Il Mondo: L’Australia non vuole gli aborigeni nella costituzione. Marsiglia travolta dalla violenza dei narcotrafficanti.

Internazionale Internazionale 10/17/23 - Episode Page - 23m - PDF Transcript

Dalla redazione di Internazionale io sono Claudio Rossi Marcelli, io sono Giulia

Zoli e questo è il mondo il podcast quotidiano di Internazionale.

Oggi vi parleremo degli aborigeni australiani e di narcotraffico a

Marsiglia e poi di un articolo della filosofa Judith Butler e di un

documentario. è martedì 17 ottobre 2023

oggi io voglio riconoscere che per molti aborigeni e

torra strato islandi questo campanello è stato un buon peso per

carri e questo risultato sarà molto difficile a bear.

Ci sono molti ricordi indigeni australiani che hanno portato il cuore e il

cuore in questo corso. Non solo l'anno passato poche settimane, ma

tratti decenni l'avvocazione. In un referendum che si è tenuto il 14

ottobre gli australiani hanno votato in netta maggioranza contro la proposta di

riconoscere la popolazione aborigena nella Costituzione.

L'audio che avete sentito è il discorso con cui il premiero australiano

Antonio Albanese ha commentato il risultato del referendum Voice to

Parliament, voce in Parlamento, in cui lui stesso aveva fatto campagna per il si.

Per far passare la proposta il si avrebbe dovuto vincere sia a livello

nazionale sia in almeno 4 dei 6 stati australiani.

Questa sconfitta è un'abbattuta d'arresto per gli attivisti dei diritti

degli indigeni e per tutto il processo di riconciliazione nell'Australia moderna

dove gli aborigeni continuano a essere discriminati e a subire uno svantaggio

nel livello di salute e di benessere economico.

Ne parliamo con Giunco Terrao, editor di ase pacifico di internazionale.

Il referendum chiedeva gli australiani se volevano che gli indigeni e gli

abitanti delle isole dell'ostrato di Torres, quindi le popolazioni che da 65.000

anni occupano il territorio che oggi chiamiamo Australia, fossero riconosciuti

ufficialmente nella Costituzione.

Inoltre, chiedeva anche se erano d'accordo sull'istituzione di un organo

consultivo parlamentare chiamato Voice to Parliament, che fosse costituito da

representanti delle popolazioni indigene e che consigliasse il Parlamento sulle

questioni che riguardano le popolazioni indigeni.

Il referendum è nato inizialmente da una petizione dall'iniziativa di un gruppo

di representanti di comunità indigene ed era sostenuto principalmente oltre che

ovviamente dagli attivisti delle comunità indigeni e dal governo laburista,

mentre tutta l'opposizione era contraria.

Il 60% degli australiani ha votato no, contro il 40% che ha votato sì e che si

concentra in particolare nelle grandi città, che come sempre succede, hanno

un elettorato più progressista e aperto al cambiamento, in particolare nel

territorio della capitale Canberra.

The Voice, questo organo consultivo, era una delle richieste fatte nella

dichiarazione di Uluru del 2017, una dichiarazione con cui un gruppo di

comunità indigene chiedevano agli australiani non indigeni di riformare la

costituzione per includere il loro riconoscimento e, appunto, cercare di

migliorare il rispetto dei diritti degli indigeni.

La vittoria del no è stata quindi schiacciante, perché gli australiani

hanno respinto in modo così netto questa misura?

Le ragioni sono diverse, in anzitutto, dei 44 referendum indetti nella storia

politica australiana, 36 sono stati respinti, quindi c'è in anzitutto un

problema con lo strumento che in Australia finora ha funzionato poco.

Poi sicuramente in questo momento per gli australiani le priorità sono altre,

l'inflazione, il costo della vita e il cambiamento climatico, perché l'Australia

è uno dei paesi più colpiti dal cambiamento climatico e per cui la

popolazione è molto sensibile in questo senso.

Inoltre perché non c'è accordo tra gli australiani su quale dovrebbe essere il

modo giusto per affrontare quello che le popolazioni indigeni hanno subito

dall'arrivo delle navi britanniche e poi le sprapiterieriche, sono continuati

fino agli anni 90, discriminazione e la politica di assimilazione.

I contraria referendum sostenevano che il passato e il passato, che gli indigeni

sono già aiutati dallo stato in maniera sufficiente, che non c'è bisogno di una

rappresentanza ulteriore in Parlamento perché hanno già 11 deputati, che è il

4,8% del totale dei deputati, mentre rispetto alla popolazione totale,

gli indigeni sono il 3,8%.

Nemmeno tra la comunità indigena c'era completo accordo su questo referendum,

la grande maggioranza, l'80%, era per il sì, però c'era appunto un 20% che non era

convinta che in particolare l'organo consultivo The Voice sarebbe stato

il strumento più adatto a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni

indigene. Indigena era la leader del fronte del no, la senatrice Jessynta Nampi

Gimp Prize, del partito nazionale di centrodestra, secondo la quale gli

aborigini vanno trattati come tutti gli altri australiani e che ha dichiarato

che la colonizzazione ha fatto bene alla popolazione indigene perché ora hanno

l'acqua corrente e ci cibo a disposizione.

Come esce l'Australia da questo voto?

Ne esce sconfitta e divisa, sicuramente, anche perché ora quel che era già una

realtà di fatto, cioè che la maggioranza degli australiani non importa della

minoranza, è stato sancito con un voto.

Quanti sono oggi gli aborigini in australe e come vivono?

Le popolazioni indigene australiane, che includono i cosiddetti aborigini australiani

e gli abitanti delle isole dello Stratto di Torres, sono il 3,8% della

popolazione. Vale a dire poco meno di un milione su una popolazione totale di

26 milioni di abitanti e vivono in una condizione di svantaggio rispetto a

tutti gli indicatori, dalla spettativa di vita.

Dunque un uomo indigeno vive in media 8,6 anni in meno di un australiano, non

indigeno, per le donne, la differenza nella spettativa di vita è di 7,8 anni.

Rispetto all'indicatore sulla salute, l'istruzione, l'occupazione, quando si

parla di criminalità, alcolismo, il tossico di pendenza, le popolazioni

indigene sono quelle dove in assoluto i tassi sono più alti.

L'Australia finora ha fatto dei passi avanti per riparare le

ingiustizie storiche nei confronti delle popolazioni native australiane?

L'unica cosa che ha fatto è il Parlamento federale è stato chiedere

scusa nel 2008 alla cosiddetta stolen generation, vittima della politica di

assimilazione messa in pratica dai coloni britannici dal 1901 fino ai

i primi anni 70, quando si calcola che un bambino indigeno su 3 sia stato tolto

alla famiglia edato o a istituti o a famiglie bianche.

Nel 2008, per la prima volta, l'allora Primo Ministro Kevin Radd,

laborista, l'esse in Parlamento il testo di questa mozione in cui

si chiedeva scusa alla stolen generation.

Senza però indicare la necessità di risarcimenti, infatti molti

di questi figli della stolen generation non sono stati mai risarciti.

Con questa sconfitta a referendum, le misure proposte

ora saranno accantonate definitivamente?

Alcuni stati hanno già detto che agiranno autonomamente,

alcuni addirittura lo stanno già facendo, lo Stato di Victoria in

particolare ha già un organo consultivo chiamato Voice to Parliament e anche

il Queensland e il South Australia hanno già avviato dei processi per adottare queste misure.

Il New South Wales, che è lo stato con il maggior numero di abitanti

appartenenti alla comunità indigene, è l'unico che non si è ancora mosso in

questo senso, ma il Primo Ministro, laburista dello Stato Chris Means,

ha dichiarato che ha intenzionato ad avviare un processo.

Quindi nonostante la ferita di questo referendum,

alla fine ci impenseranno i singoli stati a portare avanti nella pratica

le varie misure di inclusione.

Grazie a Giunco Terrao.

Grazie a voi.

Maria Nadotti, giornalista, saggista e tradutrice,

segnala un articolo della London Review of Books che ha tradotto per il sito d'internazionale.

È legibile su www.internazionale.it un pezzo della filosofa americana e femminista Judith

Butler.

Uscito inizialmente con il giro stesso in Francia col titolo Condannare la Violenza,

che è lo stesso titolo ripreso da internazionale, ma che in originale era la Bussola o il

perimetro del Lutto.

Perché?

Perché Judith Butler in questo pezzo ripropone una dei suoi punti forti di riflessione politica

e filosofica.

Siamo tutti esseri umani, ma alcuni esseri umani sono considerabili più umani di altri.

Vale a dire alcune vite sono degne di pianto, degne di lutto e altre no.

Come mai si chiede Butler e ci chiede in questo pezzo?

Di fronte ai fatti successi l'8 di ottobre, subito fuori dalla striscia di Gaza, è partita

immediatamente una macchina mediatica e politica che ci invita a schiararci.

Lei dice ok, schieriamoci, non c'è dubbio che sono stati fatti orrendi, ma siamo costretti,

abbiamo il dovere altissimo di informarci sulla storia.

I fatti non sono isolabili, non si può dire è successo un fatto spaventoso che non

deve ricapitare mai più, bisogna capire quali sono le condizioni che hanno portato

lì, a costo di essere accusati di relativizzare, studiare la storia, dice Butler in questo

pezzo, che conclude con una nota meravigliosa, un invito alla speranza, che è un fatto

attivo, la speranza si costruisce tape e lei dice si costruisce Yukie con i poeti, con i

sogniatori, con chi sa organizzarsi. Vi invito a leggere questo pezzo bellissimo che si trova su

internationale.it

Ok, la polizia c'è necessario, c'è maloreux, ma sì, là, les gens vont se lâcher, là, si

vous passez dans pratiquement tous les quartiers nord de Marseille, à une certaine heure, il

n'y a plus personne, si c'est 18h, c'est fini, c'est plié, c'est rangé, tout le monde

est enfermé, on est là en fait, plus part de mes amis ont perdu un fils, un frère, un

frère, un oeuf, il neveux, il neve d'une femme d'un carcinore qui pleure pas aujourd'hui. Intervistata

d'un tv francese, questa donna di Marseille a che sta partecipando con i suoi bambini a una

festa all'aperto afferma di non essere turbata dalla presenza della polizia. La polizia è necessaria,

è un peccato, ma è così, se va praticamente in tutti i quartiers nord di Marseille a una certora

non vedi più nessuno, tra le 5 e le 6 si ritirano tutti, dice. La maggior parte dei suoi amici racconta

ha perso un figlio, un fratello o un nipote nelle violenze tra bande di narco traficanti

rivali che avvengono sempre più spesso in città. Molti abitanti di Marseille non si sentono più

al sicuro. Secondo la polizia, lo scorso agosto erano già 68, le sparatorie avvenute a Marseille e

nel Dipartimento della Busch du Rhône, una guerra in cui sono convolti ragazzi sempre più

giovani, spesso reclutati nei quartieri poveri. Nel 2022, un quarto delle persone accusate di

umicidio o tentato umicidio aveva meno di 21 anni. Ne parliamo come il disagio livee,

foto editor di Internazionale. Sì, e proprio così, c'è un episodio recente che rende bene

l'idea del livello di violenza e in sicurezza con cui gli abitanti di Marseille sono costretti a

convivere. Il 4 ottobre, il presidente dell'Università di Ex-Marseille, Eric Berton, ha annunciato in

una lettera la chiusura temporanea della sede della Facoltà di Economia e Management che si trova

Colbert nel pieno centro di Marsella, spiegando che non era in grado di garantire la sicurezza sul

posto di 1.500 studenti e 50 trainsegnanti personali amministrativi perché vicino a un punto

di spaccio. Alla fine sono intervenute la prefettura e il comune per garantire la sicurezza e la

Facoltà è rimasta aperta. Ma questo significa che nei dintorni ci saranno continuamente degli agenti

della Polizia. Perché la violenza è aumentata? Cosa sta succedendo a Marsella? Stà succedendo

quello che succede anche in altre città francesi, cioè che sta aumentando il livello di violenza tra

gli spacciatori per controllare le piazze di spaccio. Secondo la procuratrice di Marsella a

Dominique Lorenz, dall'inizio dell'anno 46 persone sono morti per violenza legata al narcotraffico,

tra cui tre vittime colaterali. Tra l'altro, lo stesso giorno in cui la Facoltà annunciava che

sarebbe rimasta aperta grazie alla presenza della Polizia, la sera, durante la partita Francia Italia

dei Mondiali di Rugby, un uomo è stato ferito da colpi di pistola. L'uomo è sopravvissuto e non ci sono

state vittime colaterali, ma il fatto che sia successo in pieno centro, in prima serata, su una piazza

molto affolata dimostra quanto la situazione sia preoccupante. A Marsella il traffico di droga ha

una lunga tradizione, risala l'anno 30 con la famosa French Connection, che ancora nel

anno 60 riforniva di heroine all'estate uniti. Marsella è una città portuale che si trova in

una posizione strategica al centro dei flussi commerciali. Quindi per molto tempo nel sopporto

transitava l'oppio e oggi è molto legata al Magreb, in particolare al Maroc, uno dei maggiori

produttori di resi nadica cannabis. Il giornalista Philippe Pujol, che ha seguito a lungo la cronocanera

per il quotidiano locale alla Marselles, scrivendo in particolare sull'evoluzione del traffico di droga

nei quartieri nord, la banlie marsellesa e formata da tante cité, mi ha spiegato che la delinquenza è cambiata

molto dal 2006, quando viene ucciso Farid Beramà, figura di spicco della criminalità organizzata

francese e della malavita marsellesa in contatto con la mafia italiana. Dopo la sua morte il sistema

centralizzato della malavita marsellesa ha cominciato a svaldarsi, contemporaneamente hanno

cominciato ad arrivare dal Messico quantità sempre maggiori di cocaína. Oggi come è organizzato

il traffico di droga e chi lo gestisce Rendezio Pujol parla di una uberizzazione dello spaccio,

cioè di un modello di attività simile a quello di Uber basato sul lavoro a richiesta a chiunque sia

disponibile a farlo. Nel 2022 si contavano almeno 128 punti di spaccio a Marsella, che richiedono

quindi molta mano d'opera. All'ultimo anello della catena gerarchica dello spaccio ci sono i

guetteur, le vedette, sempre più giovani, che possono anche avere 11 anni. La maggior parte sono vittime

della violenza sociale, abitano in case faticenti, non vanno a scuola o frequentano scuola altrettanto

faticenti. In quartiere dove non ci sono servizi di base dove sono di fatto tagliati fuori dal resto

della città perché il trasporto pubblico è quasi del tutto assente. Questi ragazzi, anzi bambini,

non hanno prospettive, subiscono facilmente il fascino del boss e di tutto l'immaginare che

le ruote attorno. Per esempio ascoltano un musica rap in cui si fa l'elogio dello spaccio. Il compito di

questi guetteur è quello di urlar la parola ara, che in arabo significa attenti, occhio, per segnalare

l'arrivo della polizia o di un concorrente. Secondo le stime di osservatori locali, almeno 20.000

ragazzi ogni anno vengono cooptati a Marsella per fare questo lavoro. Sono i più numerosi

ma anche i più fragili della catena. Sono attirati dall'idea di guadagnare molti soldi. Cosa che per i primi

tre mesi può anche essere vera, ma poi le cose cambiano, diventano ricatabili e spesso diventano

loro stessi tossicodipendenti. Se qualcosa va storto, con loro che se la prendono i boss.

A uno scalino sopra della gerarchia e dello spaccio ci sono gli sciarbonheur, portano la droga ma non

i soldi, in modo che se vengono fermati possono dichiarare di essere solo consumatori. Sopra di

loro c'è il chef de plan e il contabile, quello che ha soldi e tieni conti. Ancora più su c'è il

cooper che gestisceйsche il magazzine e mescola la droga pura con tutta una serie di prodotti più o meno

pericolose d'alene all'olio di motori. Al vertice c'è lo chef de vento, il capo, il boss, il caïd,

che gesti c'è da 3 a 10 punti vendita. Il fatto che il lavoro sia così suddiviso,

che ci sono così tanti soggetti coinvolti e anche varie retti di spaccio provocano una sfiducia

reciproca cronica tra queste persone. A questo si aggiunge la pressione dovuta alla presenza

costante della polizia. Dalle testimonianze degli ultimi arresti emerge che alcuni di questi ragazzi

soffrono di una forma di scolamente dalla realtà rispetto alla violenza e la gravità degli atti che

commetono. Stiamo parlando di ragazzi che si ritrovano a maneggiare armi pesanti, armi da

guerra come i Kalashnikov, e a essere coinvolti in atti di barbarie. Probabilmente i veri capi,

quelli da avere un alto che hanno le capacità di riciclari soldi, si sono spostati in Spagna,

in Marocco o a Dubai e danno gli ordini d'allí. Secondo Pujol è cambiata anche il modello di consumo,

c'è un capitalismo sempre più selvaggio, i prezzi continuano ad aumentare e la concorrenza tra

gli spacciatori è sempre più spietata. E poi sono in aumento due tipi di consumatori, quelli che

fumano la cannabis come antidepressivo, e quelli che snifano cocaína per aumentare le loro performance

perché è più sollicitato sul lavoro. Un esempio concreto è la cité bassinça. Hub della cocaína è

una zona industriale con tanti lavoratori edili che la consumano per sopportare il carico di lavoro.

Anche se non ci vivi più da molti anni, Marcilia è la tua città e ha eseguito la sua trasformazione, come è oggi.

Marcilia è la seconda città più grande della Francia, con circa 870.000 abitanti. È una città molto estesa,

ha una superficie di 240 km² contro i 105 di Parigi. Ed è socialmente divisa e

frammentata tra il nord povero e il sud ricco. E all'interno del centro storico dove i quartieri

più poveri confinono con il quartiere Euromed, recentemente gentrificato. È una città in cui sono

arrivate nei decenni molte ondate di migrazione, in particolare dalle ex colonie del nord Africa,

e che possiamo definire povera. Nel 2018 il 26% della popolazione era sotto la solia di povertà.

Per fare un paragonio, Parigi a Lyone era il 15%. L'età media è di 40 anni e la disoccupazione è al

9,6%, più di due punti in più del tasso nazionale al 7,2%. Come dicevo prima, la città è molto estesa

e ciò nonostante ci sono solo 35 km complessivi di linee di metropolitane e tram. Soffre di evidenti

carenze di atrezzature e infrastrutture. A causa della mancanza di manutenzione un terzo

delle piscine accuse dal 2008 e un bambino sudù in questa città di mare non sa nuotare. Nel

2021 un terzo delle scuole era considerato degradato. Come stanno rispondendo le autorità all'aumento

della violenza legato al narcotraffico? Il presidente francese Emmanuel Macron ha promesso

una risposta globale ai problemi della città. È venuto con grande clamore due volte a Marsiglia

nel settembre 2021 per annunciare il suo piano Marsè en grand, Marsiglia en grande, basato su un

investimento di 5 miliardi di euro dello Stato. E a giugno di quest'anno è tornata per controllare

a che punto è il piano. Era anche un modo per cercare di migliorare la sua immagine dopo una primavera

disastrosa nell'opinione pubblica. Il piano comprende misure d'emergenza per la sicurezza tra cui

l'invio di più polizioti, magistrati e cancellieri ed è cominciato l'ampliamento del

carcere delle bomette con la creazione di 479 posti. Nel piano di Macron ci sono anche dei tentativi di

cercare soluzioni di fondo e a lungo termine, attraverso la ristrutturazione delle scuole e

degli edifici in salubri, lo sviluppo dei trasporti pubblici per collegare i quartieri nord e

sosteni all'occupazione. E poi le scuole media, promesso Macron, saranno aperte dalle otto alle

18 minimo per evitare che i ragazzi inattivi finiscano nelle reti dei traficanti. Ma,

secondo molti osservatori, più che la polizia e i posti in carcere, ci vorrebbero più operatori

sociali e una collaborazione con le moschee che, invece, a causa della questione della

radicalizzazione, vengono criminalizzate dalle autorità. Grazie a Melissage Olivier. Grazie a voi.

Il documentario della settimana consigliato da Claudio Balboni, sceneggiatore e produttore di

podcast che collabora con Internazionale. Con il passare degli anni, le piattaforme

digitali di streaming si stanno trasformando nel magazzino della scena finale di Indiana Jones e

i predatori dell'arca apertuta, un'enorme scaffale dove si nascondono tesori dimenticati.

Tra questi vorrei segnalare Wormwood, una docu-serie in 6 episodi,

create diretta dal maestro del documentario, Errol Morris. La storia è raccontata in una

lunga intervista da Eric Olson, il figlio di Frank Olson, un biologo statunitense impiegato

in un progetto segreto della CIA e morto in circostanzi misteriose nel 1953. Morris scava

insieme a Olson per tentare di risolvere quello che sembra un classico cold case, in cui col

procedere degli episodi si scoprono inquietanti contraddizioni. In questa indagini riecheggio

ovunque l'amletosh expiriano, a cui fa riferimento il titolo. E Morris indaga come l'ossessione per

la morte del padre Frank abbia condizionato la vita di Eric, ormai 60 anni. La forma cinematografica

segue il contenuto del racconto e in questa storia in cui si capisce presso presto che è

impossibile ricostruire la verità, l'immagine viene continuamente messa in discussione. Fratturata,

ripetuta, ricostruita attraverso degli inserti di fiction che donano alla serie un'atmosfera inquietante e

sospesa. Wormwood di Errol Morris disponibile su Netflix.

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