Il Mondo: La diplomazia internazionale al lavoro sul conflitto tra Israele e Hamas. Il femminismo di Carla Lonzi è una festa.

Internazionale Internazionale 10/20/23 - Episode Page - 30m - PDF Transcript

Dalla redazione di Internazionale io sono Claudio Rossi Marcelli, io sono Giulia Zoli e questo

è il mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Oggi vi parleremo di reazioni diplomatiche al conflitto in Medio Oriente e di Carla Lonsi

e poi di Porti Africani e di un film, è venerdì 20 ottobre 2023.

Sennò lo stiamo succedendo.

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e la gost

Questa è questa gente ne più non si pare e si thena.

Nel 18 ottobre, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha incontrato a Tel Aviv il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Nella conferenza stampa dopo l'incontro, di cui avete appena sentito un estratto,

Biden ha detto che comprende bene la sete di giustizia di Israele dopo gli attacchi del 7 ottobre,

ma è sortato il suo alleato a non ripetere gli errori che hanno fatto gli Stati Uniti dopo lundici settembre.

Oltre a Washington, tutte le principali potenze regionali e mondiali stanno in qualche modo prendendo una posizione nei confronti del conflitto tra Israele e Amas.

Ne parliamo con Iaco Pozzanchini, vice-direttore d'Internazionale e Francesca Agnetti, editor di Medio Oriente.

La visita di Biden è stata segnata extravolta dalla tragica esplosione all'ospedale Alali di Gaza, che è avvenuta la sera prima,

e ha causato la morte di un numero imprecisato di persone, non c'è chiarezza sul bilancio delle vittime e non c'è neanche sulle responsabilità.

Israele accusa il gruppo militante attivo della strescia di Gaza, già d'Islamica, che invece sostiene che la colpa sia di un bombardamento aereo israeliano.

In ogni caso, la gravità di quanto accaduto e le conseguenze che questo avvenimento ha avuto in tutto il mondo arabo hanno cambiato proprio la natura della visita di Biden,

che doveva svolgersi in due fasi. Prima sarebbe andato in Israele per esprimere tutto il suo sostegno allo stato ebraico e poi avrebbe dovuto incontrare i leader della regione in Giordania.

Questa parte del viaggio però è stata annullata, quindi dal punto di vista diplomatico si è trattato di una battuta di arresto importante.

Biden avrebbe dovuto tenere un vertice insieme al re Abdel II di Giordania, al presidente palestinesa Boumasen e a quello egiziano Abdel Fatal Sisi,

però il vertice è saltato. Quindi quello che ha fatto Biden nel corso della sua visita è stato ribadire ancora una volta il sostegno degli Stati Uniti a Israele, come abbiamo sentito all'inizio.

Tra l'altro ha anche sposato la tesi israeliana secondo cui accadere sull'ospedale di Gaza sarebbe stato un razzo lanciato dalla Sia d'Islamica che ha funzionato male.

Dopodiché il risultato principale della sua visita è stato l'annuncio fatto da Biden e dal presidente egiziano Al Sisi dell'autorizzazione a fare entrare nella striscia di Gaza degli aiuti umanitari che erano rimasti bloccati oltre la frontiera egiziana.

Si tratta di un massimo di 20 camion che attraverseranno il valico di Rafa, che è l'unico non controllato da Israele, che collega la striscia di Gaza con l'Egitto.

Poi per valutare l'efficacia della visita di Biden bisognerà aspettare di vedere quello che succede nei prossimi giorni, nel senso che Biden aveva due obiettivi, lo spiega bene l'articolo di Pierre Esquis uscito ieri sul sito d'internazionale.

Il primo è contenere l'esercito israeliano, cioè Biden sostiene il diritto di Israele a difendersi però gli chiede di rispettare il diritto di guerra.

Il secondo obiettivo invece è evitare un allargamento del conflitto alla regione e qui bisogna vedere cosa succederà soprattutto nel fronte nord di Israele al confine con il Libano, dove da giorni a giorni va avanti uno scontro con il gruppo armato libanese Zbolla che è sostenuto dall'Iran.

L'obiettivo di contenere il conflitto ed evitare che si allarga la regione è anche al centro della visita in Israele e in altre capitali della regione del primo ministro britannico Sunak che è cominciato a ieri.

Jacopo, gli Stati Uniti sono un alleato molto stretto di Israele, finora che ruolo hanno avuto in questo nuovo conflitto con Amas?

Naturalmente per ora ha essenzialmente prevalso la solidarietà degli Stati Uniti nei confronti di Israele. Come diceva Francesca, Biden voleva anche moderare la risposta israeliana ma questo tradizionalmente è molto complicato ed è molto più complicato oggi dopo le spaventose stragi di civili compiute da Amas che hanno ucciso circa 1500 persone e che sono spaventosi in assoluto ma per un paese molto piccolo come Israele hanno un impatto gigantesco.

Che evoca il fantasma del Holocaust, quindi il popolo è unito nonostante le divisioni politiche e appare compatto sulla necessità di fare la guerra.

Bisogna anche considerare che la dottrina militare israeliana degli ultimi vent'anni e più è sempre stata meno riguardosa nei confronti dei civili durante i conflittivari che si sono sosteguiti a Gaza in Liban e che già a Gaza ci sono quasi 3.500 morti tra cui centinaia di bambini.

Quindi la situazione umanitaria è già tragica però non sembra volersi fermare l'ossilità quindi non si capisce specia questo tentativo stato in itensio di moderare la reazione quando comincerà a avere degli effetti.

Più in generale però bisogna osservare una cosa. Da anni avevamo percepito l'idea dei tempi di Obama di una volontà di disimpegno americano in Medio Oriente a partire dalla rinuncia a reagire nel 2003 all'uso di armi chimiche da parte di Assad contro la popolazione civile.

Ora Washington si ritrova incastrato in questo conflitto da cui voleva filarsi attraverso la diplomacia agli accordi di Abramo e riavvicinamento possibile tra Israele e l'Arabia Saudita e ci si ritrova un po' con le spalle al muro come il principale alleato di Israele e il Paese è considerato dunque corresponsabile di ciò che succede a Gaza.

Tutto questo è gravato da una questione. Quali sono gli obiettivi adesso di Israele e a Gaza? Cosa vuole fare se Biden ha parlato dei rischi di una reazione eccessiva sbagliata come quella statunitense dopo l'11 settembre?

Adesso quali sono gli obiettivi del conflitto? Come si esce da questa situazione? Vuole spellere parte della popolazione verso il sine egiziano? Come dicono apertamente alcuni suoi politici? Vuole amputare un pezzo di territorio di Gaza per creare una fascia di sicurezza? Cosa vuol dire oggi distruggere Hamas quando ci si ferma e gli statuniti che ruolo possono avere in questa cosa? Non sembra che potranno avere un ruolo effettivamente determinante.

Jacopo, per quanto riguarda invece le due superpotenze avversari degli Stati Uniti, cioè la Russia e la Cina, loro che atteggiamente hanno avuto finora nei confronti di questa crisi?

Negli ultimi giorni Vladimir Putin e Xi Jinping erano insieme a Pekino per mostrare al mondo la loro amicizia e trovarsi per una volta nel ruolo di coloro che invocano la pace, per schierarsi a fianco dei palestinesi senza condannare gli attentati di Hamas e per celebrare la via della seta e celebrare secondo loro quello che dovrebbe essere un mondo diverso più multipolare secondo loro pacifico.

È chiaramente un blef colossale.

A causa della guerra in Ucraina, Putin è ben felice che si apra un nuovo fronte e che l'Occidente possa essere indebolito sia come immagine di fronte al mondo, sia come attenzione strategica, in un momento particolarmente delicato del conflitto ucraino, quando già emersa una certa fatiga, una certa war fatigue in vari paesi europei.

Xi Jinping, ugualmente, è molto contento che ci siano cose che tengano gli Stati Uniti occupati e distratti dallo scenario asiatico, né dal neggino l'immagine e gli consentono di accusarli di ipocrisia, perché effettivamente, di fronte al cosiddetto sudglobale, di fronte ai tanti paesi arabi, ai tanti paesi musulmani ma in generale del sud del mondo, l'Occidente si trova in una posizione particolarmente debole rispetto alla situazione umanitaria a Gaza e rispetto all'accusa di usare

due pesi e due misure tra l'Ucraina e l'Israele. A questo punto le stragi di Amas del 7 ottobre sembrano già dimenticate, come ha scritto a Schi e la questione palestinese torna al centro della scena, l'Occidente torna a sembrare un po' coloniale, un po' prepotente, e è visto sotto una cattiva luce dal resto del mondo e questo non può che essere il triunfo delle nuove potenze autoritarie.

Sappiamo però che il mondo multipolare promosso da Russia e Cina non è veramente multipolare o un mondo in cui il più forte triunfo è chi ha la possibilità di imporsi vince e quindi si potranno aprire dei mesi molto difficili di fronte a noi.

Francesca, come hai detto prima, l'esplosione nell'ospedale a Gaza ha subito avuto delle conseguenze sugli equilibri diplomatici che si stavano creando nella regione medio orientale. A questo punto la situazione qual è?

Allora, intanto c'è stato sicuramente un impatto molto forte nei paesi arabi proprio a livello emotivo. Subito dopo la notizia del massacro sono scoppiate delle proteste contro l'autorità nazionale palestinese a Ramalla, in Cisgiordania, che sono state represte dalla polizia palestinese, altre manifestazioni si sono svolte davanti alla ambasciata israeliana in Turchia, in Giordania, quella staturità in Zinlibano, e poi anche il giorno dopo, il 18 ottobre, al Cairo, a Istanbul, davanti alla ambasciata israeliana ad Amman,

e davanti alla ambasciata francese a Tunisi e di nuovo in Cisgiordania. Quindi le piazze arabi sicuramente si sono scherate subito e in modo molto chiaro.

Però anche a livello politico e diplomatico questo episodio ha spostato degli equilibri che si stavano creando. Molti paesi arabi hanno attribuito a Israele la responsabilità dell'attacco e lo hanno fatto anche dei paesi che avevano normalizzato le relazioni con Israele nell'ambito dei cosiddetti accordi di Abramo siglati nel 2020.

Nello specifico i Emirati Arabi Uniti, che si sono unite alla Russia nel domandare una riunione d'urgenza del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, il Bahrain, che attraverso il suo ministro degli esteri ha espresso una dura condanna del bombardamento attribuito a Israele, il Marocco, che è un altro paese che aveva firmato gli accordi, ha accusato Israele del bombardamento, lo stesso hanno fatto Legitto, che è stato il primo paese arabo a firmare la pace con Israele nel 1979 e la Giordania.

La rabbia saudita che, dopo l'inizio di questo conflitto, il 7 ottobre ha sospeso i colloqui per una normalizzazione dei rapporti con Israele che stavano andando avanti, ha definito l'esplosione all'ospedale un crimine odioso commesso dalle forze di occupazione israeliane.

Si è spesso in questi termini anche il Qatar, che è considerato vicino ad Amas, e insieme al Kuwait e all'Oman.

Quindi da un lato questo avvenimento ferma in qualche modo un processo verso la normalizzazione che stava avvenendo tra i paesi della regione e Israele.

Dall'altro rende ancora più evidente una spaccatura che già si era consumata, che è appunto quella che diceva Jacopo prima tra i paesi arabi e gli Stati Uniti, cioè sempre più chiaro un allontanamento tra Washington e quest'area del mondo.

Jacopo, per concludere parliamo dell'Europa. L'Unione Europea ha adottato una posizione unitaria su questo conflitto?

No. L'Europa, direi, è apparsa divisa e impaurita. Comprensibilmente impaurita da un ritorno del terrorismo che si è visto subito sia in Francia sia in Belgio.

Ma ha reagito alla crisi, sin dagli attacchi di Amas, in ordine sparzo, a partire proprio dai suoi vertici.

L'atteggiamento della Presidente della Commissione europea Ursula van der Leyen è apparsa subito molto schierato con Israele, mentre il Presidente del Consiglio europeo Charmischel è apparsa subito molto critico sulla reazione israeliana.

Si sono divisi anche sull'attribuzione delle responsabilità sulla strage all'ospedale di Gaza e questo riguarda solo i vertici.

I paesi europei hanno tutti quanti giustamente dimostrato solidarietà a Israele subito dopo le stragi di Amas, ma poi ognuno è andato per conto proprio,

alcuni hanno anche vietato le manifestazioni di sostegno ai palestinesi di Gaza, e ogni governo si è riservato le proprie sfumature e la propria reazione.

Questo ha mostrato tutte le contraddizioni di un continente che non ha una politica estera comune vera e riesce raramente a trovare una voce unica nei momenti di crisi.

C'è riuscito faticosamente sull'Ukraine, anche se non è stata un'anime, ma certamente il Medio Oriente è il luogo nel quale soprattutto il confritto israelo-palestinesi e le divisioni europee pesano maggiormente.

Cili e Gina sulla torta, che mostra le divisioni europee in modo quasi caricaturale, il primo ministro ungherese Victor Orbán ha pensato bene di andare al vertice organizzato a Pechino da Xi Jinping ed incontrare Vladimir Putin.

Grazie a Giacopo Zanchini.

Grazie a voi.

Grazie a Francesca Agnetti.

Grazie a voi.

Francesca Sibani, editor di Africa d'Internazionale racconta un articolo uscito sul nuovo numero.

Per le grandi compagnie internazionali di trasporti marittimi, l'Africa è un mercato ancora piccolo ma promettente.

Se guardiamo la classifica dei porti che hanno registrato la maggiore crescita di traffico nel 2022, ai primi posti ne troviamo tre africani.

Tangeri, in Marocco, Lomè, in Togo, Port Said, in Egitto.

Non stupisce quindi che i grandi armatori stiano mettendo gli occhi sul continente.

L'analisi delle monde che pubblichiamo sul numero di internazionali in Edicola parte da una notizia.

Grazie a questa operazione, oggi la MSC, che è già la prima compagnia di trasporti marittimi al mondo, ha ottenuto il controllo di 18 termina per i container in 10 paesi africani.

A farle concorrenza, ci sono almeno altri due grosse aziende, una francese e una danese.

L'articolo di Le Monde però non si limita a fotografare la situazione attuale, cerca di spostare lo sguardo un po' più in là,

parlando anche dei tentativi di queste compagnie di penetrare nell'entroterra, investendo sul trasporto via camion.

Ma qui, scopriamo leggendo, comincia tutta un'altra storia.

Secondo me avevano un progetto più o meno esplicito, più o meno cosciente e chiaro, che in realtà però non si era realizzato.

E si è solo realizzato questa influenza nell'autiratura dei costumi, di tutto quanto, un po' come succede adesso,

cioè che non si realizza quello che veramente vuori come femminista. C'è un'impituazione che modifica quelle cose.

Era la voce di Carla Lonsi, che nel 1981 parlava con l'amica Anna Piva della sua ricerca sul Teatro di Molière,

e in particolare sulla commedia Le Preziose Ridicole.

Una conversazione da cui nascerà poi il libro accompagnato da Audio Cassetta, Armand Sono Io.

Poeta critica d'arte scrittrice, nata a Firenze nel 1931 e morta a Milano il 2 agosto 1982,

Carla Lonsi è stata una delle iniziatrici del movimento femminista italiano.

Con il suo pensiero originale spiazzante ha contribuito alla riflessione sulla condizione femminile, affermando la necessità di una liberazione radicale delle donne.

È da poco tornato nelle librerie, dopo una lunga assenza sputiamo su Hegel e altri scritti,

una raccolta di tessi che Lonsi scrisse tra il 1970 e il 72 e che oggi viene repubblicato dalla casa di Trice la Tartaruga.

Dopo sputiamo su Hegel la Tartaruga ripubblicherà tutti gli altri saggi di Lonsi, che per anni sono stati fuori commercio e difficili da reperire.

Ne parliamo con Claudia Durastanti, scrittrice, traduttrice e curatrice della casa di Trice la Tartaruga.

La ripubblicazione dell'opera omnia di Carla Lonsi nasce dalla constatazione della sua sopravvivenza a metà tra il culto e la clandestinità.

In particolare sputiamo su Hegel, ha continuato a circolare sotto forma di fotocopie, copie prestate, copie regalate, magari con una trasmissione tramite l'amicizia o anche l'esperienza familiare.

E quindi mi interessa mettere in relazione questo fenomeno che ha permesso alle parole al pensiero di Carla Lonsi di restare in vita con la decisione di garantire una maggiore circolazione.

In realtà sputiamo su Hegel in particolare, ha avuto varie edizioni nel corso del tempo, cioè quella storica mitologica delle edizioni di riporta femminile.

C'è stata circa una decina di anni fa di etal e adesso torna con la Tartaruga e non escludo che questa sarà l'edizione o meglio escludo che sarà l'edizione stabile e definitiva,

perché poi con il pensiero di Carla Lonsi c'è proprio una resistenza alla cristallizzazione delle esperienze.

Quindi è un pensiero che si agita contro se stesso e quindi anche pensare che questa sia una edizione definitiva e impossibile,

il che rende appunto questo tentativo di attualizzazione di Carla Lonsi ancora più interessante a mio avviso.

Chi era Carla Lonsi e quale posto ha avuto nel feminismo italiano?

Nella mia interpretazione, soprattutto adesso che l'ho riletta, Carla Lonsi era una fuoriuscita.

Io non so se è una donna che ha cambiato mai veramente idea, in merito all'arte, al femminismo, al ruolo della donna,

ma sicuramente sapeva quando era il momento, io la immagino così, di uscire da una stanza e passare ad un'altra esperienza.

È interessante partire dall'infanzia di Carla Lonsi, da lei molto raccontata nei diari o in altri scritti della sua passione,

per questa dimensione della vita dell'esante, di queste figure singolari ed eccezionali nella società,

lei stessa ha avuto un'esperienza di fuoriuscita dalla famiglia molto precoce da bambine.

Lo dico perché questi suoi passaggi di stato, in un certo senso, possono assumere il valore di una conversione.

Carla Lonsi era una critica d'arte estremamente originale, che aveva preso molta ispirazione dal suo maestro,

che era Roberto Longhi, insieme a Marisa Volpi, un'altra delle figure femminili,

con cui ha avuto grande vicinienza, costruzione di significato, e poi una separazione.

C'è un momento in cui capisce tape che il ruolo della critica d'arte le risulta in qualche modo fausullo, non autentico,

autenticità, una parola molto importante per Lonsi, e scopre il femminismo.

Dice una cosa bellissima, che il femminismo è stato la sua festa, in qualche modo una vera e propria rivoluzione.

Il collegamento mi ha avviso con l'esperienza da critica d'arte riguarda la visione.

Il lavoro della critica è comunque interpretare l'opera, guardarla.

Lei porta a questo sguardo molto concentrato sul mondo e sull'esperienza di essere donna.

Quindi Carla Lonsi è molto importante l'esperienza del vedersi, in qualche modo del vedere,

squarciando tutta una serie di conformismi o di false conoscenze.

Però non c'è mai questa spinta accelerata verso il farsi vedere,

che a mio avviso è una delle questioni un po' più problematiche del femminismo della quarta ondata,

del femminismo contemporaneo in cui abbiamo scambiato la presenza e la resistenza

con un farsi vedere molto spesso in luoghi che poi sono profondamente strani

all'interessi più profondi di una donna.

Ecco, quindi per me questo è uno dei sensi della ripubblicazione di Lonsi oggi.

Sputiamo su Igheal, fu pubblicato dalla casa di Trice, scritti di rivolta femminile,

del gruppo di rivolta femminile di Roma, e si apre con un manifesto firmato dal gruppo

in cui c'è già in nuce tutto il pensiero di Lonsi.

Il manifesto è stato scritto insieme ad Elvira Bannotti, l'artista Carla Accardi,

ed è interessante perché costituisce mantra di preambolo,

per poi una linea di pensiero che Carla Lonsi porterà avanti soprattutto da sola.

E' che però influenzare al suo stile,

perché strutturato con questi fragmenti su cui è necessario stare passo per passo

che hanno uno stile, come dice la curatrice Anna Rosa Buttarelli, lapidario.

Cosa dice questo manifesto?

Ha la potenza di quello che potrebbe essere quasi scontato.

C'è la presa di coscienza da parte delle donne che la loro esistenza

si è condotta su un piano marginale per via una serie di vicissitudini storiche

delle impostazioni del patriarcato,

però la cosa più importante e vitale del manifesto,

e che poi scaturisce un'onda forte del feminismo italiano,

è che riconosce l'esperienza della donna,

come un'esperienza differente, diversa, sta su un altro piano.

Oltre a portare il risalto,

questa dimensione di mentalità, di mentalità,

di personalità rivendica come momento positivo il fatto che l'esperienza della donna

non si vuole porre in dialogo, in dialettica, in competizione,

o comunque adottare le stesse retoriche di potere del maschio e del patriarcato,

perché la donna sta su un altro piano dell'esistere.

Sputiamo Suegel, è il saggio forse più famoso tra quelli contenuti nel volume

che raccoglie vari scritti teorici di Lonsi.

Cosa vuol dire sputare Suegel?

Carle Lonsi vede di nuovo qualcosa che a pensarci,

adesso sembra così intuitivo e naturale,

ma di fatto non lo era per come era organizzata la filosofia,

il pensiero a partire dalla rivoluzione filosofica egogliana in poi,

e che nella dialettica serve un padrone,

nello studiare questi rapporti di dominio e sottomissione,

in realtà Hegel non considerava il ruolo della donna,

lo marginalizzava come un ruolo dedito all'armonia nel contesto domestico,

della perpetuazione di certi valori,

ma che non poteva sorgere,

non poteva neanche aspirare a questo conflitto con chi le era padrone,

perché non veniva neanche concepita nei contesti di autorità o di lavoro,

e quindi c'era questo trallasciare la dimensione del domestico,

dove spesso chi l'uomo che provava a liberarsi,

ad affrancarsi come schiavo rispetto a un padrone, era un padrone in casa,

e quindi c'era questo grande problema percettivo, in un certo senso,

che Carlo Lonsi riporta su una questione sentimentale,

a mio avviso molto importante,

quando dice che il pensiero hegeliano e marxista

non è riuscito a comprendere la natura sentimentale della proprietà,

di come l'uomo rivendica la proprietà della donna,

e quindi portare avanti tutto nell'avorazione filosofica e politica,

ignorando questo dato intimo di realtà che apparteneva molto spesso

a un piano personale privato, domestico, spesso nascosto agli occhi delle altri,

per Lonsi rendeva insufficiente quella rivoluzione,

in qualche modo quella inaugurata da Hegel e poi di presa dai marxisti,

era una rivoluzione che liberava il proletariato, ma non liberava le donne.

Poi ci sono i due saggi sessualità e aborto,

e la donna clitoridea e la donna vaginale.

In realtà Lonsi aveva una posizione originale sull'aborto,

il punto diceva non è che le donne abortiscono, ma che rimangono incinte.

Io sono nata nel 1984, sono cresciuta in un contesto sociale

in cui ho considerato il diritto all'aborto,

un diritto per cui si è molto allottato, ma in qualche modo consolidato, acquisito.

Adesso mi ritrovo in una fase in cui questa acquisizione viene messa fortemente in dubbio,

quindi leggere la posizione di Carla Lonsi sull'aborto è molto provocatoria,

o mi costringe, come immagino metta molto elettrici,

a una domanda che spesso non ci si è poste.

È in esatto dire che Carla Lonsi nel mettere in dubbio soprattutto la solidarietà maschile

o la pressione maschile nell'ottenere il diritto all'aborto

sia produciendo una vera libertà per la donna.

Per Lonsi il momento di libertà coincide con il momento in cui la donna si interroga

sulla sua sessualità ed è qui che si connetta la questione della donna vaginale o clitoridea,

perché il sesso arriva spesso nella vita di un adolescente e una donna

con questo vincolo del sesso procreativo in qualche modo.

Quindi il sistema patriarcale che lo ha fortemente incoraggiato a volte

per portare avanti i valori di tradizione e di famiglia,

è in un certo momento storico, dice Lonsi, l'uomo vuole emanciparsi da questa responsabilità

e quindi costringe la donna un sesso di tipo procreativo,

ma poi in qualche modo la mette sola davanti all'evidenza di come gestire le conseguenze del sesso procreativo.

E dunque la domanda che non è contraria alla lotta per il diritto all'aborto,

ma che in qualche modo la rende più complicata e la rende un'esperienza più complessa

anche per la donna che la vive è perché le donne restano incinte,

perché fanno l'amore con una sorta di non soggezione,

dice Lonsi, però conformandosi al piacere maschile

che passa attraverso il sesso della donna vaginale

e lei dice portiamo avanti la donna clitoridea

che è stata attacciata da vari grandi maestri o maestri del sospetto,

Lonsi se la prende anche molto con Freud, giustamente da questo punto di vista,

o ciò lo presenta come estremamente datato nelle sue letture della sessualità femminile

come la conquista della consapevolezza, del piacere del proprio corpo

come un momento fondamentale di libertà.

E l'altra cosa che vorrei aggiungere è che negli ultimi anni siamo stati invasi

soprattutto ai festival letterari, sui giornali, negli speciali,

su il tema del desiderio.

Ma la questione del desiderio è spesso contigua a quello del consumo,

a qualcosa che non si realizza, crea sempre un'orizzonte d'attesa.

Lonsi parla poco di desiderio e parla molto di piacere,

inteso come il godimento di un'esperienza,

nel momento quando si conosce il proprio corpo e si conosce il corpo dell'altro.

E secondo me non è casuale che proprio adesso che assistiamo a questo leggero spostamento

sia tornata la conversazione su Lonsi.

Dopo sputiamo su Egel, cosa avete in programma di pubblicare e quando?

La prossima uscita, in primavera, sarà autoritratto,

in modo da rendere più esplicito questo passaggio,

questo scarto dalla vita di Carla Lonsi come critica d'arte

a Iniziatrice del Feminismo Italiano.

Grazie a Claudia Dura Stanti.

Grazie a voi.

Il film della settimana, consigliato da Piero Zardo, editor di cultura di internazionale.

Negli anni 20, i nativi e i americani della Osage Nation sono diventati ricchissimi

perché nei territori dell'Oklahoma, che gli sono stati assegnati dal governo degli Stati Uniti,

mi hanno trovato il petrolio.

Gli Osage sono considerati incompetenti dal governo

e sono sufrire della loro ricchezza solo attraverso un sistema opaco di amministratori e tutori

che attira tutto un mondo di opportunisti, approfittatori, di sciacalli.

Intanto una serie di strane morti, tra amicidi che rimangono senza colpevole e misteriose malattie,

comincia a colpire gli Osage.

In Killers of the Flower Moon, di Martin Scorsese,

tutto questo ci è raccontato in uno di quei densi prologhi che spesso aprono i film del regista di Goodfellas.

Ernest, un veterano della Grande Guerra, un po' ingenuo, diciamo una mente semplice,

arriva in Oklahoma per lavorare per lozio William Hale,

un ricco allevatore che si pone come un benefattore, come un amico degli Osage.

Hale spinge Ernest a sposare Molly,

ragazza che fa parte di una grande famiglia Osage.

Senza di lo esplicitamente, è comunque evidente che Hale punta l'alendita di Molly.

Nel frattempo i parenti di Molly continuano a morire uno dopo l'altro.

Killers of the Flower Moon è un filmone, e non solo perché dura tre ore e mezza.

È un film faticoso, ma questo è quasi un preggio, è pieno di spunti.

Volendo rimanere attaccati ai tre protagonisti, Deniglio Di Caprio e la bravissima Lily Gladstone,

si forma questa specie di triangolo,

tra un potere ambiguo, triviale, cinico,

e il suo strumento inconsapevole, ottuso e facile da plaggiare,

è una vittima magari anche consapevole,

ma praticamente senza strumenti per reagire.

Un triangolo che facilmente diventa una metafora,

un prisma che rivela le fondamenta, come dire, alternative criminali del mondo moderno.

Killers of the Flower Moon, di Martin Scorsese, nei cinema.

Dalla redazione di Internazionale per oggi è tutto.

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L'appuntamento con il mondo è l'une di mattina alle 6.30.

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Il 18 ottobre il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha incontrato a Tel Aviv il presiedente israeliano Benjamin Netanyahu. La casa editrice La Tartaruga ripubblica tutta l’opera della scrittrice e attivista femminista.

CON
Francesca Gnetti, editor di Medio Oriente di Internazionale
Jacopo Zanchini, vicedirettore di Internazionale
Claudia Durastanti, scrittrice, traduttrice e curatrice editoriale della casa editrice La tartaruga

LINK
Video Biden: https://www.nytimes.com/video/us/politics/100000009138371/biden-israel-hamas-war.html?partner=slack&smid=sl-share
Video Lonzi: https://www.youtube.com/watch?v=ONwdQBtwMYE

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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni e Vincenzo De Simone.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.