Il Mondo: Perché l’Europa non riesce a bloccare le auto a combustione. Il Brasile di Lula dalla parte dei popoli nativi.

Internazionale Internazionale 3/13/23 - Episode Page - 24m - PDF Transcript

Dalla redazione di internazionale io sono Claudio Rossi Marcelli, io sono Giulia Zoli e questo è il mondo, il podcast quotidiano di internazionale.

Oggi vi parleremo della transizione europea alle autoelettriche e delle politiche di Lula a favore delle popolazioni native del Brasile,

e poi dei Cani di Cernobyl e di un'artista della costa d'avorio.

È lunedì 13 marzo 2023.

Ambiente più pulito sì è interesse di tutti, ma senza far perdere lavoro a milioni di persone.

La transizione ecologica va accompagnata senza molte e senza divieti, mettere fuori legge, fra pochi anni, le auto a benzina e diesel,

è una follia che non aiuta l'ambiente e arricchisce

Il 28 febbraio, mentre si trovava a Stoccorna per partecipare al Consiglio informale dei ministri dei trasporti dell'Unione Europea,

Matteo Salvini si è espresso così sulla transizione alle autoelettriche.

Pochi giorni dopo, il 3 marzo, il Consiglio dell'Unione Europea ha rinviato il voto sui nuovi standard per le emissioni dei veicoli,

per l'Unione Europea.

Il Regolamento è già stato approvato in prima battuta dal Consiglio e dal Parlamento e quindi gli stati che compongono il Consiglio hanno già dato la loro via libera a regolamento in questione, quindi il secondo passaggio al Consiglio è di solito considerato una formalità.

Il Regolamento è già stato approvato in prima battuta dal Consiglio e dal Parlamento e per l'Unione Europea.

Questo significa anche la fine del motore a combustione come lo conosciamo adesso.

E perché la Germania ha deciso di fare un gesto così clamoroso, cioè quello di tirarsi indietro all'ultimo momento?

La Germania già durante la fase dei negoziati aveva espresso il desiderio che si potesse continuare in matricolare veicol e combustione a patto che fossero alimentati con i carburanti sintetici, così detti fuel, che sono ottenuti a partire dall'anidride carbonica catturata dalla atmosfera e dall'idrogeno ottenuto a partire da fonti rinnovabili.

E quindi complessivamente hanno delle missioni nette pari a zero perché l'anidride carbonica che si emette è quella che è stata rimossa dall'atmosfera in precedenza.

Questo non è avvenuto, il documento non prevede questa possibilità e il ministro dei trasporti Volker Wissing che appartiene al Partito Liberale Democratico ha deciso di andare allo scontro, approfittando del fatto che già l'Italia e la Polonia e la Bulgaria si erano espresse contro questa normativa e quindi raggiungendo la possibilità di far saltare la maggioranza qualificata necessaria per l'approvazione della norma.

Quindi il consiglio piuttosto che andare contro una sconfitta ha deciso di inviare il voto.

Semplificando un po' questi carburanti sintetici, permetterebbero di continuare a usare le vecchie auto, ma sono veramente un'alternativa valida quindi alle auto elettriche?

Secondo molti esperti, no, non è un'alternativa sostenibile perché anche se le emissioni nette sono pari a zero, l'efficienza di questi motori e di questa soluzione è molto inferiore rispetto a quelli dei motori elettrici.

Per correre la stessa quantità di chilometri, un auto carburante sintetico consuma 5-6 volte più dell'energia di un'auto elettrica, considerando tutto il processo che serve per produrre i carburanti sintetici.

Inoltre, questi carburanti sono ancora estremamente scarci, cioè gli stabilimenti che li producono sono pochissimi, sono sperimentali e non ci sono prospettive di raggiungere una soglia sufficiente di produzione in 2035, pare che si potrebbe raggiungere solo il 2% del fabbisogno necessario.

I carburanti sintetici sono considerati una tecnologia di transizione che può aiutare la decarbonizzazione di alcuni settori come i trasporti pesanti e l'aviazione, ma appunto essendo così scarci, se vengono usati per le auto private, non sono più disponibili per queste altre soluzioni.

Ma allora perché la Germania chiede in qualche modo di mantenere in vita le vecchie auto e per di più di alimentarle con un carburante costoso e di cui non c'è grande disponibilità?

A prima vista si potrebbe pensare che il motivo sia non le pressioni dell'industria automobilistica dato che l'industria automobilistica è la voce più importante della sua produzione.

In realtà le case automobilistiche tra cui anche quelle tedesche hanno già concluso che i carburanti sintetici non sono il futuro, hanno puntato con decisione sulle auto elettriche, la maggior parte delle case automobilistiche hanno nonciato che mentre il 2030 o il 2035 in Europa venderanno solo auto elettriche a prescindere dalle norme vigenti.

È vero che ci sono alcune aziende come la Porsche e la Bosch che si sono espresse contro il bando e che sperano di poter puntare sui carburanti sintetici per mantenere il loro business attuale, ma sono una piccola minoranza rispetto al totale.

Il vero motivo sembra essere la difficoltà politica del Partito Liberale Democratico che ha perso moltissimi voti negli ultimi appuntamenti elettorali e che governa insieme ai social democratici e ai verdi, il partner di minoranza è quello che ha meno in sintonia con gli alleati di coalizione e si è trovato spesso marginato sulle questioni della transizione energetica.

E in questo modo facendo la voce grossa e ottenendo visibilità su questo argomento spera di fare breccia tra i tedeschi che vedono con scepticismo l'abbandono del motore a combustione dell'industria che alimenta e che sono la grande maggioranza dei tedeschi, secondo l'ultimo sondaggio sono il 68%, quindi un enorme bacino elettorale in cui pescare.

Ora che il Consiglio dell'Unione Europea ha rinviato il voto, che succederà?

Come potrebbe riprendere il percorso di transizione europeo all'autoelettrica?

Per modificare la normativa in modo da soddisfare le richieste della Germania bisognerebbe riaprire il processo legislativo del regolamento e questo potrebbe aprire la porta a grosse complicazioni e allungerebbe molto i tempi.

La speranza è che possa bastare un impegno formale della Commissione non incluso nel regolamento a prendere in considerazione la possibilità di autorizzare la vendita di veicoli a carburanti sintetici.

Bisogna vedere se questo basterà per mettere al Partito Liberale Democratico di cantare vittoria o se decideranno invece di andare allo scontro, cosa che probabilmente significherebbe sospendere a tempo indefinito l'adduzione di questo regolamento e probabilmente anche abbandonarlo nella sua forma attuale.

Chi si oppone a questo regolamento sostiene che la conversione dal motore a combustione a quello elettrico avrà dei costi enormi in termini di posti di lavoro e potrebbe essere un colpo durissimo per l'economia europea?

Sì, senza dubbio, così. L'industria automobilistica europea, considerando l'indotto dal lavoro a circa 13 milioni di persone, è in dubbio che il passaggio all'auto elettrica sconvolgerà completamente tutto il settore, vanificerà il vantaggio tecnologico-competitivo accumulato in questi anni e sporrà l'Europa alla concorrenza della Cina,

che è molto avanti nello sviluppo dell'industria dell'elettrico. Inoltre, le auto elettriche sono inerentemente più semplici da costruire perché il motore elettrico è molto meno complesso di quella combustione e quindi ha bisogno di meno lavoro, secondo il cavo della Ford, addirittura al 40% in meno del lavoro tra una macchina elettrica e una combustione.

Quindi è vero che questo passaggio potrà portare una perdita di posti di lavoro netta, che potrà essere anche molto ingente, ma questi posti di lavoro verrebbero persi comunque, in futuro il passaggio all'elettrico e l'abbandono del motore a combustione sarà comunque primo o poi inevitabile e più si aspetta e più il vantaggio della Cina e degli altri paesi rispetto all'Europa diventa consistente.

La soluzione è considerare questa svolta non solo per quanto riguarda il settore automobilistico, ma iscriverla in una transizione generale verso un'economia circolare europea che comprenda anche altre industrie correlate, come quella delle batterie, come quella del riciclagio dei materiali, come quella della creazione di un'infrastruttura che sostenga tutto questo nuovo apparato di mobilità sostenibile.

In questo sicuramente si possono trovare le possibilità per compensare la pestinità dei posti di lavoro e creare dei posti di lavoro che siano anche più sicuri nel futuro.

Grazie Gabriele Crescente.

Grazie a voi.

I cani che vivono vicino alla centrale nucleare di Cernobyl hanno caratteristiche uniche. Elena Boille, vice-direttrice di Internazionale, racconta la notizia di scienza della settimana.

Dopo l'incidente alla centrale di Cernobyl nel 1986, che fu il peggior incidente nucleare della storia, le zone intorno alla centrale furono evacuate e venne istituita una vasta zona di esclusione.

Malgrado la contaminazione di questo territorio, negli anni, la scarsa presenza degli esseri umani ha lasciato spazio a molte specie animali, tra cui una popolazione di circa 800 cani.

Un gruppo di ricercatori statunitensi ha deciso di studiarli per capire come hanno potuto sopravvivere alle radiazioni e in generale per saperne di più sugli effetti a lungo termine dell'esposizione alle radiazioni.

Per ora, come spiega l'articolo di New Scientist che pubblichiamo questa settimana, hanno scoperto che cani intorno alla centrale sono geneticamente diversi da quelli di altre regioni,

ma ancora non è provato che l'alterazione dipenda proprio dalle radiazioni. Infatti, il lavoro dei ricercatori è solo all'inizio, ma la loro speranza è che andando avanti,

lo studio permetta di individuare delle varianti genetiche che proteggono dalle conseguenze delle radiazioni e che magari aumentino anche la resistenza ai tumori.

Perché non sarà facile superare 522 anni in quattro, ma stiamo disposti a fare a questo momento la grande retomata da forza ancestral, da alma e spirito brasileiro.

Mai più un Brasile senza di noi. Con queste parole a gennaio, l'attivista nativa brasiliana Sonia Guajajara ha accettato l'incarico di ministra per i popoli indigeni che le ha affidato il presidente Luis Ignacio Lula da Silva.

Il 27 febbraio, Guajajara ha accompagnato nello Stato di Amazonas l'antropologa Beatriz Matos per un incontro con le associazioni che si occupano della vigilanza delle aree dove abita una popolazione nativa del Brasile.

La visita di Matos e della delegazione governativa è molto importante perché è il segnale della svolta che il governo Lula vuole dare rapporti con i popoli autoctoni delle regioni amazoniche,

dopo gli anni della presidenza Bolsonaro in cui sono stati gravemente trascurati e discriminati.

Ne parliamo con Camilla Desideri, editor di America Latina d'Internazionale.

Beatriz Matos è un antropologa brasiliana che a febbraio è stata nominata dal governo del presidente Luis Ignacio Lula da Silva, responsabile del Dipartimento per i popoli nativi isolati e di recente contatto.

È anche la vedova di Bruno Pereira, un brasiliano esperto di questioni indigene che lo scorso giugno è stato ucciso nella terra indigena della valle del Giavari insieme alla giornalista britannico Dom Phillips.

Il 27 febbraio di quest'anno, Beatriz Matos è andata insieme a una delegazione del governo e alla ministra per i popoli indigeni Sonya Kwashajara a Tata Laia Donort, nello stato di Amazonas, il punto di partenza per raggiungere la valle del Giavari.

E lì è incontrato alcuni rappresentanti dell'associazione con cui Pereira collaborava.

Parliamo proprio dell'uccisione di Bruno Pereira che, come detto, era il marito di Beatriz Matos e del giornalista britannico Dom Phillips. Che cosa è successo?

Bruno Pereira era un esperto di popolazioni native, in particolare di popoli isolati del Brasile. Stava lavorando la scorsa estate nella valle del Giavari, una terra indigena dove vivono centinaia di nativi non contattati o isolati.

Stava aiutando il giornalista britannico Dom Phillips per le ricerche del suo libro, che avrebbe dovuto intitolarsi come salvare la mazzonia.

Pereira aveva lavorato per alcuni anni nella FUNAI, l'agenzia governativa che si occupa della protezione dei nativi e delle loro terre.

E poi era stato esonerato, perché aveva denunciato in modo diretto, senza mezzi termini, l'atteggiamento del governo di Bolsonaro che aveva aperto questi territori all'attività di migliaia di minatori illegali e cercatori d'oro, traficanti di legname e di altre materie prime.

E aveva anche denunciato gli attacchi che subiscono i funzionari governativi che dovrebbero vigilare nella zona. Per il loro omicidio sono arrestate tre persone, due esecutori del crimine e un presunto mandante, tutti legati all'attività di pesche illegale, però la vicenda non è ancora stata del tutto chiarita.

Per inquadrare meglio questo discorso, forse è necessario anche spiegare il contesto delle popolazioni indigene brasiliane. Di quante persone stiamo parlando? In che parti del Paese vivono?

In Brasile attualmente vivono 305 popoli nativi per un totale approssimativo di circa 900.000 persone. La Costituzione della Brasile, che risale al 1988, riconosce 690 territori riservati alla popolazione native, pari a circa il 13% del territorio brasiliano.

La maggior parte di queste popolazioni si trova nella Mazzonia, quindi nella nord del Paese. Ci sono anche popoli nativi che vivono al di fuori del territorio mazzonico, che sono stati quelli a entrare in contatto con i coloni europei 500 anni fa.

Oggi il popolo più numeroso è quello dei guaranis, è formato da più di 50.000 persone. Del loro territorio ancestrale resta molto poco perché è stato preso d'assalto prima dai coltivatori della gomma e poi per lasciare spazio e gli allevamenti di bestiame e alle piantagioni di soia e canna da zucchero.

Invece i nativi ianomani, sempre nel nord del Brasile, occupano il territorio più grande, che si estende per più di 9 milioni di ettari negli stati di Amazonas ed Erroraima e anche in una parte del Venezuela.

Un discorso a parte poi meritano i popoli nativi isolati, di cui Bruno Pereira era profondo conoscitore e che vivono numerosi nella Valle del Giavari.

Cosa si intende esattamente per popoli isolati?

Quando si parla di popoli isolati si può pensare erroneamente a persone che non hanno nessun contatto con altri gruppi o altri esseri umani.

Non è così e lo spiega molto bene Beatriz Matos in un'intervista uscita sul sito brasiliano su Mauma il giorno prima della sua visita nella Valle del Giavari.

Sono popolazioni che hanno deciso di non avere legami con le istituzioni brasiliane, quindi di isolarsi dalla società, dall'ostato e la loro decisione è in teoria garantita dalla Costituzione, che dovrebbe rispettare il diritto al non contatto.

Però questo non avviene perché negli ultimi decenni le loro terre sono state depredate.

Abbiamo detto prima che la visita della delegazione governativa nello Stato di Amazonas mostra la volontà di Lula di affrontare meglio la questione dei popoli nativi brasiliani. Cosa sta facendo di concreto il Presidente in questo senso?

Durante i anni del governo di Jair Bolsonaro, cioè dal 2018 al 2021, le terre delle popolazioni native sono state in base dai cercatori d'oro, dei minatori illegali e da chi faceva profitti col traffico di legame.

Lula è stato eletto con la promessa di cambiare tutto questo e di impegnarsi a proteggere sia le popolazioni autoctone che la foresta pluviale, la mazzonia, che è il polmone del nostro pianeta.

Ha cominciato facendo delle nomine importanti, anche da un punto di vista semplicemente simbolico. La ministra per i popoli indigeni, Sonia Guachajara, è stessa una nativa e un attivista.

Così la ministra per l'ambiente Marina Silva è un ambientalista con una decennale esperienza politica alle spalle in favore della protezione dell'ambiente.

A gennaio Lula ha fatto un viaggio nello Stato del Roraima e ha dichiarato l'emergenza sanitaria per la popolazione ianomani, una popolazione indigena che ha, secondo Lula, subito un genocidio durante gli anni di governo Bolsonaro.

Perché centinaia di bambini sono morti a causa della malnutrizione, della malaria, della diarrea, del morbillo, cioè di malattie che potevano essere curate.

Questo perché la presenza nel loro territorio di migliaia di minatori illegali ha portato a una devastazione ambientale con conseguenze sanitarie, in alcuni casi molto gravi.

Per quanto riguarda la Mazzoni, a Lula ha promesso di azzerare la deforestazione entro il 2030.

È un obiettivo molto ambizioso e sarà difficile da raggiungere anche perché gli interessi in gioco economici sono molti dentro e fuori dal Brasile.

Grazie a Camilla Desideri.

Grazie a voi.

Francesca Sibani, editor di Africa d'Internazionale, consiglia al profilo Instagram di un'artista della Costa d'Avorio.

Letissia Ki, scritto KY, è un'artista della Costa d'Avorio. Lo scoperta l'anno scorso perché era una delle poche artisti africane chiamate a rappresentare il loro paese alla Bienale di Venezia.

Potremmo definirla una scultrice che al posto del marmo o di altri materiali usa i suoi capelli.

Una scelta interessante e considerato il significato simbolico delle capigliature afro nella lotta delle donne nere per i loro diritti e la loro identità.

Come si vede nelle immagini del suo profilo Instagram, usando del fil di ferro, KY costringe sui lunghi e spessi capelli in figure che emergono dalla sua testa e prendono vita nello spazio intorno a lei.

A volte sono forme divertenti e scherzose, ma molto più spesso, sono figure inquietanti e provocatorie, come uteri, sceniche, tene, collucchetti, per far passare dei messaggi forti e femministi.

Dopo la Bienale, Letissia Ki ha esposto le sue foto da rezzo e ora in una galleria di Napoli.

La si può vedere anche al cinema, perché ha recitato nel film di Giacoma Bruzzese di Sco Boy, premiato all'ultima Berlinale e in sala in questi giorni.

Da fenomeno virtuale oggi, Letissia sta riscuotendo un successo molto reale.

Il suo profilo su Instagram è Chiociola Letissia Ki.

Buon appetito!

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La Germania ha fatto marcia indietro sul divieto di vendere nuovi veicoli a benzina e diesel dal 2035. La visita di una delegazione governativa nello stato brasiliano di Amazonas è il segnale che il presidente Lula vuole dare una svolta ai rapporti con i popoli autoctoni.

Gabriele Crescente, editor di Europa di Internazionale
Camilla Desideri, editor di America Latina di Internazionale

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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.

Link auto elettriche https://www.ilmattino.it/video/primopiano/salvini_mettere_fuori_legge_auto_a_diesel_e_benzina_e_una_follia_che_aiuta_la_cina-7258908.htm