

Loro due, Erich e Mauro, il gruppo lo frequentano però sempre meno, stanno da soli, come isolati

in una bolla.

Disse uno degli avvocati di Favaro, Vittorio Gatti, era una relazione fin troppo morbosa,

qualsiasi genitore avrebbe tentato di osteggiarla.

Scriverà il giudice nella sentenza dopo il processo.

La madre cercava di salvare Erika, se in termini concreti, anche dalla droga, che in termini

di immagine.

Intrambi i genitori erano attentissimi al profilo scolastico preoccupandosi del passaggio

di Erika dalla scola pubblica al collegio San Giorgio e curando puntigliosamente i rapporti

con i nuovi insegnanti.

Su suo diario Erika scrisse, parlando della madre del fratello, anche oggi quel bambino

mi ha fatto arrabbiare e l'ho picchiato, mammina naturalmente la difesa, guardano solo

a lui, come bravo Gianluca, come bello, per fortuna che c'è Omar, la mamma non capisce

a lui, come bravo Gianluca, come bello, per fortuna che c'è Omar, la mamma non capisce

a lui, come bravo Gianluca, come bello, per fortuna che c'è Omar, la mamma non capisce niente, mi

mi ha fatto arrabbiare, mi ha fatto arrabbiare.

Nel racconto che la ragazza fa i carabinieri ci sono elementi che proprio non hanno senso. Quali

sono i carabinieri che hanno portato a casa?

Erika De Nardo, accompagnata dei carabinieri, entra in tutte le stanze, ripercorre i movimenti

per una sicurezza, atispersSA Lingu傷i tribunal che accadrErbono soluzioni democratici, che avrebbero

Erika Denardo e Mauro Favaro vengono fatti sedere in una stanza e li lasciati soli. C'è

un microfono che li ascolta, una videocamera che li riprende. Sono ingenui e non hanno

il minimo sospetto di essere visti e ascoltati. Chi li osserva poi dirà, sembravano due bambini.

Favaro dice, minchia, quando è che andiamo fuori? Erika Denardo risponde, come se parlasse

tra sé. Non hanno prove che siamo stati noi, non lo possono dire. E poi, se il tuo DNA si mischia

con quello di mio fratello, viene fuori un altro DNA. Dopo un po' parla ancora lui.

Sto male, dice. Lello guarde e risponde. Se ti fanno il processo, io sono l'unica testimone. Lo

dice come se lei in questa storia non c'entrasse nulla. Ancora Favaro, se mi fanno il processo,

tutta novi. E lei, io dirò sempre che non sei stato tu, vuoi mettertelo in quella cazzo di testa.

E poi stai tranquillo, non ci prenderanno, va tutto benissimo. Non sono scema e neanche ingenua.

Io ti dico che va tutto bene. Poi aggiungi questa frase. Ti voglio. E adesso che tutti

sanno di noi, potremmo girare finalmente a testa alta in paese, come una coppia ufficiale.

E' una frase assurda. Immaginate di sentirla dire da una sedicenne a undici a settenne,

da una che sembra una bambina, a uno che sembra un bambino. Potremmo girare finalmente a testa

alta in paese, come una coppia ufficiale. Poi Erika De Nardo chiede al ragazzo, quant'e gli

nai date? Immime il gesto di una coltellata. Lui risponde. L'ho colpito così, tuo fratello,

quando si è tolto la sciogli a mano. Tuo fratello è riuscito a ribellarsi diverse volte.

Erika De Nardo continua. Mia madre ti diceva, io ti perdono,

omare, io voglio vivere. E a me, Erika, perché mi fai questo? Mauro Favaro a quel punto prende

Erika per un braccio, affettuoso, e dice, vieni qui, assassina. Le risponde, assassino sarei tu.

Ecco, se lo sono detti tra loro e l'hanno detto davanti a chi li stava ascoltando,

da quel momento in poi non si sfioreranno più.

Di Semeo Ponte, giornalista di Repubblica. In quel dialogo nella caserma c'era una

persona che aveva paura, omare, e un'altra, Erika, ancora addeterminata,

convinta probabilmente di aver fatto l'unica cosa che fosse possibile fare.

Viene interrogato il padre di Erika, Francesco De Nardo. Parla di una famiglia priva di particolari

tensioni, se non per i risultati scolastici di Erika e per via di quel ragazzo, omare.

Erika De Nardo viene fatta salire su un auto e portata nell'istituto penale per

Minoreny Beccaria di Milano. Lì continuerà l'interrogatorio. Mauro Favaro resta da

solo nella stanza della caserma, poi compare davanti alla Pubblica Ministero. Hanno fatto

arrivare il padre. Un carabiniere ha andato a chiamarlo. Lli ha detto, le cose sono un

po' complicate. L'articolo 12 del Decreto del Presidente

della Repubblica numero 488 del 1988, cioè la disposizione del precesso penale a carico

di imputati Minoreny, dice. L'assistenza affettiva e psicologica all'imputato

Minoreny è assicurata in ogni stato e grado del procedimento, dalla presenza dei genitori

o di altra persona idonea indicata dal Minoreny e ammessa dall'autorità giudiziaria che

procede. In ogni caso, al Minoreny è assicurata all'assistenza dei servizi sociali.

Il Pubblico Ministero e il Giudice possono procedere al compimento di atti per i quali

è richiesta la partecipazione del Minoreny senza la presenza delle persone su indicate

nell'interesse del Minoreny o quando sussistono inderogabili esigenze processuali.

Mauro Favaro parla alla presenza del padre. Anche con Erika De Nardo ci sarà il padre.

Si parlerà molto nei mesi e negli anni a seguire del fatto che Francesco De Nardo

non abbia mai abbandonato la figlia, l'abbia accompagnata e seguita in tutto il suo percorso

processuale e poi di detenzione. Come se fosse una cosa impossibile da comprendere,

è comunque un fatto solo intimo e privato. Non ne parleremo ulteriormente.

La notizia del fermo di Erika De Nardo e Mauro Favaro si sparge in fretta. Per quella

sera, a Novi Ligure, la Lega Nord ha indetto una fiaccolata di protesta contro l'invasione

degli extracomunitari. La fiaccolata viene annullata in tutta fretta.

Il giorno dopo, sui giornali, la banda di Slari è sostituita dai fidanzatini assassini.

Vengono chiamati così. Di lei dicono che i carabinieri la chiamano

Ghiaccio. Il sociologo Gianfranco Bettini, autore di

un libro e Redi, che tratta anche di ciò che avvenne a Novi Ligure, ricorda che a

parte le forti pressioni di propaganda politica, ci fu un'altra ragione che portò un'intera

comunità a convincersi di un delitto commesso da straniere.

Quasi impossibilità di credere che una cosa del genere la faccia tuo figlio o tua madre

perché la stessa incredulità venne nel caso di Cogni, che tra l'altro è abbastanza

parallelo a questo, ed era già caduta per la vicenda di Pietro Maso dieci anni prima,

che aprono e chiudono l'ultimo decennio, il primo decennio del vecchio del nuovo secolo

questi due delitti, quello di Montechia, di Crosara, di Pietro Maso e dei suoi giovani

complici che uccisero i genitori di Maso nel 1991 e nel 2001 quello di Erika e Omar.

Quindi c'è una spinta a inventarsi delle spiegazioni come dire che sono nell'aria,

in quel caso montate anche da una campagna politica i due albanesi.

Rattro c'è da dire che il principale indiziato dopo le accuse di Erika fu scagionato per

fortuna dalla parola di un testimone italiano, una ragazza italiana che era con lui, altrimenti

lui disse se fossi stato scagionato da un mio connazionale probabilmente ci avrebbero

restati tutti e due.

Con la stessa rapidità, con cui la gente di Novi Ligore ma più in generale gli italiani

aveva un circondato di affetto, comprensione, solidarietà, Erika De Nardo, se ne allontanano,

lei diventa il male assoluto e chi prima stazionava davanti a casa De Nardo ora va fuori dalla

caserma De Carabinieri.

Il coppione si ripete come già avvenuto in altre storie, vogliono vedere Erika, anche

se lei in realtà è già a Milano, la gente ripete non ci credo non è possibile.

Il quotidiano la stampa, il giorno dopo, intervista Anselmo Zanalda, neuropsychiatra

e consulente del tribunale di Torino, dice, mi sembra di capire che la ragazza stia attraversando

quella fase di totale immaturità in cui freno e desiderio si confondono facilmente e non

è facile distinguere fra un'azione e le sue conseguenze.

Ma perché è successo, richiedono.

Adesso è impossibile dare una risposta sensata di Cezanalda, saranno i giudici e soprattutto

i medici a ricostruire la psicologia di questa ragazza fin nei minimi dettagli.

Bisognerà valutare tutto con molta attenzione, le sue inquietudini, le liti con i genitori,

eventuali gielosine confronti del fratello, ogni tassello può aver avuto un ruolo.

Il procuratore Capo Carlo Carlesi dice, il caso è chiuso, ma non sono contento, e vero

ho ricostruito la verità individuato gli assassini ma quel uomo a Francesco Denardo o spalancato

un nuovo inferno.

Tanti i genitori si fanno la domanda, ma è possibile davvero che succede a questo?

È vero simile?

Tra chi discute nei bar, in piazza, nelle trasmissioni televisive, la domanda poi è, chi dei due

ha influenzato l'altro?

E la risposta è quasi sempre, lei è stata lei?

Dice la psicologa clinica e forense Antonella Pomilla.

Diciamo che per i casi criminologici e non soltanto del panorama nazionale come in questo

caso, ma anche del panorama internazionale, quando ci sono coppie omicidiarie, e quindi

nel caso di un punto dei liti omicidiarie, spesso c'è la presenza di una persona, uno

dei due della coppia che, come dirà, ha un maggiore peso da un punto di vista ideativo

dell'evento e di controllo anche sul compagno, sul partner, è un altro che ovviamente è

un po' più remissivo, magari è maggiormente attuativo nell'omicidio del caso, però è

meno mentalmente, diciamo, presente.

Dengono intervistati gli amici, i compagni di scuola, ma anche le amiche della madre.

Una ragazza racconta, in pizzeria una volta che siamo andati, ho visto che era lei che

potrebbe scegliere anche per lui, è lei a tirare tra i due, però anche lui non scherzava,

mi hanno detto che lui ha fatta botte per lei e che lei ha apprezzato.

Un ragazzo dice, finitela di cercare un solo colpevole, lei era la regina, ma lui era

il primattore.

Nel carcere Biccaria di Milano, Erika Denardo non viene accolta bene da detenute e detenuti,

la insultano, la minacciano, uccidere la propria madre non è una cosa che possono capire

o accettare.

Nelle settimane successive invece, da fuori, dall'esterno, le arriveranno centinaia di

lettere di ammiratori.

Intanto, gli interrogatori vanno avanti, ricorda Bianca Giammanco.

Molto presto, una volta condotti in carcere, divisi in cele separate, Erika e Omar iniziano

ad addossarsi a vicenda alla responsabilità del crime.

Da quel momento in poi, infatti, sarà impossibile ricostruire un'unica versione di quanto è

accaduto, un'unica verità, perché entrambi proveranno a minimizzare il proprio ruolo

a discapito della posizione dell'altro.

Accade spesso che gli autori di un rearato si attribuiscano l'un l'altro colpa e responsabilità.

In questo caso, Erika Denardo e Mauro Favaro lo fanno in maniera quasi infantile, come

se, dando la colpa all'altro, potesse riuscire a indenni da quella storia.

Favaro dice, è stata lei, io non sono mai entrato in quella villetta, lei mi ha chiamato

e mi ha chiesto di raggiungerla.

L'ho trovata fuori dalla porta, io non avevo niente contro i suoi genitori.

Uno dei suoi avvocati, Lorenzo Repetti, dice, e mio cliente è strano ai fatti che li vengono

contestati, ritengo che il suo racconto sia credibile.

A Milano, Erika Denardo spiega, è stato Mauro, lielo giuro, è stato lui a uccidere la mia

mamma e poi Gianluca.

Dopo mi ha chiesto di aiutarla a far sparire le prove e io l'ho fatto perché non volevo

perderlo, perché ne avevo paura.

Il caso non è chiuso, per niente, vanno attribuite le responsabilità personali, ma capito cosa

realmente sia successo e come.

In una relazione dei periti del Pubblico Ministero verrà scritto, la vita dei conigli

di Denardo si snò da lungo un percorso che, visto dall'esterno, rimanda i messaggi contenuti

in quelli spot pubblicitari che rappresentano famiglie serene, perché benestanti, perché

armoniche e non conflittuali all'oro interno, perché non preoccupate dell'incertezza del

futuro.

Mauro Favaro viene portato nell'Istituto Penale per minorenni Ferrante a Porti, di

Torino.

Erika Denardo resta al Beccaria di Milano.

L'anno scorso in Italia, nell'Istituto per minorenni, c'era una presenza media giornaliera

di 382 minori o giovani adulti, il 50% era straniero.

A metà dicembre le ragazze erano solo 10, e il numero più basso degli ultimi anni.

All'inizio degli anni 2000 la media giornaliera era tra le 400 e le 450 persone.

Nell'Istituto per minorenni non ci sono solo ragazzi che non hanno compiuto ancora 18 anni.

Chi viene condannato senza aver compiuto la maggiorità resta comunque nell'Istituto

fino al compimento dei 25 anni.

Per questo, per esempio, a fine 2022 i minorenni erano la metà dei ragazzi reclusi.

Quando avverne il delitto di Novi Ligore, però i minorenni condannati restavano nel

carcere minorile solo fino al compimento dei 21 anni, quindi venivano trasferiti in un

istituto per adulti.

In carcere, a Milano, Eric Adenardo riceve la visita di due consiglieri regionali piemontesi.

La trovano che sta giocando a Scala 40 con una poliziotta, dice così il tempo passa

più in fretta, aspetto solo che venga notte.

Le chiedono se vuole qualche libro, ma lei dice che no, non importa, grazie.

Poi le chiedono di Omar, lei risponde, non mi interessa più, tutto quello che avevo

da dire su di lui l'ho già detto.

Quando escono dall'Istituto minorile Beccaria, la consigliera regionale Rosa Anna Costa

dice, ma è ancora una bambina.

Avete ascoltato la prima parte della nuova storia di Indagini sul delitto di Novi Ligore

del 21 febbraio 2001?

Trovate già la seconda parte su LAPTELPOST e su tutte le principali piattaforme di podcast.

Indagini è un podcast del POST, scritto e raccontato da Stefano Nanzi.

Chi volesse scrivere a Indagini può farlo all'indirizzo, indagini, chiocciola, ilpost.it.

Machine-generated transcript that may contain inaccuracies.

Il 21 febbraio 2001 una ragazza a piedi nudi, sporca di sangue, fermò un’auto che passava vicino a casa sua, nel quartiere Lodolino, a Novi Ligure. Disse che due persone, un giovane e uno più anziano, erano entrate in casa: avevano ucciso sua madre e suo fratello di 12 anni. Disse che erano stranieri, albanesi. Fece gli identikit, riconobbe anche una fotografia che i carabinieri le mostrarono: era quella di un ragazzo di origine albanese. I militari lo andarono a prendere ma lui aveva un alibi, venne rilasciato.
Il procuratore capo di Alessandria, che entrò nella casa, dove erano avvenuti i due omicidi, si sentì male. Disse che non aveva mai visto nulla di simile. Intervistato dal telegiornale di Raiuno disse: «C’è gente feroce».
Ci furono proteste e fiaccolate contro i migranti, molti politici soffiarono sul fuoco. I giornali nei titoli parlarono di una banda di slavi. Poi, dopo due giorni, si scoprì che la verità era molto più banale e la ferocia molto più vicina.
La ragazza che cercava aiuto sporca di sangue venne arrestata con l’accusa di aver ucciso la madre, Susy Cassini, e il fratello Gianluca. Con lei venne arrestato il suo fidanzato, Mauro Favaro, che tutti chiamavano Omar.
La storia di ciò che accadde, del processo che seguì a quelli avvenimenti, di come la giustizia minorile si trovò ad affrontare un delitto feroce, “da adulti” commesso però da due poco più che bambini, è una di quelle che più hanno segnato la storia d’Italia degli ultimi vent’anni.

Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi.