Il Mondo: La Cina rallenta e si chiude. Come sono spariti duemila reperti dal British Museum.

Internazionale Internazionale 9/4/23 - Episode Page - 24m - PDF Transcript

Dalla redazione di Internazionale io sono Claudio Rossi Marcelli.

Io sono Giulia Zoli e questo è il mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Oggi vi parleremo della Cina e del British Museum, e poi del cromosoma Y ed il romanzo.

È lunedì 4 settembre 2023.

Sì si chiama Lungone

A luglio, la Cina è scivolata ufficialmente nella deflazione per la prima volta in due anni,

con un calo dei prezzi al consumo dello 0,3%.

È l'ultimo di una serie di segnali dall'arme che sollevano dei dubbi su la ripresa della seconda economia del mondo dopo la pandemia.

Non è la prima volta che in Cina si verifica un calo dei prezzi, ma rispetto al passato oggi c'è più preoccupazione.

Di incertezza nell'economia globale e le tensioni geopolitiche non aiutano, le previsioni sono cupe,

e il rallentamento cinese potrebbe avere pesanti conseguenze sull'economia e sul commercio mondiali.

Ma Pequino minimizza, nell'audio che avete ascoltato il portavoce dell'Istituto di Statistica Cinese

sostiene che non c'è e non ci sarà nessuna deflazione e che l'economia si riprenderà.

Ne parliamo con Giunco Terrao, editor di Asia e Alessandro Lubello, editor di economia di internazionale.

Dopo la fine delle restrizioni molto severe per contrastare la pandemia di Covid-19

tutti si aspettavano una ripresa molto rapida e decladante della Cina.

Non c'è stato niente di tutto questo, anzi la deflazione, cioè la tendenza alla riduzione dei prezzi,

il rallentamento del bill indica un'economia che si è inceppato, un motore economico che non va più come un tempo.

E segno che, al di là degli indicatori attuali, ci sono problemi di fondo molto seri,

che di fatto hanno bloccato l'astroordinaria crescita economica cinese.

Il Paese Asiati, con gli ultimi decenni, ha registrato risultati praticamente senza precedenti

con tassi di crescita incredibili, paragonabili alla Giappone o alla Coria del Sud per stare nell'Asia,

ma su scala enormemente più ampia.

Questa astroordinaria crescita era stata favorita da lo spostamento di milioni di persone di cinesi

che vivevano nelle aree rurali che sono andati nelle grandi città cinese per lavorare,

soprattutto nelle fabbriche che producono beni per l'esportazione.

Questa urbanizzazione senza precedenti ha favorito investimenti nel settore immobiliare,

nell'infrastruttura e quindi creato enorme crescita.

A questo si aggiungono la disponibilità di tecnologie messi a disposizione dagli occidentali

con il loro investimento in Cina, la crescita demografica almeno finché è durata

e anche l'apertura ai mercati internazionali con l'ingresso nell'organizzazione mondiale del commercio.

Tutto questo straordinario risultato però si è bloccato

perché i fattori chiave della crescita cinese sono venuti meno.

Quest'estate abbiamo sentito parlare molto delle difficoltà del settore immobiliare cinese

con la crisi di Evergrand, il grande gruppo che si occupa di sviluppo immobiliare appunto.

Evergrand e altri grandi gruppi immobiliari cinese sono in grave difficoltà da anni

perché l'intero settore ormai è in profonda crisi.

Il settore immobiliare esplosa una bolla gigantesca

con milioni e milioni di appartamenti spitti che non servono a nessuno

e lo stesso vale anche per gli investimenti nelle infrastrutture.

Ma il settore immobiliare è strategico perché oltre a contribuire al pil in maniera consistente

è legato alle banche che hanno prestato i soldi ad aziende per realizzare i progetti

è legato ai singoli risparmiatori che spesso mettono i loro soldi in fondi e legali al settore immobiliare

considerato fino a poco neppo fa molto sicuro.

Poi è importante per gli enti locali.

Si stima che un terzo dell'entrata degli enti locali cinesi

siano garantite dalle tasse, dalle tariffe pagate dalle aziende immobiliari.

Il rallentamento dell'economia cinese preoccupa molto gli osservatori

e quanto devono preoccuparsi gli altri paesi il resto del mondo?

Diciamo che il fallimento di un aziende immobiliari cinese o di una banca cinese

o il corollo della borsa cinese non hanno conseguenze dirette sul resto del mondo

comunque sul mondo occidentale perché non c'è molta interconnessione.

Però molte grandi aziende occidentali, per esempio l'Apple negli Stati Uniti

o i grandi gruppi automobilistici tedeschi hanno grossi investimenti in Cina

e quindi sono giustamente preoccupati.

Gli investitori temono inoltre questo aumento,

questa escalation dei controlli e della ostitità verso le aziende straniere.

Giunco, il controllo di Pekino sull'economia come su altri settori della società cinese non è una novità

eppure c'è stato un cambiamento come racconta l'articolo di Copertina

dell'ultimo numero di internazionale il cui titolo è involuzione cinese.

Innanzitutto ci dici due parole su questo articolo?

Sì, l'articolo è uscito su Foreign Affairs che è la pubblicazione del Council on Foreign Relations

Centro Studi Stati Unitense e l'autore Yan Johnson che oggi è ricercatore al Council on Foreign Relations

ma per vent'anni è stato corrispondente da Pekino prima del New York Times,

del vostri giornale di altre pubblicazioni statunitensi.

A mio parere è uno dei migliori osservatori della Cina in circolazione oggi, in Occidente.

Yan Johnson a Maggio è stato in Cina per andare a vedere che aria tira,

proprio lo dichiaro nell'articolo, è andato a parlare e a incontrare molte persone

di tutte le estrazioni sociali, intellettuali, accademici,

anche persone che facevano parte della sua vita quotidiana, suoi conoscenti

e si è reso conto che la Cina sta vivendo un processo di chiusura di autoisolamento

come mai era successo negli ultimi 45 anni, cioè da quando alla fine degli anni 70

ci sono state le riforme di Deng Xiaoping, le riforme che hanno aperto l'economia cinesale come dei mercato.

Che cos'è questa involuzione, questa parola che abbiamo usato nel titolo di Copertina?

I cinesi usano il termine Nei Yuan che significa appunto involuzione

e che indica un ripiegamento su se stessi che impredici di progredire.

E questo è esattamente secondo Yan Johnson quello che sta accadendo alla Cina e su tutti i fronti.

La crisi economica di cui appena figlio di parlare Alessandro Lubello dice Johnson

va iscritta in questo panorama più generale di involuzione e di chiusura e di stallo.

Chiusura a tutti i livelli vuol dire che non solo le libertà sono sempre più limitate,

le libertà individuali dei cittadini anche se apparentemente i cinesi probabilmente questa mancanza di libertà

non la percepiscono, la percepiscono sì gli intellettuali scomodi, gli artisti che una volta avevano

pur essendo in Cina e quindi non in una democrazia, però avevano uno spazio in cui potevano muoversi.

Erano come dire la loro esistenza, il loro disenso era tollerato, sempre me ne abbiamo visto nel corso degli anni,

ma oggi dice Johnson devono proprio muoversi in clandestinità.

Questo implica però che il paese stesso alla fine patirà questa chiusura, perché se gli intellettuali,

gli studiosi, gli accademici, chi lavora nell'università non è libero di confrontarsi,

connettersi in un ambiente internazionale, chiaramente è la ricerca nenni risente.

Ed è questo il punto cruciale che osserva Johnson, cioè la sensazione è che la leadership cinese oggi

è disposta a sacrificare il progredire del paese in nome di una salda stretta sul potere

da parte della stessa leadership.

Inoltre per gli stranieri la Cina è diventata un paese meno ospitale di prima, non solo dal punto di vista economico.

Esatto, c'è stato un calo per esempio dei turisti, non solo degli investitori di cui parlava prima Lubello,

ma anche i turisti sono diminuiti.

Del resto i visitatori stranieri che arrivano in Cina non possono fare nulla se non hanno uno smartphone cinese

con le app cinesi, con le carte di credita cinesi e quindi con un conto in banca in Cina,

perché non si compra praticamente nulla con i contanti e quindi si muoversi anche semplicemente per i turisti non è facile.

Oltre al fatto che gli investitori stranieri, persone da fari che arrivano per fare a fare in Cina,

trovano un ambiente sempre più ostilo, comunque rischioso.

Ecco, c'è il messaggio che sia sempre il più rischioso andare in Cina a lavorare.

Quando si trattato di illustrare con delle foto questo articolo,

le foto editor hanno espesso una loro frustrazione perché hanno detto

è sempre più difficile illustrare i pezzi, i reportage della Cina,

perché i fotografi stranieri sostanzialmente non riscono più a lavorare.

E questo è vero anche, parlando insomma con colleghe, con giornalisti che lavoravano lì o lavorano lì,

è sempre meno fattibile per gli stranieri.

Quindi c'è una chiusura appunto su tutti i livelli,

che però, come dicevo, risulterà la fine controproducente per il Paese.

Sempre hanno scelti irrazionali quelle della leadership cinese,

ma l'avevamo visto l'anno scorso con i lockdown,

l'anno prolongati nelle principali città, che hanno portato anche delle proteste,

la parte dei cittadini, per poi togliere tutte le misure della strategia Zero Covid

improvvisamente e causare probabilmente non siano i numeri certi,

però insomma si calcolano un milione di morti.

Quindi scelte apparentemente irrazionali dettati probabilmente da un'ideologia sempre più forte.

Alessandro, qual è la via d'uscita per la Cina?

La via d'uscita sarebbe ripensare il modello economico

che finora si è incentrato sugli investimenti e sugli esportazioni,

quindi dare più spazio, per esempio, ai consumi dei cinesi.

Il problema è che i cinesi non riescono a consumare quanto vorrebbero,

perché sono costretti a risparmiare tanto.

Non avendo stato sociale, devono avere soldi da parte per i servizi sanitari,

per le scuole, per la pensione.

Un altro aspetto è aprire a settori diversi, per esempio l'alta tecnologia,

settori innovativi.

Tutto questo, però, è difficile se il Paese non ha un'evoluzione interna,

perché non si può avere, per esempio, una sinica un valle come in California,

se la Cina non garante ai propri cittadini, agli investitori,

le sesse di libertà civile ed economiche che ci sono in California.

Grazie, Alessandro Lubello.

Grazie a voi.

Grazie ad un coterao.

Grazie a voi.

La notizia di scienza della settimana ha raccontata da Elena Boille,

vice-direttrice di Internazionale.

Sono passati vent'anni da quando è stato annunciato il sequenziamento del genoma umano,

cioè l'esatto ordine dei mattoncini che costituiscono il nostro DNA.

In realtà, all'epoca, il sequenziamento non era proprio completo,

arrivava al 92% del genoma.

L'8% rimanente è stato pubblicato nel 2022,

ma il lavoro non era ancora finito.

Ora, grazie a tecniche sempre più perfezionate,

un gruppo di ricercatori ha pubblicato su Nature

la prima sequenza davvero completa del cromosoma Y.

Questo cromosoma, che determina il sesso maschile,

è un po' strano rispetto agli altri.

È molto più piccolo ed è difficile da decodificare,

anche se è formato da solo 27 geni, invece dei circa mille del cromosoma X,

perché è pieno di regioni di DNA ripetute, non codificanti,

cioè che non danno istruzioni per produrre le proteine.

Il nuovo sequenziamento, come spiega l'articolo di The Conversation

che pubblichiamo questa settimana,

permetterà ai ricercatori di tutto il mondo

di studiare meglio il funzionamento dei geni

che determinano il sesso e la produzione di spermatozoi,

ma anche l'evoluzione del cromosoma

e l'eventualità che possa sparire nel giro di qualche milione di anni,

ad alcuni roditori è successo,

ma hanno trovato il modo per sopravvivere senza.

In relazione con i missing artefacts

del museum britânico dei ultimi 10 giorni,

il director del museum britânico Hartwig Fisher

ha annunzato che avrà avuto il suo posto

con un effetto immediato.

L'articolo ha accettato la decisione.

Abbiamo un seguito da Hartwig Fisher.

È successo che, dopo i ultimi giorni,

ho scoperto in dettaglio

gli eventi sui thefti

del museum britânico e l'investigazione.

È evidente che il museum britânico

non ha risponduto come comprensivamente

come si dovrebbe,

in rispondenza ai warning nel 2021

e ai problemi che sono fuori.

Il 25 agosto,

il direttore del British Museum di Londra,

Hartwig Fisher, ha presentato le dimissioni.

Nove giorni prima, infatti,

si era scoperto che migliaia di reperti storici

custoditi nel museo

sono stati rubati e venduti

nel corso degli ultimi anni.

Per il British Museum

si tratta di un danno economico

ed immagine enorme

che ci urranno anni per riparare.

Parliamo con Daniele Cassandro,

editor di cultura di internazionale,

per capire come è avvenuto

il furto di un numero così alto di artefatti

in uno dei musei più protetti al mondo.

Il 16 agosto,

il British Museum ha diffuso

un comunicato stampa dicendo che

un certo numero di opere

dei depositi del museo

risultavano mancanti rubate o danneggiate.

Il comunicato non dà idea

di quante opere siano e di cosa siano.

Si parla di gemme,

di gioielli fatti con pietre semi preziose

e si parla di manufatti che vanno

dal XV secolo a.C. al XIX secolo d.C.

Col tempo, pochi giorni dopo,

è venuto fuori che il numero

di opere mancanti è enorme.

Si parla di 2.000 pezzi

e che l'esparizione sono cominciate

circa 10 anni fa.

Il British Museum era stato informato

da un antiquario danesa di nome

i Tiger Dell,

già nel 2020,

che qualcosa di strano stava succedendo.

Lui, addirittura nel 2016,

si era reso conto di un oggetto

che stava transitando

attraverso i suoi canali,

quindi attraverso altri antiquari,

altri venditori,

ha notato un oggetto che era certo

di aver già visto

nei depositi del British Museum.

Gradel contatta

i vertici del museo

e gli avverte di queste stranezze,

di queste cose che stanno succedendo.

Il museo preferisce

tenere la cosa nascosta

e affrontare internamente questo problema.

Evidentemente il problema

non è stato affrontato

nel modo giusto

con la giusta efficacia.

Il primo licenziamento avviene

solamente a gennaio del 2023,

il primo licenziamento legato

a questa vicenda.

I vertici del museo licenziano

Peter Higgs,

che è il curatore

delle antichità greco-romane.

Higgs era stato proprio

la persona indicata

dall'antiquario danese

come la persona più sospetta

a l'interno di questo traffico

di oggetti.

Higgs viene licenziato

silenziosamente,

non viene data notizia

di questa cosa,

qui appunto a gennaio.

Dopo il comunicato

del 16 agosto,

si dimette anche

il direttore del museo,

Hartwig Fisher.

Poco dopo,

si dimette anche

il suo vice,

Jonathan Williams,

che al momento

il British Museum

è senza capi.

Chi fa le veci di tutto

è George Osborne,

che è il Presidente

dei fiduciari del museo.

Osborne,

per far capire

il livello di istituzionalità

che è il British Museum,

era stato precedentemente

cancelliere dello scacchiere,

Chancellor of the Exchecas,

ovvero

Ministro delle Finanze

del Governo Britannico.

Hai parlato di quasi

2.000 reperti rubati.

Sarà possibile recuperarli

in qualche modo?

Sarà molto difficile,

ci vorranno

decine di anni.

Il problema principale

è che,

solitamente,

quando un museo

subisce un furto,

pubblica le immagini

e le descrizioni

degli oggetti rubati.

In quel modo,

circola l'informazione

e nei circuiti antiquari

e con l'aiuto

anche della polizia,

si può risalire

a questi manufatti

rubati o spariti.

Il British Museum

non ha catalogato

queste cose.

Quello che si è scoperto

il vero scandalo,

che viene fuori

da questa vicenda,

è che il British Museum

è molto indietro

con la catalogazione

delle opere

che custodiesce.

Un museo

che non cataloga

è un museo

che praticamente

non fa

il lavoro

che dovrebbe fare

un museo pubblico.

Non sapere

che opere

si hanno nel museo

è come non averle

da una parte,

dal punto di vista scientifico,

e soprattutto

espole il fianco

a furti di ogni tipo.

È possibile

che in un museo

così protetto

sia potuto succedere

questo.

La cosa interessante

di questo furto,

ma più che furto

io parlerei di ammanco,

proprio di sparizione

di interi pezzi

delle opere in deposito,

non è stato un furto

con destrezza,

non è stato un furto

con scasso,

non c'è stata

una banda del buco

che arriva

e ruba i quadri

o una cosa

alla Mission Impossible.

Semplicemente,

internamente

al museo

le cose sono sparite.

E questo fa venire fuori

una cultura probabilmente

un po' mertosa

e sicuramente molto opaca

dei vertici e dei curatori

di questo importantissimo museo.

Jonathan Jones,

che è il critico d'arte

del Guardian,

recentemente ha scritto

su questo argomento

un commento

abbastanza

anche divertente

da leggere.

Lui ha raccontato

che il British Museum

ha sicuramente

un problema di sicurezza,

un problema di sicurezza

che deriva da una cultura

un po' antiquata

di chi governa il museo.

Lui parla di una cultura

quaint and gentlemanly,

ovvero antiquata

e legata alla parola

da gentiluomo.

Lui descrive veramente

una cosa che gli è

capitata qualche anno fa.

Per un evento

del Guardian,

lui ha accompagnato

un curatore

delle antichità greco-romane

e il quale ha deciso

di portare a questo evento

del Guardian

una statuetta di bronzo romana.

Jones pensava

che ci fosse tutta

una procedura da fare

per portare fuori

dal museo

questo oggetto

e si era indeconto

invece che lui semplicemente

la volge in della carta,

la porta in taxi

e se la porta con sé.

Spiega a Jonathan Jones

che è la norma,

un capo curatore

del British Museum

può disporre di questi oggetti

a patto che li riporti

nel museo

entro mezzanotte.

Ecco,

Jones dice che questo

è proprio l'esempio

di come

ci sia una cultura

molto disinvolta

nella gestione

di queste opere

dracchicci-lavora

e fa anche l'esempio

del Victorian Albert Museum,

invece,

un livello molto più alto

di sicurezza

e di attenzione.

Quindi lui,

al di là

dell'ammanco di tante opere,

trova gravissimo

che il British Museum

abbia un sistema

di sicurezza

così scarso.

A questo punto

che effetto

potrebbe avere

questo caso sul museo?

A cascata

degli effetti devastanti

perché il museo

stava a presentare

il master plan,

ovvero

un grande piano

ma notevole

di rimodernamento

del museo

e anche di riarrangeamento

delle collezioni

che doveva finire

per il 2050.

Un piano costosissimo

che aveva a che fare

proprio con l'edificio stesso

oltre che con la sistemazione

delle opere

e che veniva sempre

rimandata

la presentazione ufficiale

di questo master plan.

Alla fine erano quasi

pronti a partire

e chiaramente

uno scandalo di questo tipo

qui

rallenterà

enormemente questi lavori

e soprattutto

rallenterà

i finanziamenti

di questa operazione

così massiccia.

Gli sponsor

che già

da prima del Covid

erano più resti a donare

sicuramente doneranno

molto meno

e in generale

il museo

si trova anche

davanti a una pessima figura

internazionale

che ha portato

anche

a delle ripercussioni

immediate

la ruggine

tra

il British Museum

e il governo greco

addirittura risale

la questione

appunto

nevarmi del partenone, no?

Risale

quando la Grecia

ha avuto l'indipendenza

dalla Turchia praticamente

allora

nel 1830

hanno cominciato

a richiedere

agli inglesi

la restituzione

dei marmi del partenone

che erano stati

mandati in Inghilterra

nel 1812.

L'Inghilterra

e la Gran Bretagna

ha sempre insistito

a tenerli

e tra le ragioni

per cui hanno insistito

per tutti questi anni

c'era il fatto

che loro erano in grado

si sentiva in grado

gli essere gli unici

a conservarli correttamente

ovviamente la Grecia

ha subito

ufficialmente

scritto

dicendo

non ci sembra

che il museo garantisca

la sicurezza

alle opere

tra l'altro

a Tene

ora ha uno

di più moderni

e sicuri

musei del mondo

che è

il museo della Cropoli

progettato da Renzo Piano

che potrebbe tranquillamente

riospitare

i marmi del partenone.

Grazie Daniele Cassandro.

Grazie a voi.

Il libro della settimana

è consigliato da Chiara Nilssen

vice direttrice di Internazionale.

L'età del male

della scrittrice

giornalista indiana di Ptikapur

ha tutti gli elementi

per un thriller di successo

quale effettivamente

poi è diventato

il ragazzo poverissimo

del nord dell'India

venduto in schiavitù

da bambino

che si fa strada

fino a diventare

la guardia del corpo

e il tutto fare

delle rede

di una ricchissima

famiglia di imprenditori di Deli

il quale rede a sua volta

si vuole mancipare

dal padre

economico costruito

con mezzi mafiosi.

E poi c'è

la giovane reporter

figlia della burguesia

intellettuale illuminata

che vorrebbe denunciare

le malefatti di questi

nuvorish

e invece ne viene

a poco a poco risucchiata.

Ma il romanzo

non è solo questo

è anche un grande

affresco sociale

dell'India di oggi

quella del capitalismo

sfrenato

dello sceno di vario

tra ricche poveri

e delle grandi fortune

costruite a suon di violenza

e corruzione

spesso con la connivenza

del potere politico e religiosa.

E infine

Il Che non guasta

è anche un libro

di mancattura

fin dalle prime pagine

e si legge tutto

d'un fiato.

L'età del male

di Dipticapur

è dito dai Naudi

con traduzione di Alfredo Colitto.

Dalla redazione

di internazionale

per oggi è tutto.

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Il governo di Xi Jinping sta rendendo la Cina più chiusa e isolata che mai. Il 25 agosto il direttore del museo londinese ha presentato le dimissioni.

Junko Terao, editor di Asia di Internazionale
Alessandro Lubello, editor di economia di Internazionale
Daniele Cassandro, editor di cultura di Internazionale

LINK
Fu Linghui sulla deflazione in Cina:
https://www.youtube.com/watch?v=zdbouY_Ksvc
Video British museum: https://www.youtube.com/watch?v=syPsj2QrsKw

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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni, con Vincenzo De Simone.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.