Fare un fuoco: Majakovskij a Bari
Lucy - Sulla cultura 6/23/23 - Episode Page - 23m - PDF Transcript
Cari e cari che da qualche mese state seguendo questo podcast e state seguendo Lucy, siamo
quasi alla fine della prima stagione, ma prima di concederci una pausa istiva e annunciarvi
una puntata speciale, volevo provare a raccontarvi una storia che riguarda il lavoro culturale.
È una storia che risale a molto tempo fa e non sarebbe mai iniziata senza un amore
insano per la letteratura e la poesia. È una storia di cui quasi nessuno sa niente,
ma a suo modo si tratta di un piccolo romanzo di formazione magari un po' sgangherato ambientato
in provincia. Non so se sia una storia edificante, ma è la dimostrazione di qualcosa, per questo
voglio raccontarvela. Questa storia risale a oltre vent'anni fa e voglio dedicarla a due persone.
Io sono Nicola la gioia e questo è fare un fuoco, il podcast di Lucy che racconta come le
storie continuano ad accendere la nostra immaginazione.
Nel 1992 avevo 19 anni, vivevo a Baridove e frequentavo il primo anno di giurisprudenza.
Mi piacevo il diritto. In una vita parallella però che poco aveva che fare con l'università,
stavo iniziando ad amare la poesia e la letteratura, per come questi amori possono
sbocciare quando hai solo dieciannove anni. Non avevo idea però che questa mia segreta
passione potesse esistere al di là del rapporto intimo che mi stringeva il libro che ogni
notte portavo con me a letto. Non immaginavo cioè che fuori da quelle
pagine, ma in nome di quelle pagine, potesse nascere e prosperare una comunità. Una comunità come
avrete in modo di ascoltare molto rumorosa, divertente, a volte anche turbolenta e tuttavia
capace di salvare chi ne faceva parte. Erano insomma le prime settimane di ottobre,
le giornate trascorrevano in modo quieto una luminosa normalità nell'affollata facoltà
di giurisprudenza di Bari. Noi studenti stavamo imparando a conoscere quelle aule, quelle
discipline e quei docenti. Poi però un giorno verso la fine della settimana
poteva essere un giovedì o un venerdì dopo una bella lezione di diritto costituzionale,
passeggiando fra i corridovi del primo piano, notai un avviso in baqueca. Un avviso piuttosto
strano perché anziché esserci scritto, cercasi batterista trash metal o cercasi bassista post
punk, c'era scritto, cercasi amante della poesia.
Accanto a un disegno stilizzato di Baudelaire c'era un numero telefonico. Me lo segnai
su un pezzo di carta e il giorno stesso chiamai.
Chiamai ricordo da una cabina telefonica. Le bocca esistevano. Le cabine telefoniche,
la cabina telefonica di fronte alla facoltà era proprio un'istituzione.
L'ispose, uno studente più grande di me, si chiamava Ivan. Si chiama Ivan, ma ormai
un uomo di mezza età proprio come me. E mi disse che con un gruppo di conoscenti stava
provando a mettere su, in un locale del quartiere Carrassi, sempre a Bari, un circolo arci che
avevano deciso di chiamare Metropolis. Volevo dargli una mano a farlo funzionare?
Ora, io non sapevo cosa fosse un circolo arci. Sapevo forse a stento che Metropolis era un
film di Fritz Lang. Non avevo tra l'altro mai organizzato nulla che non fosse un torneo
di calcetto o le prove di una piccola band in cui suonavo la batteria. Perché non provare
allora anche con un circolo di poesia? Ebbene raggiungo si Ivan all'indirizzo che mi diede,
al termine di quella prima telefonata, ci incontramo, non ricordo se a casa sua o a casa di un suo
amico, però ricordo che insieme a lui c'erano un gruppetto di ragazzi e ragazze. Non conoscevo
nessuno di loro, ma stringere amicizia con tutti quanti loro fu abbastanza facile,
fu pressoché immediato, una certe tanzo, ma è più facile stringere amicizia all'occolo
stesso weekend. Poi andiamo a farci una pizza insieme per rendere ancora più saldi i legami.
Poi già la settimana successiva, però prendemo possesso dello spazio in cui sarebbe sorto il circolo arci.
Era, questo mi ricordo benissimo, un locale piuttosto malmesso, a pieno terra, in una strada
frequentata da venditori di bombole a gas. All'epoca c'erano ancora le bombole a gas,
agenti di commercio e qualche maldivente, pure questo mi ricordo bene. In locale lo rimettiamo
a posto in un paio di settimane. L'affitto lo pagava questa fantomatica sigla arci che forse era
l'acronimo di qualcosa, all'epoca non lo sapevo e non mi preoccupai neanche di questo dettaglio,
né se ne preoccuparono i miei amici, cioè il dettaglio dell'affitto, non ci rendemmo conto,
insomma, del sentimento di gratitudine che avremmo dovuto provare verso chi ci metteva a
disposizione gratuitamente quello spazio per farne di fatto, ci rendemmo conto subito ciò che
volevamo. Però a noi non importava, avevamo 19 anni, la nostra età non prevedeva il sentimento
della gratitudine. Pensiamo invece da subito alla programmazione culturale, tanto più ingrati dal
momento che quella programmazione, decidemmo seduta stante, sarebbe iniziata ogni giorno nel
tardo pomeriggio, per non finire mai. E insomma, nel giro di un altro paio di settimane avevamo
il nostro palincesto. Il lunedì c'era il cineforum, il martedì si parlava di arti visive
e di fotografia, il venerdì c'era Politeia, la sezione dedicata al dibattito politico,
non ci sono mai andato, e forse i risultati si vedono. Il giovedì c'era la sezione invece in
cui ero impegnato io in prima persona, cioè quella letteraria, io è un gruppetto di persone.
Decidemmo di chiamarla Daedalus, ci piaceva il riferimento alla mitologia greca, non sapevamo
in realtà molto di Stephen Daedalus dell'Unice di Joyce, e decidemmo di consacrare con lo spazio
alla lettura commentata dei libri che andavamo scoprendo settimane dopo settimane.
E insomma ci vedevamo appunto il giovedì, all'inizio eravamo una decina di persone,
entravamo nel locale, ci salutavamo, ordinavamo qualche birra, ci sedevamo intorno a un tavolo
e tiravamo fuori i libri come un giocatore di poker che scopre le sue carte. Leggevamo i poeti
ad alta voce e li commentavamo, eravamo infervorati, appassionati, scoprivamo il mondo attraverso
le letture degli altri, ma anche ci contestavamo gli uni attraverso le letture che gli altri proponevano.
Discrutevamo, litigavamo, litigate furibondi su Walla Stevens, su Emily Dickinson, un po' meno,
su Emily Dickinson, molto su Vladimir Mayakovsky. Scalmanati, generosi,
irriconoscenti, furenti, ma in breve, in questo modo la nostra comunità crebbe.
Iniziamo che eravamo in 7-8 a Daedalus, ma qualche mese dopo, in primavera, nel circolo arci,
arrivavano a riunirsi il giovedì più di 50 persone. Insomma, iniziamo ad avere successo,
da dove veniva tutta quella gente, non l'ho mai capito. A un certo punto arrivavano lì persone di
tutti i tipi, di tutte le età, di tutti gli orientamenti sessuali, di tutte le sfumature
ideologiche, di tutti i livelli di tossico di pendenza, di tutti i disagi, di tutti, beh,
non proprio tutti ma qualcuno, i precedenti penali. Nel giro di pochi anni, nell'intera città di
bari, sufficientemente alfabetizzata da conoscere l'esistenza di Leonardo Sinis Galli, quindi,
diciamo una parte non così grande della città, si sapeva che Daedalus esisteva. Leggevamo i grandi
poeti, ma ogni tanto leggevamo anche le nostre poesie, sottoponendoci gli uni alle
stroncature terribili degli altri. È il motivo, credo, per cui, quando poi sono diventato uno
scrittore pubblicato, non mi sono mai sentito toccato, dalle stroncature ho troppo toccato,
dalle stroncature di qualche critico ufficiale. Se ero sopravvissuto agli stroncatori di Carraschi,
che male mai poteva farmi o potrebbe farmi un critico letterario? Che scriveva o scrive sul giornale?
Ora, tra di noi c'era un poeta, no, un chiesto dente di lettere, che si chiamava Fabio Menga.
Fu lui il primo a parlarci di Amelia Rosselli. Sapete, c'è questa poetessa che forse è una
sacerdotessa, forse è una pizia, forse qualcosa di ancora più antico e misterioso. Ci passò
variazioni belliche, che noi non sapevamo neanche cosa fosse, non avevamo letto un sacco di libri
allora ma eravamo capaci di leggerne sette a settimana trascurando ogni altra occupazione.
Fabio era a sua volta un poeta, un poeta molto lirico ed esatto. Ci declamava le sue poesie,
oppure ci leggeva le poesie di Guido Gozzano e naturalmente quelle di Amelia Rosselli. Il suo
animo gentile e un pizzico di protagonismo gli consentivano una cosa fondamentale e mai abbastanza
riconosciuta in contesti di egomaniaci come il nostro. Fare gruppo, tenerci insieme, anche
esaltarci, ma esaltarci nel modo giusto, cioè arrivare a farci sentire che era importante
tenersi aggrappati a ciò che noi non vedevamo ma lui riconosceva come il nostro nucleo irriducibile.
Come si rimane fedele a se stessi, è meglio ancora come si diventa se stessi. Non sapevamo
niente, eravamo stupidi, spaccavamo il capello in quattro su montale, litigavamo su
maiacoschi, ma perché poi proprio litigavamo su maiacoschi a distanza di quasi un secolo dal suo
suicidio il futurista rosso continuava a spingere chi lo leggeva verso lo scontro fisico. Per non
tacere la continua preoccupazione degli scontri fisici con i figli dei pregiudicati di Carrassi.
Soprattutto però attraverso quei versi imparavamo a conoscere meglio gli altri e a guardare con
meno confusione dentro noi stessi. Ogni cosa succedeva in quel locale e succedeva in modo
talmente bello che decisi di lasciare a un certo punto la benda in cui suonava la batteria.
Motivo ufficiale? Avere più tempo da dedicare alla lettura e prepararmi alle serate di Daedalus.
Il chitarrista Tony ci rimase malissimo, si incazzò, mi insultò quasi fra le lacrime e poi
decise di non rivolgermi più la parola. Io sfrontato come solo un ventene cretino può essere non
gli chisi scusa per il dolore che gli stavo procurando, non l'ho mai più rivisto dall'ora.
Mi scuso adesso. Ovunque tu sia, Tony, detto Tony Medusa, perdonami.
Torniamo a Daedalus. Dopo tre o quattro anni trascorsi in questo modo, giovedì dopo giovedì,
con una comunità che si allargava sempre più, a un certo punto alcuni di noi cominciarono,
da postlice ali che eravamo all'inizio, a preparare le tesi di laurea. Fabio Menga che
faceva lettere scelze di fare la sua tesi su Amelia Rosselli. Tramite il suo relatore riusci a
ottenere un appuntamento a Roma proprio con lei. Fabio avrebbe incontrato Amelia Rosselli,
l'avrebbe vista dal vivo in carne ossa, l'avrebbe toccata, avrebbe parlato con lei,
magari avrebbe parlato di noi con lei, sarebbe stato a pochi passi dal suo respiro.
Dovete capire che da noi allora barri, rione carrassi, una poetessa come Amelia Rosselli era
l'equivalente di Olderling o di Rambo. A nostra volta noi di Daedalus cominciamo a trattare
Fabio come il nostro ambasciatore, un iniziato, un privilegiato e noi privilegiati attraverso di
lui. Fabio di qua, Fabio di là, lo riempivamo di pacche sulle spalle, lo sfottevamo anche perché
eravamo un po' invidiosi, ma lo amavamo molto più di quanto lo invidiavamo. Insomma,
andiamo avanti con questa mamma fina per quasi un mese, un mese, due mesi ora non ricordo,
perché poi però, questo invece lo ricordo, il 12 febbraio del 1996 venimmo a sapere che
Amelia Rosselli si era suicidata, si era gettata giù dalle scarre del suo appartamento in via
del Corallo a Roma, doccia fredda su di noi e soprattutto su Fabio. Furono brutti giorni,
ciascuno di noi si appure di riflesso aveva sentito arrivare una luce, ma la luce poi non
era arrivata o forse chi lo sa era arrivata sotto una forma che allora noi non potevamo capire.
Fu dura, la delusione fu cocente, ma poi naturalmente piano piano assorbimmo il colpo,
asciugamo le lacrime, non ci perdiamo d'animo e continuamo a incontrarci ogni giovedì e utilizzare
quel locale come casa nostra. A proposito di casa nostra siamo onesti, per quattro anni in quel
locale soggiornammo, mangiammo, bevemmo, fumammo, pernottammo, ci accoppiammo e nessuno dico
nessuno di noi si fece mai la tessera del circolo arci che dunque frequentammo liberamente da veri
parassiti. Ricordo l'ultimo anno esasperato del presidente del circolo ciammoni, ognuno e c'è
cazzo, state due da cinghanna, fat cut cavalite e mangana tessera vi siete fatti. Ragazzi,
e che cazzo, state qua da cinque anni, fate quello che vi pare e manco una tessera vi siete fatta.
Risultato uno soltanto di noi si fece avanti e sottoscrisse una tessera.
Poi il circolo arci e il collettivo di voesia sono naturalmente finiti, ognuno per la propria
strada anche in altre città, io sono uno di quelli che è andato in altre città. Con alcuni siamo
rimasti i fratelli e ci vediamo ancora oggi, con altri siamo fratelli e sorelle che non si vedono
danni, ma diciamo che siamo cellule dormienti. Fine della storia? No, la storia che vi sto raccontando,
come da tradizione, contiene dentro di sé un'altra storia. Perché, se i giovedici
vedevamo tra di noi nel contesto clandestino e sotterraneo di Daedalus, il mercoledì sfidavamo
l'ufficialità. Il mercoledì infatti, all'hotel ambasciatori, sempre a bari, qualcuno, se lo
ricorderà, si tenevano i mercoledì letterari, una rassegna culturale istituzionale che noi
consideravamo borghese, reazionaria, pretenziosa e degna di essere rasa al suolo. Venivano invitati
a parlare lì i veri scrittori, i veri intellettuali, i veri depositari del sapere. Loro erano quelli
pubblicati, noi eravamo solo dei ragazzini incazzati, offeriti a seconda, dei quarti d'ora o dello
stato di coscienza. Oggi capisco bene che i ruoli potrebbero giustamente invertirsi. Comunque,
il mercoledì andavamo lì e sentivamo parlare lo scrittore o l'intellettuale famoso, poi prendavamo
la parola e lo contestavamo. Gli davamo nel cretino oppure lo invitavamo a uscire dall'hotel per fare
a botte, vabbè sto esagerando, non proprio fare a botte, le cose però non diranno così diversi
da come le sto raccontando, ci furono sfotto, strattoni, ogni tanto qualcuno vomitava sulle
scarpe di qualcun altro. Un mercoledì pomeriggio ai mercoledì letterari venne a parlare Marco
Valora, un critico d'arti piuttosto noto. Noi eravamo lì schierati, pronti ad aggredirlo,
non appena avessi finito di parlare. Ma Marco Valora attaccò il suo discorso e cinque minuti
dopo eravamo tutti ai suoi piedi. Fumo subito suoi schiavi, suoi fan, suoi groupies. Credo fece
una lezione a braccio quella sera su cubismo, su realismo, fino arrivò ai figurativi della
seconda metà del 900 come Baltus, Francis Bacon e Lucian Freud. Ora non è che Valora
stava facendo una lezione su di loro, Valora era chiaramente mentre parlava uno di loro. Ora
eravamo passati alcuni anni dalla fondazione del circolo di poesia e noi a quel punto avevamo
certamente letto di Bragg, Picasso, Max Ernst, insomma eravamo un po' meno incolti di prima,
ma soltanto adesso vedevamo questi artisti per davvero per la prima volta e li vedevamo attraverso
le sue parole. Soltanto adesso capivamo che quegli artisti erano esistiti per davvero e continuavano
a esistere in lui loro sodale contemporaneo e quindi forse un pochettino esistevano anche noi
che lo stavamo ad ascoltare e gli stavamo così vicino. Così con la spacciatagine dei giovani,
non appena Marco Valora finì la sua lezione, andammoli sul palco e gli dicemmo, bravo, ci sei
piaciuto, hai vinto un viaggio gratis in puglia di un giorno, il giorno è quello di domani,
recuperiamo una macchina e ti veniamo a prendere in hotel e ti portiamo in giro. E lui, anziché
mandarci a quel paese, disse si fa bene ci vediamo domani. Il giorno dopo lo andiamo a prendere in
hotel. Valora si presentò con tre o quattro mele, noi eravamo tre ragazzi e una ragazza,
tre o quattro mele perfettamente lucidate, c'era i dievi e erano chiaramente le mele
proibite appena cadute dall'albero della conoscenza. Ce n'andamo così in giro per la puglia, tipo a
Castell del Monte, ora non ricordo bene, ce n'andamo in giro per musei e chiese. E la cosa
meravigliosa era che al seguito di Valora entravamo in una chiesa e lui ci raccontava tutto, stile,
autore dei dipinti, nome degli scultori, caratteristiche, significato di ogni minimo
fregio, di ogni più sconosciuta chiesa dell'entroterra barese e poi forse anche del Foggiano. La
cosa divertente è che per esempio arrivava alla guida del museo dove ci eravamo infilati e diceva
questo quadro del 1460 e Valora diceva beh no, questo quadro del 1420 noi eravamo orgogliosissimi,
lo amavamo ogni secondo di più. Quel giorno sempre in macchina, in giro per la puglia,
eravamo partiti da bari, ora eravamo, non si capisce veut come forse già in capitanata,
o forse era una capitanata immaginaria e non c'eravamo mai spostati davvero dal barese,
mentre Valora ci insegnava mille autori al secondo, sentimo le sue parole intervallate
da un insistente miegolio. Un gatto si era forse infilato nel motore. Parcheggiamo in aperta
campagna, aprimmo il cofano, il gatto effettivamente un gatto saltò fuori da quella che sarebbe potuta
essere la sua ultima destinazione e così quel giorno stavo ormai tramontando il sole e finì
con noi che corravamo dietro al gatto svanendo nel buio della sera nella campagna pugliese.
Sono passati molti anni da quel giorno, da quella sera e sono successe ovviamente tantissime cose,
ma io credo che se non fosse successa questa storia che vi ho raccontato,
queste storie che vi ho raccontato, la mia vita sarebbe andata in modo diverso e sarebbe stato peggio.
Magari mi sarei occupato lo stesso di vetteratura, avrei scritto libri,
ho organizzato saloni del libro, se avessi annato film delle mostre del cinema,
lavorato in riviste culturali e case di trici, ma l'avrei fatto con uno spirito e sotto una stella
diversa da quella che mi sforzo di seguire. Ecco tutto quello che sto raccontando, forse
soltanto per porgere due inviti, specie i più giovani, a chi voglia fare della vita culturale
un modo per passare il tempo in modo pieno, bello, intenso e perfino intelligente ogni tanto.
Beh il primo invito allora è organizzatevi, fate cose, fatele spontaneamente, fate comunità
se avete voglia, si può fare, non serve niente, serve soltanto la vostra passione, la vostra
energia, la vostra generosità, il vostro spirito, la vostra fede, il vostro sentimento dell'amicizia,
fare in luogo di non fare, questa non è vanità, dice il poeta. E poi c'è anche forse un secondo
invito e questo secondo invito qui bisogna stare più attenti è solo se sentite che fa per voi
con descrizione senza strafare cercatevi un maestro e usatelo come tale soltanto per il tempo
che vi serve poi quando non vi servirà più sempre che sia possibile abbandonatelo come maestro e
diventateci amici. Marco Vallore e Fabio Menga sono stati un grande e un giovane maestro poi sono
diventati due cari amici oggi non ci sono più questa puntata di fare un fuoco ed è dedicata a loro
fare un fuoco è un podcast settimanale di Lucy scritto e condotto da me Nicola la gioia le
musiche originali il montaggio il sound design sono di Sharid e Lorian la cura editoriale di
Giada Arena e Lorenzo Grammatica ci risentiamo a luglio quando ci sarà la puntata speciale
sarà una puntata corale prima della pausa estiva
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La cultura nasce spontaneamente? Partendo dal ricordo di un annuncio che recitava “cercasi amante della poesia”, nella ventesima puntata ripercorriamo la storia del gruppo barese Dedalus, un’esperienza di gioventù sgangherata e fondativa.
Fare un fuoco è il podcast di Lucy che racconta come le storie continuano ad accendere la nostra immaginazione. Ogni venerdì una nuova puntata, scritta e condotta da Nicola Lagioia.
Le musiche originali, il montaggio e il sound design sono di Shari DeLorian, la cura editoriale è di Giada Arena e Lorenzo Gramatica. Si ringrazia Spreaker per il supporto tecnico.
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