Il Mondo: La Colombia è il paese più pericoloso al mondo per gli attivisti ambientali. In Italia procurarsi la pillola abortiva resta molto difficile

Internazionale Internazionale 9/25/23 - Episode Page - 24m - PDF Transcript

Sali sulle spalle dei giganti, fino al 9 ottobre, meno 20% sui grandi classici del Molino

in libreria e online. Info su www.molino.it

Dalla redazione di Internazionale io sono Claudio Rossi Marcelli

Io sono Giulia Zoli e questo è il mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Oggi vi parleremo di attivisti ambientali in America Latina e di pillola abortiva e

poi dei premi Gnobel ed un libro. È lunedì, 25 settembre 2023.

In nuestras cosmovisiones, somos seres surgidos della

terra, il acqua e il maestro. De los rios somos custodios ancestrales del pueblo lenta,

resguardados, además, por los espíritus de las niñas, que nos enseñan que dar la vida de múltiples

formas por la defensa de los rios, es dar la vida para el bien de la humanidad y de este planeta.

Questo è un discorso di ringraziamento che l'attivista Unduregna Bertha Kasseres ha fatto

nel 2015, dopo essere stata premiata per la sua lotta per i diritti degli indigeni e la protezione

delle loro terre. Kasseres è stata uccisa l'anno seguente. A metà settembre, l'ONG Britannica Global

Witness ha pubblicato il suo rapporto annuale sull'attivismo ambientalista. Lo scorso anno le

persone che nel mondo sono state uccise per la loro attività di difesa dell'ambiente sono state

177, cioè quasi una ogni due giorni. Il continente più pericoloso per gli ecattivisti è ancora una

volta l'America Latina, dove secondo il rapporto avvengono 9 miscidi su 10. Ne parliamo con Camilla

Resideri, editor di America Latina di Internazionale. Anche quest'anno è stato pubblicato il rapporto

di Global Witness sui pericoli che corrono le persone che difendono l'ambiente nel mondo.

Di solito si tratta di attivisti, leader sociali e indigeni. Il primo rapporto era stato pubblicato

nel 2012. In questi 11 anni, quasi 2.000 persone sono state uccise perché proteggevano le

risorse naturali e le loro comunità dagli attacchi delle multinazionali, dalle attività

illegali e dalle grandi opere infrastrutturali che minacciano il territorio e lo stile di vita

tradizionale di questi popoli. Nel 2022 gli omicidi sono stati 177. È un leggero miglioramento

rispetto all'anno precedente, cioè al 2021, quando le uccisioni erano state 200. Ma alla

situazione dice Global Witness resta comunque grave e critica anche perché la crisi climatica

e quindi la conseguente domanda di prodotti agricoli combustibili e minerali non fa altro

che intensificare la pressione sull'ambiente aumentando i rischi delle persone che cercano

di difenderlo in prima linea. Un elemento che emerge in modo evidente da questo rapporto è che

l'America Latina è il continente più pericoloso del mondo per gli attivisti ambientali. Come mai

succede questo? Sì, anche quest'anno l'America Latina è all'apprimo posto tra le regioni del

mondo per quanto riguarda i pericoli che corrono gli attivisti ambientali. Nel 2022 l'80% degli

omicidi di chi difende l'ambiente è avvenuto nella regione. La maggior parte è rimasto impunito.

Tra l'altro essere colpiti sono soprattutto i popoli nativi, anche se rappresentano una

piccolissima percentuale della popolazione mondiale. Tra tutti i paesi dell'America Latina la regione

maggiormente presa di mira è sicuramente quella mazonica e quando parliamo di regione mazonia

non ci riferiamo solo al Brasile perché la foresta è ricca di risorse naturali che attirano

traficanti di legname, cercatori d'oro, pescatori illegali, oltre ovviamente l'interessi della

lobby dei grandi agricoltori che vogliono di sboscare per lasciare il posto a coltivazioni per

esempio di soia o a pascoli per il bestiame. L' omicidio tra l'altro è la forma estrema

di violenza ma spesso fa notare il rapporto di global witness è preceduto da una serie di

intimidazioni minacce sia agli attivisti che ai loro familiari, a violenze, attacchi digitali e

anche a stupri. C'è uno dei paesi dell'America Latina in cui la situazione è particolarmente grave?

Secondo il rapporto nel 2022 il paese più pericoloso del mondo è stato la Colombia con 60

omicidi, cioè quasi il doppio rispetto all'anno prima. Si tratta soprattutto di leader indigeni,

attivisti delle comunità afrodiscendenti e piccoli agricoltori locali. Tra l'altro tra

questi c'è anche una guardia indigina di 14 anni, un ragazzo che è stato ucciso nel Dipartimento

del Cauca, nel Loves del Paese da un gruppo di dissidenti delle FARC, cioè la guerrilla più

grande dell'America Latina che si era smobbilitata nel 2016 ma che in parte è ancora attiva in alcune

zone della Colombia. Ci sono però degli elementi che danno un po' di speranza per il futuro. In

primo luogo l'elezione di Gustavo Petro che è in carica da poco più di un anno ed è il primo

presidente di sinistra nella sola del paese che si è impegnato esplicitamente per prendere misure

che tutelino sia le risorse naturali della Colombia sia le persone che cercano di proteggerle.

In secondo luogo un altro elemento positivo è la ratifica da parte del paese della Trattato

Internazionale di Escasù che contiene delle disposizioni specifiche per proteggere gli

attivisti ambientali che però deve ancora superare l'esame della Corte Costituzionale.

In Europa quando parliamo di ambiente in Sud America pensiamo però subito al Brasile,

lì come è la situazione per gli attivisti ambientali?

La situazione è grave anche in Brasile che infatti è al secondo posto del rapporto con

34 omicidi di attivisti. La gran parte è avvenuta in Amazonia e si tratta soprattutto di persone

native. Chiaramente l'Amazonia come dicevo prima è ricca di risorse naturali ed è sempre più

esposta a invasioni, attacchi e deforestatione. Bisogna però tenere presente che i numeri

del rapporto si riferiscono a quando era ancora in carica il Presidente di estrema destra,

Jair Bolsonaro, che ha di fatto autorizzato la distruzione della Amazonia e dei popoli che

l'abitano, indebolendo tutti gli enti statali che si occupano della protezione della foresta

pluviale e del rispetto dei diritti dei nativi. Con il nuovo Presidente, Luis Inasio Lula da

Silva, che è in carica da gennaio di quest'anno, sembra che la situazione possa cambiare in

meglio anche perché Lula ha fatto della protezione della Amazonia proprio una priorità del suo

mandato. In questo senso ci sono già dei segnali concreti del fatto che la situazione in Brasile

stia cambiando? Innanzitutto Lula ha nominato una ministra per l'ambiente Marina Silva che,

da anni, difende la necessità di proteggere l'Amazonia come Baluardo per fermare la

crisi climatica. In secondo luogo ha realizzato delle operazioni nei vari territori nativi per

cacciare i minatori illegali e cercatori d'oro illegali. Qui si sono senz'altro dei segnali

positivi. E poi è proprio di qualche giorno fa una notizia molto importante per i diritti dei

popoli nativi, cioè la bocciatura da parte della Corte Suprema Brasiliana di una tesi che si

chiama Marco Temporal, sostenuta dalla lobby degli agricoltori brasiliani. In pratica,

secondo questi grandi agricoltori, tutti i popoli nativi che non potevano dimostrare di

abitare nelle loro terre prima dell'ottobre del 1988, cioè quando fu promulgata la Costituzione

Brasiliana, non avevano nessun diritto su quelle terre. Ma bisogna ricordare che fino a pochi anni

prima in Brasile c'era stata la Dittatura Militare, molti popoli nativi erano stati cacciati

dalle loro terre, quindi di fatto non era detto che abitassero quelle terre negli anni precedenti

alla Costituzione, ma non per loro volontà. La sentenza è quindi una vittoria importantissima

per vari motivi, in un ultimo quello ambientale. Infatti i territori dei nativi sono devaluardi

contro la deforestatione, giocano un ruolo molto importante nella lotta a riscaldamento climatico.

Come sostengono molte ONG, associazioni che si occupano dei diritti dei popoli nativi, se la

Corte Suprema non avesse preso questa decisione si sarebbe fatto un passo indietro enorme nella

protezione e nel riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni del Brasile.

Grazie Camilla Resideri.

Grazie a voi.

La notizia di scienza della settimana raccontata da Elena Boille, vice-direttrice di Internazionale.

Perché a molti paleontologi piace lecare le rocce? La risposta è meno stramba di quello

che ci si potrebbe aspettare. Lo fanno perché le particelle minerali all'interno delle rocce

risaltano meglio su una superficie bagnata e quindi è più facile dedure la composizione

chimica delle formazioni rocciose.

Pochi giorni fa questa tecnica è salita sul podio alla cerimonia organizzata dalla

rivista scientifica satirica Annals of Improbable Research che dal 1991 assegna gli

AI Nobel, un gioco di parole tra Nobel e ignobile, alle ricerche scientifiche più

bizzarre, quelle che prima fanno ridere e poi fanno pensare.

Ed ecco che per la medicina è stato premiato uno studio che ha scrutato il naso di cadavere

umani per determinare se in ciascuna narice c'è lo stesso numero di peli. La ricerca

potrebbe aiutare i pazienti affetti da alopecia che oltre ai capelli perdono anche i peli

del naso, rendendoli più vulnerabili alle allergie e alle infezioni.

Per la salute pubblica è stato premiato un urologo che ha inventato la cosiddetta

Twilight Stanford, una latrina intelligente capace di analizzare in tempo reale le urini

e le feci. Una striscia reattiva rileva i segni di infezioni batteriche, il diabete,

altre malattie, un dispositivo ottico calcola la velocità e la quantità di urina e un

sensore identifica il soggetto in base alle caratteristiche uniche del suo ano.

Tra gli altri Ike Nobel di cui diamo notizia questa settimana su internazionale segnano

infine quello per la fisica, assegnata uno studio che ha misurato l'impatto dell'attività

sessuale delle acciughe sul movimento dell'acqua degli oceani.

Nessun ricovero per l'aborto farmacologico è sicuro e va fatto in dei hospital. Dieci

anni dopo l'introduzione della pillola abortiva in Italia, il ministro Esperanza riscrive le

linee guida per l'interruzione volontaria della gravidanza nelle strutture pubbliche,

nelle strutture private, convenzionate. Il parere positivo del Consiglio Superiore della Sanità

ha dato il via libera alla cancellazione della necessità di tre giorni di ricovero,

indicazione contenuta nelle precedenti linee guida scritte nel 2010,

quando fu autorizzato l'utilizzo della pillola RU486 anche negli ospedali italiani. Emmai rinnovate.

Nell'agosto 2020 il Ministero della Salute aggiornava le linee di indirizzo

sull'aborto farmacologico in Italia dopo dieci anni, annullando l'obbligo di ricovero per la

somministrazione della pillola abortiva e allungando fino alla nona settimana il periodo in cui si

può ricorre al farmaco. Cosa è cambiato dall'ora e come sono applicate le direttive del Ministero?

Una ricerca di medici del mondo, associazione che si occupa di assistenza sanitaria e diritto

alla salute in diversi paesi, ha provato a fare il punto sull'aborto farmacologico in Italia.

Ne parliamo con Elisa Visconti, direttrice di Medici del mondo Italia.

A tre anni, dalle manazze delle linee di indirizzo del Ministero della Salute rispetto

all'aborto farmacologico, Medici del mondo ha deciso di condurre un'indagine che si chiama

aborto farmacologico in Italia tra retardi, opposizioni e linee guida internazionali a cura di

Claudia Torrisi e di un comitato scientifico di Medici del mondo perché è molto difficile

recuperare dei dati rispetto allo stato di avanzamento, di implementazione delle linee

di indirizzo rispetto all'utilizzo della RU486, ovvero della pillola abortiva.

Per condurre l'indagine abbiamo condotto diverse interviste in quattro regioni campione,

selezionate su alcuni criteri, quindi la Sicilia, il Lazio, l'Emilia Romagna e il Piemonte.

Per cercare un po' di ricostruire qual è la situazione e quali sono le buone pratiche o le

cattive pratiche un po' lungo tutto l'ostivale. Abbiamo incontrato collettivi femministi,

abbiamo incontrato mediche e genicologi e medici, donne che hanno avuto esperienza di interruzione

volontaria di gravidanza con l'RU486 per ricostruire dei dati che diversamente sono

difficili da recuperare. Prima di entrare nel merito del rapporto ci ricordi come funziona e come

è regolato oggi l'aborto farmacologico in Italia. In Italia secondo la normativa si può ricorrere

all'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica fino a nove settimane, mentre le linee

guida dell'UMS insomma sono molto più aggiornate e prevedono la possibilità in realtà di ricorrere

l'aborto farmacologico fino a 12 settimane. Questo scarto rispetto alle linee guida dell'UMS

viene anche dal fatto che in Italia l'RU486 è stata introdotta di fatto molto tardi ovvero

nel 2009. In altri paesi è una pratica che avviene già da decine di anni, siamo alla fine

degli anni 80 in Francia e l'inizio degli anni 90 nel Regno Unito per esempio, mentre in Italia

sembra un po' una rivoluzione insomma è molto recente il fatto che si possa ricorrere all'aborto

farmacologico il regime ambulatoriale delle linee guide dell'UMS in realtà prevedono che

l'interruzione volontaria di gravidanza con questo metodo possa venire anche a casa e che

tutte le fasi dalla diagnosi fino all'assunzione possano mai essere di fatto gestite dalla

paziente direttamente. Quindi mentre l'UMS già lascia molto spazio di libertà alle donne durante

tutto il ciclo di gestione dell'interruzione volontaria di gravidanza in Italia siamo ancora

molto legati all'ospedalizzazione di questa pratica anche con quella farmacologica quindi

siamo in un retardo spaventoso. Intanto come hanno risposto le regioni italiane alle linee

di indirizzo del 2020? Come si sono adeguate? Allora le regioni italiane hanno risposto nel

modo più variegato il rapporto che abbiamo condotto mostra proprio un'Italia che procede in ordine

sparse nell'implementazione delle linee guida ci sono regioni in cui vengono implementate in modo

estremamente parziale ci sono territori che non hanno neanche recepito come dire la possibilità

di accedere all'aborto farmacologico fino alle nove settimane ma lo fanno ancora solo fino alla

settima settimana ci sono alcune buone pratiche come quella del Lazio per cui si può seguire

una procedura a casa insomma è come dire un po' una mosca bianca ci sono delle disparità

enormi fra le regioni che rispecchiano come dire le disparità del sistema sanitario così come

organizzato in Italia e che quindi amplificano anche le diseguaglianze di accesso al diritto

l'aborto sul nostro territorio. Il filo rouge un po' di tutta questa situazione è che comunque per

le donne risulta ancora estremamente complicato a riperire informazioni rispetto all'aborto

farmacologico, capire come muoversi, avere come dire un accesso di prossimità a questa

pratica ecco se c'è una cosa che è uniforme sul territorio nazionale è il fatto che è molto

molto complesso e che è difficile orientarsi quindi una delle cose che è stata riportata

nel corso dell'indagine è che quasi quasi è più facile recorre l'aborto chirurgico perché

sembra essere più semplice per le donne seguire un inter che è più chiaro e in qualche modo

risulta anche essere più veloce. Quali sono gli ostacoli principali? Gli ostacoli per accedere

all'Ivugi farmacologica in Italia come a quella chirurgica sono enormi e sono tantissime. Si

parte da una diseguaglianza territoriale molto forte per cui ci sono territori in cui non ci

sono consultori, il caso della Sicilia in cui ce ne sono molto pochi in cui ci sono moltissimi

ospedali che hanno proprio un obiezione di coscienza che raggiunge il 100%, ci sono regioni con

un tasso di obiezione di coscienza oltre 64%, c'è poca informazione, c'è molto stigma sociale,

sono una corsa di ostacoli insomma riuscire ad accedere a questa pratica. Oltre alle carenze

strutturali però c'è anche una precisa volontà politica. Certo, assolutamente. Il Piemonte in

questo senso forse è un caso esemplare. Questa regione passa da essere un'avanguardia. Ricordo

che l'ospedale Sant'Anna di Torino aveva avviato il primo studio sperimentale clinico della

RU486 nel 2005, però a fronte di un cambio politico della guida della regione nel 2020 c'è stato

un cambiamento peggiorativo e molto netto, è stato emanato una circolare sull'aborto

farmacologico che di fatto vieta la somministrazione della pilola abortiva né consultorie, quindi

andando contro le linee di indirizzo del Ministero della Salute e soprattutto apre la possibilità

di avere degli sportelli informativi gestiti di fatto da associazioni anti-abortiste all'interno

degli ospedali. È chiaro che la difficoltà di accedere all'Ivigini Italia che sia farmacologica

o che sia chirurgica è primariamente una questione politica. Da nostro punto di vista

quello che rende diverso è, come dire, l'accesso all'aborto in Italia rispetto ad altri paesi

come la Francia, il Regno Unito o i Paesi del Nord Europa risiede sostanzialmente nel fatto che

in Italia l'aborto viene caricato di una valenza politica etica morale religiosa e non viene

normato, guardato, gestito, raccontato per quello che è ovvero una prassi medico sanitaria che è

regolamentata dal punto di vista normativo che ha sia a livello nazionale che a livello

internazionale delle linee guida molto specifiche e quindi questo è l'ostacolo di fondo all'accesso

al diritto all'aborto nel nostro Paese, a cui poi si sommano tutta una serie di ostacoli funzionali

che si poggiano, so come è organizzato il nostro sistema sanitario, sulle carenze di personale,

sulla carenze dei consultori, ma di base c'è una mancanza di lae città rispetto a questa pratica

sanitaria. Da dove si può cominciare per provare a cambiare direzione? A fronte di questo muro

politico rispetto al diritto all'accesso all'aborto va detto che in Italia le donne si mobilitano,

si sono mobilitate per decenni, i movimenti e i gruppi femministi hanno portato avanti e continuano

a portare avanti delle battaglie fondamentali mentre abbiamo condotto questa indagine anche con

Claudia. Abbiamo incontrato anche un'altra Italia, un'Italia fatta di attivismo, di femminismo,

di impegno. Abbiamo incontrato attivisti, gruppi di persone che non si arrendono e continuano a

revendicare l'aborto come un diritto che riguarda tutte e tutti e forse da lì, come dire le base ci

sono già, ci sono da tanto tempo e da questa intelligenza e sensibilità collettiva si può

pensare un futuro diverso. Grazie Elisa Visconti. Grazie a voi.

Il libro della settimana consigliato da Giuseppe Rizzo, giornalista di Internazionale.

Uscito la scorsa estate è passato un po' sotto silenzio. La valle dei fiori di Niviak Corneliusen

è un libro scatenato, irreverente, tenero ed erotico. Come riesca a essere tutto questo

parlando di suicidi e parte della sua forza? Un'altra carta vincente è la protagonista

senza nome, una ragazza scontrose e dolce, in cerca di un posto nel mondo. Per trovarlo,

sceglie di lasciarsi alle spalle la sua famiglia, che ama e detesta. Il suo paese è la Groenlandia,

che ama e detesta, e la sua ragazza, che ama e basta, ma qui non riesce a confessare questo

sentimento. Il cortocircuito interiore che queste contraddizioni alimentano, ci accompagna per

tutto il libro. La storia dei fallimenti tragico omici della protagonista è interrotta da un

inquietante conto alla Robescia, che elenca 45 casi di suicidio. Grazie a questo expediente,

Corneliusen, definita dal New Yorker l'improbabile star letteraria della Groenlandia, riesce a fare

il ritratto di un paese che ha il più alto tasso dei suicidi al mondo. Un atto di accusa duro,

che sintetizza bene la denuncia sociale con il respiro più ampio della letteratura.

La valle dei fiori, Niviak Corneliusen, Iperborea.

L'appuntamento con il mondo è domattina alle 6.30.

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Le persone che nel 2022 sono state uccise per la loro attività di difesa dell’ambiente nel mondo sono state 177, quasi una ogni due giorni. Una ricerca di Medici del Mondo prova a fare il punto sull’uso della Ru-486 in Italia.

CON
Camilla Desideri, editor di America Latina di Internazionale
Elisa Visconti, direttrice di Medici del Mondo Italia

LINK
Video America Latina https://www.youtube.com/watch?v=AR1kwx8b0ms
Video aborto farmacologico: https://tg.la7.it/cronaca/aborto-farmacologico-speranza-e-sicuro-non-serve-il-ricovero-08-08-2020-152534

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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni, con Vincenzo De Simone.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.