Il Mondo: La vita sospesa degli israeliani. Le elezioni di domenica in Polonia sono cruciali per l’Europa.

Internazionale Internazionale 10/12/23 - Episode Page - 28m - PDF Transcript

Dalla redazione di Internazionale io sono Giulia Zoli, io sono Claudio Rossi Marcelli e questo

è il mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Oggi vi parleremo della vita in Israele in queste ore e delle elezioni in Polonia e

poi della nuova copertina di Internazionale e di un podcast.

È giovedì 12 ottobre 2023.

Sì, non è una guerra, non è una battaglia, vedi i bambini, i bambini, i bambini in

i bambini, in i bambini di protezione, e come se il terrorista giocò loro, non è una

guerra, non è una battaglia, è una massacra, è una attività terrorale.

Era la voce di un generale israeliano che, parlando con i giornalisti, denunciava il massacro

commesso dai miliziani di Hamas nel kibbutz di Khwarazah, nel sud di Israele.

Dopo aver proclamato la sedio totale della striscia di Gaza, in risposta agli attacchi di Hamas

del 7 ottobre e dei giorni successivi, Israele ha affermato di aver ripreso quasi del tutto

il controllo delle aree vicino al confine, mentre prosegue bombardamenti contro Gaza.

Nelle ultime ore sono immerse le immagini e video delle violenze commesse contro i civili

israeliani dai miliziani di Hamas.

Secondo mezzi di informazioni indipendenti ONG, più di 100 persone sono state uccise

nel solo kibbutz di cui parlava all'inizio il generale e 250 in un festival musicale

vicino a Gaza a cui partecipavano centinaia di ragazzi e ragazze.

Mentre registriamo questo podcast, il conflitto ha già provocato più di 3.700 morti da entrambe

le parti, civili, soldati israeliani e miliziani palestinesi.

Le persone uccise in Israele sono più di 1.200, tra cui almeno 169 soldati.

L'intero paese è sotto shock.

Ne parliamo con Sara Parenzo, ricercatrice, traduttrice e operatrice nel recupero psichiatrico

che vive a Tel Aviv.

Ma qualche minuto fa ho sentito dei boom, forse ci sono delle bombe, stanno lanciando

dei razzi, in realtà ieri sono cominciate gli allarmi a queste ore, quindi se dovesse

asserci un allarme vi dovrò mettere in pausa perché dobbiamo andare nelle scale o nel

rifugio anti bombe al piano terra.

Come è la vita oggi a Tel Aviv dove tu vivi e lavori?

È un po' particolare perché Tel Aviv, come sapete, sostanzialmente al centro del paese

arrivano i missili, l'aggettato è di circa 80 chilometri quindi abbiamo avuto diversi

allarmi da sabato o a ieri, oggi ancora no, però siamo privilegiati, soprattutto se

pensiamo a qualcosa scelendo al sud e comunque anche al nord.

In generale la vita nel paese è non paralizzata ma quasi, le scuole sono chiuse e rimarranno

chi usano detto adesso anche fino a domenica, chiaramente non si percepisce un clima di

quotidianità, la gente tende a uscire il meno possibile e lo fa più che altro per

sbrigare le cose necessarie, ci sono stati assalti, innumerevoli ai supermercati da due

giorni a questa parte per cui alcuni dei supermercati erano letteralmente svuotati,

gli scafali vuoti erano una percezione molto angosciante perché hanno diffuso dei comunicati

che poi in parte smentiti dove però si parlava della possibilità che insomma il cittadino

si trovino tre giorni a dover trascorre neanche 72 ore con eventualmente nei rifugi, con

possibili tagli dell'elettricità e cose di questo genere, c'è la grande domanda che

si pone adesso rispetto al nord quindi quello che potrebbe comportare anche in una zona

come questa, se naturalmente Libano entrasse in modo più marcato nel conflitto e non come

è stato insomma in questi ultimi due giorni, quindi la paura è tanta e soprattutto la

mobilitazione sia da contrivissa dei riservisti che tocca se non tutte le famiglie quasi l'angoscia

per gli ostaggi, ho parlato con una persona proprio questa mattina con la quale avrei

un appuntamento tra poco e venuta a mancare una sua familiare nelle re parti, penso che

è una angoscia condivisa da tutti noi anche chi non ha personalmente, ovviamente poter

paragonare ma questa angoscia per gli ostaggi è questa sensazione che il governo ancora

ufficialmente non parla degli ostaggi anche alla stampa, c'è molto silenzio anche se

ogni tanto scrivono di aver aggiornato diciamo ad esempio 60-70 famiglie però le notizie

non si sanno, non sappiamo niente delle trattative e sono domande inquietanti, un altro aspetto

che caratterizzate la VIV rispetto appunto ad altri luoghi è la mobilitazione anche del

volontariato quindi i pacchi, la solidarietà incredibile dei civili che si adoprono in

ogni sorta di volontariato sia al punto di vista dei beni necessari per mandarli ai

soldati, per mandarli le famiglie, per offre l'ospitalità alle persone, c'è un'enorme

mobilitazione civile, questa si perpeccia e pesce della VIV. L'esercito israeliano è stato colto

in preparato dall'attacco del 7 ottobre, questo ha cambiato la percezione degli israeliani rispetto

alla loro sicurezza? Come se fossimo entrati in una nuova era da un punto di vista delle parole

ci eravamo già entrati ampiamente negli ultimi mesi come noto c'erano state anche molte avvisaglie,

Netanyahu è stato avvertito più volte dai responsabili dell'intelligence, dell'esercito, del

fatto che il paese era in qualche modo esposto, a rischio, non sicuro, però come potete immaginare

c'è una grande differenza tra i titoli di giornali e svegliarsi sabato mattina alle 6 e mezzo e capire

che stava accadendo qualcosa che non era mai accaduto prima. Da mesi il governo di estrema

destra di Benjamin Netanyahu era molto contestato da una parte sempre più ampia della società

israeliana che protestava contro una riforma del sistema giudiziario considerata una minaccia

per la democrazia. Adesso Netanyahu è più debole oppure questa minaccia ha ricompattato la società

israeliana? Penso che le due cose siano vere entrambe, ossia la società e questo veramente va

detto a favore degli israeliani che si è ricompattata in un nanosecondo. Parliamo comunque

i leader anche delle manifestazioni che sappiamo essere giunte quasi alla quarantesima settimana,

quindi da gennaio sono chiaramente persone di grande esperienza, ci sono per loro piloti,

esperti di ogni sorta e comunque sono accorsi tutti immediatamente, vi ricordo che le forze

dell'ordine sono arrivate molto tardi al sud di israele almeno la percezione era quella e i civili

sono stati incredibili nel cercare di far fronte a una situazione davvero più grande di loro,

di tutti noi. La società si è ricompattata da appunto di vista appunto della percezione

dal basso però sullo sfondo di questa collaborazione e solidarietà che poi ovviamente è visibile

appunto da tutti i punti di vista perché tutti hanno risposto in massa la chiamata di

riservisti alle armi, parliamo di una mobilizzazione mai avuta prima e così come dicevo prima anche

i civili impegnati in ogni sorta di volontariato, devo dirvi una cosa veramente che allarga il

cuore da vedere, non corrisponde però a maggior ragione a causa di quello che è successo,

c'è la sfiducia verso Netanyahu e verso il governo, credo che sia raggiunto davvero i massimi

termini. Nelle ultime ore sono circolate molte immagini e notizie che riguardano le terribili

violenze compiute dai miliziani di Amas nei kibuts o kibutsim al confine con la striscia di

casa. Cosa sappiamo delle comunità che ci vivono? Chi sono oggi gli israeliani che vivono nei kibuts?

I kibuts sono delle comunità agricole, la gestione collettiva che sono sorti come sappiamo

all'inizio del 900, era comunque una forma in cui si traluceva l'ideale seonista e socialista,

una forma associativa a volontari di lavoratori, ovviamente basata sul concetto di proprietà

collettiva di condivisione, una condivisione che riguardava sia ovviamente il terreno,

cioè quindi la proprietà e anche i beni e le strutture. Poi questa struttura negli anni ha

subito diverse evoluzioni, anche declini, ci sono stati le motivazioni diverse del declino,

ovviamente da un ideale nodologia socialista. Chiaramente sappiamo benissimo che anche

Israele diventate un paese capitalista più sul modello americano e lentamente molti dei kibutsim,

questo va detto, e che oggi mi sembra qualcosa come 270 molti di loro, la maggior parte,

sono stati privatizzati, quindi hanno subito questo processo di privatizzazione, però ce ne sono

ancora, mi sembra qualcosa, se non mi vado errato tra i 20 e 30 che sono ancora sul vecchio modello,

se prima si occupavano principalmente di attività agricole, in particolare chiaramente dalla

fondazione, poi invece sono passati alcuni di loro anche all'industria manufattoriera, per esempio

Beri è noto anche molto per una stamperia, cioè una stamperia in senso ampio, credo che sia se

non la più grande di Israele, scusate ma ci sono le bombe, poi all'attività agricole sentivo

anche che molta della produzione del latte in Israele è concentrata in queste località del

sud, se negli ultimi stimi anni c'è stato anche un ritorno in qualche modo della popolazione,

un revival forse un po' del concetto del kibuts, resta il fatto che quanto meno per quanto riguarda

il sud, credo che sarà una grande domanda se le persone sentiranno sicura tornare, ma una domanda

chiaramente prematura, che però sento fare molto a tutti gli intervistati sopravvissuti a questi

massacri. Tu lavori nel settore della salute mentale, quali esperienze stai incontrando in queste

ore? Sì, io appunto parte del tempo lavoro anche come operatrice nel recupero psichiatrico,

da diversi anni, in particolare negli ultimi anni lavoro con le donne ultra-ortodosse nella

città di Benebrac, che è vicino anche alla V1, la 21 di minuti, chiaramente ho un osservatorio

privilegiato, cioè io lavoro principalmente nel recupero nella comunità, quindi non dentro

l'ospedale. L'angoscia è tanta, è difficile rendervi l'idea di come tutto questo abbia un

impatto incredibile sulla salute mentale della popolazione, anche quella che non è particolarmente

esposta e non parliamo certamente di quelli che hanno subito questi attacchi piuttosto che reparti

al sud. L'insicurezza, la paura, le sposezionale bombe sono a dir poco terribili, quello della

salute mentale è un tema che è sempre stato spinoso, del conflitto asimmetrico da Israele

e Palestina, un tema che diciamo riguardato negli anni, senza altro anche la questione del

post-trauma dei militari, ma vorrei dire particolarmente la Palestina, quindi il popolo

palestinese è stato scritto molto, insomma, sul tema dell'occupazione e della salute mentale e oggi

però io penso che sia chiaro che veniamo già da degli anni dopo il Covid, quindi mi sembra che si

parla di salute mentale ovunque, anche vedono i titoli in Italia, anche gli adolescenti, quindi si va

per accumulo. La cosa che mi colpisce, che qui parlavo prima di involontariato, nel giro di poche

ore si sono rafforzate tutte le linee telefoniche di pronto soccorso emotivo, c'è una mobilitazione

enorme di terapeuti di ogni sorta che si è messa a disposizione anche gratuitamente per le

persone in generale, per i civili e naturalmente per le vittime e le vittime, insomma, dei traumi,

quelle più directe o quelle che stanno subendo anche i lutti e non parliamo delle famiglie degli

ostaggi. È angosciante, l'ospedale Ichelow, che è proprio di fianco a casa mia, ha istituito

anche una sezione apposita dove è possibile andare in caso di attacche di panico. Penso che la

salute mentale sia sempre un prisma particolare attraverso il quale osservare le tragedie. Serebbe

bello che non ce ne fosse bisogno, però anche giusto prendersi cura di noi e delle persone vicine

nei momenti di difficoltà importante. Grazie a Sara Parenzo. Grazie a voi.

Maisa Moroni, foto editor d'internazionale, racconta la copertina del nuovo numero.

Abbiamo deciso subito di avere due fotografie in copertina, una da Israele e una da Gaza.

Volevamo mostrare sia le vittime israeliane che quelle palestinesi. All'inizio abbiamo provato

in pagina una foto di cadaveri di civili, scattata a Sderot, una delle località colpite da Hamas,

in Israele il 7 ottobre. Discutendone insieme però abbiamo pensato che non fosse il caso di

pubblicare un'immagine così cruenta perché in questi giorni siamo stati tutti particolarmente

esposti a foto e video molto forti e espliciti. Abbiamo quindi provato diverse coppie di immagini

fino a trovare quella giusta che restituisse la paura e il dolore delle persone. Nella prima

foto c'è un padre che scappa con i suoi figli, i missili di Hamas hanno iniziato a colpire

la sua città a Ashkelon sabato 7 ottobre. Guarda in macchina preoccupato a imbraccio un

bambino piccolo e con l'altro braccio protegge la figlia più grande che piange terrorizzata.

Nella seconda foto due uomini stanno correndo, uno di loro porta un bambino in braccio,

è ferito dalle bombe israeliane cadute su Gaza lunedì 9 ottobre. Israele e Palestina,

il ciclo della violenza e la nuova copertina d'internazionale.

Mamma giee che svisi mie pan Kaczyński, Jarosławie Kaczyński,

il 15 ottobre i Polacchi andranno a votare, in quelle che molti considerano le elezioni più

importanti in Europa quest'anno. Quello che avete sentito è un comizio dell'ex presidente del

Consiglio europeo Donald Tusk, oggi candidato del principale partito di opposizione. Dopo due

mandati del partito di destra, diritto e giustizia, che governa il Paese dal 2015,

questo voto potrebbe avere importanti conseguenze internazionali, considerato il

rollo chiave della Polonia nella NATO e i suoi difficili rapporti con l'instituzione europea.

E mentre sondaggi indicano un possibile testa a testa, la guerra in Ucraina continua a pesare

in modo decisivo sul dibattito pre-elettorale. Ne parliamo con Andrea Pipino, editor di Europa

d'Internazionale. Domenica 15 ottobre, circa 30 milioni di elettori polacchi andranno alle urne

o almeno dovrebbero andarci, perché poi ce n'endranno sicuramente di meno, per innovare il

Parlamento, cioè il Senato e soprattutto il SAIM, che è la camera bassa che nel sistema polacco

è l'assemblea più importante, più dominante. Secondo i sondaggi, come dicevi,

al primo posto, con il 36% delle intenzioni di voto, c'è il partito di dritto e giustizia,

che è guidato informalmente dagli Aroslav Kacinski, che è il fratello di Lex,

l'ex presidente polacco che probabilmente ricorderete morire nello schianto aereo di Smolensk nel 2010.

Il PIS, questa è la sigla del partito, è una formazione ultra cattolica,

ultra conservatrice nazionalista e si può dire che con il partito Fides,

del premio rungherese Victor Orbán, è stata un po' la forza simbolo del sovranismo dell'Europa

centrale, cioè quello che negli ultimi dieci anni si è trovato, come dicevi tu,

spessissimo ai ferricorti con le istituzioni europee. A sei punti di distacco del PIS c'è invece

coalizione civica, che è una formazione liberale ed europeista che è stata costruita intorno a

piattaforma civica, che è il partito dell'ex premiere, come hai detto ex presidente del Consiglio

Europeo Donald Tusk, una forza che, come dire, in un certo senso rappresenta la polonia ragionevole

moderata e in un certo senso affidabile per i partner europei. Per avere un po' un quadro

dell'atmosfera che c'è in Polonia, come arriva il Paese a queste lezioni? C'è arriva sicuramente

molto polarizzato e a differenza del 2019 del voto di quattro anni fa,

sta volta sembra che una sorta di stanchezza verso l'operato del governo ci sia effettivamente,

come è confermato anche dai sondaggi che per PIS sono in calo rispetto alla stessa fase prima

del voto di quattro anni fa, quando il partito era dato circa al 45% dei voti, poi in effetti ne

prese poco più di 43. Il punto è che dopo due mandati c'è stato un certo lavoramento probabilmente,

a cui ultimamente si sono poi anche sommati alcuni episodi che potrebbero spostare una

buona quantità di voti, per esempio la messa in discussione dell'appoggio militare politico

all'Ukraine o anche lo scandalo di corruzione in cui decine di funzionari pubblici hanno ceduto

dietro pagamento di mazzette decine di migliaia di visti ai migliori europei, ora questa è una

vicenda particolarmente imbarazzante per un paese che da anni cava al Calaxianofobia e che si fa

passare per il baluardo europeo contro l'ingresso degli stranieri, poi ci sono anche i problemi

concreti che pesano soprattutto sugli elettori più giovani come per esempio l'aumento del prezzo

delle case, infine c'è stata anche una campagna elettorale che è stata come al solito molto

divisiva e molto brutale con il pis che ha esplicitamente accusato agli avversari politici di

essere antipolacchi addirittura traditori del paese, nonostante tutto però c'è ancora una

fetta di indecisi che non sa se andrà a votare e in caso per chi voterà, il risultato del voto

del 15 dipenderà esattamente da loro ed infatti a questi elettori che l'opposizione si è rivolta

con particolare insistenza nelle ultime settimane, per esempio con l'organizzazione della manifestazione

che il primo ottobre ha portato in piazza a Varsavia almeno un milione di persone.

Perché queste lezioni sono considerate così importanti anche per gli equilibri internazionali?

Come dicevamo in questi anni, in questi 8 anni la Polonia è spesso entrata in rotta di collisione

con l'Unione Europea, si è più volte messa di traverso alle decisioni di Bruxelles per esempio

sulla questione dei migranti come è successo anche di recente con la bocciatura dell'ultimo

accordo negoziato la scorsa settimana e ancora più spesso Varsavia è finita nel mirino delle

istituzioni europee per le violazioni dello stato di diritto, del principio della separazione di

poteri in particolare rispetto all'indipendenza della magistratura e poi per le questioni dei

diritti della comunità LGBT e per le limitazioni alla libertà di stampa. Sono tutti scontri che

alla fine poi hanno creato delle spaccature profondissime nel paese e hanno alimentato un clima di

tensione sociale costante che ha evidentemente allegorato un po' tutti, il culmin è stata la

questione dell'aborto che in Polonia è stato vietato praticamente in ogni circostanza con una

sentenza della Corte Costituzionale che diciamo di fatto è stata dettata dal governo, una decisione

che poi ha scatenato una grande andata di proteste e prevedibilmente di nuovo le critiche dell'Europa.

Insomma una conferma del Partito del Governo del PIS renderebbe ancora più estrema,

ancora più drammatica questa polarizzazione che il paese vive ormai da anni per quanto riguarda le

sue dinamiche interne. Ecco in particolare proprio per l'Europa cosa significherebbe una riconferma

del PIS al governo? In una fase così complicata e confusa sul piano globale questo è senza dubbio

l'ultima cosa di cui l'Europa bisogna, cioè avere un blocco di paesi che mette continuamente i

bastoni tra le ruote e crea problemi e screzzi interni, tanto più che l'altro grande sovranista

dell'est che abbiamo già citato, vittor Orban, e saldamente al potere non sembra che ci sia

nulla che lo possa scollare dalla poltrona. C'è anche un altro fatto proprio che è successo

recentemente, ossia che un paio di settimane fa i populisti o nazionalisti o sovranisti chiamati

come volete, hanno vinto le elezioni in un altro paese del blocco di Visegrad in Slovakia con un

programma che prevede di fatto l'interruzione degli aiuti all'Ocreina e un atteggiamento molto

più accomodante nei confronti della Russia. È ovvio che per l'Europa una vittoria dell'opposizione

serve una boccata d'area in un certo senso, anche perché Tusk, come avevamo già ricordato,

il leader dell'opposizione è decisamente europeista e conosce bene i meccanismi già della politica

europea essendo stato Presidente del Consiglio Europeo. E in tutto questo che peso sta avendo su

queste elezioni la guerra in Ukraine? Nelle ultime settimane direi che è diventata una

questione abbastanza cruciale, in modo anche piuttosto sorprendente perché dall'inizio della

guerra la Polonia era stata il primo e il principale sponsor dell'Ucreina, sia dal punto

di vista politico come da quello militare e dell'impegno a favore dei profughi. Poi evidentemente

qualcosa è cambiato. È successo che alla fine di settembre il Premier Moraviecki ha detto esplicitamente

che Varsaglia, cui lo citiamo testualmente, non avrebbe più trasferito armi all'Ucreina

perché era impegnata ad armare se stessa con armi più moderne e poi ha specificato che

d'ora in poi manderà a Kiev solo gli armamenti che hanno stati precedentemente stabiliti.

Se a tutto questo aggiungete anche gli interventi sprezzanti di altri esponenti delle

istituzioni, per esempio il presidente Duda ha paragonato l'Ucreina un'uomo che affonda e

trascina con sé il suo soccorritore, si capisce travelled che Varsaglia evidentemente

ha sviluppato una specie di singolare insolita hostilità per Kiev in questi ultimi mesi. In molti

all'interno del paese e all'esterno hanno interpretato questo cambio di rotta come una sorta di reazione e una

decisione che chi aveva preso pochi giorni prima e che fa capa una vicenda complicata che si trascina da tempo,

che è quella delle esportazioni del grano e dei prodotti agricoli ucraini.

Ora a prescindere che tutte queste vicende siano legate o meno, tutti questi fattori peseranno

sicuramente sull'orientamento degli rettori polacchi, che su molte cose sono divisi come abbiamo

visto ma su una cosa sembrano essere tutti d'accordo per consumatore diversi, il paese deve difendere

la propria sovranità nazionale. Nonostante tutti questi recenti tensioni, il vero interesse

strategico a medio e lungo termine di Varsavia è la creazione di un cuscinetto tra Polonia e una

russia sempre più aggressiva, cioè la nascita di una ucraina democratica in qualche modo integrata

nelle istituzioni europee. E' chiaro che questo obiettivo ovvidentemente passa per un esito

della guerra che non sia la vittoria di Mosca, ed è chiaro che per raggiungere questo obiettivo è

necessario che la Polonia in qualche modo continui a stare dalla parte dell'ucraina.

Questo sembra un punto fermo, su tutto il resto avremo le idee più chiare la sera del 15 ottobre.

Grazie Nandravi Vino. Grazie a voi.

Il podcast della settimana ha consigliato da Jonathan Zenti, autore e produttore di podcast che

scrive per la rubrica Suani su Internazionale.

Nei giorni scorsi si è celebrato il sessantesimo anniversario della strage del Vaillant,

avvenuta il 9 ottobre del 1963. Molte delle celebrazioni hanno messo al centro alcune delle firme che in

tempi più o meno recenti hanno raccontato la vicenda come Marco Paolini di Nobuzzati o Gian

Paolo Pansa. Ma il vero nome da ricordare quando si parla di Vaillant e non solo è quello di

Tina Merlin. Lo ha fatto per fortuna il podcast Miss Sconosciute, scrittrice tra parentesi,

che racconta la vita di scrittrici ingiustamente poconote. Sì è la scrittura che la perizia

giornalistica di Tina Merlin infatti sono sempre state ingiustamente sottovalutate anche

a causa di alcune scelte di vita della giornalista che non l'hanno aiutata a diventare popolare,

la decisione di rimanere in provincia e in montagna e di parlare di quei luoghi,

in lasciare spazio la schetta parola dei suoi testimoni senza embellettarla di retorica,

aver criticato da giornalista dell'unità anche le politiche del partito comunista,

un carattere che non la rendeva digeribile a tutti e l'haver scelto in maniera radicale di

stare sempre comunque soltanto dalla parte delle persone sfruttate, dando un senso letterario

tutto nuovo alla parola spadroneggiare. La vita e le opere di Tina Merlin sono raccolte

nell'ultima puntata di Miss Sconosciute, realizzate in collaborazione con un altro podcast,

protagoniste. È una puntata che mette insieme l'esperienza giovanile come sterfetta partigiana,

la battaglia contro la strage annunciata del vaillante, ma soprattutto l'ultima fase della

sua vita, quella passata a rimettere assieme i pezzi di esperienze che le sembrava di aver vissuto

troppo in fretta. È un racconto biografico esaustivo, che ogni tanto c'è dall'attentazione di

beatificare un'autrice dei cui opere sono più che sufficienti per renderle la giustizia che merita,

ma che fornisce un'ampia e completa bibliografia fondamentale per cominciare a riscoprire una

delle più importanti e sottovalutate voci del 2.900 italiano. Miss Sconosciute di Giulia Morelli,

Maria Luccia Schito e Silvia Scognamiglio, con la partecipazione di Vera Santillo,

indipendente su tutte le piattaforme. Dalla redazione di internazionale per oggi è tutto.

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Secondo mezzi di informazioni indipendenti e ong, più di 100 persone sono state uccise in un unico kibbutz nel sud di Israele e 250 in un festival musicale vicino a Gaza. Dopo due mandati del partito di destra Diritto e Giustizia, che governa il paese dal 2015, questo voto potrebbe cambiare il ruolo della Polonia nello scacchiere internazionale.

CON
Sarah Parenzo, ricercatrice e traduttrice, da Tel Aviv
Andrea Pipino, editor di Europa di Internazionale

LINK
Video Israele: https://www.youtube.com/watch?v=Ld8VwRhTHFs
Video Polonia:https://www.youtube.com/watch?v=13prnEDRYZo

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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni e Vincenzo De Simone.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.