Il Mondo: Le Nazioni Unite servono ancora a qualcosa? La recessione tedesca è un problema per l’Europa.

Internazionale Internazionale 10/26/23 - Episode Page - 26m - PDF Transcript

In esclusiva su Disney Plus, i Leoni di Sicilia, una serie originale con Michele Riondino e Miriam Leone.

Ora in esclusiva su Disney Plus.

Dalla redazione di Internazionale, io sono Giulia Zoli, io sono Claudio Rossi Marcelli e questo è il mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Oggi vi parleremo delle Nazioni Unite e della Recessione della Germania, e poi della nuova copertina di Internazionale e di Incidenti in Montagna.

È giovedì 26 ottobre 2023.

L'internazionale di Internazionale e della Germania

È importante anche riconoscire che l'attaccia di Amas non è successiva in un vacuum.

I Poliziani hanno stato subjeti a 56 anni di occupazione sufocata.

Sì hanno visto i loro lands devorati da settelamenti e impagate da violenza,

l'economia ha stifato, i loro persone sono displace e i loro domani sono demoliti.

Ma le griezze dei Poliziani non possono gestire le attaccia di Amas

e queste attaccia non possono gestire il pannesco collettivo dei Poliziani.

Il 24 ottobre, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres

ha denunciato davanti a consiglio di sicurezza le chiare violazioni del diritto internazionale umanitario a Gaza

e ha chiesto un immediato cessato il fuoco umanitario.

Dopo aver ribadito la sua condanna agli attacchi compiuti il 7 ottobre

dai miliziani di Amas nel sud di Israele, che ha definito ingiustificabili, Guterres ha aggiunto.

È importante riconoscere che gli attacchi di Amas non sono avvenuti nel vuoto.

Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione.

Hanno visto la loro terra costantemente divorata dagli insediamenti e piegata dalla violenza,

la loro economia soffocata, la loro gente sfollata e le loro case demolite.

Queste parole sono state fortemente criticate da Israele.

L'ambasciatore israeliano e le Nazioni Unite ha chiesto le dimissioni di Guterres

e ha detto che il suo paese negrà il visto d'ingresso ai funzionari dell'ONU.

Ma in questa, come in altre crisi internazionali, le Nazioni Unite hanno ancora un ruolo?

Nate dopo la Seconda Guerra Mondiale per garantire la pace e la sicurezza

e gestire collettivamente le grandi sfide mondiali?

Da anni non riescono più a incidere nella soluzione dei conflitti.

Ne parliamo con Paolo Soldini, giornalista del sito di informazione indipendente Strisciarossa

e collaboratore del programma di Ray-3 Wiki Radio.

Questa dichiarazione di Guterres si può giudicare che forse è stata inopportuna,

ha formulata male, qualche critica può essere fatta,

però bisogna riconoscere che sostanzialmente è una dichiarazione che rispecchia un dato di fatto inequivocabile.

Cioè che i diritti del Paolo palestinese sono stati compressi da quando esiste Israele.

Questo non significa attribuire ovviamente tutte le colpe di questa situazione a Israele,

significa soltanto riconoscere un fatto.

Cioè che se in qualche modo Israele stessa e la comunità internazionale

non prendono in considerazione la condizione di inferiorità, di oppressione,

in qualche modo in cui sono tenuti i palestinesi,

è impossibile pensare in una qualsiasi soluzione pacifica durevole.

Anche la prospettiva che rimane almeno formalmente l'obiettivo ho accettato da tutti,

cioè la formula due popoli, due stati, ha lo stato dei fatti, non è praticabile,

perché basta pensare una cosa che in Cisciordania c'è una quantità di insediamenti israeliani,

di coloni ebrei che rendono ormai di fatto inesistente una qualsiasi continuità territoriale,

perché poi questi insediamenti devono essere tutti quanti ovviamente difesi dalle forze armate d'Israele,

quindi la divisione che fu fatta con gli accordi di Oslo fra le tre zone,

cioè le zone completamente in mano alla autorità palestinese,

la zona in cui le strutture civili erano in mano alla autorità palestinese,

ma la sicurezza era gestita da Israele e le zone in cui c'era soltanto l'autorità militare israeliana

non corrisponde più ai fatti della realtà, perché gli insediamenti hanno fatto sì

che le forze armate israeliane siano un po' dappertutto, diciamo.

Quindi non c'è nessuna continuità e questo è un problema grosso ovviamente.

Restiamo a questa crisi, che cosa ha fatto finora Lonu per cercare di risolverla?

Non ha fatto poco o nulla? La manifestazione di impotenza proprio dell'organizzazione delle Nazioni Unite

l'ha data lo stesso Guterres quando qualche giorno fa era alla frontiera di Rafà fra la striscia di Gaza e l'Egitto,

da una parte c'era la barriera chiusa del passaggio e dall'altra quella fila interminabile di Camion

con gli aiuti umanitari che non potevano passare, praticamente ha fatto molto poco.

Ha fatto quello che riusciva a fare nel senso dell'assistenza con l'ascensia per l'assistenza di rifugiati

che è stata rimasta attiva a Gaza e credo abbia anche subito molte perdite dolorose, diciamo così.

Però dal punto di vista della grande diplomazia è praticamente inesistente.

Però fin dagli anni sessanta Lonu ha cercato di fare la sua parte per far rispettare il diritto internazionale nella regione.

Perché non ha funzionato?

Non ha funzionato sostanzialmente per come fatto il vertice e il politico dell'onu, diciamo così.

Cioè non soltanto il fatto che ci sono cinque potenze che hanno il diritto di veto e quindi possono bloccare qualsiasi iniziativa sul nascere.

E nel caso specifico chi ha bloccato le risoluzioni che condannavano o che tendevano a promuovere il superamento di questa situazione

sono stati gli Stati Uniti.

Questo ha messo in luce qual è proprio il difetto fondamentale, il problema fondamentale dell'onu.

Cioè è una struttura che non corrisponde più allo stato delle relazioni del mondo, diciamo così.

Ci sono cinque potenze, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza che hanno il diritto di veto.

È una struttura che è stata creata alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Che è discutibile se è messo un senso allora, ma comunque ci si può pensare che allora fosse un senso.

Ma pensare che adesso esista un qualche diritto di quello che chiamiamo potenze è veramente poco senso.

Non si spiega perché si può pensare in qualche modo per gli Stati Uniti e la Cina,

ma già la Russia non si vede perché debba avere uno statuto particolare per non parlare della Francia o della Gran Bretagna.

Questo è il difetto maggiore, diciamo.

Inoltre c'è un problema di rappresentanza del Consiglio di Sicurezza nel senso che è molto sbilanciato.

Anche questo dipende dal momento in cui storicamente è stata costruita la struttura dell'onu,

ma ci sono almeno l'Africa e l'America Latina, sono gravemente sottorappresentate.

Ci sono grandi paesi che importanti sia il punto di vista demografico che dal punto di vista anche delle contribuzioni

all'onu stessa come il Giappone o la Nigeria o la stessa Germania,

che non si capisce력o perché non siano anch'essi membri permanenti.

Non è che siano meno importanti della Francia o della Gran Bretagna.

Questi difetti grandi di struttura influiscono non funzionamento dell'onu.

Ci può fare degli esempi in cui l'onu ha dimostrato questa inadequatezza?

Ci sono moltissimi esempi di come il diritto di veto ha bloccato possibili iniziativi di mediazione nei conflitti

o di promozioni di strumenti di pace.

Forse p-skipping o di interposizione.

Gli esempi più recenti sono quelli dell'Ukraine, per esempio.

Con il suo diritto di veto, la Russia ha bloccato sul nascere.

Non è meno che si arrivi al blocco formale, ma il fatto stesso che si sacchi una certa risoluzione,

una certa attività arriverà in un momento prima o poi al blocco impedisci di produrre.

Mi sembra il caso dell'Ukraine è il più recente, ma ci sono stati tantissimi nel passato.

Perché non si cambia questo meccanismo? Perché non si fa una riforma dell'onu?

Bellissima domanda.

C'è stato un momento storico in cui era possibile.

Dopo la caduta del Muno di Berlino, la dissoluzione dell'impero sovietico e la dissoluzione del patto diversavia

esistevano sicuramente le condizioni perché l'onu si riformasse,

nel senso che a partire anche da un diverso ordine europeo,

cioè la costruzione di un sistema di sicurezza europeo,

non c'è fatto perché le condizioni dei rapporti di forza occidentali hanno in qualche modo determinato

che l'anato, anziché dissolversi con il patto diversavia, restasse in piedi

e in qualche modo prendesse, si assumesse il compito che in teoria deve essere quello dell'onu.

La prima manifestazione di questo fatto, diciamo, sono state le guerre balkaniche,

compiti che dovano essere specificamente quelli di un'organizzazione sovranazionale come l'onu,

in realtà sono stati assunti dal nato, la difesa del diritto, degli diritti umani,

il compimento del principio dell'autodeterminazione e così via.

Poi devo dire che verso la fine degli anni 90 c'è stato un revival, diciamo così,

di proposte, di iniziative, di discussioni per la riforma, almeno del consiglio di sicurezza.

Devo dire che in Italia sono stati particolarmente vivaci queste discussioni

e in qualche modo hanno coinvolto anche la diplomazia.

Ci sono state iniziative della diplomazia italiana, anche intelligenti, che hanno anche prodotto qualcosa.

Poi tutto si è fermato perché non esistono al momento le condizioni, diciamo,

di rapporti internazionali che pauriscano una cosa di genere.

Ci sono alcune iniziative dell'onu oggi che invece sono efficaci?

Ma sì, a dispetto dell'opinione generale che l'onu sia unente, inutile,

anzi anche del noso, che è un modo di vedere le cose molto ingiusto.

L'onu in molte situazioni ha avuto e ha ancora un ruolo importante, per esempio,

ha un ruolo di interposizione in molte situazioni, anche in uno stesso Medio Oriente,

perché, come è noto, al confine fra il Libano e Israele c'è l'Unifil,

una forza delle Nazioni Unite, della quale fanno parte anche 1200 militari italiani.

Altri casi ci sono stati in Africa e, inoltre, c'è un'attività non desprezzabile

dell'onu di assistenza ai profuchi in tutto il mondo, anche in Medio Oriente,

perché, nonostante tutto, l'agenzia dell'onu che si occupa, diciamo,

della assistenza ai rifugiati palestinesi continua a funzionare,

che a Gaza, diciamo, è stato anche un oggetto purtroppo di perdite dolorose, diciamo, così.

Non è proveniente inutile, è colonio. Il problema è che non ha la possibilità

di mediare sulla grande politica internazionale, diciamo, ecco.

Cosa pensi della reazione di Israele alle parole di Guterres? Che prospettive apri?

Penso che sia una reazione molto sbagliata, perché si può anche avere comprensione

per il fatto che esiste una sensibilità esacerbata in Israele

per quello che è successo il 7 ottobre per carità.

Però, razionalmente, l'attacco a Guterres, addirittura la richiesta di dimissioni,

si configura come un attacco diretto all'onu, che non è una grandissima novità,

perché Israele, per i chi decenni, diciamo, che è in polemica diretta

e rifiuta di applicare le risoluzioni dell'onu.

Però, in questo momento particolare, in cui ci sarebbe un grandissimo bisogno

di qualcuno che è in grado di favorire una mediazione,

in grado di favorire, non dico un dialogo, ma almeno un addolcimento, ecco, delle contraposizioni.

L'unico strumento che esiste, almeno in teoria, è l'onu.

Non ce ne sono altri, perché gli Stati Uniti, per esempio, esercitano sicuramente

un potere di freno un po' su Israele, ma è chiaro che sono una parte in causa, diciamo.

Anche se non lo fossero, sono considerati una parte in causa del resto del mondo.

Questo, ovviamente, è un grosso problema.

Grazie, Paolo Soldini.

Grazie a voi.

Melissa Giolevè, photoeditor di Internazionale, racconta la copertina del nuovo numero.

I paesi indirettamente coinvolti nel conflitto tra Israele e Amas sembrano avere ottime ragioni

per evitare un allargamento.

Lo sostiene un articolo dei bimestral statunitens foreign affairs che pubblichiamo in questo numero.

L'Iran non vuole peggiorare ulteriormente i suoi rapporti con gli Stati Uniti

e il governo di Washington non vuole alimentare un caos che altererebbe il mercato petrolifero,

farebbe crescere l'estremismo e distolierebbe l'attenzione dalla guerra in Ucraina.

Esbolà, in difficoltà e teme che una nuova guerra con Israele faccia aggravare la crisi politica ed economica del Libano.

E nemmeno gli altri paesi della regione, come la Giordania, l'Egito e gli Stati del Golfo, vogliono un escalation.

Ma la situazione potrebbe mutare.

Per rappresentare quanto è rischiosa la situazione, abbiamo scelto una foto di guerra

che mostra il momento esatto di un'enorme esplosione in un palazzo a Gaza, durante un bombardamento israeliano.

Le fiamme e un fumo nero si alzano nel cielo e occupano quasi tutta l'immagine.

Pubblichiamo anche un articolo di Le Monde che racconta come la storia di Israele si è stata assegnata da ripetute prese di ostaggi.

Uno della giornalista israeliana Amira Haas, sulle vittime dei bombardamenti a Gaza,

è una riflessione del giornalista tzatunitense Adam Schatz sull'inutilità della vendetta.

Israele e Palestina, se il conflitto sia larga, è la nuova copertina di internazionale.

All'inizio dell'anno il ministro dell'economia tedesco Robert Habeck rassicurava i mercati dichiarando che la Germania avrebbe evitato la recessione.

Ma non è stato così. La Germania già da un anno non registra nessuna crescita economica e diversi indicatori appena pubblicati suggeriscono che il Paese si trovi già in recessione.

Per capire in che modo il ristagno economico influenzerà la politica tedesca e quali effetti potrebbe avere sul resto dell'Europa,

parliamo con Alessandro Lubello, editor di economia di internazionale.

La Germania tra i Paesi sviluppati è quello che ha registrato la ripresa più lenta dopo lo shock della pandemia.

È una notizia, diciamo, allarmante per un Paese che negli ultimi 15-20 anni aveva abituato tutti a risultati economici straordinari.

In effetti il 2023 non è un anno positivo per l'economia tedesca.

Già quest'inverno la Germania è entrata in recessione perché ha registrato due trimestri consecutivi negativi per quanto riguarda la crescita del PIL.

Secondo i dati euro stat tra l'ultimo trimestre del 2022 e il primo del 2023 il PIL tedesco rispetto ai tre mesi precedenti è risultato negativo.

Nel secondo trimestre è rimasto invariato e per il terzo trimestre le notizie non sono buone.

I dati ufficiali usciranno la prossima settimana, ma alcuni indicatori segnalano problemi molto preoccupanti.

In particolare, l'indicatore, così detto i PMI, c'è i sondaggi fatti da agenzie che chiedono la situazione degli affari ogni mese

a i manager degli acquisti delle aziende più importanti nel settore in manifatturiero e dei servizi.

Il dato tedesco è negativo. Questi indici infatti hanno per Ottobre un valore settembre e Ottobre un valore inferiore a 50.

Questo vuol dire che c'è un rallentamento nel settore manifatturiero e in quello dei servizi, cioè nell'80% dell'economia tedesca.

Quindi questo lascia prevedere che anche il terzo trimestre non sarà positivo e quindi la Germania potrebbe restare in recessione per tutto l'anno.

Al di là di questi indici numerici, in termini pratici, che cosa significa per i tedeschi? Cosa sta cambiando in Germania?

Il rallentamento dell'economia vuol dire in sostanza meno benessere, quindi più difficoltà per i cittadini, in particolare per quelli che già sono più poveri.

In un articolo che abbiamo pubblicato a settembre sulla Germania, il settimanale tedesco di Zeit spiegava che nel paese, ed è un dato incredibile, aumenta il numero di persone che non riescono ad avere un pasto completo ogni giorno.

Inoltre, i consumi di latte e carne sono ai minimi degli ultimi 30 anni.

Questo indica una maggiori difficoltà negli strati più poveri della popolazione, quindi anche più malcontento sociale.

Il rallentamento economico vuol dire anche minori entrate per lo Stato, quindi lo Stato ha meno soldi in teoria per pagare i servizi pubblici o per finanziare nuove opere per le infrastrutture e nuove opere pubbliche.

In più, oltre a questo, c'è anche un clima rifuso di pessimismo.

Quindi le persone, le aziende sentono che qualcosa sta cambiando in negativo e hanno uno sguardo al futuro meno ottimistico rispetto al passato.

Come ha fatto la Germania a passare in un tempo relativamente breve, da locomotiva d'Europa, a quella che invece l'economia chiama il possibile nuovo malato d'Europa?

Il problema è che la Germania, come tutti gli altri paesi, ha sofferto per lo shock legato alla pandemia, poi anche per gli effetti della guerra in Ucraina.

Ma rispetto ad altri paesi, è il suo modello economico che comincia a mostare segni di decadimento.

Un modello che negli ultimi 20 anni ha registrato successi straordinari grazie alla possibilità di usufrire di un costo dell'energia abbastanza contenuto, soprattutto grazie alle cami con la Russia,

e ha una forza notevole delle sue aziende sui mercati mondiali. La Germania è un grande paese esportatore molto presente per esempio in Cino.

Ovviamente sono intervenuti dei problemi di natura congiunturale, l'inflazione, la crisi in Ucraina, il ralentamento stesso della Cina che hanno provocado un calo.

Ma alla base, all'origine, ci sono problemi strutturali che non cambieranno nell'immediato e che richiedono una profonda trasformazione del paese, quindi del modello economico su cui si basa.

Questi problemi sono il costo dell'energia, perché la Germania, come gli altri paesi occidentali, non ha più legami, o comunque ha legami debbolissimi con la Russia e deve trovare altre fonti di energia,

possibilmente a prezzi contenuti, cosa non semplicissima.

In secondo luogo c'è una carenza di manodopera, soprattutto di manodopera specializzata per le aziende avanzate tedesche, che sono campioni di esportazione.

È un problema non risolvibile nell'immediato, se non con l'apertura verso l'immigrazione, perché la popolazione tedesca, come quella di altri paesi occidentali, segna un pericoloso arretramento.

E poi alla base c'è un paese che ha un po' di difficoltà a rinnovarsi, ad adeguarsi al cambiamento del mondo circostante.

Difficoltà legata al decesso di burocrazia, di molte procedure, l'apertura di un'azienda in Germania o l'approvazione di un investimento è molto più difficile rispetto a quello che viene in Francia o in altri paesi europei.

E in generale c'è un clima di diffidenza verso tutto ciò che è innovazione, per esempio verso le tecnologie digitali di cui comunque il paese avrebbe un grande bisogno.

E cosa significa per il resto d'Europa avere una Germania in recessione?

La Germania in recessione è un problema per l'Europa, perché la Germania è la principale economia dell'Unione Europea, dell'Eurozona soprattutto.

Quindi un suoro allentamento vuol dire una maggiori difficoltà anche per i paesi intorno alla Germania, per esempio per l'Italia.

La Germania è il principale partner commerciale dell'Italia, quindi un suoro allentamento è un problema serio anche per il nostro paese.

Nel 2022 lo scambio complessivo di merci fra importazione ed esportazioni tra Italia e Germania supera 268 miliardi di euro.

L'Italia esporta in Germania merci e servizi per più di 70 miliardi di euro, quindi se il colosso tedesco rallenta si blocca è un problema anche per l'azienda italiana.

Ovviamente lo stesso discorso vale anche per gli altri paesi europei, per i francesi, i belgi o gli olandesi, che si trovano più o meno nella stessa situazione.

Che ripercussioni potrebbe avere la recessione sulla politica tedesca?

Sicuramente ci sono delle ripercussioni negative, il mal-contento sociale, il minor benessere, ma soprattutto la paura del futuro, l'incertezza.

Nei riguardi del futuro sono fattori che vengono capitalizzati molto bene dai partiti populisti.

Non è un caso che in questi mesi un partito populista di estrema destra, come l'alternativa per la Germania, la FD, abbia registrato risultati elettorali notevoli.

Quindi è proprio questa paura del futuro, uno dei maggiori ostacoli in questo momento per la Germania, ma non solo anche per altri paesi europei,

ed è forse l'ostacolo principale da superare per avere una ripresa, per adeguarsi al mondo circostante.

Grazie dal Sandro Lubello.

Grazie a voi.

Il podcast della settimana, consigliato da Jonathan Zenti, autore e produttore di podcast che scrive su Internazionale per la Rubrica Suoni.

Non abbiamo ancora i dati definitivi per il 2023, ma è probabile che anche quest'anno sia stato un anno record per gli incidenti in Montagna,

che contano già oggi più di 50 vittime e più di 1.900 interventi di soccorso, numeri che sono raddoppiati rispetto a dieci anni fa.

Di solito le storie che arrivano alla cronaca sono quelle di errori amatoriali,

come i ragazzi che scalano con i sandali o chi si fa del male nel tentativo di farsi dei selfie in luoghi pericolosi.

Gli errori però capitano anche agli alpinisti più esperti.

La trappola euristica, ovvero la sensazione di sicurezza che non ci fa valutare adeguatamente un rischio,

è il tema del podcast La Dinamica, che in ogni puntata racconta un incidente in Montagna,

attraverso un'intervista a chi, pur essendo un esperto, ha commesso un errore, a volte anche fatale.

Le nostre montagne sono cambiate.

Da un lato c'è il cambiamento climatico che ha modificato la compattezza del manto nevoso,

la permeabilità del terreno, la stabilità dei ghiacciai.

Dall'altro il bisogno di evasione dello stress metropolitano, che porta sempre più persone a cercare svago in alta quota,

aiutate anche da strumenti tecnologici, come le biciclette a pedalato assistita,

che fanno sembrare l'alpinismo a un'attività semplice e che invece può essere insidiosa e pericolosa,

anche per chi la montagna la conosce molto bene.

La Dinamica di Fabio Gava, indipendente, Su Apple, Spotify e tutte le altre piattaforme d'ascolto.

Dalla redazione di Internazionale per oggi è tutto.

Scriveteci a podcastchiocciolainternazionale.it o mandate un messaggio vocale al numero che trovate nella descrizione del podcast e dell'episodio.

E per ricevere una notifica quando esce un nuovo episodio iscrivetevi al podcast.

L'appuntamento con il mondo è do mattina le 6 a 30.

Scriveteci a podcast.

Machine-generated transcript that may contain inaccuracies.

Il segretario generale della Nazioni Unite Antonio Guterres è stato fortemente criticato da Israele per aver ricordato che “gli attacchi di Hamas non sono avvenuti nel vuoto”. La Germania già da un anno non registra alcuna crescita economica e diversi indicatori appena pubblicato suggeriscono che il paese si trovi già in recessione.

CON
Paolo Soldini, giornalista di Strisciarossa
Alessandro Lubello, editor di economia di Internazionale

LINK
Video Guterres: https://www.youtube.com/watch?v=q_d8Zsb5YPg
Video Germania: https://www.youtube.com/watch?v=9Xc5OY8Ady0

Se ascolti questo podcast e ti piace, abbonati a Internazionale. È un modo concreto per sostenerci e per aiutarci a garantire ogni giorno un’informazione di qualità. Vai su internazionale.it/podcast

Scrivi a podcast@internazionale.it o manda un vocale a +39 3347063050

Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni e Vincenzo De Simone.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.