Indagini: Veneto, Lombardia, Germania, 1977-1984 - Prima Parte
Il Post 5/6/23 - Episode Page - 49m - PDF Transcript
C'è un grande spazio abbandonato da tempo, a Castiglione delle Stiviere, in provincia
di Mantova. Si trova in centro, in via Giovanni e Chiasi. È grande, 1329 metri quadrati.
All'interno si trova ancora una parte degli arredi degli anni 80. Le paretieri flettenti,
la postazione Mixer in alto. Era una discoteca, una delle più famose del nord Italia. Si chiamava
Mela Mara. Immaginatele in una domenica pomeriggio del 1984. Allora le feste in discoteca della
domenica pomeriggio erano una con suetudine. Immaginatele luci stroboscopiche e uno dei
DJ più famosi di quegli anni, Rudi Franceschi. Suonava soprattutto Afro e Funky nel 1984,
l'anno in cui la discoteca si balla anche relax, dei Frankie Ghost to Oliveau, Big in Japan, degli
Alfa View, Denzel Days, dei Uwanchun. Quel giorno, il giorno di cui parliamo, il 4 marzo 1984,
al Mela Mara, c'è la festa di carnevale. A metà pomeriggio, dentro il locale, ci sono
400-500 ragazzi. Ci sono quelli vestiti da Dracula, da Strega, gli skeletri abbondano. C'è qualcuno
vestito da Mummia. Alcuni hanno solo una mascherina sul viso. E poi ci sono due pierro.
Hanno pantaloni bianchi, ampie camice bianche con grandi bottoni neri, cuffie nere in testa
e la lacra in maniera che scende disegnata sotto l'occhio. Sono alti più o meno uguali,
uno è più magro, dalla cuffia escono capelli biondi. L'altro è più robusto,
ai capelli castani. Uno dei due si è messo in fila, ha pagato il biglietto ed è entrato in
discoteca. Una volta dentro ha girato un po' per la sala, poi ha aperto la porta di sicurezza e ha
fatto entrare l'amico. Il secondo pierro ha portato dentro due borsoni di quelli di tela morbidi.
Poi due si sono seduti sulle poltroncine ai lati della pista. Uno si è anche alzato,
ha ballato un po' e tornato a sedersi. Poi a un certo punto hanno tirato fuori dalla tasca un coltello
ciascuno, hanno tagliato il fondo delle borse. Uno dei pierro è andato in una direzione, l'altro
dalla parte opposta. Nei borsoni c'erano due taniche colme di benzina, erano state tagliate anche quelle.
I due pierro hanno iniziato a spargere la benzina per il locale, sapevano come fare,
l'avevano già fatto, altrove poco tempo prima, in Italia e all'estero.
Questa è una storia iniziata sui banchi di un liceo, il girolamo fra Castoro di Verona e
la storia di due ragazzi che parlavano di filosofia, di Kant, di Kierkegaard, di Heidegger.
Ma è una storia anche di coltelli, di martelli, di roghi, di un'amicizia esclusive malata,
di una fuga iniziata in bicicletta e finita su un'isola greca, di arresti sbagliati e di indagini
che in molti ancora oggi giudicano troppo sbrigativa. E' la storia del disturbo psicotico condiviso,
conosciuto meglio come Follia II. E' una storia scritta con caratteri erunici e firmata da una sigla
che nessuno ha mai capito che cosa significasse in realtà. E' la storia di tante vittime e di due
ragazzi che forse, però, erano più di due. Si facevano chiamare Ludwig.
Io mi chiamo Stefano Nanzi, faccio il giornalista da tanti anni e nel corso della mia carriera
mi sono occupato di tante storie come questa, quelle che nel tempo vi sono diventate familiari
e altre che potreste non aver mai sentito nominare. Storie di cronaca, di cronacanera,
di cronaca giudiziaria. Il podcast che state ascoltando si intitola Indagini ed è prodotto
dal poste. Vi racconterò ogni mese, una volta al mese, una di queste storie, tentando di mostrare
non tanto il fatto di cronaca in sé, il delitto in sé, bensì tutto quello che è successo dopo,
il modo in cui si è cercato di ricostruire la verità, le indagini giudiziarie e i processi
con le loro iniziative, le loro intuizioni e i loro errori. Il modo in cui le indagini
hanno influenzato la reazione dei media e della società. E il modo in cui media e la società
hanno influenzato le indagini.
Con il pomeriggio al Mellamara, poco dopo le 16.30, qualcuno corre alla postazione del DJ,
dice, c'è puzza di benzina, facciamo uscire tutti. DJ Franceschi abbassa la musica, spiega,
ragazzi c'è un problema, bisogna lasciare la discoteca, facciamolo con calma ma in fretta.
Intanto uno dei due pierro è stato fermato dai butta fuori, l'altro ha continuato a spargere
benzina. Ha fatto roteare il borsone sempre più forte, lanciando la benzina sui ragazzi intorno.
Poi ha acceso un fiammifero e l'ha fatto cadere sulla moquette.
Una fiammella leggera si è subito spenta. Allora il ragazzo si è chinato a tirato fuori un
accendino, c'è stata un'altra fiammata, ma niente di più.
Poco più di un anno prima, il 13 febbraio 1983, a Torino, c'era stato l'incendio del cinema statuto.
Morirono 64 persone. Stavano guardando il film La Capra con Gerard Despartiers,
fu un cortocircuito a provocare l'incendio. Le leggi sulle sicurezza nei locali pubblici erano
allora antiquate e inadeguate. Non erano obbligatorie per esempio le uscite
di sicurezza con i maniglioni antipanico. Anche le regole sui materiali da utilizzare
per i tendaggi, le moquette, i rivestimenti delle poltrone erano ambigue, poco precise.
Dopo l'incendio dello statuto ci furono controlle in tutta Italia. Molti locali chiusero, alcuni
temporaneamente, altri per sempre. Tutti si dovettero adeguare. Al Mellamara la moquette era
stata cambiata da poco, era in nifuga, non prese fuoco. Il secondo Pierrot tenta di scappare,
da fuoco alla Tanica e la Jetta, una ragazza corre fuori con i vestiti che bruciano.
Anche il secondo ragazzo viene fermato, arrivano i carabinieri. Qualcuno tenta di aggredire due Pierrot.
Ecco cosa ricordò, anni dopo, alla trasmissione telefono giallo condotta da Corrado Augeas,
uno dei proprietari del Mellamara.
All'interno locale c'erano circa 400 persone. Quando d'un tratto avvertimo un forte odore
di benzina, molto intenso. In quel periodo avevo sostenuto un corso e vigile fuoco.
Sapevo che la benzina è molto pericolosa in un locale perché già i vaporei di Persefano
convustione. Mi sono un po' alarmato, ho avvisato la gente del personale, il personale ha detto
di stare attenti e qualche d'uno già iniziava a girare con i mani agli astintori.
Ho avvisato la gente, sono sceso dalla regia e in mezzo al buio ho visto una fiammella,
un bagliore, un piccolo bagliore, ho arrivato a un certo punto a fargli spintoni alla gente
perché poi la gente si è un po' agitata, fa gli spintoni così, si è rotto il manico
di questa borsa, la borsa si è rovesciata per terra e fu riuscito del liquido e si è alzata
una grande fiammata praticamente, il locale si è illuminato a giorno, proprio dal buio che c'era
si è illuminato a giorno. I pavigneri che in quel momento li stavano transitando e hanno visto
tutto il trambusto, insomma, si sono interessati per l'accaduto, insomma, cosa sta succedendo,
che tutta la gente correva fuori e addirittura è uscito un ragazzo con le fiamme. Già gli altri,
gli addetti al personale, con gli astintori, cercavano di spegnere queste fiamme, però è
molto difficile, cioè non si riusciva a spegnere con gli astintori, sono riuscito ad entrare nel
locale con l'astintore, con la forza dell'acqua, siamo riusciti a spingere fuori quella tanica,
quella borsa, lì contenente, quel liquido lì e siamo riusciti insomma ad evitare il peggio
all'interno del locale. Mentre io ho intento a spegnere l'incendio e portare fuori la borsina
così, so che all'ingresso c'è stata una collutazione con un ragazzo che poi si è rivelato
avel.
È una scena assurda quella che si vede fuori dalla discoteca. Due ragazzi,
vestiti da pierrot, immobilizzati dai carabinieri e attorno a altri ragazzi,
tutti travestiti, che urlano, lanciano getti, tentano di aggredirli.
I due pierrot sembrano calmi. Uno dice, ma dai, era uno scherzo, volevamo vedere come reagiva
la gente. L'altro, addirittura, spiega non avete capito nulla, la benzina serviva per la
vespa, l'abbiamo lasciata a qualche chilometro da qui.
Li portano in caserma, li identificano. Si chiamano Marco Furlan e Wolf Angabel.
A 94 anni, vivono a Verona. Sono diventati molto amici frequentando il lecceo scientifico
fra Castoro, in via Moschini. I giornali poi scriveranno che sono figli della Verona Bene,
qualunque cosa voglia dire.
Abel, detto Wolfie, è nato a Monaco di Baviera. Il padre è dirigente di un'importante
compagnia di assicurazione tedesca, è il capo della filiale italiana. Furlan è figlio del primario
del reparto grandi ustionati dell'ospedale di Borgo Trento. Entrambe le madri sono a casa,
si occupano della famiglia. Interrogati, sia Abel sia Furlan, dicono che quel giorno sono arrivati
in vespa, una px bianca intestata a Furlan, ma che prima era di Abel. Sono arrivati a Castiglione
di Estiviere, poi sono andati a Carpenedolo, in provincia di Brescia. Li hanno lasciato la vespa,
l'hanno legata a un paro. Poi, secondo il loro racconto, sono andati a piedi fino al Mellamara,
portando le due borse con dentro le tani che già riempite. Arrivati vicino al discoteca, si sono
cambiati e vestiti da Pierrot, sono quattro chilometri di strada. È una storia che non
convince e che ha spinto molti a pensare che in realtà qualcuno abbia accompagnato i due ragazzi
fino al Mellamara. E poi perché sono andati a Carpenedolo a lasciare la vespa? Loro, a questa
domanda, non rispondono. Abel e Furlan vengono portati nella casa circondariale di Mantova,
in Via Poma. Continuano a dire che non volevano davvero bruciare la discoteca, che non avevano
intenzione di fare del male a nessuno. È stata solo una fiammella, ripetono. Abel, però, qualcosa in più dice.
Per la nostra intenzione di spaventare la gente, volevamo rovinargli la festa,
volevamo fare uno scherzo. Che la gente corasse via, fare uno scherzo così. Io volevo dare fuoco
alla discoteca, ma non so perché. L'unico motivo è quello che è perché ho qualcosa contro le
discoteche, soprattutto per il tipo di gente che le frequenta, per l'ambiente e per il tipo di
persone che ci vanno. Mi riesce intollerabile a pensare che nelle discoteche si ricchino tanti
giovani. È un luogo che rende vittime le persone che le frequentano, in ducento sbagli insulsi che
ripugnano. È assurdo che nei paesi si pensi solo alla discoteca, che ciclo motori ricchino gli
adesivi delle discoteche, che così tutta la gioventù venga traviata dall'esistenza di questo tipo
di locali. Volevamo bruciare il locale, ma escludo di aver voluto fare una strage. Già che la mia
intenzione era quella di salvare le persone dalla nefasta influenza delle discoteche. Il mio
intendimento, per quanto simbolico, era quello di distruggire e bruciare la discoteca come
luogo di perdizione e strumentalizzazione di tanti giovani, come luogo di diffusione imponente di
stupefacenti. Qualcuno in procura a Mantova ricorda che dieci mesi prima a Milano è accaduto
qualcosa di simile a ciò che sarebbe potuto accadere a Milamara e che qualcosa di analogo è
accaduto da poco anche a Monaco di Baviera. E poi ci sono alcuni fatti di sangue, omicidi
spiegabili commessi da chi farnetica contro tossico dipendenti, prostitute, religiosi,
homosexuali e anche contro chi va in discoteca. Quei fatti di sangue, quei delitti, sono iniziati a
Verona nel 1977. Bisogna quindi tornarci al 1977, a 7 anni prima del pomeriggio del Milamara,
bisogna andare in una strada di Verona, via Taormina, nei quartieri di Borgo Nuovo,
è il 25 agosto, le 4 del mattino. C'è un uomo in quella strada che vive in un
auto, una Fiat 126, si chiama Guerrino Spinelli, a 39 anni, non ha una casa.
Pochi metri distante, anche una moglie, Carolina Morello, vive in un auto.
Mentre Guerrino Spinelli sta dormendo, qualcuno apre la portiera del 126 e getta nell'auto due
bottiglie Molotov. L'uomo si lancia fuori dalla macchina, ma i suoi vestiti bruciano, bruciano
anche lui. Muore pochi giorni dopo, il 2 settembre, alle 10.55, ne reparto grandi usionati,
dell'ospedale di Borgo 30. La moglie, interrogata dalla polizia, dice di aver visto tre persone
fuggire, ma non è sicura. Passa più di un anno, martedì 19 dicembre 1978, Padova.
Una guardia giurata, in giro di perlustrazione in sella o motorino, sta passando in via Riosto,
non lontano, da Piazzale della Stanga. Vede due persone che si stanno allontanando in fretta.
Poi vede un Alfaro Meo Giulia 1003, rossa, ferma, con la freccia a sinistra lampeggiante. La
portiera è aperta. La guardia giurata si avvicina. Riverso, sul volante, c'è un uomo. Ha un coltello
conficato nella schiena e un altro alla base del collo. Si chiamava Luciano Stefanato. Lavorava
come cameriere, all'hotel Eden di Abano Terme. La guardia giurata dice alla polizia di aver
visto allontanarsi due ragazzi sui 18-20 anni. I giorni successivi, i giornali parleranno di
un omicidio maturato in ambiente omosessuale. L'autopsia dice che le coltellate sono state 30,
prima che le lame venissero lasciate definitivamente conficcate nella schiena e alla base del collo
dell'uomo e che a colpirlo sono state due persone. La Procora di Padova indaga però
un uomo solo, Giuliano Macchion, un 26 anni di Padova. Alcuni testimoni lo hanno visto parlare
quella sera con Stefanato, dalle parti della Stanga, l'allontano da Via Rostro. Dopo due anni la sua
posizione vera archiviata. Un anno ancora, 12 dicembre 1979, Venezia, attorno a mezzanotte,
una donna che abita in Sestiere e Santa Croce sente delle urla, qualcuno grida bastardi,
sente dei colpi, qualcuno corre, si affaccia la finestra, vede due persone che inseguono
un ragazzo che cerca di scappare, ma viene raggiunto e colpito. La donna pensa che lo
stiano prendendo a pugni. Non sono pugni, sono coltellate. Alla fine il ragazzo cade a terra.
Si chiamava Claudio Costa, aveva 22 anni. Verrà descritto dai giornali come un tossico
dipendente. In realtà, secondo gli amici, fumava Ashes, tutto qui. Lo hanno colpito
con 7 coltellate alla schiena, 3 alla spalla sinistra, 5 al petto. La donna che ha assistito
all'aggressione dice che a un certo punto uno dei due aggressori ha alzato gli occhi verso la sua
finestra. Era alto più o meno un metro e tanta, aveva una giacca scura e i jeans. La polizia
trova sul luogo dove si ha ucciso Claudio Costa, un paio di occhiali simili a Reiban,
con Lenti Zeiss un Bramatic, sporchi di sangue. L'aggressione costa è iniziata in campo
dei tedeschi, poi il ragazzo è fuggito, i due assassini l'hanno inseguito.
Vengono indagati due ragazzi, due persone che avevano trascorso qualche ora quel giorno con
Claudio Costa. Si chiamano Gianna Zanata e Salvatore Sedda. Prima, spaventati negano di aver
visto il ragazzo, poi ammettono che sì, lo hanno incontrato, ma poi si erano separati.
Intanto i genitori di Costa dicono che quegli occhiali, quelli trovati nel luogo dell'omicidio,
non sono di Claudio. Non sono nemmeno dei due ragazzi indagati. Le ricerche della polizia,
tra i negozi veniti, portano a scoprire che quegli occhiali sono stati acquistati, quasi
certamente, in un negozio di Verona, lo studio visione rigattieri. Nel 1982 Gianna Zanata e
Salvatore Sedda vengono processati e assolti per non aver commesso il fatto.
Intanto però, nel novembre del 1980 era arrivata la prima lettera, la prima di molte. Arriva
a Mestre, alla redazione del quotidiano il Gazettino. La busta è stata spedita da Bologna,
il 4 novembre. In alto c'è il disegno di un'anculia su una svastica, un simbolo nazista. Sul foglio le
parole sono state scritte in stampatello, con lettere che richiamano l'alfabeto runico,
il sistema di scrittura delle antiche popolazioni germaniche. Sul foglio è scritto. L'organizzazione
Ludwig si assume la responsabilità delle seguenti uccisioni. Guerrino Spinelli, Verona,
agosto 77. Luciano Stefanato, Padova, dicembre 78. Claudio Costa, Venezia, dicembre 79.
Come prova dell'authenticità di questa rivendicazione, riportiamo alcuni particolari
riguardanti gli attentati che non sono di dominio pubblico. Nel primo si è fatto uso
di quattro bottiglie Molotov, non due, come riportano i giornali, confezionate con fiaschi da
due litri di cui due sono state lanciate dentro la macchina e due fuori. Nel secondo sono
stati usati coltelli con il manico in plastica e di colore rosso arancione. Per quel che riguarda
il terzo sono stati usati due coltelli da cucina con il manico di plastica bianca che sono stati
gettati sotto il ponticello vicino al quale è stata colpita la prima volta, la vittima morta nello
stesso vicolo, dopo altre due colluttazioni. Got mit uns. Significa dir con noi in tedesco.
Got mit uns era il motto dell'ordine dei fratelli della casa di Santa Maria in Gerusalemme,
conosciuto come ordine teutonico, un anticordine fondato da alcuni tedeschi in terra Santa all'epoca
della terza crociata, quasi 900 anni fa. Poi quel motto compare anche sulle fibbie dei cinturoni
della Wehrmacht, l'esercito tedesco durante la seconda guerra mondiale. E' una rivendicazione
attendibile? Ci sono molti dubbi, anche perché è arrivata tre anni dopo il primo amicidio.
Nessuno, comunque fino ad allora, aveva collegato i tre delitti di Verona,
Padova e Venezia. Però è vero, contro l'auto di Guerrino Spinelli sono attate lanciate
quattro Molotov e i coltelli usati per uccidere Stefanato avevano in manico rosso e arancione.
Invece le ricerche fatte sotto il ponticello di Venezia, dove secondo la lettera sarebbero
stati gettati i coltelli usati per uccidere Claudio Costa, non danno nessun risultato,
non viene trovato nulla.
Ma perché Ludwig? Se lo chiederanno a lungo investigatori, giornalisti, sociologi,
qualcuno penserà a Ray Ludwig di Baviera, in meccanate di Richard Wagner, che fece
costruire castello di Noshvastain, quello del logo della Disney. Altre costano quella sigla Aotto
Ludwig, autore dell'opera in Maccabee, che prendendo spunto dall'omonimo libro della Bibbia,
racconta la storia di un movimento ebreo che, nel II secolo a.C., si ribellò contro il re antioco
quarto. Maccabee, in Aramaico, significa i martellatori, e martelli avranno purtroppo un ruolo
in questa storia. Ma qualcun altro penserà di aver capito il perché di quella sigla, Ludwig,
quando verrà trovato nella libreria di un indagato, un libro di Gnazio Silone,
l'avventura di un povero cristiano. Uno dei protagonisti è fra Ludwig, Ludwig, appunto,
quel libro è stato trovato a casa di Wolf Angabel. Lo scrittore Valerio Evangelisti
disse che l'origine del nome poteva essere ricamo al filosofo tedesco Ludwig Klayes,
perseguitato dal nazismo ma anche convinto antisemita, riferimento ai primi del 900,
di un movimento che univa antirazionalismo, antipolitica, antiscientismo, neuromanticismo,
filosofia orientale, misticismo della natura, esaltazione del ritorno alla terra.
Ora va fatto un altro salto in avanti per tornare a 1984, ai giorni successivi al tentatorogo
della discoteca Mellamara, per conoscere meglio Wolf Angabel e Marco Furlan.
Sono in carcere a Mantova. Il loro arresto è stato convalidato da quello che si chiamava
l'ora Tribunale della Libertà e oggi è il Tribunale del Riesame, al compito di esaminare
le ordinanze di custodia cautelare, può annullare, confermare o riformare l'ordinanza.
I due ragazzi interrogati in carcere continuano a dire che la loro è stata una ragazzata,
solo una ragazzata, una fiammella, specificabile.
Wolf Angabel è nato a Monaco di Baviere il 25 marzo 1959. Quando aveva cinque anni,
la famiglia si è trasferita sulle colline della Valpolicella, a Montericco di Negrar.
Suo padre, Gerard, ha avuto l'incarico di gestire la compagnia di assicurazione tedesca
Arag in Italia. La madre, Joanna, è Casalinga. Wolf Ang, ha due fratelli, Robert, più grande,
e Sabin, che muore a sei anni, nel 1974. A la polizia,
Wolf Angabel parlò così del fratello, al passatore moto, come se la sua storia,
con Wolf Ang, fosse una cosa lontana, irrecuperabile.
Mio fratello fu un ragazzo molto vivace ed estroverso fino all'età di circa 14 anni.
Un mutamento molto profondo e gli subì nei primi anni della scuola superiore.
Ritengo che ciò sia di peso da una drammatica esperienza da lui fatta nel 1974,
all'orchettra le sue braccia morì nostra sorella Sabin di sei anni.
Ciò nel breve volgere di alcune ore. Dall'ora il comportamento di Wolf Ang cambiò radicalmente,
divenne introverso, taciturno. Ricordo che dipinse di nero tutti i mobili della sua camera,
appese al muro tre crocifisti di legno, anche i sineri, raffigurò un sarcofago sulla cassa panca
della sua stanza, presente restarsi di filosofia. Posso dire di aver cessato di avere rapporti con
Wolf Ang proprio in quell'epoca, al punto che per me, mio fratello, è addirittura uno sconosciuto.
Marco Furlan è nato a Padova il 16 gennaio 1960, abita nella zona di Borgo Trento,
a Verona. Suo padre lavora all'ospedale, sua madre Marcella e Casalinga. Furlan ha due sorelle,
Giovanna e Lucia. Chi lo conosce lo descrive come un ragazzo molto introverso, chiuso.
Lui e Abel si ritrovano con panni di banco fin dal primo giorno al liceo scientifico. Legano
subito, diventano amici. Solo loro due, non frequentano altri ragazzi. Studiano, sono bravi a scuola,
soprattutto nelle materie scientifiche. Il pomeriggio Furlan passa a prendere Abel e vanno in giro.
Negli anni dell'iceo, Wolf Ang si è appassionata alla filosofia, cita Soren Kierkegaard. Non
importa tanto scegliere di volere il bene o il male, quanto di scegliere il fatto di volere.
I compagni di classe lo chiamano Wolf Ang Der Fraser, il congelatore. Lui non se ne cura.
Parla solo con Furlan. Loro due vivono come in una bolla, sempre soli. Ci si interrogerà
a lungo, negli anni successivi agli arresti, su chi fosse, nella coppia di amici, a trainare l'altro,
quale fosse la figura dominante. La risposta è sempre stata Abel. Era lui il più forte tra i due.
Monica Zornetta, autrice del libro Ludwig, storie di fuoco, sangue e follia, che ha seguito per
molti anni la vicenda anche dopo la sua conclusione processuale. Si è fatta un'idea diversa.
Zornetta spiega di aver ascoltato due persone che avevano avuto a che fare con Abel e Furlan
in carcere. Erano due ex appartenenti alla mala del Brent. Le spiegano che in realtà la personalità più
forte, dominante, era quella di Marco Furlan. Loro ricordavano che quando i due erano insieme,
Wolf Ang Abel non faceva nulla senza l'autorizzazione di Furlan. Abel, secondo i due loro compagni di
carcere, era una persona molto taciturna e riservata, ed era la personalità più fragile.
All'esame di maturità, Abel e Furlan prendono 54 e 56, speravano di avere il massimo dei voti,
che allora era 60. Ma il membro interno della Commissione, il professore di storia e filosofia,
ha detto agli altri esaminatori che quei due ragazzi erano si bravissimi, ma totalmente in
maturi. Per questo ha proposto di abbassare loro il voto. Abel si scrive all'università
a Padova, alla Facoltà di Mathematica. Si laurea nel 1984 a pieni voti. Poi va a Monaco di Baviera,
per frequentare un corso della compagnia d'assicurazione di suo padre. Appena può,
torna a Verona e si ritrova con Marco Furlan. L'amico si è scritto anche lui a Padova,
a Medicina, poi ha cambiato e passato a Fisica. Continuano a essere sempre loro due, sempre
insieme. Spesso prendono la Vespa e vanno in giro, fuori Verona. Disse il padre di Abel.
Mia moglie e io abbiamo anche tentato di separarli, ritenendo negativa l'influenza
dell'amico che consideravamo di personalità dominante. Furlan veniva a casa nostra solo
raramente, in genere si incontravano fuori. La loro amicizia era molto esclusiva,
tanto che non mi sovviene qualche altro amico che Wolfgang frequentasse e non mi ricordo se
alliceo frequentasse delle ragazze. Parlavo molto raramente con mio figlio e quindi non so se fosse
religioso. Di solito parlavo di filosofia e, discutendo, avevo modo di notare che la sua
preferenza andava a Spinosa, a Hegel, a Kierkegaard. Dai fumetti che lui stesso disegnava, mostrava una
spiccata propensione per la necrophilia, perché batteva sul tema della morte, che talora raffigurava in
modo inquietante. Intendo fare riferimento anche ai crocefissi in legno che lui stesso ha sculpito
e disegnato. Aspetti singolari di mio figlio sono dati anche da una produzione di fumetti con motivi
funerei, ma questo ancora in giovane età, dipinti di crocefissi insanguinati, affermazioni di volontà
suicida. Verso i vent'anni ebbe anche un periodo di spiccato interesse per la Bibbia, che leggeva in
modo approfondito pur non essendo mai stato particolarmente assiduo nelle funzioni religiose.
In realtà da due, per un breve periodo, erano diventati quattro. Durante una passeggiata in
centro a Verona, Furlaneabel avevano conosciuto due ragazze, Daniela e Anita. La prima si legò
per un certo periodo a Wolfgang. Chiamata come testimone dai magistrati che indagavano sul tentativo
di Rogal Mellamara, disse. Ho conosciuto Wolfgang e Marco nel 1975 o forse 1976, quando avevo
quattordici o quindici anni. Gli ho incontrati per la prima volta mentre passeggiavo per il centro
di Verona, assieme a un'altra ragazza, Anita. Dopo quel casual incontro, allacciamo un rapporto
di amicizia molto stretta, rispettivamente con Abel e Furlane. Abel mi colpiva allora per il
suo atteggiamento tranquillo e il suo modo di parlare con un italiano pressoché perfetto,
usando in maniera appropriata anche la terminologia più difficile. Lui e Furlane erano sempre insieme
e, pertanto, ci vedevamo sempre assieme anche con la mia amica Anita. Mi ricordo che Abel,
nei suoi discorsi, aveva come argomento comune il sesso inteso quale degradazione della società
di allora, nel senso della prostituzione di donne magari già sposate. Mi ricordo che con lui,
non sono mai andata in discoteca o in un cinema, a teatro o in altri luoghi di divertimento.
La ragazza confidò anche che un giorno Abel e Furlane li avevano confidato di essere di estrema
destra e di fare parte di un gruppo politico-religioso che si ritrovava in viastella, a Verona.
I due ridendo dissero, devi scoprire tu di cosa si tratta. Daniela, con Anita,
un giorno andò a vedere cosa c'era in viastella e scoprei che lì c'era la sede di un'organizzazione
che si chiamava Guerriglieri di Cristo Re. Le uscite a 4, Marco, Wolfgang, Daniela e Anita durarono
abbastanza poco. Qualche anno dopo, verso il 1983, Anita incontrò di nuovo casualmente due
ragazze. Ci usci una domenica pomeriggio, fecero una gita fuori Verona. Anche lei fu poi sentita
dai magistrati. Disse che Wolfgang e Marco le erano sembrati cambiati.
Ho incontrato nuovamente Abel e Furlane a distanza di qualche anno, nel 1983.
Fu organizzato una gita, io e mia sorella con loro due. Andammo nel vicino paese di Avesa.
Ho potuto constatare che Wolfgang era diventato più
meno verghista, mentre Marco aveva assunto un comportamento e una dialettica molto volgari,
tanto che io ne sono meravigliata, in quanto a me piaceva soprattutto perché avevo un comportamento
sempre corretto ed educato e non l'avevo mai conosciuto sotto questo aspetto. Dal mio punto
di vista, i due, pur essendo molto intelligenti, dovevano avere molti complessi di ordine psicologico
sessuale. Sempre dal mio punto di vista non si comportavano da questo lato come i ragazzi
loro coetanei.
Il 13 marzo 1984 l'agenzia di stampa ansa dà questa notizia. Importanti novità nelle indagini
sulle attività criminose del gruppo Ludwig sarebbero emersi stamane a Verona, nel corso
di un vertice al quale hanno partecipato ufficiali dei carabinieri delle città di Milano, Trento,
Padova, Vicenza, Venezia, Verona, Mantova. Al termine della riunione è stato infatti
comunicato che elementi impossessi dell'arma dei carabinieri, soprattutto a seguito dell'arresto
dei due giovani che avevano tentato di incendiare la discoteca Mellamara di Castiglione delle
Stiviere, porterebbero a far piena luce sui gravissimi episodi criminosi commessi da
gruppo Ludwig sia in Italia sia all'estero. I carabinieri sono convinti di aver preso
Ludwig e che Ludwig siano Wolf Angabele e Marco Furlan, autori degli omicidi di Guerrino
Spinelli, di Luciano Stefanato, di Claudio Costa e di molti altri delitti. Ludwig infatti
non si era fermato dopo aver ucciso a Venezia nella notte del 12 dicembre 1979. Un anno dopo
l'accoltellamento di Costa, la sera del 20 dicembre 1980, a Vicenza, in via Venezia,
qualcuno si avvicina da Lice Maria Barretta, 52 anni, che di lavoro fa la prostituta. La
donna è girata, rivolta verso la strada, viene colpita alla schiena da un colpo d'ascia,
cade a terra, viene colpita ancora più volte. Un automobilista che sta passando in quel momento
vede un uomo giovane che impugna qualcosa con due mani e colpisce la donna. L'aggressore
scappa. I carabinieri trovano l'ascia insanguinata e due borse. Nella prima c'è un martello,
nella seconda poco più lontano, identica alla prima, ci sono solo fazzoletti di carta.
A Lice Maria Barretta muore il 4 gennaio 1981, all'ospedale San Bortolo di Vicenza. La lettera
di Ludwig arriva alla redazione del gazettino un mese dopo, a febbraio. Rivendichiamo l'esecuzione
di Alice M. Barretta, il 2012-80, Vicenza. Prove per l'authenticità della rivendicazione.
Il martello ha il manico giallo ed ed è della marca Upex, porta come marchio il numero 1500,
Got Mithuns. È vero, il martello è marca Upex, ma il 1500 non è il marchio, il peso. E poi il
nome è sbagliato. Hanno scritto Barretta, invece che Barretta. Per Kindaga, chiunque avrebbe
potuto apprendere la marca del martello dai giornali. Passano 6 mesi, domenica 24 maggio 1981, Verona.
2 18 anni, Luca Martinotti, Torinese e Eurelio Angiri di Luca, studenti del Collegio Filippin di
Paderno del Grappa, sono arrivati il giorno prima in città. Vogliono passare il sabato
sera a Verona per poi tornare domenica pomeriggio in collegio. Dovrebbero dormire a casa di un
amico che però all'ultimo momento gli avverde. Mi dispiace, i miei non sono pripartiti, non se ne
fa niente. Quel giorno a Verona i due hanno conosciuto un ragazzo un po' più grande, Fabrizio
Ancora, a 23 anni. Dice una soluzione ci sarebbe, a volte vado a dormire alla torretta di Lungadige
San Giorgio. Non è il massimo, ma è sicuro e tranquillo. La torretta è una vecchia casa Marta
austriaca, vicina ai giardini di San Giorgio in Braida e, al Lungadige, San Giorgio. I giornali
locali hanno più volte indicato quel luogo come rifugio di tossico dipendenti e sbandati.
Luca Martinotti, Aurelio Angeli e Fabrizio Ancora arrivano alla torretta che è notte fonda.
Si straiano su alcuni materassi, si addormentano. Alle 4.30 del mattino si sveliano. I materassi
su cui si erano addormentati stanno bruciando. Qualcuno, mentre dormivano, gli ha inzuppati
di benzina, poi ha dato fuoco. Luca Martinotti ha volto dal fuoco e si getta fuori da una finestrella.
Il suo amico, Aurelio Angeli, riesce a uscire, a parte del giobotto bruciato e corso fino a una
casa. Lì abita il parroco della zona, Don Sergio Marcazzan, che si affaccia alla finestra. Il ragazzo
da sotto urla aiuto ci bruciano. Il parroco alza lo sguardo e vede una persona che corre verso l'acqua
dell'adige. Sta completamente bruciando. Sembra uno di quelli spettacoli da Stuntman. Sembra
un film. È Luca Martinotti. Non ce la fa raggiungere il fiume, crolla a terra prima.
Muore quasi subito, in ospedale. Aurelio Angeli è ustionato in maniera seria. Li portano all'ospedale
Borgotrento e è stato avvertito il primario del reparto Grandi Ostionati, Silvano Furlan e il
padre di Marco Furlan. Il terzo ragazzo fabbrizio ancora a solo lievi bruciature. Aurelio Angeli
morirà qualche mese dopo in un incidente stradare. Quello che è successo è un testimone. Si chiama
Pittorio Sallierno. In zona lo chiamano il Centauro. È un tossico dipendente, a qualche precedente
perfurto. Quella notte era anche lui alla torredda. Dice che, visto che i materassi erano occupati,
si era sistemati in un angolo. Era sveglio quando ha visto entrare un ragazzo con una tanica in mano.
Spargeva benzina sui materassi. Lui avrebbe chiesto ma cosa stai facendo? E quello gli avrebbe
gettato addosso dei pezzi di legno già infucati. A quel punto racconta Sallierno, sono scappato.
I carabinieri trovano vicino alla torretta una tanica utilizzata per trasportare la benzina e alcune
garze con all'interno czerini erano l'inesco. Il racconto di Sallierno non convince e poi poche
settimane prima lo stesso Sallierno aveva tentato di dare fuoco al materasso di un occupante della
torretta perché voleva accacciarlo e prenderli il posto. Aveva usato solo un fiammifero, niente benzina.
Sallierno viene arrestato interrogato più volte, confessa. Poi vengono arrestati altre due persone,
Pietro Quarty e Bruno Cenci-Petrelli. Pochi mesi prima hanno dato fuoco a una pizzeria,
per questo gli sospettano. Il primo confessa, secondo, dice di essere innocente. Quindi ci sono
due persone, Sallierno e Quarty, che non c'entrano nulla l'uno con l'altro e hanno confessato. Anche
il racconto di altri testimoni non aiuta a chiarire le cose. Sallierno poi ritratta la sua confesione.
Alla fine tutti e tre i sospettati, in tempi diversi, usciranno dall'inchiesta.
La rivendicazione di Ludwig arriva questa volta due anni più tardi.
Alla buste ha legato un dischetto metallico. C'è scritto nella lettera questo dischetto
identico a quello applicato sulla più grande delle torce usate per il rogo alla torretta.
Il fatto è però che nella torretta non è stato trovato nessun dischetto. Non si saprà
mai se quell'incendio e quindi l'omicidio di Luca Martinootti sia stata davvero opera di
Ludwig o se Ludwig l'abbia solo rivendicato, come se volesse affermare che nulla potesse
avvenire in quel periodo e in quella zona, senza che fossero loro a volerlo.
Passa poco più di un anno dal rogo della torretta, 20 luglio 1982, Vicenza. Due frati,
Giovanni Battista Pigato e Mario Lobato, sono usciti dal santuario del Monte Berico per la
consuetta passeggiata serale. Hanno 70 e 69 anni. A partengono all'ordine dei servi di Maria e
così detti serviti, un anticordine di origine fiorentina che custo disce il santuario fin dal
1435. Con loro, di solito, c'è un terzo frate, Giovanni Battista Depredo, che però quella sera
preferita a non uscire. Pigato e Lobato camminano lentamente, costeggiano la casa di pregliera
San Giuseppe e proseguono fino alla frazione di Gognia sul fiume Ritrone. Gli aggrediscono
alle spalle, con i martelli, li colpiscono con forza sulla testa. Scappando, gli aggressori
gettano al lato della strada i martelli insanguinati e un'accetta, non utilizzata.
Sono due fidanzati che sanno percorrendo quella strada a trovare poco dopo i due frati. Mario
Lobato è già morto. Giovanni Battista Pigato muore qualche ora dopo, all'ospedale San Bortolo
di Vicenza. Per entrambi, la causa della morte è stata al resto cardiocircolatorio, conseguente
al trauma provocato da corpo contundente. Tutti i due frati hanno riportato lo sfondamento cranico.
Ci sono dei testimoni. Una donna dice di aver visto quella sera vicino al santuario tre ragazzi.
Ecco il suo racconto alla trasmissione telefono giallo.
Era di martedì, martedì di luglio. Era il tardo pomeriggio verso le sette di sera. Con mio marito e la mia
bambina siamo saliti alla Chiesa di Monte Velico e ci siamo fermati una decina di minuti in Chiesa.
Qui sono rimasta sola perché la bambina faceva dei capricci e mio marito l'ha portata fuori e quando sono
uscita a cercarli sono uscita dal lato proprio dove c'erano questi tre ragazzi che io ho notato,
i quali erano appoggiati al parapetto che c'è lungo la strada, avevano delle borse di plastica marroni con delle
scritte e erano appoggiati a questo parapetto, scherzavano fra di loro, uno era seduto e guardava la Chiesa.
Niente, mi sono fermata perché mi hanno un po' colpito il loro modo di vestire, il loro modo di fare.
Lo conferma anche un uomo che ha visto i tre ragazzi dalla finestra. Un altro testimone dice che invece erano due.
Le armi però erano tre, due martelli che vennero usati e una cetta non utilizzata e i frati che di solito andavano a passeggio erano tre.
Non lascia dubbi invece questa volta la rivendicazione, arriva il 23 luglio alla sede milanese dell'agenzia Anza,
dice Ludwig, dopo il rogo di San Giorgio a Verona, ha colpito di nuova vicenza sul Monte Berico.
Siamo gli ultimi eredi del nazismo, il fine della nostra vita e la morte di coloro che tradiscono il vero Dio.
Gli autohadesivi che allecchiamo combaciano esattamente con quelli applicati sui manici degli strumenti usati,
Gott mit uns.
È vero, gli adesivi combaciano e questa volta è certo che di quelli adesivi sui manici dei martelli e della cetta, i giornalisti non sono stati informati.
La rivendicazione è attendibile.
A uccidere i due frati sul Monte Berico sono stati coloro che si firmano Ludwig. Stanno per uccidere ancora, in Veneto, a Milano e in Germania.
Con martelli e con la benzina.
Un giorno, Gerard e Gioannabel, interrogati dal Pubblico Ministero che indagava sui deliti di Ludwig, dissero,
Sì, per noi il nostro figlio Wolfgang può benissimo essere l'autore di quei reati.
Avete ascoltato la prima parte della nuova storia di Indagini, sui deliti di Ludwig.
Trovate già la seconda parte su Lapp del Post e su tutte le principali piattaforme di podcast.
Indagini è un podcast del Post, scritto e raccontato da Stefano Nazzi.
Da 9 maggio troverete in libreria il mio nuovo libro.
Racconta la storia di una serie di personaggi, di come sono arrivati a commettere crimini e ferati e di cosa è successo loro dopo aver commesso quei crimini.
Si chiama Il Volto del Male ed è edito da Mondadori, nella collana a Strade Blu.
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Il pomeriggio del 4 marzo 1984 due ragazzi vennero fermati mentre spargevano benzina all’interno di una discoteca, a Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova.
In quel momento, all’interno, era in corso una festa di carnevale: c’erano circa 500 persone. Ai carabinieri che li portarono in caserma i due ragazzi diedero i loro nomi: Wolfgang Abel e Marco Furlan: avevano 24 anni, entrambi erano di Verona.
Vennero sottoposti a fermo giudiziario e poi arrestati.
Da quel momento la loro storia venne percorsa a ritroso, passando per Monaco di Baviera, Milano, Vicenza, Venezia, Padova. Era iniziato tutto a Verona, il 25 agosto di 1977.
I due ragazzi avevano ucciso, utilizzando coltelli, martelli, benzina. Si erano dati un nome: Ludwig. Vennero condannati per aver assassinato dieci persone ma rimase il dubbio che fossero gli autori anche di molti altri delitti. Le loro vittime furono tossicodipendenti, prostitute, religiosi, senzatetto. Odiavano i locali notturni, volevano colpire le discoteche.
Questa è la storia di Marco Furlan e Wolfgang Abel, la storia di Ludwig e della domanda che non ha mai avuto una risposta: erano davvero solo loro due?
Indagini è un podcast del Post scritto e raccontato da Stefano Nazzi.