Il Mondo: Le Nazioni Unite vogliono salvare gli oceani. Perché i migranti naufragati non sono stati soccorsi.

Internazionale Internazionale 3/7/23 - Episode Page - 24m - PDF Transcript

Dalla redazione di Internazionale, io sono Giulia Zoli, io sono Claudio Rossi Marcelli

e questo è il mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Oggi vi parleremo del trattato sull'Alto mare approvato dalle Nazioni Unite e dei ritardi

i miso-corsi emigranti naufragati in Calabria e poi di una storica caniana e di un libro di racconti colombiano.

È martedì 7 marzo 2023.

Good evening, ish ladies and gentlemen, the ship has reached the shore.

Questo lungo commosso applauso ha accolto la notizia che il 4 marzo i delegati delle Nazioni Unite

hanno firmato un trattato per la tutela delle acqua internazionali.

La nave ha raggiunto la riva, ha detto la Presidente della conferenza Rina Lee a New York

in riferimento al negoziato durato quasi 20 anni che è stato necessario per raggiungere l'accordo.

Il trattato sull'Alto mare servirà a creare baste aree marine e protette nelle acqua internazionali

per salvaguardare gli ecosistemi oceanici e regolamentare lo sfruttamento delle risorse naturali.

In un comunicato rifuso subito dopo la sua approvazione, Greenpeace ha parlato di una giornata storica per la conservazione naturale

e è un segnale che in un mondo profondamente diviso, la protezione della natura e delle persone può trenfare sulla geopolitica.

Parliamo di questo trattato con Gabriele Crescente, editor di Ambiente Internazionale.

Il 4 marzo a New York nella sede delle Nazioni Unite si è chiusa una trattativa che andava avanti da quasi vent'anni ormai

sulla istituzione di un trattato per la protezione degli oceani che finalmente dopo lunghissimi dibatti di posizioni che sembrava insormontabile

è stato approvato da tutti i 193 paesi delle Nazioni Unite.

Questo trattato affronterà per la prima volta la questione della protezione delle acqua internazionali,

quelle che vanno al di là dell'acque territoriali che si stendono oltre le 200 milia marine dalle coste degli stati,

cioè 370 chilometri circa, che rappresentano i due terzi degli oceani.

Attualmente solo l'1% di queste acque sono coperte da qualche forma di protezione ambientale

e sono sostanzialmente una terra di nessuno dove qualunque attività economica o di altro tipo è permessa.

Si parla di questo accordo come un trattato di portata storica, per chi è così importante?

Fin dai primi tentativi di creare un diritto del mare condiviso cominciati nel dopoguerra, culminati nel 1982, con l'approvazione della convenzione sul diritto del mare, le acque internazionali sono rimaste fuori da qualunque tutela.

Noi sappiamo pochissimo delle acque internazionali, per esempio del fondale degli oceani, un'area di cui sappiamo meno che della superficie della luna e solo una piccolissima parte è stata mappata.

E lo stesso vale per le specie che vi abitano per gli ecosistemi di cui non conosciamo assolutamente nello stato, nelle caratteristiche, nei rischi a cui possono essere esposti.

Eppure gli oceani assorbono il 50% della nitrita carbonica che mettiamo, sono fondamentali per l'equilibrio del pianeta, perché fungono da regolatore della temperatura globale, svolgono una myriad di funzioni biologiche e ambientali.

E in certi casi si tratta probabilmente di ambienti molto minacciati, anche se appunto non ne sappiamo quasi niente.

È importante in questo momento perché mentre finora queste zone sono rimaste largamente inaccessibili.

Adesso abbiamo i mezzi per sfruttarle economicamente, per esempio raccogliendo i minerali dai fondali oceanici o perforando a profondità elevatissime per raggiungere giacimenti che finora non erano considerati sfruttabili.

Queste possibilità tecnologiche hanno già spinto molti paesi a preparare piani concreti per sfruttare le risorse delle acque circostanti e quindi in mancanza di un accordo, di un cornice legale per regolare queste attività, si rischiava che il far west diventasse veramente totale.

Quindi questo trattato in termini proprio pratici, che tipo di sistema introduce per tutelare queste acque?

Il trattato istituisce una convenzione delle parti come quella che si occupa del cambiamento climatico, come quelle che si occupano di altri aspetti della protezione ambientale in seno le Nazioni Unite.

L'obiettivo concreto di questo trattato è istituire delle aree protette che coprono almeno il 30% della superficie delle acque internazionali a livello globale, rientrano nell'obiettivo generale di mettere almeno il 30% di tutto il pianeta sotto qualche forma di protezione ambientale entro il 2030.

Nello specifico cosa questo significa che non è ancora stato esposto deciso nel dettaglio, serviranno altri round di trattative e sarà obiettivo di queste conferenze delle parti, stabilire che il livello di protezione e che tipo di protezione sarà applicata in quali zone e come saranno scelte le aree che saranno sottoposte a tutela.

Per arrivare a questo trattato i negoziati sono durati quasi vent'anni, perché è stato così difficile raggiungerlo?

Perché ovviamente essendo un campo così grande e così potenzialmente vasto di attività economiche che ci ricade, quasi tutti i paesi coinvolti avevano degli interessi in materia che spesso erano divergenti.

Grande parte di opposizione è stata montata da i paesi che possiedono grandi flotte di pescherecci d'altomare, che sono responsabili appunto di una grande parte dello sfruttamento eccessivo delle risorse itiche, dato che appunto non sono sottoposti a nessuna forma di quota come invece avverne nelle acque territoriali e sono liberi sostanzialmente di sfruttare i banchi di pesce senza nessuna preoccupazione per la loro sostenibilità.

Non solo la Cina che possiede una gran parte della flotta di pescherecci d'altura, ma anche i paesi occidentali apparentemente progressisti ambientalisti come l'Islanda, che è uno dei paesi che in proporzione a una delle industrie pescherece più ricche.

Un'altra questione che è emersa però durante le trattative è quella del sfruttamento delle risorse genetiche che si trovano in queste acque, cioè la possibilità di trare e profitto dallo sfruttamento delle specie che offrono qualche forma di beneficio per esempio nello sviluppo di nuovi farmaci.

Adesso attualmente solo i paesi ricchi hanno le risorse, i mezzi per trarre vantaggio da queste risorse mentre i paesi poveri volevano avere la garanzia che i proventi di questi beni comuni, che sono tutti gli effetti beni comuni, siano condivisi equipamente tra tutti i paesi firmatari dell'accordo.

L'accordo è stato accolto con un generale entusiasmo, perfino molte associazioni ambientaliste l'hanno definito un grandissimo passo avanti, quindi sicuramente è una buona notizia, ma basterà questo accordo per garantire la sopravvivenza dell'ecosistema marino?

L'accordo è sicuramente un grande passo avanti rispetto a quello che c'era fino adesso, ovviamente siamo ancora a un livello di intenti e di principio, per cui sarà fondamentale vedere in cosa si tradurrà concretamente e poi come sarà messo in pratica, perché ovviamente un accordo in cui le parti firmatari non si impegnano attivamente a garantire le sue disposizioni è un accordo che non significa niente.

Da un altro punto di vista l'accordo avrà bisogno di tenere conto della realtà del cambiamento climatico che minaccia le specie marine in modo sproporzionato rispetto al resto delle specie degli ecosistemi globali per una quantità di fattori tra cui l'acidificazione delle acque, la modificazione della circolazione delle correnti.

Che sta già spingendo le specie a spostarsi in cerca di condizioni climatiche che siano più simili a quelle che erano abituate rispetto a quelle in cui si trovano a vivere.

Questa migrazione sta sconvolgendo gli equilibri tra le specie all'interno degli ecosistemi, richiederà che si creino dei veri e propri corridoi per garantire appunto la sostenibilità degli ecosistemi in questo panorama mutevole. Quindi un criterio di cui si dovrà tenere conto nella scelta delle aree e della protezione sarà appunto fare in modo da dare lo spazio al specie degli ecosistemi per adattarsi alle nuove condizioni del cambiamento climatico.

Grazie Gabriela Crescente.

Grazie a voi.

C'è una storica keniana che usa la tecnologia per riportare alla luce il passato del suo paese. C'e ne parla Stefania Maschetti, responsabile del sito di Internazionale.

Questa settimana su Internazionale pubbliciamo il ritratto di Ceuta Ina Maïna, tratto da un giornale online Christian Science Monitor. Maïna è una storica keniana, a 30 anni, e la sua passione sono le ferrovie del suo paese.

Una passione nata nel 2016, dopo esters di casualmente imbattuta nella stazione ferroviaria di Voi, una cittadina del sud del Kenia.

In epoca coloniale la ferrovia collegava a Kenia, Uganda, ma da quella scoperta Maïna ha documentato con foto, video e interviste la rete di una cinquantina di siti, dando vita al progetto Save the Railway, e ha un sito con una mappa interattiva di questi snow di ferroviari.

L'obiettivo del progetto è da una parte riportare alla luce una storia soppressa, rimossa, per esempio i colonialisti britannici usavano i treni per deportare migliaia di ribelli nei campi di lavoro, e rende la quindi accessibile un pubblico più vasto.

D'altra parte vuole cambiare la narrazione della storia del suo paese, rivendicando un controllo africano della storia, una tendenza che sta prendendo piede grazie al Digital Heritage, cioè l'uso delle tecnologie per presentare e salvaguardare e comprendere il patrimonio culturale e digitale del continente, anche in campi inaspettati come ad astronomia.

Non è arrivato alle nostre autorità nessuna, diciamo così, comunicazione di emergenza da Frontex. Noi non siamo stati avvertiti del fatto che questa imbarcazione rischiava il naufragio.

Marlando con i giornalisti ad Abu Dhabi, dove si trovava per una serie di incontri con i rappresentanti del governo degli Emirati Arabi Uniti, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha respinto ogni responsabilità del governo sul mancato salvataggio della barca a carica di migranti a largo di Crotone, in Calabria, in cui sono morte almeno 70 persone.

A quasi dieci giorni dal naufragio, il dibattito sulle responsabilità nei ritardi delle operazioni di soccorso va avanti. La prima segnalazione dell'imbarcazione, salpata da Smirna in Turchia, è avvenuta intorno alla 22.30 del 25 febbraio.

Mentre le operazioni di soccorso sono cominciate solo intorno alle 5 di mattina del 26, dopo che alcuni pescatori che erano arriva hanno lanciato l'allarme, quando insomma l'imbarcazione era naufragata.

Il 2 marzo la Procura di Crotone ha aperto un'inchiesta per accertare se ci siano responsabilità nei ritardi dei soccorsi.

Ne parliamo con Annalisa Camilli, giornalista d'internazionale esperta di migrazioni.

Il primo avvistamento dell'imbarcazione partita il 22 febbraio da Smirna risale al 25 febbraio, quindi al giorno prima il naufragio, alle 22.26 l'imbarcazione viene avvistata da un velivolo di Frontex, l'Agenzia europea per il controllo esterno delle frontiere, Ligo Luan, che fa parte dell'operazione Temis.

Questo velivolo ha avvistato l'imbarcazione a 40 mili dalle coste italiane. 40 mili dalle coste italiane significa in piena area di competenza delle autorità marittime italiane per quanto riguarda la ricerca e soccorso, in zona sar italiana, si dice, in gergo.

A quel punto Frontex non dirà omedei, quindi non dirà un'allerta a tutte le navi presenti in quell'area di mare, ma informa le autorità competenti italiane, informa la Centrale Operativa della Guardia Costiera di Roma della presenza di questa imbarcazione.

Frontex, nel suo comunicato, dice che l'unità risultava navigare regolarmente a sei nodi e in buone condizioni di galleggiabilità, con una sola persona visibile sulla coperta della nave.

Tuttavia, sostiene Frontex e lo ribadisce

che ha comunicato anche alla Centrale Operativa della Guardia Costiera di Roma il fatto che l'imbarcazione sarebbe stata sovraffollata, cioè che nella stiva probabilmente c'erano circa 200 persone.

Frontex lo sa perché con delle telecamere etermiche ha scattato delle foto dell'imbarcazione e ha rilevato la presenza di molte persone nella stiva dell'imbarcazione e quindi anche dell'assenza di dispositivi di sicurezza, quindi di giubbotti di salvataggio e di lance di salvataggio.

Questa informazione importante perché sappiamo da leggi nazionali e internazionali che questi sono due elementi che dovrebbero fare scattare un'allerta di ricerca e soccorso.

Quindi anche se Frontex aveva detto che l'imbarcazione era in buone condizioni di galleggiabilità, la Guardia Costiera avrebbe dovuto intervenire?

Secondo le leggi internazionali sì, perché la convenzione di Hamburgo per esempio del 1979 prevede che la Guardia Costiera intervenga anche quando c'è uno stato di insicurezza, quindi non siamo sicuri dello stato dell'imbarcazione.

Il moto vedette della Guardia Costiera avrebbero dovuto accertarsi della galleggiabilità dell'imbarcazione, eventualmente metterla in sicurezza e poi scortarla a terra come d'altro canto hanno fatto migliaia di volte nel corso di questi anni.

C'è anche il Regolamento Frontex del 2014 che stabilisce

c'è la presenza di più di uno di questi criteri nell'evento di cui stiamo parlando. Infatti appunto in questo regolamento si parla del sovraccarico, dell'imbarcazione come un elemento di rimente, se un'imbarcazione in sovraccarico è evidente che c'è un elemento di particolosità.

Se c'è la previsione di maltempo o il maltempo è in corso e in questo caso in effetti c'erà il maltempo e si prevedeva che le condizioni meteomarinne sarebbero addirittura peggiorate.

Se si presume che a bordo dell'imbarcazione ci siano minori, bambini o ci siano donne in cinta venendo questa imbarcazione dalla Turcia si poteva presumere che una rotta appunto spesso usata da famiglie, famiglie anche molto numerose come abbiamo visto, si poteva presumere che tra i passeggeri di questa imbarcazione ci fossero bambini e donne in cinta.

Infine la presenza di dispositivi di sicurezza. Già Frontex aveva comunicato che non c'erano a bordo giubbotti di salvataggio né lance di soccorso e quindi questo è un altro elemento che avrebbe dovuto determinare l'intervento della guardia costiera italiana, quanto meno appunto per accertarsi che in effetti questa imbarcazione fosse in buona condizione di galleggiabilità.

Intervento che invece come abbiamo detto non avverrà fino a molte ore dopo e dopo il neufraggio. In quel lasso di tempo però c'è stato un altro intervento ed è stato quello di due mezzi della guardia di finanza. Ma perché interviene la guardia di finanza?

In effetti dopo la segnalazione di Frontex escono un pattugliatore e una motovedetta della guardia di finanza, perché l'evento non viene classificato come evento SAR, come evento di emergenza, di ricerca e soccorso, ma come evento di law enforcement, quindi come operazione di polizia.

Non sappiamo chi ha classificato questo evento come evento di polizia, probabilmente questo lo ricostruirà l'inchiesta che è in corso.

Da parte della magistratura che è stata aperta dalla Procura di Crotone possiamo ipotizzare che sia stato il Centro Nazionale di Coordinamento che ha la base appunto nel Ministero dell'Interno al Viminale,

a ipotizzare che su quelle imbarcazioni si stessero compiando dei reati, ci fosse almeno il reato di favoreggiamento dell'immigrazione grandestina e quindi che quelle persone a bordo fossero migranti regolari e non naufraghi, cioè non persone bisognose di essere soccorse.

Poi però la Guardia di Finanza è rientrata a causa delle pessime condizioni del mare, quindi mentre i mezzi della Guardia di Finanza rientravano per il maltempo, i soccorsi, cioè la Guardia Costiera, non uscivano nonostante il maltempo.

Questa è un'altra delle contraddizioni, un'altra delle questioni che vengono sollevate. La Guardia di Finanza nel suo comunicato dice che i mezzi appunto il pattugliatore e la motovedetta dopo qualche ora di ricerca non trovano il target, non trovano l'imbarcazione e sono costrette a rientrare alla base per via delle condizioni del mare, onde alte due metri e mezzo e mare forza quattro.

Questo costringe le due embarcazioni a tornare in porto. Ma perché con quelle condizioni del mare e del meteo non è stato lanciato un Mayday e non è stata quindi mobilitata la Guardia Costiera alla ricerca di questa embarcazione che a quel punto era scomparza, nessuno era riuscito a individuare?

Ad Abudabi, parlando per la prima volta del naufragio, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha rimandato la responsabilità a Frontex e dall'inizio del suo mandato che Meloni chiama in casa all'Europa dicendo che è necessario una risposta europea all'immigrazione.

Ma in questo caso l'agenzia delle frontiere europee ha fatto il suo dovere?

L'agenzia europea a Frontex ha informato in effetti le autorità competenti, le autorità competenti italiane, del fatto che c'era una embarcazione sovraffollata.

E come ha detto la Guardia Costiera italiana in altri anni, nel 2017, ogni embarcazione sovraffollata è da considerare un'imbarcazione in pericolo, un'imbarcazione su cui debbano essere operati dei soccorsi.

Il punto è che non si può far coincidere le politiche dell'immigrazione con il soccorso e il mare.

Le leggi internazionali sul soccorso e il mare, le famose leggi del mare, di cui abbiamo così tanto parlato, in questi anni non guardano al passaporto delle persone che vanno soccorse.

In mare non ci sono migranti irregolari, in mare si può morire appunto con grande facilità e quindi esistono di fatto solo naviganti e naufraghi e non migranti irregolari o migranti regolari o cittadini.

Quindi le politiche dell'immigrazione devono cominciare nel momento in cui le persone sono in sicurezza e sono a terra, non possono intervenire in mare.

Grazie Annalisa Camilli, grazie a voi.

Il libro della settimana è di un'autrice colombiana, lo consiglia Camilla Desideri, editor di America Latina d'Internazionale.

Uno crede che la guerra sia come fin d'azione, invece no, è quieta, anzi è monotona, fanno morire gente su gente e ancora gente, ma la guerra continua.

Queste sono le parole della protagonista di uno dei 9 racconti che compongono Criature della Foresta, edito da Granvia e scritto dalla colombiana Laura Ortiz Gomez, nata nel 1986.

Il libro è una specie di cartografia del conflitto colombiano, narrato attraverso le storie comoventi e dolorose di persone che cercano di trovare delle risposte all'assurdo che li circonda.

Di questo libro mi hanno colpito i personaggi, pieni di vita e desiderosi di andare avanti, ma al tempo stesso fragili e impotenti di fronte a una storia più grande di loro.

La musica, l'erotismo, la cultura popolare ancestrale attraversano ciascuno dei 9 racconti, ma è soprattutto la natura ad assumere un ruolo preponderante.

A volte è un ascondiglio, altre volte una minaccia, altre ancora un segno premonitore.

Consiglio questo libro perché secondo me da voce in modo originale alla vita delle zone rurali della Colombia, ai sentimenti e alle espirazioni dei suoi abitanti,

ma anche i colori, ai sapori e ai suoni di quelle regioni.

I problemi del Paese, la violenza dei gruppi armati, gli sfollati interni, il razzismo e le marginazioni sono narrati con uno stile profondamente umano e poetico, mai pesante.

Creature della foresta, della scrittrice colombiana Laura Ortiz Gomez, guarda avanti, ragionando però sull'importanza della memoria per costruire una Colombia senza guerra.

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Dopo quasi vent’anni di negoziati, il 4 marzo i paesi membri delle Nazioni Unite hanno approvato il trattato sull’alto mare, un accordo per difendere la biodiversità nelle acque internazionali. Il 2 marzo la procura di Crotone ha aperto un’inchiesta per accertare se ci siano responsabilità nei ritardi dei soccorsi ai migranti naufragati il 26 febbraio.

Gabriele Crescente, editor di ambiente di Internazionale
Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale

Link:
Video oceani: https://www.youtube.com/watch?v=BQauwZ9b9xs

Greenpeace: https://www.greenpeace.org/international/press-release/58486/historic-un-ocean-treaty-agreed-greenpeace-statement/

Video Giorgia Meloni ad Abu Dhabi: https://www.ansa.it/calabria/notizie/2023/03/04/naufragio-migranti-meloni-nessun-allarme-da-frontex.-io-non-scappo-ora-cdm-a-cutro_f3c0b4a0-689a-489a-8c71-ca6f25242075.html

Annalisa Camilli sul naufragio di Crotone: https://www.internazionale.it/essenziale/notizie/annalisa-camilli/2023/03/03/naufragio-crotone-morti

Convenzione di Amburgo:
http://www.asgi.it/wp-content/uploads/2014/09/271222.pdf

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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.