Il Mondo: In Israele parlare di apartheid non è più un tabù. Anche senza attori statunitensi la Mostra del cinema di Venezia è stata un successo.
Internazionale 9/8/23 - Episode Page - 23m - PDF Transcript
Dalla redazione di Internazionale io sono Claudio Rossi Marcelli.
Io sono Giulia Zoli e questo è il mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.
Oggi vi parleremo di Palestina e della mostra del cinema di Venezia
e poi del Festival di Internazionale a Ferrara e di un evento di fotografia.
È venerdì 8 settembre 2023.
In il primo 6 meso del 2023, l'UN ha ricordato 591 incidenti settelari
risultati in casculti palestiniani e problematiche di proprietà.
E' un avveraggio per un monato di 99 incidenti questo anno.
I comuni palestiniani sono particolarmente voluntari a queste e altre attività di settelare.
L'ultimo e l'ultimo, Occia ha documentato il trasplasio di circa 399 persone
da Settler Violence, da 7 comuni palestiniani per l'Opt.
3 di queste comuni sono nuove.
Il 6 settembre, Tamir Pardo, un ex capo del Mossad, i servizi segreti israeliani,
ha detto che il trattamento riservato ai palestinesi dal governo di Israel
è paragonabile alla partite.
Non è la prima volta che le politiche israeliane nei confronti dei palestinesi
vengono paragonate a quelle del Sudafrica durante la segregazione razziale.
La dichiarazione di Pardo riporta al centro della attenzione
la situazione nei territori palestinesi.
Come denuncia il portavoce dell'ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite
che avete ascoltato all'inizio,
l'espansione degli insediamenti israeliani in Cisdior Dania
e l'esercitazione di i palestinesi,
l'espansione degli insediamenti israeliani in Cisdior Dania
e le violenze dei coloni sono aumentate nel 2023.
Da quando, cioè Benjamin Netanyahu,
guida il governo più a destra della storia del Paese.
Ne parliamo con Jacopo Zanchini, vice-direttore di Internazionale.
Fino a poco tempo fa erano state soprattutto le organizzazioni internazionali
per la difesa dei diritti umani
o alcune organizzazioni pacifiste israeliane e ovviamente dei militanti palestinesi
a utilizzare la parola tabù apartheid
per descrivere la situazione dei palestinesi nei territori occupati.
Ora è un ex capo del Mossad a utilizzare questa parola tabù
e lo fa considerandola non un fatto di prospettiva,
ma la descrizione e oggettiva di una situazione sul terreno nei territori palestinesi.
Pardo ha dichiarato appunto che il trattamento riservato ai palestinesi d'Israele
è paragonabile alla apartheid,
cioè a quel sistema basato su un razzismo istituzionalizzato
che ha governato il Sud-Africa dal 1948 al 1994.
Nel Sud-Africa di quell'epoca c'era un sistema basato sulla supremazia bianca e sulla segregazione.
Le organizzazioni per i diritti umani hanno appunto usato la definizione
dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale
per applicare lo stesso metro a Israele.
Lo Statuto define la apartheid come un regime istituzionalizzato
di oppressione e dominio sistematico di un gruppo etnico su qualsiasi altro gruppo etnico.
E come si applica questa definizione a Israele oggi?
Pardo ha detto una cosa molto chiara.
Un territorio in cui due popoli sono sottoposti a due sistemi giuridici separati
è in uno stato di apartheid.
Se ci pensiamo a partire della 1967
con il progressivo aumento dei coloni ebrei in ciz Giordania,
in particolare dagli anni 90,
si ha stabilito un regime di privazione di diritti permanente
per i palestinesi che vivono sotto occupazione militare
e sono giudicati dai tribunali militari,
mentre i coloni israeliani che occupano illegalmente,
per alto secondo il diritto internazionale,
le loro terre sono giudicati come cittadini israeliani
in base alla diritto civile.
Qui ai palestinesi inoltre è impedita ogni libertà di movimento,
di espati che sono sottoposti a forme di coercizione
e arbitro quotidiano sia da parte delle autorità militari israeliane
che da parte dei coloni.
Chiaramente questa situazione si è ulteriormente aggravata
da quando Netanyahu ha formato il governo più a destra della storia di Israele.
E da mesi c'è un forte scontro nel paese
e un forte movimento di protesta contro questo governo
con manifestazioni continue molto partecipate.
Queste proteste riguardano anche i rapporti con i palestinesi.
Centinaia di milioni di israeliani in questi mesi sono scesi in piazza
ripetutamente e continuano a farlo
e lo fanno contro una svolta antidemocratica in stile,
se vogliamo, ungherese da democrazia autoritaria
che Netanyahu sta cercando di imporre
una sorta di dittatura della maggioranza
con una forte insofferenza verso la separazione di i poteri
e verso gli organi di controllo.
Il movimento si è occupato solo parzialmente
della sorte dei palestinesi,
anche per unire tra loro forze molte diverse
che su questo tema non la vedevano per forza lo stesso modo.
Invece Pardo collega giustamente le due cose.
D'altronde oggi persone razziste e suprematiste
che in passato non poterono neppure fare il servizio militare in Israele
perché considerate pericolose fanno i ministri
nel governo di Netanyahu.
In che modo le collega?
È una questione molto interessante.
Pardo racconta di aver chiesto più volte
da capo del Mossad a Netanyahu
di decidere quali fossero i confini di Israele.
Anche per non rischiare semplicemente che lo stato ebraico
fosse in qualche modo indefinito
e quindi più sottoposto ai eventuali pericoli.
E la questione dei confini è molto importante
perché la destra ultranazionalista al governo
vuole di fatto l'annessione della Cicciordania
che chiama Giudea e Samaria
e che ritiene parte per diritto biblico di Israele.
A quel punto non si capisce tape che fine farebbero i palestinesi
in questa idea della destra di annessione della Cicciordania.
Se si annette la Cicciordania o ha anche alcune sue parti
a quel punto le strade sono solo due
o dare ai palestinesi pari diritti
ma nessuno in Israele lo propone davvero
perché sarebbe la fine del solio annessionista
e dell'idea dello stato ebraico
per ragioni numeriche e demografiche.
Oppure l'alternativa è approfondire ulteriormente
l'oppressione e istituzionalizzare per sempre
un sistema di apartheid, cosa difficilmente sostenibile.
Stabilire invece i confini aiuterebbe secondo parto
non solo a salvare lo stato ebraico in quanto tale,
ma a lasciare i palestinesi liberi di autogovernarsi.
E parlo di una cosa molto significativa.
Israele deve decidere cosa vuole,
un paese che non ha confini, non ha limiti.
Tutto questo dovrebbe fare interrogare gli europei
gli Stati Uniti anzi sull'atteggiamento che hanno
e la visione che hanno di questo conflitto,
ma non semplicemente negli ultimi mesi del governo Netaniao,
ma da diversi anni.
Secondo te c'è una percezione distorta di questo conflitto?
Ma sì, direi, perché per tanti anni la narrazione dominante
è stata sostanzialmente che questo era un conflitto
a basse intensità che avrebbe avuto una sua conclusione naturale
con la nascita di uno stato palestinesa a fianco di Israele.
E che era questo fatto, era riso impossibile da fatti contingenti,
momentani, maggioranze politiche in Israele,
gli attentati di Amas, la morte di Arafat,
le preoccupazioni di territorismo, la sicurezza, etc.
Le ragioni erano sempre diverse,
ma in realtà nel frattempo tutti i governi israeliani
hanno puntato a espandere le colonie e gli insegliamenti
nella cizgiordania occupata.
Il numero dei coloni è cresciuto esponenzialmente
dalla firma degli accordi di Oso degli anni dovanta.
Se torniamo al 90, i coloni in cizgiordania,
escluso a Jerusalem East, erano poco più di 100.000.
Oggi, nel 2020 anzi, erano 450.000,
sono quindi quasi quadruplicati dal periodo di Rabin
e questo senza considerare Jerusalem East,
altrimenti andiamo su un numero intorno alle 700.000 persone.
È chiaro che una parte di questi è anche composta da coloni
fanatizzati, pesantemente armati,
che non vogliono nessun compromesso con i palestinesi
e così abbiamo disegnato la realtà come sul terreno.
E di questa realtà si discute in Israele?
Fino al recente, il movimento di protezza
se ne discuteva sempre meno.
L'ha spiegato bene il saggista e intellettuale israeliano,
Juvaldo Arari, a novembre,
parlando con una stupita Cristiana Mampur della CNN,
Arari, che è un professore all'Università Ibraica di Gerusalemma,
autore di numerosi best seller, ha detto una cosa molto significativa.
Molti nell'opinione pubblica israeliana, detto Arari,
sono gradualmente passati dalla convinzione
della soluzione dei due stati,
alla convinzione, almeno implicita,
della soluzione delle tre classi,
cioè che esiste un solo paese tra il fiume Giordano e il Mediterraneo,
con tre classi di persone che vi abitano.
Queste tre classi si dividono in base ai diritti di cui godono.
Ci sono gli israeliani ibrei, che hanno tutti i diritti,
alcuni arabi, cioè quelli con la città dinanza israeliana,
che hanno alcuni diritti,
e altri arabi, cioè i palestinesi della Sir Giordania e di Gaza,
che non hanno diritti oppure ne hanno pochissimi.
E questa è la situazione sul campo, ha detto Arari,
e questa è sempre più anche l'aspirazione
o la mentalità delle persone al governo,
e questo è molto preoccupante.
La comunità internazionale? Come reagisce furry?
Fardo ha anche detto che la questione dei confini
e del rapporto con i palestinesi
è molto più importante, per esempio, della minaccia eraniana,
costantemente sventolata dal governo israeliano, come lo spauracchio.
Questo è senza altro vero oggi, più che mai,
ora che i paesi arabi, a partire dall'Arabia saudita,
sono sempre più interessati a avere ottimi rapporti con Israele,
sono stati firmati gli accordi di Abramo con il Bahrain e gli Emirati Arabi,
c'è stato un riavvicinamento diplomatico con il Marocco. Insomma, a parte la questione
iraniana, Israele non è più quel paese presentato come un fortino all'interno di una regione
di paesi nemici e ostili. Quindi anche questa retorica qua dovrebbe essere messa da parte
e l'Europa e gli Stati Uniti, anziché limitarsi a occasionali protesse con i vari governi
israeliani, dovrebbero prendere atto di quale è davvero la situazione sul terreno e agire
di conseguenza. Grazie a Jacopo Zanchini. Grazie a voi.
Chiara Nielsen, vice-direttrice di Internazionale, presente il programma del Festival di Internazionale,
che quest'anno si svolgerà dal 29 settembre a primo ottobre.
Internazionale compie 30 anni e per festeggiare il Festival organizza una serie di eventi
che hanno come titolo una parola, un tema, un'idea, un evento o un luogo che hanno segnato
la storia di questi tre decenni. Sono tolchi individuali, dialoghi o conversazioni a più
voci, tenuti da autrici e autori provenienti a tutto il mondo.
Molti di loro sono pubblicati regolarmente da Internazionale, per esempio a Miras, Evgeni
Moro, Zofo Scar Martínez e Zero Calcare. Molti altri sono tutti da scoprire.
Si parte venerdì mattina con la parola potere per parlare delle verità nascoste della storia
d'Italia e si finisce tape con lotta per capire come è cambiata l'espressione del
dissenso e del conflitto sociale. In mezzo un lungo percorso che ci porterà
dalla Mazzogna l'Ukraine, ci parlerà tra le altre cose di patriarcato, colonialismo, orti
urbani, rivoluzioni arabe, megalopoli africane e antispecismo per arrivare poi fin nello spazio,
nelle galassie più lontane. Internazionale a Ferrara dal 29 settembre al primo ottobre,
il programma è disponibile sul sito del Festival.
E' stato il punto di partenza, cercare di dare, di colmare vuoto che c'è, cercare di
dare forma visiva a tutta quella parte di viaggio che di solito non conosciamo. Per farlo abbiamo
scelto due protagonisti, punto sei due in Mustafa, abbiamo cercato di raccontare la loro storia
al loro punto di vista, quindi in soggettiva per cercare di far vivere poi allo spettatore
l'esperienza, il primo persona del viaggio con tutti i vari stati d'animo che possono provare
due ragazzi giovani che partono l'avventura per cercare questa loro terra promessa che panno
verso l'Europa. Il regista Matteo Garrone parla del suo nuovo film io capitano, in concorso
alla mostra del cinema di Venezia, dove è dato tra i favoriti alleone d'oro. Per la sua tantesima
edizione la mostra ha puntato sui grandi nomi, nonostante la stanza di molte star statunitensi
che non hanno potuto partecipare per via degli sciopri e degli attori e degli sceleggiatori in
corso a Hollywood. Ne parliamo con Piero Zardo, editor di cultura di internazionale. Si avvia la
conclusione, la mostra del cinema di Venezia, in questa ottantesima edizione, che quindi un po'
tradizionalmente per le cifre tonde, quindi 80, si è scelto di affidarsi a grandi registi, a grandi
autori. Non sono in concorso ma anche fuori, quindi i nomi importanti sono tanti, ci sta Michael
Mann, Pablo Lorraine, Giorgos Lanthimos, anche Matteo Garrone, Luc Besson e tra l'altro anche
fuori concorso, appunto basta citare i due VD Allen e Roman Polanski, mi hanno anche agitato
qualche protesta, ma anche Richard Wilclater, Wes Anderson che è stato protagonista di una
masterclass seguitissima dal pubblico. Queste scelte ovviamente garantiscono in qualche modo
un livello medio molto buono, perché anche piccole opere, i registri molto affermati, spesso sono
film molto belli. Un esempio perfetto è The Killer di David Fincher che uscirà a novembre su Netflix,
che è un thriller scritto alla perfezione, un film fatto regola d'arte, ma magari non è all'altezza
di altre pellicole di David Fincher. Se questo livello medio è garantito da grandi nomi,
ovviamente c'è meno da aspettarsi in termini di ricerca o di grandi scoperte. Da questo punto
di vista Venezia è un po' di tempo che è invocato questa strada del mainstream per così dire,
tanto che se ne parla anche come di una porta che conduce direttamente all'Oscar fin'estagione.
Quali sono stati i film di cui si è parlato di più quindi? Tra i film che sicuramente hanno
attirato maggior attenzione sia del pubblico sia della critica, cominciamo da Priscila di
Sofia Coppola che è un film che racconta la storia d'amore diciamo tra Priscila Presley e Elvis
Presley. Sofia Coppola ha deciso di fare un film lontanissimo dalle scintille di Baslurman di
Elvis e ci fa vedere questa ragazza molto giovane, interpretata da Kylie Spainy, chiusa in una gabbia
dorata in cui lei è in qualche modo negata anche in qualsiasi forma di libertà e quindi
è un film molto cupo, Graceland, non è una reggia fastosa, ma un ambiente cupo quasi desolato.
Un altro film molto atteso era Maestro di Bradley Cooper, con Bradley Cooper,
che è la biografia di Leonard Bernstein, il grande direttore d'orchestra e compositore
statunitense e non è una biografia nel vero senso del termine, nel senso che anche questo
parla più che altro della sua storia d'amore con la moglie che è interpretata nel film da
Carrie Mulligan, diciamo è un film che quindi più che raccontare la vita di Bernstein ci racconta
quelli che sono le dinamiche di una coppia in cui c'è uno dei due elementi della coppia che
deve gestire anche un enorme successo, per in maniera in ambito di biografia invece Ferrari di
Michael Mandi, qui si è parlato molto per altri motivi, ma anche tutti gli italiani,
i film italiani hanno richiamato un sacco di pubblico e di attenzione finalmente l'alba di
Salaria Costanzo ad agio di Stefano Soli, ma diciamo un poliziesco molto divertente,
ideale chiusura della sua filmografia sul Roma e poi anche più recentemente Nea di Pedro
Castellitto che probabilmente dirà molto la critica anche a livello generazionale.
In tutto questo lo sciopero degli attori e degli sceleggiatori di Hollywood che effetto
sta vendo sul festival. Lo sciopero di Hollywood che a Venezia non si ha sentito tantissimo,
certo sono mancate un po' di stelle sul tappetro rosso prima tra tutte Mastone,
protagonista di Poor Tanks di Viorgos Santimos, ma questo comunque non ha scoraggiato il
pubblico, i numeri almeno alla fine del primo weekend parlano addirittura un 20% in più di
presenze e probabilmente gli effetti maggiori noi neanche ce ne siamo accorti nel senso che
sarà stato qualcosa che veniva più dietro le quinte, per esempio il festival dove essere
aperto dal film di Luca Guadagnino, Challengers con Zendaya, ma l'MGM l'ha bloccato proprio
perché non voleva rinunciare a promoverlo con le sue star, di questo poi il pubblico
lo siano accorti fino a un certo punto. Se ne è parlato in generale quando c'erano quei pochi
attori e statuitensi che sono arrivati, che magari facciano parte di film prodotti da
indipendenti e quindi hanno già firmato i loro accordi con gli attori e gli sceleggiatori,
tutti hanno espresso grande solidarietà e in alcuni casi ce ne siamo accorti anche per
l'assenza faccio l'esempio del film maestro V e con Bradley Cooper che non era presente né come
regista né come attore e c'è stato un po' il vuoto lì a quella conferenza stampa, la parte del
leone l'ha fratta del truccatore giapponese Kazuniro che ha truccato Bradley Cooper per farlo sembrare
Leano Bernstein. In questi giorni poi c'è stata una polemica sollevata da Pier Francesco Favino sui
ruoli dei personaggi italiani affidati ad attori stranieri. Perché questa sua presa
di posizione ha fatto tanto rumore? È diventata polemica perché ovviamente è stata alimentata
dalla stampa soprattutto italiana, sempre in cerca di motivi e tormentoni di Fil Rouge che
possono attraversare il festival. È un tè ma sicuramente quello del fatto che per interpretare
a personaggi italiani non siano stati scelti italiani, se da una parte noi ci ricordiamo che
quando venne scelta Tilda Swinton per fare il ruolo di un tibetano in un film Marvel ci
può un grande rumore perché non dovrebbe esserci lo stesso rumore quando Ferrari,
Enzo Ferrari è interpretato da un attore statunitense, in realtà ovviamente il discorso è
più complesso e in questo caso la polemica è stata un po' montata perché in Ferrari nessuno
pretende di fare l'italiano, cioè semplicemente una grande produzione che ha bisogno di una
grande star per rimporsi su un mercato internazionale. È chiaro che a noi italiani fa un po'
effetto vedere Gialin Woods che fa i ravioli però dopo un po' quando si entra nella storia
ringraziamo che ci fosse Adam Driver che fornisce una grandissima interpretazione e
tiene insieme il film per certi versi. La stampa estera ha ignorato questa polemica sui
attori italiani e invece in alcuni casi ti è incuriosita perché ha sostituito i challenge
di Guadagnino, è stato un film comandante di Eduardo De Angelis il cui protagonista
interpretato tra l'altro da Fabino è il capitano del sommergibile italiano durante la Seconda
Guerra Mondiale quindi in un'epoca in cui noi eravamo governati da Mussolini e dal fascismo
ma in realtà nei film di De Angelis nelle parole di Fabino hanno insegnate di nazionalista e odia
autarchico. Per concludere torniamo ai film, secondo te chi vincerà questa edizione?
Non ho visto appunto tutti i film in concorso quindi non mi ha zardo in un pronostico, ti dirò
i film che mi sono piaciuti di più che sono sicuramente Poor Things di George Stantimos che
anche se non dovesse vincere qua a Venezia avrà una ricca stagione di premi da qui a Remy Oscar,
un altro film che mi è piaciuto veramente è stato Green Border di Agnesca Hollande un film
Polacco che racconta in maniera molto dura e documentaria quasi quello che è successo
al confine tra Bielorussia e Polonia durante la crisi di Evigranti seguita allo scoppio della
guerra in Siria e per finire io capitano di Matteo Carrone che è un bellissimo film che
riesce a trasformare il racconto di due ragazzi che viaggiano dal Senegal in Italia in qualcosa di
epico e un film che secondo me è destinato a restare, un'opera che diventerà un classico e
forse proprio per questo potrebbe meritarsi in Leone d'Oro. Grazie Piero Zardo. Grazie a voi.
L'evento culturale della settimana è consigliato da Giovanna Dashensi,
fotoeditor di internazionale.
E gli ultimi anni l'arte e la fotografia e l'editoria hanno mostrato un interesse particolare per le
fotografie scattate da non professionisti, ritrovate dai parenti oppure negli archivi e nei mercatini
dell'usato. Queste immagini fanno parte della cosiddetta fotografia vernacolare e l'attenzione
di cui gode ora è data dalla sua versatilità. Selegandola infatti dalla più semplice funzione
nostalgica, questo genere di fotografia ha una funzione ambivalente, svelarci testimonianze diverse
su storie del passato e servire da materiali di base per manipolazioni e riflessioni artistiche più
legate alla contemporaneità. Gufo è il primo festival italiano dedicato esclusivamente alla
fotografia vernacolare. L'8 settembre inaugura la seconda edizione a castello di Cuglia in
provincia di Modena e propone una serie di mostre, incontri e workshop su questo tema.
Tra gli ospiti ci sarà Eric Kessels, artista, designer e collezionista olandese che con la
serie Empty Chair ha raccolto vecchie foto di sedie vuote per riflettere sul tema dell'assenza.
Ci sarà anche l'artista marocchina Carol Benita con Jamé Gene Toublieré, un lavoro nato dall'esigenza
di ricreare un passato vissivo per i suoi genitori, che non avevano foto prima di sposarsi.
Benita ricostruita un album di famiglie immaginario usando foto di sconosciuti comprate nei mercatini
a cui poi ha applicato dei fogli dorati per coprire volti. Oltre alle mostre di singoli
artisti a Gufo saranno presentati anche progetti legati al territorio italiano nati dall'impegno
e dalla passione di piccoli archivi e associazioni. Il festival si svolgerà dall'otto al dieci
e dal sedici al dieciassette settembre.
Sottotitoli a cura di QTSS
Machine-generated transcript that may contain inaccuracies.
Tamir Pardo, ex capo del Mossad, ha paragonato le politiche israeliane nei confronti dei palestinesi a quelle del Sudafrica durante la segregazione razziale. Molte star statunitensi non sono potute andare a Venezia per via degli scioperi degli attori e degli sceneggiatori in corso a Hollywood
Jacopo Zanchini, vicedirettore di Internazionale
Piero Zardo, editor di cultura di Internazionale
LINK
Palestina:
https://us05web.zoom.us/j/81200626139?pwd=SbhrugPBPHEGpWCQtEaSyBLFS0o0BA.1
Video Garrone: https://video.corriere.it/spettacoli/mostra-cinema-venezia/matteo-garrone-venezia-racconto-viaggio-epico-migranti-attraverso-africa/1255992a-4cc5-11ee-ba13-a63742c0d94b
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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni, con Vincenzo De Simone.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.