Il Mondo: Perché il caso Snowden ha cambiato internet. La conquista dell’Everest, settant’anni fa.

Internazionale Internazionale 6/12/23 - Episode Page - 26m - PDF Transcript

Dalla redazione di internazionale io sono Giulia Zoli, io sono Claudio Rossi Marcelli e questo è il mondo il podcast quotidiano di internazionale.

Oggi vi parleremo di cosa è cambiato a 10 anni dal caso Snowden e de Leverest e poi di perché mettiamo il broncio e di un podcast.

È lunedì 12 giugno 2023.

Sennò che non c'è nulla per te.

Quando si dice che, per me, mi raccontano,

arguing that you don't care about privacy because you have nothing to hide

is like arguing that you don't care about free speech because you have nothing to say.

Nel giugno del 2013, esattamente 10 anni fa,

l'ex analista dell'intelligenza americana, Edwards Snowden, rivelò la stampa e programmi di sorvelianza segrete della NSA,

l'Agenzia per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti.

L'audio che avete appena ascoltato è l'intervista in cui Snowden spiegava perché aveva deciso di pubblicare migliaia di documenti segreti del governo.

Fu l'inizio di un caso che ebbe i percussioni in tutto il mondo e che ha segnato una svolta nella nostra percezione della privacy su internet.

Ne parliamo con Pier Francesco Romano, capo redattore di Internazionale.

Edward Snowden è un informatico statunitense che nel 2013 lavora per un'azienda che fornisce servizi alla National Security Agency, la NSA,

un'agenzia con compiti di controspionaggio e in particolare incaricata della sicurezza delle reti di comunicazione.

Snowden si accorge che nell'agenzia c'è una certa disinvoltura nell'uso degli strumenti di sorveglianza e soprattutto nell'uso dei dati raccolti dagli agenti.

E così lui, che da ragazzo è stato un hacker e ha hackerato il laboratorio nucleare di Los Alamos, si convince che questi agenti stanno hackerando la costituzione statunitense.

E l'agenzia invece di proteggere il paese del terrorismo è diventata una minaccia alla libertà dei cittadini.

Quindi decide di contattare segretamente un piccolo numero di giornalisti a cui vuole fornire le prove della condotta che secondo lui è illegale

e in ogni caso è discutibile della NSA.

Si rifugia a Hong Kong e a Hong Kong nella sua stanza dal Bergo fa arrivare due giornalisti del Guardian,

John McCaskill e Glenn Greenwald e una documentarista, Laura Poitras,

che dal questo incontro tracerà poi un documentario molto famoso intitolato Citizen for.

Quando scoppia esattamente lo scandalo?

Il primo articolo del Guardian sulla vicenda, firmato da Greenwald,

esce il 6 giugno del 2013 e racconta che l'operatore telefonico Verizon pasta alla NSA i dati sulle conversazioni telefoniche di milioni di cittadini statunitensi.

Che l'agenzia raccogliese informazioni simili era già stato ammesso dall'amministrazione Bush,

che l'aveva giustificato come un'attività necessaria per la lotta al terrorismo dopo gli attentati del 11 settembre 2001.

Questa volta i documenti raccolti da Snowden rivelano che sotto l'amministrazione Obama l'attività di spionaggio interno dell' NSA non solo è continuata,

ma sia allargata sia per quanti dati raccolti sia per il tipo di dati, i tabulati telefonici, le e-mail, le attività sui social network

e sia anche per il numero delle aziende coinvolte, praticamente tutte le grandi aziende tecnologiche statunitensi,

come Google, Facebook, Microsoft, erano obbligate a fornire dati su propri utenti e clienti.

Il 9 giugno Snowden decide di far conoscere la propria identità all'opinione pubblica,

visto che non è lui ad avere qualcosa da nascondere e di spiegare le sue ragioni,

che sono appunto la difesa della privacy dei cittadini e della costituzione statunitense.

In autunno dello stesso anno si viene a sapere che l' NSA ha spiato anche la presidente brasiliana Dilma Rousseff,

l'unicelliate delle scanghe la Merkel, vari presidenti francesi,

poi che ha intercettato milioni di comunicazioni in Italia e in Spagna

e che i dati sono stati consultati anche dai servizi segreti britannici.

Lo scandalo a quel punto ha proporzioni internazionali mai viste

e sembra segnare una svolta nel rapporto tra cittadini, istituzioni e aziende tecnologiche in tutto il mondo.

Cosa succede dopo la pubblicazione di questi documenti segreti?

Tanto bisogna aspettare il 2015 prima che un tribunale statunitense sabrisca

finalmente che in effetti le intercettazioni della NSA erano illegali.

A quel punto gli statuniti cambiano le leggi sulla sorveglianza interna, mettendo qualche limitazione in più.

Per Snowden invece la vita cambia radicalmente.

Come racconta David Smith, corrispondente da Washington del Guardian,

dopo l'incontro con i giornalisti Hong Kong,

Snowden pensava di chiedere asilo politico in Ecuador

e di raggiungere il paese sudamericano passando dalla Russia.

Quando a Terra Mosca però scopre che il suo passaporto statunitense è stato ritirato.

Quindi passa 40 giorni in aeroporto,

cercando un paese raggiungibile senza il passaporto americano

e disposto a concedere gli protezioni.

27 paesi gli dicono di no,

alla fine rimane in Russia, dove viene raggiunto poi dalla sua compagna con cui ha due figli

e dove rimane ancora oggi.

Pur essendo apertamente critico con il regime di Putin,

ha ottenuto poi la cittadinanza russa proprio dopo lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina.

Probabilmente anche per convenienze, diciamo, di propaganda di Mosca.

Oggi oltre a essere una voce importante per i movimenti in difesa della privacy,

si occupa di mettere appunto strumenti digitali sicuri per i giornalisti

e in particolare per quelli che lavorano in regime autoritarie.

Negli Stati Uniti è ancora ricercato,

sulla sua testa prendono varie accuse di questioni legate allo spianaggio

e gli potrebbero costare sempre semmai rientrassa nel paese d'origine 30 anni di prigione.

Non si è mai pentito di quello che ha fatto e anzi dice semmai di rimpiangere di non averlo fatto prima.

C'è da dire che Snowden, nonostante tutte le traversie che ha dovuto affrontare,

è stato comunque più fortunato di Julian Assange, di WikiLeaks,

protagonista di altre rivelazioni sui segreti del governo statunitense proprio in quegli anni.

Assange oggi in carcere nel Regno Unito e rischia l'istratizione negli Stati Uniti,

dove lo aspettano con danni pesantissime.

Perché il caso Snowden è considerato così importante oggi?

È come lui stesso ha detto nell'intervista che abbiamo sentito all'inizio,

dire che la questione della privacy non ci interessa perché non abbiamo niente da nascondere,

è come dire che non ci interessa la libertà di espressione perché non abbiamo niente da dire.

Per molti attivissi dei movimenti di difesa del diritto alla privacy,

le rivoluzioni dell'epoca di quello che poi è stato chiamato il Data Gate

non erano tanto una scoperta quanto una conferma di quello che appunto questi movimenti denunciavano danni.

Ma per comuni i cittadini di tutto il mondo invece forse è la prima volta che c'è la consapevolezza

e l'evidenza di quanto invece tutto ciò che li riguarda privatamente

è il soggetto a un tipo di sorveglianza di cui non avevano alcune idee.

Questo alimenta una certa diffidenza che forse è rimasta anche se piuttosto grezza

e anche se è una diffidenza che non ha portato a comportamenti né collettivi né individuali conseguenti.

L'unica cosa che forse si può dire con certezza è che quanto meno ha ampliato la platea del dibattito intorno a questi temi e non è poco.

Rispetto a 10 anni fa quanto è cambiata secondo te la nostra percezione che la nostra attività online

è così esposta alla sorveglianza e al controllo da parte di agenti esterni?

Come diciamo prima sicuramente la consapevolezza è molto più diffusa quanto questo incida

nel modo in cui funziona il sistema tecnologico in cui ci continuiamo a muovere è difficile da dire.

David Smith, il giornalista del Gardian che abbiamo già citato, ha cercato di fare un bilancio

a 10 anni appunto dalle rivelazioni di Snowden chiedendo un parere a vari attivisti per la difesa della libertà d'espressione.

Uno dei quali gli ha risposto che la vicenda ha fatto un enorme differenza sulla consapevolezza dell'opinione pubblica

però come se questo non avesse cambiato molto poi dall'altra parte, cioè dalla parte delle aziende e dei governi.

L'avvocato di Snowden, Ben Weisner, che è anche uno dei responsabili dell'American Civil Liberties Union,

una delle associazioni più attive per la difesa dei diritti civili negli Stati Uniti,

sostiene che quello scandalo avuto il merito di rendere molto più coraggiosi i giornalisti

e di cancellare l'associazione al potere che invece aveva caratterizzato la stampa soprattutto statunitense

negli anni per esempio della guerra in Iraq e che anche i politici e le istituzioni statunitensi

sarebbero diventati in seguito più consapevoli della necessità di trasparenza e di rispetto delle regole.

Uno dei giornalisti contattati da Snowden, Glenn Greenwald, non è invece così ottimista,

lui sostiene che il governo statunitense continua le sue attività di spionaggio in modi perfino più estremi

di quanto era riuscito a documentare il datagate anche perché nel frattempo la tecnologia è migliorata.

Non ci dobbiamo dimenticare anche se questo non ha direttamente a che fare con il caso Snowden

che nel 2019 è uscito il capitalismo della sorveglianza, un libro della sociologa Shoshana Zuboff

secondo cui la raccolta sistematica di dati personali attraverso le tecnologie

è diventata addirittura l'elemento centrale del sistema capitalistico contemporaneo.

È difficile capire quindi quanto sia stato utile e quanto invece semplicemente frustrante

scoprire tutto quello che Snowden ha rivelato.

Forse si può tenere presente quello che lui stesso ha detto a distanza di tempo dai fatti.

Lui dice ci fidavamo che il governo non ci avrebbe fregato e invece l'ha fatto.

Ci fidavamo che le aziende tecnologiche non si sarebbero approfittate di noi e invece l'hanno fatto

e succederà ancora perché questa è la natura del potere.

Grazie per Francesco Romano.

Grazie a voi.

La notizia e riscienza della settimana raccontata da Elena Boille, vice direttrice di Internazionale.

Rebecca Roche è una filosofa della University of London dove si occupa di filosofia applicata,

filosofia della mente e filosofia del linguaggio,

lavoro in particolare sul modo in cui comuniciamo con gli altri e sulle forme indirette di comunicazione.

Nell'articolo che abbiamo ripreso dalla rivista Ion in questo numero di internazionale,

Roche si sofferma sul broncio, il muso lungo, quello che mettono i bambini e spesso anche gli adulti

per esprimere il loro malcontento.

Si tratta di una forma di comunicazione che, paradossalmente, usa proprio il rifiuto di parlare per comunicare.

Quando gli si chiede cosa c'è che non va, il cupo, niente del limbronciato,

contrasta con il suo linguaggio del corpo e con il suo comportamento, che dicono l'esatto opposto.

Certo, per comunicare il proprio turbamento in modo non verbale,

è importante che la persona a cui si fa il muso sia nella condizione di intuire che qualcosa non va.

Per questo, di solito, mettiamo il broncio a chi ci conosce bene

e che, generalmente, è interessato a comunicare con noi,

perché se la prima funzione del broncio è punire l'altro,

e l'altro, invece, ci ignora, la nostra strategia fallisce.

Il muso lungo è pieno di regole implicite e paradossi

ed è usato, generalmente, da chi vorrebbe vedere soddisfatti i propri bisogni, ma si sente impotente.

Ma cos'è esattamente il broncio, come funziona?

E cosa distingue un broncio salutare da uno fastidioso o addirittura manipolatorio e violento?

Quello che avete ascoltato è uno spezzone di Deconquest of Everest,

il documentario del 1953 prodotto dalla Royal Geographical Society

e dall Alpine Clap Britannici,

e diretto dall alpinista e regista George Law,

che racconta la prima scesa documentata sulla vetta della montagna più alta del mondo, Everest.

La raggiunza ero 70 anni fa, il 29 maggio 1953,

il neozelandese, il posto dell'alpinista,

la raggiunza ero 70 anni fa, il 29 maggio 1953,

il neozelandese Ed Bundillary e la guida Sherpa Tensing Norgay.

Fu una grande impresa alpinistica e con grandi conseguenze e implicazioni politiche, storiche, ambientali e culturali,

che è raccontata in Everest, il nuovo volume di internazionale Storia,

inedicono in Liberia Online dal 6 giugno.

Ne parliamo oggi insieme a Daniele Cassandro, editor dei numeri speciali di internazionale,

che ha curato questo volume con Andrea Pipino.

Dopo gli speciali storici dedicati alla caduta del muro di Berlino,

all'emigrazione italiana del mondo, alla decolonizzazione,

alla marcia sul Roma e alla figura di Stalin,

siamo arrivati, in occasione del 70esimo anniversario,

a parlare della scesa degli 8.849 metri del Mount Everest.

Abbiamo ancora una volta diviso il volume in sezioni,

abbiamo una parte iniziale con i primi tentativi di esplorazione inglese e britannica di quella zona dell'Imalaya,

abbiamo una parte centrale dedicata all'impresa del 1953,

che era documentatissima dalla stampa inglese dell'epoca,

e poi abbiamo una parte finale in cui parliamo delle conseguenze attuali di quella scalata, di quell'impresa.

Cosa ne è adesso del Everest?

Che implicazioni ha avuto quella impresa su le questioni ambientali,

sulla nostra percezione poscoloniale di quella parte del mondo?

A chi appartengono le voci di questo volume?

Chi ha raccontato quell'impresa nelle sue varie fasi?

Le prime due parti del volume, le voci che sentiamo, sono soprattutto quelli della stampa britannica,

che ovviamente seguiva con molta attenzione l'impresa del Everest.

Il primo pezzo che pubblichiamo nel libro è datato 1858,

quindi siamo parecchio prima dei veri propri tentativi di scalata.

È un pezzo pubblicato della Proceedings of the Royal Geographical Society of London,

filmato dal geografo Andrew Scott Wu.

Abbiamo scelto questo pezzo perché fa capire proprio come è stato scelto il nome Everest.

Wu ha identificato la cosiddetta cima numero 15 della catena dell'Imalaya,

che non aveva ancora un nome come la più alta del mondo, dopo i vari rilievi che erano stati fatti,

e decidia di chiamarla con il nome di Sir George Everest, che era il suo maestro.

Quindi il primo atto di conquista della vetta è un atto di appropriazione del nome.

I quotidiani e i periodi cibritannici hanno seguito con attenzione i vari tentativi di scalata del Everest,

fin dalla prima spedizione, che era quella del 1921.

Nella terza, quella del 24, in cui sparirono gli alpinisti George Mallory e Andrew Irwin,

il Manchester Guardian, per esempio, era lì supposto e ha descritto i momenti tragici

del non ritorno di questi due alpinisti.

Nel 1953, a seguire giorno per giorno, la scalata del Everest di Tensing e Hillary, era The Times.

The Times ha mandato un giornalista, specializzato in alpinismo che era James Morris,

a seguire dai campi base le varie fasi della scalata.

Il racconto è avvincente, fresco e raccontato proprio giorno dopo giorno.

James Morris è una figura particolarmente interessante,

perché è rimasto legato al racconto della montagna per tutta la vita,

anche dopo gli anni 60, quando deciderà di sottoporsi a un'operazione di transizione di genere,

e da allora diventerà John Morris, ma continuerà comunque sempre a seguire,

fino all'anno della sua morte nel 2020, le vicende del Everest e le conseguenze di questa grande scoperta.

Anzi, uno degli ultimi pezzi che pubblichiamo nel giornale è proprio una sua riflessione,

60 anni dopo, la scalata in cui racconta il suo rapporto ambivalente

con la scalata e la scoperta del Everest.

Il linguaggio che parlano questi pezzi è un linguaggio che oggi ci colpisce abbastanza,

più che un linguaggio legato alla natura e alla ammirazione della natura, è un linguaggio guerresco.

Proprio nell'ottica coloniale queste vette sono qualcosa da conquistare, qualcosa da ispugnare.

Molto spesso il linguaggio è militaresco, molto spesso si parla di conquista, di avanguardie.

E' proprio anche interessante linguisticamente seguire come venivano trattati sui giornali questo tipo di imprese.

Nella terza parte regionale vedremo che il linguaggio cambierà molto.

Era un'epoca in cui l'ascesa del Everest non era solo un'impresa sportiva alpinistica.

Per 30 anni i Britanni ci inseguirono questo sogno di conquistare Everest.

Perché era così importante in quel momento?

Era una prova di soft power molto forte, comunicare che la Gran Bretagna era lì in quella zona del mondo

e faceva un'opera di scoperta, c'era ancora l'idea della grande avventura

e dalla grande scoperta naturalistica sempre legata al concetto di conquista.

Era un momento in cui l'impero britannico era particolarmente fragile

e serviva a comunicare in maniera assertiva che loro erano lì e stavano facendo queste grandi imprese.

Fin dall'inizio, dagli primi del 800, che era l'epoca della Great Trigonometrical Survey of India,

cioè queste campagne lunghissime di rilievi orografici per capire come fosse fatta fisicamente

questo enorme continente che la Gran Bretagna aveva conquistato,

c'era appunto questa fissazione di, anzitutto, conquistare questi luoghi capendoli

e riducendoli a numeri, altezze e anche lì era cominciata l'ossessione del picco più alto del mondo

che probabilmente poi si è rivelato era proprio lì.

Le prime spedizioni avevano proprio questo obiettivo di conquista proprio degli spazi

e non è un caso che la conquista della vetta dell'Everest del 53 fu comunicata al pubblico

esattamente il 2 giugno del 53 che era il giorno dell'incoronazione della regina Elisabetta II di Inghilterra.

Era un momento, ripeto, in cui l'impero britannico era particolarmente fragile, era praticamente in via di dissoluzione,

saliva al trono questa giovane regina e che è stato utilissimo per lei dal punto di vista comunicativo

avere questo tipo di copertura sulla stampa nazionale.

C'è un pezzo che noi pubblichiamo dell'evening standard proprio del 2 giugno 1953

in cui in qualche modo il giornalista in maniera molto encomiastrica, molto enfatica,

dice che la conquista dell'Everest è in qualche modo simbolicamente la rappresentazione del grande impero britannico

che riesce a far convivere in armonia e in letizia popoli diversi sotto il comune obiettivo delle grandi conquista delle grandi avventure.

Tra le tante storie che percorrono questo volume c'è anche quella di un luogo che da mitico meraviglioso esotico

diventa sovraffollato, inquinato, minacciato. Qui sono altre voci invece a parlare.

Nella terza parte del volume le voci non sono più esclusivamente quelle della stampa inglese

ma c'è anche la stampa indiana e nepalese che finalmente si riappropria della storia della conquista dell'Everest

e si riappropria anche della narrazione intorno a questa montagna sacra

anche così ingombrante a questo punto nella storia coloniale e poscoloniale di quella parte di mondo.

Per esempio abbiamo diverse fonti nepalesi, i Malsouth Asian per esempio,

che proprio decostruisce il mito esotico del misticismo in Malayano

e proprio spiega come il primo danno che è stato fatto alla montagna prima ancora che fosse affollata di turisti

era un danno di tipo culturale, cioè è stata raccontata agli occidentali come meta mistica in maniera abbastanza fumosa

e senza tenere conto assolutamente di come era percepitare agli abitanti.

E in più abbiamo anche fonti indiane che parlano di un approccio diverso alla montagna,

un approccio non occidentale basato proprio su una filosofia diversa dell'alpinismo e dello scalare.

L'ultima parte del giornale è proprio la parte in cui ascoltiamo voci diverse

per esempio anche le voci delle prime donne che hanno scalato l'Everest

in fondo la narrazione classica della grande avventura è molto maschile.

Dall'anni 70 in poi si sono state in particolare tre donne che ne raccontiamo

che sono state le prime pioniere a scalare la montagna.

E poi ci sono le immagini, le fotografie non solo d'epoca e i disegni.

Se dovessi indicare tre immagini rappresentative del percorso che avete tracciato in questo internazionale storia, quali potrebbero essere?

Le immagini del fumetto che pubblichiamo alla fine del volume che è firmato dal grande fumettista giapponese Giro Taniguchi

che ha dedicato un'opera di cinque volumi al tema dell'Everest in particolare.

Noi abbiamo scelto le tavole molto drammatiche in cui si descrive ritrovamento del corpo di Mallory,

cioè di uno dei due alpinisti dispersi nel 1924.

Pensate, il corpo fu trovato nel 1999 praticamente mumificato nel gelo, circondato dai suoi oggetti.

E proprio le tavole di Taniguchi con un realismo abbastanza impressionanti, questo nomato Pepe, per cui è famoso,

descrivono questo incredibile e anche un po' macabro ritrovamento.

Altri immagini interessanti che abbiamo nel volume sono quelle verso la fine in cui il fotografo Fabiano Ventura

riesce a mettere a confronto immagini che lui stesso ha scattato nel 2018, con quelle scattate nel 1924.

Sono immagini impressionanti perché fanno vedere e fanno proprio toccare con mano e vedere in modo chiarissimo

come è cambiato il clima e cambiato l'aspetto di queste montagne.

Personalmente ho trovato particolarmente belle delle foto che noi pubblichiamo all'inizio del volume

di un pezzo del Times del 1876 che era la recensione di un libro

sulle quelle che vengono chiamati Alpi Malayane all'epoca, quindi la zona del Darjilin e del Sikkim,

scritto da una viaggiatrice dell'epoca, questa Lady Pioneer, che era un pseudonimo di Alicia Bezzara Mazzucchelli,

che aveva esplorato da viaggiatrice di fine 800 queste zone.

Le fotografie che corredano questo articolo sono del 1860 e sono particolarmente interessanti

perché proprio si vede l'estetica del paesaggio inglese romantico applicato al Darjiling, applicato alle montagne indiane

ed è proprio secondo me anche visivamente il punto d'inizio dell'esotizzazione britannica di questa parte del mondo.

Grazie Daniele Cassandro. Grazie a voi.

Il podcast della settimana è consigliato da Jonathan Zenti, autore e produttore di podcast che collabora con Internazionale.

Quando Sara e Sofia si conoscono scoprono di avere una cosa in comune, entrambe hanno perso la madre quando erano molto giovani.

La mamma di Sara è morta per una malattia quando lei era ancora un adolescente, mentre quella di Sofia era stata rapita

quando Sofia era ancora molto piccola dai militari del generale George Videl in Argentina, diventando una delle migliaia di donne desaparecide,

sparite quindi durante la dittatura.

Il loro incontro è l'occasione per tutte e due di ripercorrere il loro rapporto con le loro madri,

anche se poi è la storia di Sofia a prendersi giustamente quasi tutto lo spazio,

con un viaggio in Argentina che la riporta a ricostruire il ricordo della madre attraverso i racconti e le testimonianze di chi l'aveva conosciuta

e i luoghi in cui aveva abitato e che aveva anche costruito.

La madre di Sofia infatti era un'architetta.

Con questo lavoro, Sara Poma, dopo l'indipendente Carla e l'originale Spotify prima,

chiude una trilogia sulla trasmissione matriarcale femminile della memoria,

un concetto che suona completamente nuovo le nostre orecchie,

abituate ad una storia e ad una memoria che passa dalle guerre, dalle conquiste e da altri principi storicamente molto maschili.

Il podcast soffre un po' di un eccesso di produzione e di una abbondanza di musica per una storia che è già forte di per sé,

che non avrebbe bisogno di commenti aggiuntivi,

ma Sara Poma si conferma comunque un'autrice,

una delle poche persone in Italia a realizzare prodotti di livello internazionale.

Preparatevi i fazzoletti perché si piange, ascoltando figlie, si piange molto.

Figlie di Sara Poma per Cora Media, ascoltabile sull'applicazione Ripley Sound.

Dalla redazione di internazionale per oggi è tutto.

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Nel giugno del 2013 l’ex analista dell’intelligence americana Edward Snowden rivelò alla stampa i programmi di sorveglianza segreti della Nsa. Il neozelandese Edmund Hillary e la guida sherpa Tenzing Norgay furono i primi a compiere l’ascesa della montagna più alta del mondo nel 1953.

Pierfrancesco Romano, caporedattore di Internazionale
Daniele Cassandro, editor di cultura di Internazionale

Video Snowden: https://edition.cnn.com/2023/06/07/europe/ukraine-nova-kakhovka-dam-environment-damage-intl-hnk/index.html

Video Everest: https://www.youtube.com/watch?v=mgdDgJz4K34

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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni.
Assistente di produzione Leonardo Basso.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.