Indagini: Roma, 7 agosto 1990 - Seconda parte

Il Post Il Post 6/1/23 - Episode Page - 1h 0m - PDF Transcript

I risultati dei test sui pantaloni sequestrati a Pietrino-Vanacore, il portiere del palazzo

dove il 7 agosto 1990 è stato ucciso a Simonetta Cesaroni, confermano che la sostanza trovata

su quei pantaloni è sangue.

E secondo i test effettuati dalla Polizia Scientifica è sangue dello stesso Vanacore,

sangue con contaminazioni batteriche. Vanacore soffre da tempo di patologia e morroidaria.

Il sangue è causato da quello. Il 30 agosto, il Tribunale della Libertà,

che oggi si chiama Tribunale del Riesame, decide la scarcerazione del custode dello

stabile di Via Poma 2. Interrogato in carcere, Vanacore aveva detto,

sono innocente signor magistrato, come li e lo devo dire, sono innocente.

Io non voglio trascinare nei fang una persona per bene, ma senta, forse quel pomeriggio,

qualcuno è uscito dal portone del palazzo, non lo posso giurare e non voglio accusare

nessuno, dio mi scampi. Ma mia moglie mi ha detto di un uomo,

uno alto, con la camminata strascicata che ha visto con la coda dell'occhio mentre usciva.

Il Tribunale del Riesame, nelle motivazioni della scarcerazione di Vanacore, scrive che esistono

indizia a carico del custode ma che non è possibile affermare che siano veramente serie

ed univoci e non inficiati da opposti ed equivoci elementi.

Inoltre, scrive il Tribunale, non si vede quale possa essere stata la molla che,

facendo nascere in Vanacore 50 tenne, un irrefrenabile impulso sessuale insieme

omicida, abbia potuto indurre l'uomo ad aggredire per la sua prima volta per quel che si sa in vita

sua. Il Tribunale del Riesame non si limita a dire che non esistono motivi sufficienti per

mantenere Vanacore agli arresti, ma dice anche che non ci si può concentrare esclusivamente su un

presunto colpevole territoriale, cioè, escritto nelle motivazioni, non può escludersi che gli

assassini della ragazza estranei al condominio clandestinamente entrarono e uscirono nel complesso

condominiale.

I 6 settembre vengono restituiti alla famiglia di Simonetta Cesaroni gli effetti personali

della ragazza che erano stati sequestrani. C'è l'ombrellino rosa che la ragazza aveva

preso quel giorno perché a Roma minacciava pioggia. Ci sono un'agendina nera e una celeste,

un portafoglio, alcune pastiglie di Momin, la patente di Guida, la tessera dell'Atac, negativi

e stampe di fotografie, appunti, la ricetta per un anticoncezionale e securgin. E poi c'è

un'agenda rossa con il Marchio Lavazza. In quell'agenda ci sono tutti i numeri di

telefono della famiglia Vanacore. Il problema è che nel padre, nella madre e nella sorella

di Simonetta Cesaroni hanno mai visto quell'agenda. E poi non è la scrittura di Simonetta. Quell'agenda

è di qualcun altro. Di chi è? Come è finita tra le cose sequestrate? Dov'era quell'agenda

quando è stata inserita tra gli egetti prelevati sulla scena del crimine? Su che scrivani era?

In che stanza? Nessuno lo ha annotato nei verbali. Sono domande importanti. E c'è neanche

un'altra di domanda. Dove finisceосi l'agenda? La madre di Simonetta Cesaroni la

restituiscesaya la polizia, dice, questa non era di Simonetta. Poi l'agenda scompaare, si tornerà

a cercarla dopo molti anni, senza trovarla. Quell'agenda, s'osserà poi anni dopo un'altra

pubblico ministero che si occuperà del caso, l'Aria Calò, era probabilmente di Pietrino

Vanacore. Ma tante cose scompaiono in questa storia. Un giorno di settembre del 1990 due giornalisti

del settimanale visto vanno nella Guardiola di Vanacore perché hanno un appuntamento con lui

per un'intervista. Mentre parlano con l'uomo vedono sul muro, dietro una scala appoggiata, una

strisciata rossa. Pensano che possa essere sangue, riferiscono infatto prima all'avvocato

di Vanacore e poi alla polizia. Quando i polizioti si recano nella Guardiola, quella traccia

è stata grattata via. Era sangue, era qualcosa altra, non era niente, non si sa, non lo si mai saputo.

In viapoma le cose appaiono e scompaiono. C'è una cosa che però negli anni continuerà ad apparire.

Il nome di Pietrino Vanacore è a lui che il questore Umberto Improta durante una

trasmissione televisiva si è rivolto dicendo Confessa. Noi lo sappiamo che sei stato tu.

Io mi chiamo Stefano Nanzi, faccio il giornalista da tanti anni e nel corso della mia carriera mi sono

occupato di tante storie come questa, quelle che nel tempo vi sono diventate familiari e altre

che potreste non avere mai sentito nominare. Storia di Kronach, di Kronach a nera, di Kronach a

giudiziaria. Il podcast che state ascoltando, sentito la indagini ed è prodotto dal post. Vi

racconterò ogni mese, una volta al mese, una di queste storie, tentando di mostrare non tanto il

fatto di Kronach in sé, il delitto in sé, bensì tutto quello che è successo dopo, il modo in cui si

è cercato di ricostruire la verità, le indagini giudiziare e i processi con le loro iniziative,

le loro intuizioni e loro errori, il modo in cui le indagini hanno influenziato la reazione dei media

e della società, e il modo in cui media e la società hanno influenziato le indagini.

Le tracce trovate dal figlio di Pietrino Vanacore, sul vetrino di protezione dell'interattore

generale dell'ascensore, vengono analizzate. Così come vengono analizzate, altre due tracce

trovate su un pannello di vetro applicato a sinistra nella cabina dell'ascensore,

una a 106 e l'altra a 127 centimetri di appavimento. C'è poi un'altra traccia,

trovata sul muro, nel sottoscala accanto al vanascensore. I fotosegnatori della polizia

scientifica, cioè i tecnici incaricati di fotografare la scena del crimine, percorrono i

corridoi delle cantine scoprono che c'è un passaggio che collega la cantina della Palazzina B,

dove è avvenuto l'omicibio, con quella della Palazzina F. Quindi una persona avrebbe potuto

raggiungere il portone della Palazzina F e poi uscire da complesso di edifici passando

dai sotterranei senza essere vista. La traccia ha trovato sul muro vicino al vanascensore e

sangue del gruppo B, dipizzato GM A-B+. È incompatibile con la vittima, così viene messo

da parte. Uno dei due reperti trovati sul vetro dell'ascensore è sangue del gruppo

0 appartenente a Simonetta Cesaroni. L'altro reperto non viene nemmeno analizzato, vera

fatto solo nel 2007. Non è mai stato spiegato negli anni come mai le tracce nella scensore

non siano state individuate prima. Come è possibile che siano state viste da Mirko Vanacore,

il figlio del Custode, il 27 agosto, 20 giorni dopo l'omicibio. Qualcuno ha parlato

di depistaggio, c'è del fatto che quel sangue fosse stato messo a posta nell'ascensore

quando i rilievi della polizia erano definiti. Ma è un'ipotesi che non regge. A che cosa

sarebbe servito far trovare tracce di sangue 20 giorni dopo il delitto? E poi come sarebbe

stato conservato quel sangue a che scopo? No, quel sangue semplicemente è la spiegazione

più logica. Non era stato visto prima. Ma c'è anche un'altra domanda. Perché una

delle tracce non venne analizzata? Anche questo non ha mai avuto risposta.

Il 31 agosto 1990, Pietrino Vanacore, pochi giorni dopo essere stato scarcerato, partecipa

a uno speciale del TG2 della RAI. Il giornalista, come spesso accade in questo tipo di interviste,

chiede al Custode di rivolgersi alla famiglia di Simonetta Cesaroni.

Signor Vanacore, volevo chiedere una cosa. Lei ha detto, credo ieri, ad un giornalista

che appena sarebbe uscito di prigione, aveva intenzione di mettersi in contatto con la

famiglia. Certo. Ecco, l'ha fatto? Certo, non ho avuto il

minimo tempo. Noi le diamo l'occasione qui da questa

platea in qualche modo di dire qualcosa. Di dirgli come padre, come padre io che ho

figli, mi medesimo al loro dolore perché so cosa significa figli e quindi sono partecipe,

partecipe, dal primo momento sono stato partecipe nel dolore grosso avuto.

Dopo la scarcerazione di Vanacore, la procura chiede a 15 persone di sottoporsi a prelievo

di sangue. L'obiettiva è scoprire chi ha il sangue dello stesso gruppo rinvenuto sulla

porta dell'ufficio dell'IAC e sul telefono. A sottoporsi a prelievo sono Pietrino Vanacore,

Mario Vanacore, Giuseppa De Luca, Hermanno Bizzocchi, alcuni impiegati dell'IAC, Salvatore

Volponi, Luca Volponi, Francesco Caracciolo di Sarno, Antonello Barone, Paola Cesaroni,

Raniero Busco. Le analisi stabiliscono che l'antigene A, c'è quello repertato sulla

porta dell'ufficio e presente nel sangue di Giuseppa De Luca, di Mario Vanacore, di

Hermanno Bizzocchi, socio di Salvatore Volponi ed atore di lavoro della Cesaroni, di Maria

Luisa Sibilia e di Salvatore Sibilia, entrambi dipendenti dell'IAC.

Il 16 novembre 1990, il pubblico ministero Pietro Catalani, che conduce l'Inchiesta,

chiede l'archiviazione della posizione di Salvatore Volponi, il datore di lavoro di Simonetta.

Il 26 aprile 1991, anche la posizione di Vanacore viene archiviata. Il fascicolo per omicidio

resta aperto a carico di gnoti. Vanacore resta però poco fuori dall'Inchiesta.

Ci rientra infatti l'anno successivo, in seguito all'apertura, di un altro filone di indagine.

È a questo punto che nella storia del delitto di Via Poma entra un altro sospettato.

Tutto nasce da una relazione che un dirigente del commissariato Flaminio Nuovo di Roma,

invia al nuovo questore di Roma, Ferdinando Masone, che poi diventerà capo della polizia.

Il dirigente dice che indagando su un altro delitto ha venuto a Roma il 10 luglio 1991,

l'omicidio della contessa al Berica Filo della Torre, avvenuto nel quartiere dell'Olgiata,

si è imbattuto in un uomo, pregiudicato per reati di truffa, considerato però queste le parole usate

attendibilissimo. L'uomo secondo il dirigente del commissariato, che però riferisce krois e cose

riportate da altri, conoscerebbe fatti molto importanti sull'umicidio di simonetta Cesaroni.

Si chiama Roland Foller, ha 44 anni, è nato a Innsbruck, in Austria, ma vive da tempo in Italia,

importa automobili di fascia alta. Da un anno in attesa di essere stradato nel suo Paese,

dove ha precedenti penali per emissioni di assegna vuoto e un procedimento in corso per

banca rotta fraudolenta. Foller dice di essere diventato amico di una donna che si chiama

Giuliana Ferrara e dell'ex moglie di un avvocato, Raniero Valle, il figlio dell'architetto Cesare

Valle. Cesare Valle è l'inquilino che vive nel lattico della Palazzina B di Via Poma 2 ed è anche

l'uomo da cui Pietrino Vanacore si reca di notte a portare assistenza. È insomma parte

dell'alibi, seppur con mille tratti vuoti, di Vanacore. Foller e Giuliana Ferrara si sono

conosciuti per caso, ed allora si sentono spessissimo, anche se si sono visti una volta sola. A Foller,

la donna avrebbe raccontato, questo almeno ciò che dice lui, che l'ex marito starebbe con una

ragazza di circa vent'anni. Poglia ha parlato dei suoi due figli, Filippo e Federico. Quest'ultimo

le darebbe grandi preoccupazioni, sarebbe in cura per alcuni problemi di natura psicologica.

I 7 agosto 1990, Giuliana Ferrara avrebbe confidato a Foller cose molto importanti.

Ecco la deposizione che l'uomo rilasciò in porcura, a Roma.

Ricordo con precisione che nel pomeriggio dell'agosto del 1990, poco prima della partenza da lei

fissata per le vacanze estive da trascorrere in Austria con la sorella, chiamai Giuliana,

verso le 15 o le 16. Giuliana mi disse che suo figlio non c'era, perché regato si dai nonni,

era preoccupata perché non era ancora rientrato, disse che sperava non avesse combinato guai.

Già altre volte mi aveva lungo parlato di questo figlio che aveva a suodire problemi di

comunicazione e soffriva di una malattia per cui rifiutava il cibo. Verso le 16 e 30,

le 17 finivano di parlare, poi la ricamai verso le 19, perché mi annoiavo, e chiesi a Giuliana

del figlio. Lei mi rispose che era rientrato da poco, che era macchiato di sangue, che aveva

investiti stropicciati e che aveva lavato la sua PCO 205 GT 1009, disse anche che suo figlio era

ferito, forza le mani. In pratica, secondo Fuller, la madre di Federico Valle gli avrebbe confidato

che quel giorno il figlio sarebbe andato a trovare il nonno in Via Poma 2 e sarebbe poi tornato a

casa sconvolto e sporco di sangue. E' una testimonianza importante, anzi determinante. Ma è vera?

La donna negherà sempre di aver detto a Fuller quelle cose. Federico Valle viene seguito dalla

polizia, attenzionato, come si dice. Un giorno viene anche fermato per un controllo e con una scusa

portato in questura. Qui un poliziotto li dice, aspetta, hai qualcosa tra i capelli, te la tolgo

io senza farti mare. Taglia un piccolo ciuffo a Valle, servirà per estrarre il DNA. Il 3 aprile 1992

Federico Valle riceve un avviso di garanzia e è stato iscritto nel Registo degli Indagati per il

delitto di Via Poma. Così un telegiornale descrive il nuovo indagato, analizzando anche in pochi

secondi i suoi dolori e i suoi problemi. Un ragazzo che aveva dei problemi emotivi psicologici. Sul

viso scavato di Federico Valle e negli occhi che sembrano persi nel vuoto i segni della Noressia e

forse del dolore per la separazione dei genitori. Due infermiere di uno studio dentistico si

precipitano alla polizia per dire che hanno notato il suo braccio di Federico Valle durante una seduta

nello studio dove lavorano i segni di una fereta. I sangue di Federico Valle viene esaminato e gruppo

A di Qα1.1 barra 1. Due matologi nominati dalla Procura dicono che il sangue trovato sulla

porta dell'ufficio dove ha venuto l'omicidio potrebbe essere il sangue della vittima mescolato

sangue di Federico Valle. Potrebbe essere, non c'è nessun riscontro, si trapperebbe secondo i

due esperti di una traccia ammista. Con gli strumenti attuali sarebbe possibile scindere

i due DNA presenti in una traccia ammista e arrivare a conclusioni attendibili. Allora,

nel 1992, si poteva rimanere solo nel campo delle ipotesi. Il 12 novembre 1992 il pubblico

ministero Pietro Catalani chiederre in via giudizio di Federico Valle scrive il pubblico

ministero. All'epoca l'indagato soffriva già da due anni di una grave forma di anoressia di tipo

secondario, connessa cioè a problemi psichici profondi. I problemi psichici di Federico Valle,

secondo il pubblico ministero, sarebbero insorti dopo la separazione dei genitori avvenuta nell'88

ed allora il ragazzo avrebbe provato avversione per la figura paterna a cui abitava le sofferenze

della madre. Fuller, nel suo racconto al pubblico ministero, dice anche di aver saputo sempre

da Giuliana Ferrara che il padre di Federico Raniero Valle aveva una relazione con una ragazza

ventenne. Lo stesso pubblico ministero però nella richiesta di rimvia giudizio spiega che

di questa presunta relazione con una ventenne non c'è nessun riscontro, mentre Raniero Valle ha

sia una relazione, ma con una donna di 33 anni. Per l'accusa però è fatto che la ventenne esista

o meno non ha nessuna importanza. L'importante è che esista nelle fantasia di Federico Valle,

cioè nella sua testa. Cosa sarebbe accaduto quindi secondo l'accusa? Sarebbe accaduto che un giorno

Federico Valle avrebbe incrociato Simonetta Cesaroni nella palazzina B di Via Poma e l'avrebbe

sentita di era qualcuno. Sono stata con Raniero. Simonetta Cesaroni avrebbe alluso al fidanzato

Raniero Busco, mentre Federico Valle avrebbe pensato che stesse parlando del padre Raniero Valle.

Avrebbe quindi confuso i due Raniero e per questo avrebbe ucciso Simonetta Cesaroni.

Ma la ricostruzione dell'accusa non finisce specia qui. Ecco cosa scrive il Pubblico Ministero.

Solo pochi decilitri di sangue già c'e' c'avevano sotto il bacino di Simonetta quando furono eseguita le fotografie

della Polizia Scientifica. Invece considerato il quantitativo di sangue rimanuto nel cadavere,

se ne sarebbero dovuti trovare sul pavimento circa 3 litri, che erano stati quindi raccolti. Il pavimento attorno al capo

presentava l'onirossastri come da pulizia. Uno straccio e alcuni asciugamani di carta rinvenuti uno stanzino

dell'appartamento erano ancora umidi quando la squadra mobile effettua il controllo. Tenuto conto

che si rena agosto, se ne deduce che la pulizia è stata effettuata da poco. Solo Vanacore

poteva stare nell'appartamento del delitto nell'immediatezza dell'arrivo di Paola Cesaroni.

I abitanti di quella scala erano tutti assenti, ad eccezione di Cesare Valle. Vanacore ha dichiarato

di aver lasciato la propria abitazione dopo cena, intorno alle 22, sicché non ha fornito alcuna

spiegazione di dove sia stato fino al momento in cui giunse a casa del Valle. E non si tratta

di minuti, ma di un'ora e mezza. Cesare Valle ha riferito che erano stati sui familiari a volere

che il Vanacore dormisse da lui, ma il figlio ha smentito. I vestiti della vittima non si sono

più trovati, e solo il portiere poteva farli agevolmente sparire, essendo assurdo pensare che

l'omicida fuggisse portandosi a presse i vestiti della vittima in trisi di sangue.

Il Vanacore nebbe tutto il tempo, oltre che il modo. I giornalisti Corvi e Pelosi hanno riferito

di aver notato un macchiero sastre nel vano antistante alla porta di ingresso dell'abitazione

di Vanacore, e di aver parlato telefonicamente di ciò con il difensore di Vanacore. Dopodiché

tornati sul luogo, avevano trovato il muro grattato, così come lo trovo alla polizia.

Quindi, secondo l'accusa, Federico Valle sarebbe l'assassino e Pietrino Vanacore

avrebbe poi pulito la scena del crimine. Ma perché Vanacore l'avrebbe fatto? Non c'è risposta.

Però c'è un problema. Federico Valle ha un alibi. Dice che 7 agosto è stato tutto il giorno in casa.

La madre lo conferma, e lo conferma un'altra donna, Anna Maria Scognamiglio, amica di Giuliana Ferrara,

che quel giorno è rimasta lungo a casa della donna, proprio nelle ore in cui sarebbe avvenuto l'omicibio.

La donna testimonia che Federico è stato tutto il giorno in casa, dice anche che giorno dopo

lei, Giuliana Ferrara e Federico Valle, sono andati al mare a Fregene e che Federico non aveva nessuna ferita.

Anna Maria Scognamiglio è malata di tumore al fegato e consapevole delle sue condizioni.

La difesa chiede così un incidente probatorio per poter cristallizzare la testimonianza,

cioè acquisirla come prova.

Il 16 giugno 1993, il giudice per le indagini preliminari, Antonio Cappiello,

proscioglie Valle per non aver commesso il fatto, e Vanacore, perché il fatto non sussiste.

Per l'omicidio di Via Poma, dove fu scisa Simonetta Cesaroni, a Roma le indagini ricominciano.

Sono stati prosciolti i due accusati, Federico Valle e Pietro Vanacore, i particolari da Barbara Modesti.

Una liberazione urlata dentro i microfoni, che anche questa volta sono tutti per lui Federico Valle, 21 anni segnati dall'annoressia,

e fino alle 4 di oggi pomeriggio dal sospetto di aver ucciso Simonetta Cesaroni, la sera del 7 agosto di tre anni fa, con 29 colpi di tagliacarte.

Per il GIP, la lebi di Federico Valle è inattaccabile, non esiste nessuna prova che conoscesse Simonetta Cesaroni,

e non si capisce carvingo nemmeno perché, mentre Pietrino Vanacore puliva tutte le tracce di sangue, Federico Valle, autore dell'omicidio,

si è invece tornato a casa sporco di sangue.

Inoltre, quella che la infermiera dello studio dentistico avevano preso per una ferita,

e una smagliatura, dovuta al forte dimagrimento.

La procura fa ricorso contro il prosciullimento, ma è ricorso di venere spinto prima dalla Corte d'Appello di Roma,

e poi dalla Corte di Cassazione.

Federico Valle, dopo essere stato indicato come assassino certo di Simonetta Cesaroni,

esce di scena per sempre dalla storia del delitto di Via Poma.

I 7 dicembre 1995 il Procuratore della Repubblica Giunto, Italo Ormanni, subentra Pietro Catalani come titolare dell'Inchiesta.

Come prima cosa ordina una perizia sul computer che, 7 agosto 1990, era stato usato da Simonetta Cesaroni.

Il computer viene ufficialmente posto sotto sequestro.

Fino a quel momento nessuno ci aveva pensato.

Era stato si analizzato, ma non sequestrato, per cinque anni.

Dalle ricostruzioni effettuate nei giorni successivi al delitto, quel computer era stato utilizzato da Simonetta Cesaroni 7 agosto 1990,

a partire dalle 1637.

Era poi stato spento, probabilmente involontariamente, da un agente di polizia al lune 37 dell'8 agosto.

Dopo era rimasto lì, negli uffici dell'IAG, e aveva continuato a essere utilizzato dagli impiegati, almeno fino al 30 agosto 1992.

L'analisi del computer dovrebbe mostrare su quali dati abbia lavorato Simonetta Cesaroni quel giorno.

E rispondere alla domanda, perché la ragazza era lì 7 agosto?

Era davvero necessario che quel pomeriggio andasse alla IGAG?

Il computer, però, non fornisce indicazioni determinanti.

Nel 1995 c'è stata anche un'interrogazione parlamentare presentata da massima oscalia della Federazione dei Verdi,

in cui si ipotizza il coinvolgimento dei servizi segreti nell'omicidio.

Scalia chiede a Presidente del Consiglio e al Ministro dell'Interno di fornire,

all'autorità giudiziaria, documentazione ed elementi che consentono di stabilire se l'uccisione della Cesaroni

sia da porre in connessione con l'essere stata sospettata di aver scoperto casualmente un elenco di nominatini.

In pratica chiede l'interrogazione parlamentare.

E' possibile che Simonezza Cesaroni abbia scoperto archivi dinominativi segreti,

appartenenti ai servizi segreti o comunque connessi ai servizi segreti e per questo sia stato uccisa?

L'anno seguente un senatore della lega Hermigno Boso presenta un'interrogazione parlamentare molto simile.

Boso chiede tra l'altro di sapere se Föller, l'uomo che aveva denunciato Federico Valle,

fosse vicino ai servizi segreti.

Boso da per certo il coinvolgimento dei servizi segreti, parla di Brigate Rosse e dell'umicidio di Aldo Moro.

Non succede altro fino al 2002.

I 6 giugno di quell'anno, il sostituto procuratore della Repubblica, Roberto Cavallone,

decide di riaprire le indagini.

La riapertura è dovuta ufficialmente a una segnalazione anonima aggiunta alla Procura di Peruge passata per competenza quella di Roma.

Ma soprattutto c'è la convinzione nel 2002 che con le nuove tecniche di investigazioni scientifiche

si possa scoprire più di quanto si sia riusciti a scoprire negli anni 90.

L'incarico di effettuare indagini scientifiche viene affidato al RIS di Parma.

I tecnici del reparto di investigazioni scientifiche dei carabinieri sequestrano in diapoma tutti i mobili

che erano presenti nella stanza dove fu scisa Simonetta Cesaroni.

Effettuano perizie sull'indumenti indossati dalla ragazza,

quelli che non erano stati portativi appresumibilmente dall'assassino e sui suoi oggetti.

Proprio sull'indumenti vengono identificate tracce di un profilo genetico

che i tecnici del RIS chiamano minoritario.

Quello maggioritario è di Simonetta Cesaroni.

Vengono isolate due tracce sul reggiseno e due sul top.

Quelli indumenti erano stati conservati secondo metodi usati nel 1990.

Cioè non alle temperature corrette, non in buste antimanomissione

e infine non singolarmente ma tutti insieme.

Erano rimasti in un armadietto dell'obbitorio di Roma.

Nel 2005, 31 persone collegate all'indagine del 1990

vengono sottoposte al prelievo di DNA.

Tra loro c'è anche un uomo che si chiama Mario Toso,

che nel 1971 era stato il primo sospettato, poi completamente scagionato,

di essere all'assassino di Simonetta Ferrero,

una ragazza uccisa nei bagni dell'Università cattolica di Milano,

il 24 luglio 1971.

Toso era allora seminarista.

Il delito della cattolica è rimasto insoluto.

Non si capisce Wi bene perché anche Toso venga sottoposto al test del DNA

per un delitto commesso a Roma a 9 anni dopo quello di Milano.

Si scoprera poi che suo nome era stato fatto in procura

da una persona che sa in base a quali supposizioni.

Il prelievo del DNA Alexa seminarista non diede nessun esito.

Mario Toso, e oggi vescovo di faenza modigliana.

Il DNA delle 31 persone non fu chiesto, ma prelevato,

con metodi che siamo abituati a vedere nei film.

Una tazzina di caffè lasciata in un bar, le posate in un ristorante,

un mozzicone di sigaretta.

Tutti i test diedero esito negativo tranne uno.

Lo dice in questo documentario trasmesso da canale 9 Luciano Garofano,

ex capo del RIS di Parma.

C'era una parte del DNA, cioè c'erano degli alleli,

così si chiama quella parte del DNA legata a ciascuna di quei tratti

di cui si parlava, che in realtà corrispondevano con il signor Busco.

Per quella che era la esperienza di allora e la letteratura di allora,

per questo tipo di analisi noi concludiamo che il signor Busco non poteva essere scluso.

Gli alleli che corrispondono sono 8.

Che cosa siano gli alleli? Lo spiega Emanuele Magnetti.

Il DNA è la molecola che contiene le istruzioni per la costruzione

e il funzionamento del nostro corpo.

Un gene è una sezione del DNA che contiene le istruzioni

per produrre una specifica caratteristica o funzione.

Tuttavia, spesso ci sono più genico involti nella determinazione di una caratteristica,

come per esempio il colore degli occhi.

Gli alleli sono le diverse forme dello stesso gene.

Un semplice esempio può aiutare a capire meglio.

Se il gene è una bicicletta, gli alleli sono il colore della bicicletta,

come rosso, blu o verde.

Gli alleli si ereditano dai genitori e possono competere tra loro

per determinare la caratteristica finale.

In alcune popolazioni alcuni alleli possono essere più comuni rispetto ad altri.

Il 12 gennaio 2007.

Molto prima che la relazione del RIS venga consegnata in procura a Roma,

la trasmissione Matrix, di canale 5, anticipa i risultati.

In trasmissione si dice che sull'indumenti di Simonetta Cesaroni

è stato trovato il DNA di Raniero Busco,

il pubblico ministero Cavallone,

quere il conduttore della trasmissione,

Enrico Mentana, per la fuga di notizie.

La relazione del RIS viene consegnata all'inquarente nel settembre 2007,

nove mesi dopo la messa in onda dei programma.

Raniero Busco viene iscritto nel registro degli indagati.

In 28 maggio 2009 la procura di Roma ne chiede al renvio a giudizio.

In nove novembre dello stesso anno,

il giudice per l'udienza preliminare accoglie la richiesta.

Dopo 19 anni ci sarà un processo per l'omicidio di Simonetta Cesaroni.

L'accusa Busco si basa sul DNA.

La difesa dell'uomo risponde che Busco e Cesaroni erano stati insieme

tre giorni prima del diritto e quindi il DNA risaliva

senza altra quell'occasione, a quei contatti.

L'accusa sostiene però che l'indumenti indossati

il giorno dell'incontro con il fidanzato erano poi stati lavati.

A questo la difesa obbietta che di un eventuale lavaggio non c'è prova

e soprattutto non c'è prova che un normale lavaggio

possa cancellare tutte le tracce biologiche.

L'accusa si basa anche sul presunto morso sul seno di Simonetta Cesaroni,

indicato dal Medico Legale nel 1990.

Il segno indicato come morso viene confrontato con l'arcata dentale di Busco.

Secondo i periti dell'accusa,

arcata inferiore e segni del morso sono compatibili.

L'arcata dentale è quella di 17 anni dopo

e segno del morso ovviamente può essere vista dai tecnici solo in fotografia.

Un forte punto a favore dell'accusa è dato dall'alibi fornito da Busco.

Interrogato nel 2004, dopo la riapertura delle indagini,

Busco ha detto che 7 agosto 1990, dalle 17.30 alle 18.30,

era stato sotto casa sua con l'amico Simone Palombi a riparare un motorino.

Palombi però in parte lo smentisce negra dice

e dice, è vero, l'abbiamo fatto, merano le 19.30.

Busco il processo dirà,

forse mi sono sbagliato, sono passati tanti anni,

però andate a vedere cosa disse quando mi interrogarono nel 1990,

evidentemente il mio alibi allora venne riscontrato.

Solo che nei documenti di quei giorni

non c'è nessuna traccia dell'alibi di Busco,

o nessuno gli chiese,

oppure la pagina contenente il verbale è sparita,

che nessuno gli abbia chiesto

sembrano un'impotesi del tutto incredibile, assurda,

persino una storia dalle mille stranezza in congruenza come questa,

e quindi probabilmente quella pagina di verbale si è persa,

chissà dove.

I giornali tornano ad analizzare

i rapporti tra Simonetta Cesaroni e suo fidanzano.

In alcune trasmissioni televisive,

si svolge una specie di processo e sentimenti,

come se il fatto che Ragniero Busco fosse meno coinvolto,

meno innamorato di lei,

rappresentasse una colpa,

forse un indizio.

Il 3 febbraio 2010 inizia il processo.

Ecco un passaggio

dell'interrogatorio della pubblico ministerio

e l'aria Calò a Ragniero Busco,

proprio sulla questione dell'alibi.

Lei ha fornito ai carabinieri un alibi falso.

Guardi, questa ciascostanza,

per me mi è stata chiesa nel 2005,

e sono ricordo da 2004.

Quindi, a distanza di 14 anni,

infatti io, a distanza di 14 anni, 15 anni,

avevo questo ricordo,

infatti al maresciallo dei carabinieri chiesi.

Mi ricordo di essere stato con Simone,

non sono sicuro,

ha andato a verificare quello di carà dall'epoca.

E qui la risposta del maresciallo fu,

e purtroppo il suo verbale del 90 non c'è.

I 12 marzo 2010,

in aula Roma deve comparire come Testimone Pietrinovanacore.

Non vive più a Roma,

è tornato a suo paese Monacizzo,

in provincia di Taranto.

Nel 2008,

su mandato della procura di Roma,

ha subito una perquisizione.

I carabinieri avevano il compito di cercare

la famosa agenda rossa,

quella della lavazza.

Il 9 marzo 2010,

tre giorni prima di comparire in tribunale,

Pietrinovanacore viene trovato morto a negato

nelle acque di Torre dell'Ovo,

sempre in provincia di Taranto,

e in un punto in cui l'acqua è alta poco più di un metro.

Ha una corda lunga a 20 metri legata alla caviglia.

L'altra estremità è fissata a un albero.

Ha lasciato due cartelli nella sua auto.

In uno è scritto,

non ha nessuna colpa,

né mia, né della mia famiglia,

ci hanno distrutti nell'immagine,

né morale,

e in tutto il resto,

lo porteranno sulla coscienza.

Sulla altra è scritto,

vent'anni di sofferenza e sospetti

ti portano a suicidio.

Alcuni giornali

ipotizzano che si sia trattato di un omicidio.

In realtà non c'è nessun segno di violenza.

I due cartelli sono stati scritti da Vanacore.

Si è legato la corda alla caviglia

per fare in modo che il corpo

non venisse trascinato all'arco.

Per vent'anni,

il nome di Pietrino Vanacore

è stato legato all'omicidio di Viapoma.

I due pubblici ministeri

del processo contro Orraniero Busco

sono convinti che il delitto sia stato scoperto

prima che in Viapoma arrivassero Paola Cesaroni,

il fidanzato, Salvatore Volponi e il figlio.

E che a scoprirlo sia stato proprio Vanacore

il quale, invece di avvertire la polizia,

avvertì, dopo aver cercato il numero

nella sua agenda rossa-lavazza,

il Presidente degli Osterli della Gioventù,

Francesco Caracelo di Sarno.

Poi, Vanacore si sarebbe dimenticato

l'agendina nell'ufficio.

Ecco che cosa dice il giornalista e scrittore

Igor Patrono, ricordando che

nell'alibi di Vanacore c'è sempre stato un buco.

Dalle 17-10, fino alle 18,

non si sa che cosa abbia fatto.

E lui non lo ha mai spiegato,

ovvero ha fornito

tutta una serie di informazioni,

ma che si sono rivelate, tutte sballate.

E poi la sera, sempre Cesare Valle,

presso il quale Vanacore si recava

per tenergli compagnia,

perché la moglie era partita,

era andata in vacanza in Sardegna,

anche il figlio stava in vacanza in Sardegna.

Dira, ma io, Vanacore, l'ho visto

dopo aver sentito urlare.

Noi sappiamo chi è che urlava,

era Paola Cesarone,

ovvero urlava nel momento in cui

aveva scoperto che la sorella era stata ammazzata.

Ma siamo intorno

alle 23.30, 23.35.

Cioè siamo in un orario molto avanti,

mentre invece lui sarebbe uscito di casa

intorno alle 22, 22.30.

Che cosa ha fatto?

Ma perché Vanacore mentì?

Dice ancora patrono.

Ma guarda, qui c'è una congettura,

che non è mia però,

è del Pubblico Ministero

Ilaria Calò.

La congettura dice che Vanacore,

nei suoi spostamenti,

si sarebbe accorto,

avrebbe scoperto l'omicidio.

Forse perché la porta

era stata lasciata aperta e lui l'ha notata.

Forse perché ha visto qualcuno uscire.

E che però, invece di chiamare la polizia,

si sarebbe messo a cercare il capufficio,

tale Corrado Carboni,

il Presidente degli Ostelli,

tra tale Caraccio Rodisarno,

e quindi si sarebbe innescato

un meccanismo

per il quale intorno,

poniamo alle 18,

il capufficio, il Presidente degli Ostelli

e Salvatore Volponi,

avvertito da qualcuno di questi due,

erano a conoscenza che c'era stato un incidente.

O meglio, forse questo

pensava Salvatore Volponi,

sempre a detta del Pubblico Ministero Ilaria Calò,

Pubblico Ministero nel processo di primo grado.

Questa congettura, in effetti,

tale rimane,

perché, diciamo che,

è sostenuta da un altro elemento,

ovvero un'agendina rossa

marchiata alla vazza,

che restituita poi,

molto dopo il delitto,

alla famiglia per erroneamente,

fece pensare che fosse stata,

in realtà, repertata,

anche se non c'è un documento di repertazione,

dentro l'ufficio e che quindi,

siccome questa agendina rossa la vazza apparteneva

a Pietrino Vanacore,

lui l'avrebbe usata per cercare

tutta questa gente.

Quindi, secondo l'accusa,

Rani Robusco sarebbe stato l'autore dell'omicidio,

avrebbe ucciso Simonetta Cesaroni

e poi avrebbe ripulito la scena del crimine.

Pietrino Vanacore, spinto non si sa da qual istinto o ragionamento,

avrebbe avvertito i datori di lavoro della ragazza,

invece di chiamare la polizia.

Il 7 giugno 2010,

a testimoniare in aula il processo è Mario Vanacore,

il figlio del Custode,

che aggiunge alla ricostruzione del giorno dell'omicidio

un elemento fino ad allora ignorato.

Mario Vanacore dice che quando Salvatore Volponi

vede il corpo di Simonetta Cesaroni, disse

«O Dio bastardo, o Dio, o Dio bastardo».

Il 12 novembre 2010,

la pubblica ministero chiede a Volponi

il motivo di quella affermazione.

Lui non nega di aver detto quelle parole.

Dice «L'ho detto al maschile perché si dice al maschile».

È un modo di dire.

Non avevo in mente nessuno, è stata un'imprecazione.

Mi è venuta così.

Il 26 gennaio 2011,

a Raniera Busco, viene condannato a 24 anni di carcere.

Buonasera a tutti voi dalla TG1.

21 anni dopo c'è un colpevole per il delitto di Viapoma,

per i giudici della Corte d'Assise di Roma,

fu l'ex fidanzato a Raniero Busco

ad uccidere Simonetta Cesaroni il 7 agosto del 1990,

drammatica alla lettura del verdetto in aula

davanti allo stesso Busco che ha avuto un malore.

Il processo d'appello nel 2012 ribalta tutto.

La Corte d'Appello ha disposto quelle perizie cosiddette

superpartes che non erano state richieste

nel processo di primo grado.

È vero, sul top di Simonetta Cesaroni

ci sono tracce di Busco,

ma anche altre tracce maschili da identificare.

Busco e Simonetta Cesaroni poi erano stati insieme

due giorni prima del delitto.

Quelle tracce possono risalire ad allora.

Il sangue è sulla porta dell'ufficio e del gruppo A,

mentre il Raniero Busco e il gruppo zero.

L'ipotesi del morso viene poi del tutto smontata.

Ecco cosa disse in aula

l'anatomo patologo, corrado cipolla da Bruzzo.

Ora, come si può pensare

da queste due piccole scoriazioni

che dipendano da un morso?

Qui non c'è l'opponente.

Come si fa a ipotezzare un morso

da piccole scoriazioni, ma questo è un non senso.

Non solo.

A poi, addirittura,

si vuole elaborare tutta una serie di indagini

che non solo partono dal presupposto che quello è un morso,

ma addirittura elaborano tutta una teoria

per dimostrare che non solo è un morso,

ma quanto è riferibile proprio

alla dentatura,

vadate bene al cata inferiore dell'inputato.

In 27 aprile 2012,

Raniero Busco,

viene assolto per non aver commesso il fatto.

Nei collegi giudicanti c'è anche Giancarlo De Cataldo,

giudice divenuto famoso per un libro che racconta

la storia della banda della Magliana,

romanzo criminale.

Ecco cosa venne scritto

nelle motivazioni della sentenza.

Alla luce delle considerazioni fin cui svolte

si può pervenire alle seguenti conclusioni.

Simonetta Cesaroni fu uccisa tra le 18 e le 19

del 7 agosto 1990,

nell'ufficio di Via Poma.

La ragazza fu attinta da 29 coltellate.

Chi commise il delitto o altra persona ripulì

accuratamente la scena del delitto portando via

la maggior parte degli indumenti di Simonetta.

Non vi è prova che in occasione dell'omicidio

le fu inferto un morso.

Se anche contro il parere del Collegio Peritale

si dovesse ritenere che le lesioni al seno

siano da ricondurre a un morso,

ancorché parziale, una sua attribuzione all'imputato

Raniero Busco non sarebbe scientificamente sostenibile.

Sul Regiseno e sul corpetto di Simonetta Cesaroni

sono presenti tracce di DNA minoritario

riconducibile a Raniero Busco.

Non è provato che dette tracce

siano state rilasciate in occasione del delitto.

Non vi è prova che gli indumenti indossati da Simonetta

fossero stati sottoposti al lavaggio tale

da rimuovere ogni traccia che poteva essersi depositata

durante l'incontro che Simonetta Cesaroni ebbe

con Raniero Busco tre giorni prima del delitto.

Non vi è prova che Busco avesse un movimento

per uccidere Simonetta.

La relazione tra i due ragazzi poteva essere problematica

ma non sono emersi atti specifici di violenza

commessi dall'imputato.

In danno della vittima né si può affermare che Busco

sia portatore di personalità violenta.

Non vi è prova che tra Simonetta Cesaroni e Raniero Busco

si fosse convenuto di incontrarsi il pomeriggio del 7 agosto

presso gli uffici di Viapoma

e non viene nemmeno prova che Busco conoscesse

il luogo di lavoro di Simonetta.

Tutto ciò considerato non vi sono elementi

per ritenere provata, al di là di ogni ragionevole dubbio,

la penale responsabilità di Raniero Busco

in ordine al delitto a scrittogli.

L'appellante va pertanto assolto con la formula

per non aver commesso il fatto.

Il 26 febbraio 2014

la Corte di Cassazione conferma la soluzione di Raniero Busco.

Il delitto di Viapoma

torna a essere un cold case.

Secondo Raffaella Fanelli, autrice del libro

che ha ucciso Simonetta Cesaroni,

nella storia del delitto di Viapoma

hanno avuto grande importanza,

non solo li ero rifatti in una prima fase dell'indagini,

ma anche palesi dei pistaggi.

Dice Raffaella Fanelli.

Mi vende a dire che quella sera

con il 7 agosto in Viapoma

è probabile che siano arrivati solo degli incompetenti

oppure qualcuno che ha

e incompetente non era Sergio Costa

oppure che qualcuno ha pensato bene

e ricondore le indagini in maro modo.

Non è detto che il momento della depistaggio

è un momento in cui un sicilio si ha lo stesso.

Di certo portano le stesse persone, portano le stesse...

portano le stesse nomini.

L'attività dell'associazione

era un'attività alquanto strana.

C'è un ammanco di 2 miliardi

o comunque 2 miliardi arrivati

come contributo dalla provincia

ai gestiti in maro modo

tanto che poi l'associazione fu commissariata.

Che sia legata

all'ammanco di soldi,

che ci sia stato altro,

questo non sta messo.

Io ne li prometto insieme

tutte le notizie e i fatti

e poi deve essere un altro a fare le indagini.

L'attività degli ostelli

ma anche l'arteggiamento e il comportamento

di tutte le persone che ruotavano

intorno a gli ostelli

degli impiegati strano.

Tutti prendono le distanze

da Simonetta Cesaroni.

Tutti dicono di non averla mai vista,

di non averla mai incontrata prima,

di non averla mai incruciata,

se non Anita Baldi che era la terza in carida.

Era subito dopo Caraccio,

il Corado Carbonica e il direttore

era la persona che comunque

ha dichiarato di aver conosciuto

Simonetta, ma l'unica.

Tutti hanno preso le distanze da quella radiazza.

Salvatore Volponi, che era il datore di lavoro

di Simonetta, uno dei soci della Reli,

ha addirittura preso le distanze

dagli uffici di Diapoma.

Non li ha presi da Simonetta, risultano

una sua dipendente,

ma ha preso le distanze

dagli uffici di Diapoma, sempre detto

di non esserci mai stato prima di quella sera.

E poi Giuseppa De Luca, la vedo

va del tortiere,

mi stia per aperto proprio

perché lo aveva riconosciuto.

Sono state fatte tante ipotesi,

soprattutto recentemente.

Qualcuno continua a sostenere

che l'attività dell'IAG

fosse in realtà legata ai servizi segreti.

Un'altra ipotesi

è che si siano voluti coprire

affari non chiari

per la stessa associazione.

Queste ipotesi non hanno

mai trovato nessun riscontro.

Sull'ipotesi servizi segreti

Igor Patrono dice questo.

A me non risulta

assolutamente

che poi qualche personaggio

abbia deciso di

occuparsi del delitto

per ragioni

che francamente

si possono ipotizzare

ma non si possono dimostrare.

Questo è possibile.

È possibile.

È possibile che qualcuno

diciamo qualche potere

abbia deciso di occuparsi del delitto

ma non per coprire

un assassino

ma probabilmente per coprire

qualcosa di lecito

che non aveva a che fare

con chi ha commesso il delitto

ma forse poteva

avere a che fare con quell'ufficio

con qualcuno che lo frequentava.

Quindi forse dei pistaggi ci sono stati

non per coprire l'assassino

ma per coprire altro

che però non è mai stato capito

né tanto meno dimostrato.

Nel settembre del 2022

la commissione parlamentare antimafia

chiesse alla Procura di Roma di considerare

l'ipotesi di più approfonditi

atti investigativi

volte a valutare i possibili elegame

tra il furto nel cavo

di cui fu vittima tra gli altri

Francesco Caraccio Lo di Sarno

con gli uffici dell'Iag

e con il delitto

cui si riferisce mondiale

per la presente sezione della relazione finale.

La commissione antimafia

si riferisce memoria un furto

avvenuto in una filiale della banca di Romane

1999

Fu rubato il contenuto

quattro cassette di sicurezza su un totale di 900. Una delle 144 cassette era di proprietà

di Francesco Caracciolo di Sarno, il presidente dell'IAC. A compiere il furto, con altri,

fu Massimo Carminati, ex terrorista fascista, soprannominato il Ceccato, persi l'occhio

sinistro in seguito a un colpo di pistola sparato da un poliziotto. Carminati è stato

uno dei protagonisti dell'inchiesta chiamata Mafia Capitale. Secondo l'ipotesi formulata

dalla Commissione Antimafia, il furto in quel cavo fu forse realizzato proprio per impossessarsi

di documenti appartenenti a Caracciolo di Sarno e relativi al delitto di Viapoma. Sono

suggestioni, ipotesi. Sicuramente ci sono stati errori nelle indagini sottovalutazioni

congruenze, stranezze al limite dell'assurdità. Basta pensare a sangue nell'ascessore trovato

solo venti giorni dopo il delitto, all'agenda lavazza scomparsa, all'alibi di Rania Robusco

che non si trova più, al computer non sequestrato, all'arma del delitto mai individuata con

certezza, al segno che era un morso e che poi, forse, non è stato più un morso, a

Salvatore Volponi, che dice di non essere mai stato in Viapoma e che però viene contraddetto

dalmeno tre persone, e poi i corridoi che collegano le cantine di Viapoma, la presenza

di funzionari dei servizi segreti non registrati nei verbali, alla poliziotta, che lascia un

biglietto sulla scena del crimine e che viene scambiato per un indizio, alla traccia di

sangue nella guardiola dei portiere che prima c'è poi non c'è più, a Salvatore Volponi

che pronuncia la parola Bastardo, e ancora oggi non si è capito perché quel giorno Simonetta

Cesaroni si è andata all'IAC, c'era davvero un lavoro da terminare.

Ha scritto l'autore Felix Metler nel suo libro Il Cinghiale, dubbito che si possa

ideare il delitto perfetto, non si può mai prevedere completamente tutto, una combinazione

per quanto insignificante può distruggere un piano, ma può succedere anche il contrario,

basta una fortunata coincidenza e un'azione semplice diventa così illogica, così impertscrutabile

che un semplice omicidio diventa un delitto perfetto.

Le indagini sul delitto di Viapoma sono state riaperte un anno fa circa, Francesco Caraccio

di Sarno è morto, anche Salvatore Volponi è morto, e così Pietrino Vanacore, Cesare

Valle era morto nel 2000, dice Igor Patruno.

Dentro il complesso di Viapoma c'erano 26 uffici, con un numero di persone che io

ho calcolato, superava appondantemente il centinaio, che si ricavano lì ogni giorno.

Siamo al 7 agosto naturalmente, non tutte le attività sono in funzione, ma alcune lo

erano, basti pensare che al Piano Terra nell'ufficio nel quale poi venne fatto un sopra

il luogo perché vi lavorava appunto un indiziato, c'erano almeno tre attività diverse, dentro

un solo ufficio.

Ora nella Palazzina A c'erano uno studio di avvocati e c'erano cinque avvocati, c'erano

una decina di praticanti, il ragionamento che io ho fatto è questo, fin da subito le

attenzioni si sono rivolte nei confronti del portiere, perché il portiere aveva e non

ha mai spiegato un buco clamoroso negli alibi del pomeriggio e della serra, inoltre aveva

chiaramente mentito su numerosi aspetti della sua giornata, però tutto questo ha permesso

che si tralasciasse la posizione di innumerevoli soggetti che quel giorno potevano, erano nelle

condizioni di essere in Viapoma, quindi potevano tranquillamente entrare nel complesso delle

Palazzine di Viapoma e quindi potevano anche trovarsi nella condizione di entrare nell'ufficio

dove Simonetta Cesaroni lavorava, quindi a mio avviso quello che si è tralasciato è tanto e cioè è

l'abosizione di decine di soggetti che avrebbero potuto essere là il 7 agosto nel pomeriggio.

Da qui sono ripartite le indagini, dal considerare altre piste, dal formurale e altre ipotesi che i

tempi non venerò fatte. Si è parlato di intercettazioni e di rivelazioni, di una testimonianza

secondo cui l'avvocato Caracelo di Sarno fosse a Roma nelle ore del delitto e non in viaggio

verso Fimicino. C'è sicuramente la consapevolezza che possibili indagini e piste investigative

siano state tralasciate e allora bisogna tornare all'immagine iniziale, a quelle Palazzine,

al cortile principale con la vasca dei pesci, agli altri cortini. Bisogna scendere sotto nelle

cantine percorrendo i corridoi che portano da una Palazzina all'altra e poi tornare in alto per

cercare di ricostruire come in un grande piano sequenza cinematografico i movimenti di tante

persone che erano lì, in Via Poma, il pomeriggio del 7 agosto 1990, quando una ragazza di 20 anni

venne uccisa, si chiamava Simonetta Cesaroni. Avete ascoltato la nuova storia di indagini

sull'omicidio di Simonetta Cesaroni, avvenuto a Roma in Via Poma, il 7 agosto 1990. Trovate

la prima parte e tutte le altre storie di indagini sul lab del post e su tutte le principali

piattaforme di podcast. Indagini è un podcast del post scritto e raccontato da Stefano

Nazzi. Chi vuole se iscriverci può farlo all'indirizzo indagini-ilpost.it.

In questa puntata di indagini si parla di un probabile suicidio. Se sei in una situazione di

emergenza, chiama il numero 112. Se tu o qualcuno che conosci a dei pensieri suicidi, puoi rivolgerti

al telefono amico. Il servizio di aiuto telefonico è raggiungibile chiamando 0223272327 o scrivendo

su whatsapp al 324-01-17-252.

Machine-generated transcript that may contain inaccuracies.

Il 7 agosto 1990 in via Poma, a Roma, nel quartiere Prati, una ragazza di vent’anni venne assassinata con 29 colpi di quello che il medico legale definì «un mezzo da punta e taglio con peculiarità bitagliente ma non dotata di particolare azione recidente e penetrata segnatamente in virtù della sua estremità aguzza». Il medico disse che poteva trattarsi di un tagliacarte ma sull’arma non c’è mai stata alcuna certezza.
La ragazza si chiamava Simonetta Cesaroni. Quel giorno era in un ufficio dell’AIAG, Associazione italiana alberghi della gioventù. Stava lavorando al computer: doveva inserire alcuni dati contabili.
Per il suo omicidio venne indagato e arrestato il portiere dello stabile in cui si trovava l’ufficio, Pietrino Vanacore. Fu rilasciato qualche giorno dopo: contro di lui non c’era nessuna prova concreta. Il suo nome però tornò più volte, negli anni, durante le indagini. Due anni dopo a essere indagato fu il nipote di un inquilino della palazzina in cui era avvenuto l’omicidio. Anche lui fu scagionato. Vent’anni più tardi a essere processato fu il ragazzo che, all’epoca era fidanzato con Simonetta Cesaroni: Raniero Busco. Venne condannato in primo grado e poi assolto in appello e in cassazione.
Il colpevole dell’omicidio di Simonetta Cesaroni non è mai stato individuato e il caso di via Poma è il cold case più famoso della storia italiana.

Nello shop del Post è disponibile la borsa di Indagini.

Indagini è un podcast del Post scritto e raccontato da Stefano Nazzi.