Il Mondo: La vita oggi a Teheran. Un ex rapinatore diventato artista.

Internazionale Internazionale 6/8/23 - Episode Page - 25m - PDF Transcript

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Dalla redazione di Internazionale, io sono Claudio Rossi Marcelli.

Io sono Giulia Zoli e questo è il mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Oggi vi parleremo del processo a due giornaliste in Iran e di un caso di cronaca in Francia

e poi della copertina del nuovo numero di Internazionale e di un disco italiano.

È giovedì 8 giugno 2023.

Non posso ancora credere a questo.

Io sono qui per raccontare a tutti che, in il mio amico homeland,

le donne sono morti solo perché di lei.

Ma è ancora, ancora, le donne sono resistenti.

Le donne di scuola sono morti, ma il giorno dopo,

quando si prende la strada,

c'è una giovane, la vita, la libertà.

Il 30 maggio è cominciato a Tehran il processo Anni Lufar Amedi,

la giornalista eraniana incriminata per aver raccontato, per prima, la vicenda di Massa Gina Amini,

la donna di origini curde di 22 anni morta a settembre del 2022,

dopo essere stata arrestata con l'accusa di non indossare correttamente il velo.

Il 29 maggio è cominciato anche il processo contro la E,

Mohammadi, un'altra giornalista che si era occupata del caso di Amini.

La morte di Massa Gina Amini ha dato il via alla grande ondata di protesse dello scorso autunno,

a cui il regime iraniano ha risposto con una dura repressione che ha provocato almeno 500 morti e 20.000 arresti.

Ne parliamo con Marina Forti, giornalista e scrittrice che collabora con Internazionale e che è appena tornata dall'Iran.

Il sottoprocesso sono due giornaliste e la Che Mohammadi, che è del giornale Ammihan,

un giornale riformista, e Nulufar Hamiddi che invece scrive per il quotidiano Sharg,

anche questo è il più noto quotidiano vicino all'opposizione riformista.

Anno 30 e 36 anni sono due giovani professionisti e vengono processate separatamente

presso il tribunale rivoluzionario che è quello che si occupa dei casi, diciamo, più delicati e più politici.

L'accusa è molto pesante perché sono accusate di collusione con potenze straniere, con potenze ostini,

cosa che può implicare al tradimento, insomma è una cosa che può portare fino all'appena di morte.

Loro sono accusate di questo perché sono le due giornaliste che hanno separatamente

dato perprime la notizia di quello che era successo a Massa, Gina, Amini.

Ci aiuti a ripercorrere la vicenda che ha portato a loro al resto?

Ecco, la prima è stata restata il 20 di settembre, Nulufar Hamiddi,

dopo che aveva pubblicato la foto dei genitori di Massa Amini in ospedale.

In pratica è stata la prima a rendere noto che c'era una ragazza, una giovane donna,

che era stata affermata dalla cosiddetta polizia morale e che era in come in ospedale.

Quella foto, quella notizia sono uscite sul giornale, ma soprattutto sono circolate sui social media

e hanno acceso l'attenzione pubblica su questo caso.

L'altra giornalista è stata restata pochi giorni dopo il 29 di settembre,

lei era andata ai funerali di Massa Amini a Sacchezza nella città natale della famiglia in Kurdistan

e ha pubblicato la foto di questo funerale dove sono avvenute le prime proteste del caso.

Entrambe insieme hanno di fatto rotto il silenzio su questo caso

e hanno suscitato un'attenzione pubblica che poi è sfociata nelle proteste.

Bisogna dire che il caso della morte in custodia di questa giovane donna

aveva creato molta sensazione in Irana tutti i livelli,

il caso era sulle pagine di poi di tutti i giornali,

tanto che anche il governo, il presidente e perfino il leader supremo,

cioè la prima autorità dello Stato, avevano mandato dei messaggi di cordoglio alla famiglia.

Però poi è successo che le proteste si sono estese e le proteste,

diciamo, i messaggi di cordoglio ufficiali ovviamente erano troppo poco e troppo tardi

per calmare l'indignazione pubblica e a quel punto con le proteste che dilagavano in tutto il Paese,

la narrazione ufficiale è cambiata, a quel punto le proteste contestatori

sono diventati dei teppisti, dei terroristi, etc.

ed è stato detto che erano giovani stigati da potenze straniere per destabilizzare il Paese.

Ecco, questa è l'accusa che oggi ricade su queste due giornaliste.

Tu sei appena tornata da Tehran, che impressione hai avuto?

Come vivono le donne e non solo le donne in Iran dopo le proteste che hanno sfidato il regime

e dopo la violenta repressione da parte del regime?

Beh, la prima impressione inevitabile è quella di vedere tante donne per la strada con la testa scoperta,

cioè che non rispettano l'abbigliamento eslamico.

Può sembrare rebanale, ma fa abbastanza impressione.

L'ultima volta che c'era stata era prima della pandemia, quindi alcuni anni fa,

e vedere non solo tante donne con la testa scoperta, donne giovani, ma anche donne più grandi.

Naturalmente mi è stato subito detto, certo questo è anche l'effetto,

anzi è l'effetto degli eventi.

Gli eventi sono ovviamente le proteste che sono durate da settembre ottobre fino dicembre e gennaio,

forse l'inizio di gennaio.

Ecco, questa è un'ata di proteste, ha lasciato il segno da questo punto di vista.

Per il resto è la vita normale, l'apparenza della vita sociale, a Tehran e anche altrove,

perfettamente normale, i caffè sono pieni, i caffè di Tehran sono ormai molto famosi,

sono luoghi di incontro, luoghi dove si parla, dove ci si scangano idee, si parla di libri,

si fanno presentazioni, le gallerie d'arte, ogni venerdì c'è il rito dei vernissaggi,

si inauguerano nuove mostre e si fa il giro da una galleria all'altra.

Questo riguarda non solo un pubblico più colto e raffinato, ma riguarda un pubblico anche molto popolare.

Però c'è una sorta di sensazione di qualcosa di sospeso.

Ecco, mi è stata una nota trice e mi ha detto, qui ci sono dei cambiamenti irreversibili ormai

e siamo all'inizio di un processo, ma ci saranno dei cambiamenti molto profondi.

La Fiera Internazionale del Libro di Tehran, dove sei stata nelle scorse settimane,

è uno di questi segni di apparente normalità di cui c'è parlato?

Sì, sicuramente sì. La Fiera del Libro è un evento che c'è ogni anno, era stato cancellato,

diciamo, fatto online solo durante gli anni della pandemia, però quest'anno sicuramente molto sottotono.

Intanto perché non c'erano ospiti stranieri, o perlomeno pochi, nessuna delle case iditrici,

europee ad esempio, ma anche gli editori iraniani sono state in gran parte assenti,

le maggiori case di trici indipendenti, diciamo, si sono astenute, si sono astenute in parte,

diciamo, in polemica, con una serie di questioni, per esempio, la gestione delle sovvenzioni sulla carta.

È chiaro che l'aumento del prezzo della carta è una cosa che pesa molto sull'editoria,

ci sono delle sovvenzioni statali, ma alcuni accusano il governo di dare queste sovvenzioni solo alle case di trici e più allineate,

quindi, insomma, in parte c'erano polemiche di questo genere, in parte alcuni editori mi hanno detto anche più esplicitamente,

perché non vogliamo avallare il senso di ritorno alla normalità dopo gli eventi.

La vita terane questa apparente normalità che è descritto, secondo te riguarda anche il resto dell'iran,

oppure terane è un po' un mondo a sé?

Terane è un microcosmo di tutto il Paese, perché è una città immensa, tra 20 e 22 milioni di abitanti,

la grande terane con un nord più benestante, più burghese, dove anzi si vedono enormi ricchezzi,

c'è una piccola elite in Iran che si è arricchita molto negli ultimi anni, tra l'altro in particolare,

grazie all'ombra delle sanzioni internazionali,

e poi c'è, invece, una grande parte terane centro e sud, che sono le zone più miste, più popolari,

e anche a sud le zone più povere.

Se vogliamo prendere l'uso del fular come un metro per valutare l'altemospera,

ecco, nella parte nord più benestante di fular se ne vedono pochi, nella parte sud se ne vedono di più,

però sia i fular, sia le teste scoperte, i capelli al vento, sia i c'ador, sono una abbastanza mescolati.

Rispetto ad altri grandi movimenti del passato che ci sono stati in Iran,

secondo te qual è la caratteristica più specifica di quest'ultimo ondata di proteste?

A differenza di altre proteste di anni recenti, questa è una protesta nata dall'episodio del velo,

quindi dalla insofferenza per una polizia morale, per uno stato che dice che cosa devi o non devi fare,

come devi vestire, la scintilla è stata una questione di libertà, di rispetto.

Naturalmente resta anche tutto il resto, in passato abbiamo visto scopiare delle proteste per via delle ristratezze economiche,

della corruzione dei prezzi che aumentano, tutto questo resta di sottofondo.

Siamo di fronte a un paese che non vede prospettive per il suo futuro.

La differenza fondamentale è che questa volta, in piazza, nelle strade c'era quella che viene chiamata la generazione zeta,

che sta per Zoommer, cioè la generazione di giovani e qualche volta addirittura di adolescenti

che sono cresciuti con internet, che sono cresciuti quindi con l'accesso a consumi culturali e informazioni

che sono le stesse che possono accedere dei giovani in tutto il mondo e che sono insofferenti verso questo potere,

che sono insofferenti, direi, verso ogni potere e che non si fanno alcuno scrupolo di dire che cosa pensano, non hanno alcuna remora.

Dietro di loro, naturalmente, ci sono ancora i loro genitori, le madri, che da 40 anni lottano per tener aperti degli spazi pubblici,

per ricompistare delle libertà e questo è il mix che è arrivato a esplodere in questi ultimi mesi.

Il velo, in questo caso, è un po' come un simbolo.

Molti oggi dicono, ma in fondo il velo è solo una cosa, poi però ci sono dei problemi più importanti, c'è la crisi, c'è il futuro.

Il velo però è un simbolo e come la Repubblica islamica ha messo su questo velo, su questo hijab,

tutta la potenza simbolica della propria autorità, oggi, come mi ha detto, una sociologa molto nota se cade il velo, cade la Repubblica islamica.

Grazie, Marina Forti.

Grazie a voi.

Maisa Moroni, foto editor di Internazionale, racconta la copertina del nuovo numero.

Allucinazioni è la parola che i programmatori dell'intelligenza artificiale generativa,

cioè quello in grado di generare a richiesta testi, immagini o altro,

usano per descrivere le sue risposte quando sono sbagliate o inventate.

La giornalista e scrittrice canadese Naomi Klein, in un articolo scritto per il Guardian, sostiene invece che in realtà a soffrire di allucinazioni,

sono i manager delle grandi aziende tecnologiche che ci raccontano come l'intelligenza artificiale metterà fino alla povertà,

curerà tutte le malattie, risolverà perfino la crisi climatica.

Ma secondo Klein, questo sarebbe possibile solo se queste tecnologie nascessero all'interno di un ordine economico e sociale

che mette al primo posto i bisogni umani e la tutela di tutte le forme di vita.

E come può capire bene chi non soffre di allucinazioni, il mondo in cui viviamo non funziona così.

Abbiamo commissionato l'immagine di copertina all'illustratrice artista digitale britannica, Lisa Sheehan,

specializzata nella creazione di modelli 3D, che ci ha mandato diverse proposte con il volto di un robot, di profilo o di fronte.

Abbiamo scelto la versione di profilo dalla cui testa escono delle forme astratte coloratissime e un po' psichedeliche

e con gli occhi pieni di un verde quasi fosforescente.

Le allucinazioni del capitalismo è la nuova copertina di internazionale.

dozensihof.blogspot.com

Ha finituati lo scorso allaィ confense In questo intervisto rilasciato a france

d'è l'ex-replinatore di

banca Jean Claude Potot miraculousi

Americano

lasciata a Franz Döhe, l'ex rapinatore di Banca Jean-Claude Poteau racconta di come

ha cominciato a dipingere mentre si trovava in prigione a scontare la pena.

Dopo l'uscita dal carcere, l'uomo sembrava aver trovato una seconda vita grazie al successo

in campo artistico, ma ora la sua vicenda ha avuto una nuova svolta.

È un caso che sta facendo molto discutere in Francia e ne parliamo con Giuseppe Rizzo,

giornalista di Internazionale.

Il caso Poteau si può riassumere in due scene.

La prima avviene al festival del cinema di Cannes e il maggio 2022 e sul tappeto rosso

sfilano il regista Louis Garrel e i protagonisti del suo ultimo film, l'innocente.

Tra le star c'è anche un attore sordiente, piuttosto impacciato, un signore sessantenne,

con una bella faccia segnata dalle rughe, che è in quel momento in un posto che mai

avrebbe immaginato, quel signore è proprio Jean-Claude Poteau.

Stacco, la seconda scena, 7 mesi più tardi e quasi capodanno, è un gruppo di agenti

speciali della Guardia Fivile Spagnola, fa irruzione in una casa marbella nel sud della

Spagna.

Arresto un uomo, lo butta a terra, l'uomo è praticamente solo in mutande e calzini,

e quell'uomo è sempre Jean-Claude Poteau, che nel giro di 7 mesi si ritrova essere

dal tappeto rosso del festival di Cannes a un carcere in Spagna.

Cosa è successo quindi nel frattempo tra queste due scene, di cosa è accusato esattamente

Poteau?

Poteau è sospettato di essere coinvolto in un traffico internazionale di droga, mesi

prima del suo arresto, erano stati sequestrati 740 chili di cocaína su una barca proveniente

dalla Martinica e diretta in Portogallo.

Secondo gli inquirenti, Poteau, insieme ad altri complici, sarebbe dietro questo traffico

internazionale di cocaína, secondo i suoi difensori la sua unica colpa è quella di

non aver troncato i rapporti con una serie di persone che effettivamente sono coinvolte

in questo traffico, però se fosse così sarebbe solo una storia di cronaca, tuttavia è la

vicenda personale di Poteau a renderla una storia veramente originale.

Ci racconti dal principio chi è Jean-Claude Poteau?

È stato un temibile rapinatore di banche che ha trascorso 25 anni in carcere, ha cominciato

giovannissimo a fare casini come ha raccontato un suo ex insegnante al giornalista di Le

Monde che ha fatto una lunga inchiesta su questo personaggio.

A 14 anni è finito in un carcere minorile per esempio, ma forse possiamo ricorrere

a un'altra scena per capire la levatura criminale di Poteau.

A raccontarla sempre a Le Monde è il poliziotto che l'ha arrestato a metà degli anni 90.

È il 6 dicembre 1944 e in una cittadina periferica francese davanti a un centro commerciale

sono assaltati due furgoni porta valori da degli uomini in moto.

Uno dei due è proprio Jean-Claude Poteau travestito con baffi finti e una parrucca

che spara all'impazzata, ferisce anche i conducenti, mette le mani sul bottino e

scappa.

I poliziotti non riescono a raggiungerlo, lui li semina, si ferma una cabina telefonica

e pronuncia una frase che poi sarà intercettata che dice molto del personaggio, lui dice ai

suoi complici.

Beh, non sono state le Olimpiadi ma ci possiamo accontentare.

Poteau per quello stesso giorno ha previsto di fare un secondo colpo, tuttavia questa

volta non gli va benissimo, la polizia francese è riuscita a rintracciarlo e prima che lui

porti a segno il secondo colpo c'è un nuovo inseguimento.

Poteau questa volta è a piedi, spara, addirittura lancia granate contro la polizia, la polizia

risponde ai colpi, lo colpisce ma Poteau sembra non essere neanche minimamente sfiorato

dalle pallottole, gli agenti capiscono che sta indossando un giubbotto antiproiettile

così mirano alle gambe, lo colpiscono, Poteau cade e finalmente lo arrestano, nel suo borsone

trovano oltre a 300.000 franchi un arsenale di armi pesanti.

Da quel momento in poi Poteau è superannominato il pazzo, entra ed esce di galera, addirittura

in un'occasione riesce anche a evadere e poi per un cavillo esce e per dieci anni fa

perdere le sue tracce, vive in la titanza in Germania, si ricostruisce dispute una vita

con una fidanzata, lavora regolarmente fino al nuovo arresto.

Grazie a delle nuove indagini e a delle intercettazioni gli investigatori lo trovano, lo arrestano e lo riportano

in carcere in Francia, nel 2009.

L'articolo di Le Monde parla però di una svolta nella vita di Poteau nel 2014, che cosa succede a questo punto?

Si, è questa svolta che rende veramente singolare che differenzi a questa storia dalle mille altre storie criminali

che succedono in Francia o in altri paesi del mondo.

Nel 2014 Poteau riprende in mano i pennelli, negli anni 90 sempre in carcere aveva fatto un laboratorio di pittura,

in quel caso lo aveva seguito per superare il lutto per la morte del padre e quello di un compagno di detenzione.

In questo caso ricomincia a dipingere con la speranza e forse anche la certezza che sia l'unico modo

per lasciarsi alle spalle la vita da criminale.

In effetti, con il passare dei mesi, il talento fiorisce, Poteau comincia a far si notare i suoi quadri

che dimono apprezzati dagli operatori, dai volontari in carcere, finché nel 2015 un'associazione culturale

gli offre un'occasione praticamente irripetibile per lui, cioè gli offre l'occasione di collaborare con la sua galleria.

Poteau puo uscire ogni giorno dal carcere, lavorare con loro, dipingere e rientrare in carcere solo la sera.

Da questo momento in poi la vita di Poteau cambia radicalmente, si trasforma in una storia praticamente

in un processo di reinserimento che si lascia alle spalle sia il carcere sia il crimine.

Poteau organizza delle mostre in tutta la Francia, addirittura in una a Parigi, molto frequentata.

C'è J.R., il famoso artista internazionale che gli dà tutto il suo sostegno.

Ed è in una di queste occasioni che Louis Garrel lo contatta perché da prima lo vuole come consulente del suo film,

l'innocente che per ironia della sorte tra l'altro è un film su un ex rapinatore che si ricostruisce tape una vita

e poi gli offre una parte secondaria minore ma non del tutto irrilevante nel suo film.

A questo punto Poteau è un uomo libero che ha scontato la sua pena ed è pronto a rifarsi una vita.

Cosa ci dice questa storia di Poteau riguardo il sistema peridenziario francese?

La situazione in Francia è abbastanza disastrosa.

Dopo la parentesi della pandemia, in cui si è cercato di ricorrere il meno possibile alla carcerazione

e il più possibile invece alle pene alternative al carcere, il numero dei detenuti è ricominciato a crescere.

Al punto che oggi in Francia le persone in carcere sono 71.000 per 60.000 posti disponibili.

Il tasso di sovraffollamento è il terzo più alto in Europa e anche quello dei suicidi è tra i più alti.

E tutto questo avviene nonostante in Francia il carcere e la cella non giochi un ruolo così importante come in Italia.

In Italia in fatti 82% delle persone condannate finisce per scontare la sua pena in carcere.

In Francia invece solo il 24%.

Lo stesso Poteau ha potuto usufruire di pene alternative uscendo ogni giorno dal carcere

per frequentare un centro culturale, collaborare con loro e rientrare in carcere solo a fine giornata.

Ma questo evidentemente non basta a rendere il sistema peridenziario francese meno che un inferno.

Ora in quell'inferno c'è di nuovo Giancloppo Poteau solo in cella con una storia probabilmente più grande di lui.

Grazie a Giuseppe Rizzo.

Grazie a voi.

Giovanni Anzaldo editor di Musica di Internazionale consiglia un album che uscirà domani.

Nel 2018 il cantautore e compositore Io sono un cane ha fatto un tour insieme a Paolo Angeli,

musicista sperimentale che suona uno strumento a 18 corde che si è costruito da solo e che lui chiama Chitarra Sarda Preparata.

I due musicisti hanno portato sul palco brani dei loro rispettivi repertori ma li hanno inseriti in un flusso di intermezzi strumentali frutto dell'improvisazione.

Ora a 5 anni di distanza le registrazioni di quel tour sono diventate un disco intitolato Giallita.

Il disco uscirà il 9 giugno e prende il nome da un arcipelago di isole che si trova tra le coste tunisine e quelle della Sardegna,

l'isolo dove sono nati sia Io sono un cane che Angeli.

L'album sembra un'immersione nelle profondità del Mediterraneo,

dove gli stili di Io sono un cane e Paolo Angeli si mescolano e si contagiano con risultati sorprendenti.

Le parti strumentali sono quelle più interessanti ma anche i brani cantati, come Sammera, un espiaggio affollata e Andhira, brillano di una luce diversa.

Giallita è una delle uscite italiane migliori del 2023.

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L'appuntamento con il mondo è do martina alle 6.30.

Sottotitoli a cura di QTSS

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A nove mesi dall’inizio delle proteste in Iran, in un clima di apparente normalità, è cominciato il processo a due giornaliste che si erano occupate della morte di Masha Jina Amini. Dopo l’uscita dal carcere Jean-Claude Pautot sembrava aver trovato una seconda vita grazie al successo in campo artistico, ma ora la sua vicenda ha avuto una nuova svolta.

Marina Forti, giornalista e scrittrice
Giuseppe Rizzo, giornalista di Internazionale

Video Iran: https://www.youtube.com/watch?v=gOXelScdksQù

Video Pautot: https://www.youtube.com/watch?v=NW3UjUGXL0w

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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.