Il Mondo: In Nagorno Karabakh si rischia la pulizia etnica. Un’idea razzista e sessista del rock.
Internazionale 9/22/23 - Episode Page - 24m - PDF Transcript
Dalla redazione di Internazionale io sono Claudio Rossi Marcelli, io sono Giulia
Zoli e questo è il mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.
Oggi vi parleremo del Nagorno Karabakh e di razzismo e sessismo nel rock e poi
del Festival di Internazionale a Ferrara e di un film, è Vererdì 22 settembre 2023.
Anna è una ragazza che vive nel Nagorno Karabakh, la regione separatista del Azirbaycan abitata in
gran parte da Armeni. Come tanti altri nella sua comunità, Anna non vuole continuare a
vivere nel Nagorno Karabakh se la regione tornerà definitivamente sotto il controllo a zero.
Dopo un conflitto con l'Armenia, che è andato avanti a più riprese dalla caduta
dell'Ursinpoi, nei giorni scorsi l'Azirbaycan ha lanciato un'iniziativa militare per mettere
fine una volta per tutte all'indipendenza de facto del Nagorno Karabakh. Il governo
armeno per ora non sembra intenzionato a intervenire con le armi e ha accettato un
cessato del fuoco che lascia molto potere all'Azirbaycan. Ne parliamo con Giorgio Kumai,
ricercatore presso l'Osservatorio Balcani e Cauca su Trans Europa.
Il 19 settembre l'Azirbaycan ha iniziato un'azione militare su ampia scala per porre fine al Nagorno
Karabakh. Un'entità abitata da Armeni e governata di Armeni, teoricamente protetta
da forze di pace russe, è situata all'interno dei confini dell'Azirbaycan. La disparità
tra le forze in campo era molto evidente, i pace russe non sono intervenuti in questi giorni e
dopo un giorno la parte armena è stata costretta alla resa. Una capitolazione in sostanza che
determina lo scioglimento delle unità militare armeni locali e presumibilmente del Nagorno
Karabakh stesso come entità distinta. Non è ancora chiaro cosa questo implica per la
popolazione locale, anche se il rischio di pulizia etnica è davvero molto forte. Anche
perché l'Azirbaycan ha negato esplicitamente la propria disponibilità a offrire alcuna
forma di autonomia o tutela particolare per la comunità armena locale. Quindi si tratta
in una situazione estremamente preoccupante già sull'immediato perché vi è a tutti gli effetti
una crisi umanitaria in corso con migliaia di persone già costrette ad abbandonare le
proprie case, forse e per sempre. Facciamo un passo indietro. Qual è stata la situazione
del Nagorno Karabakh prima di quest'ultima crisi? Nagorno Karabakh è stata un'entità che
emersa con il crollo del milione subietica. La comunità armena locale aiutata dall'Armenia
stessa è uscita vittoriosa da una guerra e in quegli anni deve uscita prendere il controllo,
sia di quella che era la risione autonoma del Nagorno Karabakh, abitata da armeni sia delle
aree circostanti che invece erano abitate prevalentemente da zeri che sono costretti ad
abbandonare le proprie case. Questa situazione di stato de facto indipendente è continuata
in sostanza fino al 2020, quando l'Azerbaijan valdanzito dà la propria ricchezza dovuta
all'esportazione di gas e petrolio è riuscita a rafforzare molto il suo arsenale militare e
quindi a condurre una guerra per riprendersi il controllo della ragione. Questa guerra condotta
nell'autunno del 2020 è durata 44 giorni, è stata una guerra vittoriosa per l'Azerbaijan e
disastrosa per la comunità locale, ma si è conclusa non con l'affine del Nagorno Karabakh,
ma con un cessatel fuoco negoziato da parte di Mosca. Questo accordo ha portato alla
sopravvivenza di un'entità locale governata comunque d'Armenia, appunto in parte protette
da queste forze di pace russe che si sono viste però nel tempo a essere sempre più impotenti,
anche perché la Russia è impegnata in modo molto più deciso con l'invasione dell'Ukraine.
Negli ultimi mesi, dalla fine dell'anno scorso, per più di nove mesi, l'Azerbaijana ha deciso
di trascurare alcuni degli obblighi di quel cessatel fuoco e uno dei quali era proprio
permettere il transito tra questa esclavarmena del Nagorno Karabakh e l'Armenia stessa.
L'Azerbaijana ha bloccato questa linea di comunicazione, le forze di pace russe non sono
intervenute e quindi per mesi la popolazione locale è rimasta sostanzialmente senza risorse,
un blocco che da giugno ha interessato anche il convoglio umanitario. Quindi già da mesi
la popolazione locale viveva in sostanza in una spruzione di crisi umanitaria estrema,
i negoziati stavano procedendo in questi mesi con qualche occasione all'esperanza,
ma evidentemente anche se tutte le condizioni strutturali erano a favore dell'Azerbaijana,
l'Azerbaijana ha preferito non aspettare, non cercare di ottenere quasi tutto quello che
desiderava per il vien negoziale, ma invece per sfruttare la propria posizione di forza,
per imporre le proprie condizioni alla comunità armena locale e porre la comunità internazionale
di fronte a un uovo status quo. Perché questa volta l'Armenia non è intervenuta riferente
alla ripresa dell'ostilità da parte dell'Azerbaijana? È un segnale che non intende più battersi
per il controllo sul territorio? L'Armenia è stata molto segnata dalla sconfitta militare del 2020
e non è più riuscita davvero a ricostituirsi come forza militare che possa effettivamente
competere con l'Azerbaijana, che ha continuato ad investire molto in armamenti, mentre l'Armenia,
che appunto si approvisionava anche da questo punto di vista, dipendeva dalla Russia come dire è
rimasta senza sostegno, appunto perché anche l'industria militare russa è sempre più concentrata
sul fronte ukraine. L'Azerbaijana è inoltre sfruttato la propria posizione di fuotere per
minacciare esplicitamente l'Armenia stessa, quindi nella retorica presidenziale dell'Azerbaijana,
negli ultimi anni sempre più vi sono state rivendicazioni, non solo nei confronti del Nagorno
Karabakh, che appunto è all'interno dei confini internazionalmente riconosciuti
dell'Azerbaijana, ma rivendicazioni veri e propri anche nei confronti dell'Armenia, sempre più
spesso descritta come terra storicamente a zera. Queste parole, queste minacce si sono anche
concretizzate l'anno scorso quando l'Azerbaijana ha lanciato un attacco significativo lungo proprio
il confine internazionale tra Menaro e Azerbaijana, è lontano dai territori contesi del Nagorno
Karabakh, anche in quell'occasione l'Azerbaijana in primo luogo ha dimostrato la propria superiorità
militare, ma ha anche guadagnato accesso a posizioni strategicamente utili per effettuare
un'avanzata all'interno dei confini dell'Armenia e possibilmente cercare di arrivare alla propria
esclav del Naghcevan. Quindi l'aminaccia da parte dell'Azerbaijana di portare la guerra in casa
dell'Armenia stessa è stata molto evidente. L'obiettivo principale del Primo Ministro
Armeno Nincol Pashinyan è quindi stato anche per questo motivo quello di preservare in primo
luogo la soronità e l'indipendenza dell'Armenia stessa e di non metterne a rischio la spravvivenza
di non portarsi la guerra in casa. Anche per questo, come dire, ha avuto una posizione
estremamente contenuta per quanto riguarda il Nagorno Karabakh perché ogni segnale di
intervento in questa direzione avrebbe potuto essere interpretato come una provocazione e un
pretesto da parte dell'Azerbaijana di attaccare l'Armenia stessa.
Hai già citato più volte il ruolo della Russia che in questi ultimi decenni ha fatto da mediatore
in questo conflitto più o meno interessato. Nella crisi di questi ultimi giorni però che
ruolo ha avuto? La Russia è stata per tanti anni il principale alleato dell'Armenia sia in
tre mili economici sia soprattutto militari. Nella strategia di difesa dell'Armenia si basava in
buona parte sul sostegno da parte della Russia che sembrava garantito dalla presenta di una
grossa base militare russa sul suolo armeno da una collaborazione di lungo periodo e da accordi
internazionali che teoricamente obbligerebbero appunto la Russia intervenire a favore dell'Armenia
stessa se i suoi confini internazioni sono minacciati e in secondo luogo c'è stato il
voco della guerra del 2020 prevede appunto che le forze di pace russe avrebbero dovuto tutelare
la popolazione locale e garantire il libero transio attraverso questo corridoio bloccato
dagli azeri. La Russia non ha fatto niente di questo quindi si è dimostrato un attore inaffidabile,
Pashinyan recentemente ha descritto l'affidarsi alla Russia come unico partner strategico,
un errore per l'Armenia e così sembra essere stato in questi giorni quindi la Russia ha tutti gli
effetti distratta, se così si può dire dalla sua immesione dell'Ukraine, non ha più la forza di
presentarsi come eggemone regionale che è stato per tanti anni quindi la minaccia di un intervento
diretto da parte della Russia non era più credibile anche perché l'Azerbaijan gode di una stretta
alleanza con la Turchia e quindi la Russia riusa a contentare di un ruolo di secondo piano e in
questa fase rischia addirittura di essere complice delle misure di pulizia etnica che in modo più
o meno attivo potrebbero emergere nei prossimi giorni quindi si sta occupando nelle ore scorse
dell'evacuazione della popolazione locale che si trova nelle zone di maggior rischio ma appunto
la differenza tra un sostegno all'evacuazione per sfuggire le spazioni di pericolo è quella
di facilitare la pulizia etnica della regione è purtroppo una differenza molto stretta quindi
il ruolo della Russia davvero storicamente molto importante nella crisi di questi giorni è stato
un ruolo molto limitato per cui la Russia si è trovata a sua volta costretta ad accettare le
condizioni create sul territorio dell'Azerbaijan. Parlando del c'è stato il fuoco che è stato
aggiunto il 20 settembre nel Nagorno Karabakh cosa si prevede che possa succedere alla popolazione
c'è davvero il rischio di un genocidio come citato tu e come citano molte fonti si armenesi
internazionali? Il rischio di pulizia etnica è molto concreto anche perché è difficile
immaginare come da negoziati che mergano da una capitolazione completa possano emergere nuove
proposte che fino ad ora l'Azerbaijan non si è sentito di offrire. La speranza concreta per
questi giorni è che almeno chi tra popolazione locale desidera lasciare la regione e lasciare
spazioni di rischio in cui si trova in questi giorni lo possa fare in sicurezza. Grazie a Giorgio
Comai. Grazie a voi. Giapponi Manny in Bastoni che colabora con internazionale all'organizzazione
dei festival segnala alcuni ospiti e eventi da scoprire a Ferrara dal 29 settembre al primo
ottobre. Quest'anno nel programma del festival di internazionale a Ferrara ci saranno delle
novità. A cominciare dal reporter slam una specie di competizione tra giornalisti che in 10
minuti ciascuno presenteranno la loro inchiesta e il pubblico voterà qual è la migliore. Ci saranno
poi una serie di incontri di approfondimento chiamati in redazione in cui gli alle editor di
internazionale racconteranno il dietro le quinte del loro lavoro. Dalla scelta della copertina
alle illustrazioni che accompagnano gli articoli e poi tra i tanti protagonisti ne segnaliamo alcuni
per la prima volta ospiti del festival tra cui il giornalista indiano Anand Nath, fondatore di
Caravan, una rivista di giornalismo narrativo, l'autrice francese Desi Le Tourner, donna trans che
scrive di masculinità, il filosofo e ricercatore australiano Roman Kriznaric, fondatore di un
museo dell'Empatia e l'avvocata e scrittrice Zimbabwe Ana Petina Kappa impegnata in un'interessante
opera di riscrittura della storia africana. Internaziona la Ferrara dal 29 settembre al
1 ottobre. Il programma completo è online sul sito del festival.
At that time, the publications, the few publications that covered music were really teenage, you know fan
magazines, it was like little teenage girls, it was viewed as that kind of thing and there was no coverage
of rock and roll in the New York Times or the magazines or on television or anywhere and really it was
just kind of, you could get rock and roll on top 40 radio in the jukeboxes and we wanted to say
something about it and you could get it in Rolling Stone and we sort of became a voice of it, you know,
and let the groups and the artists talk through us and explain themselves to their audience through us.
Era la voce di Jan Wennner, uno dei due fondatori della storica rivista di musica e cultura pop
Rolling Stone che in un'intervista a una tv statunitense di qualche anno fa raccontava
l'inizio di quella avventura. Il rock and roll era nelle radio in jukebox ma non ne parlavano
nella tv, nei New York Times, così noi diventamo un po' la sua voce, dice. Il 16 settembre Wennner
è stato estrumesso dal consiglio di amministrazione della Rock and Roll Hall of Fame Foundation in
seguito a una serie di dichiarazioni razziste e sessiste fatte in un'intervista rilasciata
a New York Times. Parlando del suo nuovo libro The Masters, Wennner ha detto che negli anni 60
e 70 i musicisti neri e le musiciste non erano all'altezza degli artisti maschi bianchi dal punto
di vista intellettuale. Ne parliamo con Daniele Cassandro, editor di cultura d'internazionale.
Dunque l'intervista che Wennner ha concesso a David Marchese le New York Times era incentrata
sull'uscita di un nuovo libro di Wennner che si chiama The Masters, i maestri, conversazioni con
sette grandi nomi della storia del rock and roll. Questi nomi sono Bonovox, Bob Dylan, Jerry Garcia,
Mick Jagger, John Lennon, Bruce Prinstin e Pete Townshend. Quando l'intervistatore David Marchese
gli fa notare che questi sette personaggi hanno tutti una cosa in comune, che è l'essere maschi
e l'essere bianchi, Wennner anziché uscirne elegantemente dicendo sono i personaggi della
storia del rock io conosciuto meglio, ho avuto più occasioni di intervistare come effettivamente
vero perché tutti questi personaggi che vi ho elencato erano anche amici personali di Wennner,
quindi erano grandi artisti con cui lieva dimestichezza e il cui lavoro lui conosceva molto
bene, bastava forse fermarsi qui. Quando David Marchese lo incalza e gli chiede di approfondire
questa cosa qui, gli dice per esempio ma personaggi come Johnny Mitchell o Stevie Wonder non sono
degni di apparire in questa lista perché lui dà una spiegazione abbastanza ghiacciante, dice
perché non sono articolati abbastanza da essere considerati dei maestri, non hanno il livello
di complessità filosofica che invece hanno Springsteen Townshend e Mick Jagger per esempio.
Chi è Ian Wennner? Che ruolo è avuto nella storia del rock, quella che dovrebbe essere
celebrata appunto nella rock and roll of fame? Wennner nel 1967 è stato il cofondatore della
rivista Rolling Stone, come ricordava lo stesso Wennner nell'audio che abbiamo sentito all'inizio
del podcast. Nessuno parlava nei mezzi di comunicazione tradizionali di rock and roll.
Rolling Stone è diventato il giornale di riferimento del pubblico del rock and roll,
quindi un pubblico giovane e un pubblico però interessato anche all'attualità. La grande
intuizione di Wennner è stata quella di trasformare Rolling Stone da giornale puramente musicale in
un giornale che parlava di tutto ai giovani, quindi con grandi reportage per esempio dalla
guerra del Vietnam e soprattutto con voci nuove tra i meriti di Wennner sicuramente c'è stato
quello di aver tirato fuori autori come Antares Thompson o Grail Marcus. Per dirne anche un'altra,
Wennner è stato il primo ad aver commissionato un ritratto fotografico alla fotografa Annie
Lebovitz. Wennner quindi era veramente uno degli uomini che hanno forgiato la storia culturale
del rock and roll, come la conosciamo oggi e come continuiamo in un certo senso a consumarla
oggi. Quindi la potenza di fuoco che lui aveva e ha tuttora nella narrazione di cosa sia
rock and roll è molto forte. L'impressione che si ha leggendo le sue dichiarazioni a New York Times
è che lui si è rimasto un po' indietro con i tempi e che da Boomer, ricordiamolo, è nato
nel 1946 e oggi a 77 anni, si sente un po' tagliato fuori da come la storia si sta evolvendo. Si ha
proprio l'impressione che lui sia in una posizione di retroguardia e difenda delle posizioni
ormai indifendibili. Ma come ha spiegato per esempio l'esclusione delle donne dalla sua
rosa dei masters del rock and roll per citare il titolo del suo libro? La cosa bufa è che la rock
and roll of fame di cui lui era ancora poi, come abbiamo detto, è stato escluso dal consiglio
direttivo, quest'anno avrebbe ammesso artisti come Sheryl Crow, Kate Bush e Missy Elliott. Quindi il
mondo anche della rock and roll of fame andava avanti con idee diverse da quelle che lui ha
espresso nell'intervista. La sua idea è che evidentemente questo libro de Masters è più
un libro intimo delle persone che lui ha conosciuto e tra queste persone a cui li ha dato un grosso
peso culturale non ci sono donne. La sua giustificazione è non sono articolate, non sono dei profeti.
Johnny Mitchell non è una filosofa. E come è possibile secondo te che abbia ignorato il
dibattito sulle radici nere del rock che risale già agli anni 50? Vennner fa sicuramente parte
anche con il suo giornale e nel modo in cui Rolling Stone si è voluto negli anni anche di
un'industria musicale americana che ricordiamolo è sempre stata fino ai primi anni 90 segregata,
cioè l'idea è che i neri ascoltano la musica dei neri e i bianchi ascoltano la musica dei bianchi.
Ci è voluto a un certo punto David Bowie, tanto per citare un profeta che lui non nomina tra i suoi
sette, che a un certo punto ha preso da parte MTV e ha detto io non vi do i miei video se non
programmate anche video di autori afroamericani o di musicisti neri. Quindi era veramente molto
razzializzato l'industria musicale e statunitense e Rolling Stone da giornale di nicchia crescendo
è diventato sempre più espressione dell'industria musicale e statunitense. Quindi non ha proprio
ignorato il dibattito ha diciamo fatto finta che non ci fosse stato. Per esempio difficilmente lui
può non aver letto il libro di Marco Jefferson del 1971 che si intitolava Ripping of Black
Music, cioè derubando la musica dei neri. Marco Jefferson addirittura arriva da critica afroamericana
in un momento tra l'altro particolarmente caldo nei movimenti per i diritti civili, arriva a dire
che tutto il rock'n'roll è una farsa, è uno spettacolo di minstre, lo vero di bianchi con la
faccia tinta di nero che fanno finta di cantare la musica e lo stile dei neri. Provate ad ascoltare
insieme Hawn Dog una dopo l'altra, la versione cantata da Big Mama Thornton e poi la versione che
quattro anni dopo ha cantato Elvis Presley e vi rendete proprio conto che il rock'n'roll ha una
radice assolutamente nera e poi Chuck Berry, poi Little Richard, i fondatori del rock'n'roll alla
fine erano neri, l'industria ha preferito premiare artisti bianchi per ragioni di mercato e di
diffusione del loro prodotto, quindi gli artisti bianchi hanno fatto proprio uno stile della
musica nera. Nel libro di Marco Jefferson c'è proprio una citazione di Rod Stewart, un'artista
bianco e addirittura di origine britannica che dice ci sono molti cantanti neri che cantano meglio
di me, ma la metà del nostro lavoro è vendere, non cantare, è l'immagine, non quello che canti.
Cosa è cambiato nel frattempo? Che ruolo hanno oggi le donne neri nel rock?
Le cose sono cambiate per varie ragioni. Il rock, propriamente detto, è diventato nel
tempo sempre più marginale e ha smesso di essere la musica delle giovani generazioni e al suo posto
è arrivato un altro genere di musica, l'epop, l'R&B, tutti di provenienza afroamericana che in
qualche modo sono diventati il tessuto connettivo di quella che oggi chiamiamo pop music,
è difficile immaginare oggi un disco pop che possa essere di un'artista nero o di un'artista
bianco che non abbia dei debiti con il suono dell'epop e dell'R&B. Quindi semplicemente la
musica popolare, la musica dei giovani si è voluta in un modo da rendere più evidenti e più
dichiarate le radici afroamericane dei vari generi. Per le donne le cose fortunatamente
stanno cambiando già il fatto che nel 2023 nella rock'n'roll of fame entri Missy Elliott che
non è solo una rapper e una cantante ma è anche un autrice e una produttrice mi sembra un chiaro
segno dei tempi. Grazie a Daniele Cassandro. Grazie a voi. Il film della settimana consigliato da
Piero Zardo editor di cultura di internazionale. Scaffano blu della Marocchina a Mariam
Tuzani è ambientato nell'armadina di Salè, la città gemella della capitale rabà in Marocco.
Alime è un sarto che ricamma in mano dei cafftani, le vesti tradizionali marocchine che poi la
moglie Mina vende nella loro piccola bottega. I due formano una coppia affiatata anche se
non ordinaria. Infatti scopriamo presto che Alime è uno sessuale e Mina probabilmente conosce
il segreto del marito e quindi è abbastanza infastidita dall'arrivo di Josef, un giovane
prendista molto bello con cui Alime ha un film in particolare. Però quando Mina che ha un cancro
capisce warning che non è rimane molto tempo da vivere, tira fuori tutta la sua forza
per cementare ancora di più il legame con il marito. La loro intimità mostra una forza di sovversiva,
ma tutto il film di Mariam Tuzani suggerisceavesa che i rapporti, le relazioni intime, la bellezza,
l'arte, in testa nel modo più semplice, cioè l'artigianato, possono salvarci dal materialismo
o delle regole di una società che ci rappresenta fino a un certo punto.
Il caftano blu di Mariam Tuzani e il cinema.
Dalla redazione di Internazionale per oggi è tutto. Scriveteci a podcastchiooccioallenternazionale.it
ho mandato un messaggio vocale al numero che trovate nella descrizione del podcast e dell'episodio.
E per ricevere una notifica quando esce un nuovo episodio iscrivetevi al podcast.
L'appuntamento con il mondo è lunedì mattina alle 6.30.
Machine-generated transcript that may contain inaccuracies.
Dopo un conflitto con l’Armenia andato avanti a più riprese dalla caduta dell’Urss in poi, nei giorni scorsi giorni l’Azerbagian ha lanciato un’iniziativa militare per mettere fine all’indipendenza de facto del Nagorno Karabach. Il 16 settembre Jann Wenner, il cofondatore della rivista Rolling Stone, è stato estromesso dal consiglio di amministrazione della Rock and Roll Hall of Fame Foundation in seguito ad alcune dichiarazioni razziste e sessiste.
CON
Giorgio Comai, ricercatore ad Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa
Daniele Cassandro, editor di cultura di Internazionale
LINK
Video Nagorno Karabach https://www.youtube.com/watch?v=jkqLqBsLkmg
Video rock: https://www.youtube.com/watch?v=8NDuXc8CiOo
Se ascolti questo podcast e ti piace, abbonati a Internazionale. È un modo concreto per sostenerci e per aiutarci a garantire ogni giorno un’informazione di qualità. Vai su internazionale.it/podcast
Scrivi a podcast@internazionale.it o manda un vocale a +39 3347063050
Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni, con Vincenzo De Simone.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.