Il Mondo: Il Sudan precipita in una crisi umanitaria. L’esperienza di un maestro che impara dai bambini.
Internazionale 4/27/23 - Episode Page - 26m - PDF Transcript
Dalla redazione di Internazionale io sono Giulia Zoli, io sono Claudio Rossi Marcelli,
questo è il mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.
Oggi vi parleremo del conflitto in Sudan e di un modo diverso di fare scuola,
e poi della nuova copertina di Internazionale e di un disco.
È giovedì 27 aprile 2023.
Dalla nuova copertina di Internazionale io ho parlato di un po' di nazionali
che stavano ancora in Sudan, chiamati in combattimento,
e anche quando io avevo interviato a loro,
potevano sentire il suono di un bambino,
e di scegliere ciò di loro,
e molte persone mi chiedono che erano contenti di scegliere a questo punto.
Mayni Jones è la correspondente in Africa della BBC
e racconta degli straniere intrappolati in Sudan
con cui ha parlato nei giorni scorsi,
che stanno tutti cercando un modo di fuggire dal Paese.
A quasi due settimane dallo scoppio degli scontri armati nella capitale Khartoum,
la violenza non accende a fermarsi,
nonostante ripetuti tentativi di imporron c'è stato il fuoco.
A scontrarsi sono l'esercito del Sudan
e le milizie speciali chiamate forze di supporto rapido,
che fino a poche settimane fa facevano parte di una fragile coalizione militare
che ha governato il Paese dal 2021.
A portare alla rottura sono stati dei disaccordi su come attuare la transizione
che da quel governo militare riportasse il Paese a un governo civile.
Parliamo con Francesca Sibani, editor di Africa d'Internazionale,
di come sta evolvendo la situazione in Sudan
e di qual è il costumato di questo conflitto sulla popolazione civile.
Dal 15 aprile il Sudan sta vivendo un profondo conflitto
tra l'esercito regolare,
che risponde al Generale Abdel Fattal Buran
e le forze di supporto rapido,
un'unità paramilitare,
alleata dell'esercito fino a poco tempo fa,
che è comandata dal Generale Mohammed Amdandagalo, detto Emetti.
Gli scontri stanno avvenendo soprattutto nella capitale Khartoum,
dove i paramilitari combattono da terra
e vengono bombardati dall'alto dall'aveazione sudanese,
rendendo spesso i quartieri residenziali delle vere proprie zone di guerra.
I combattimenti si sono diffusi anche ad altre parti del Paese,
come l'Ovest, nella regione del Darfur,
che ricordiamo per il conflitto di una ventina di anni fa
che fece così tante vittime,
e anche in alcune importanti città dell'est, come Port Sudan o Gadariff,
dove sono stati registrati scontri tra queste due forze armate.
Fino a prima del 15 aprile queste due fazioni
erano alleate in un'aggiunta militare
che stava negoziando con le controparti civili,
un accordo di transizione verso la democrazia.
Ora questo accordo sembra essere del tutto non fragato,
perché abbiamo visto ogni tentativo di mediazione
spazzato via dalla violenza armata
che ha preso il sopravvento in questo Paese,
quello che si stiamo e una vera propria lotta
per il potere tra due milizie rivali.
Quindi si tratta di un conflitto tra due fazioni militari
che non ha molto a che fare
con la maggior parte della popolazione sudanese.
Che impatto stavendo però questo conflitto sulla popolazione civile?
La popolazione civile è la principale vittima di questo conflitto,
perché finora abbiamo registrato circa 460 morti,
di cui almeno 300, secondo fonti sudanesi, sono dei civili.
I feriti invece sono circa 4000,
e la mia tà anche in questo caso sono civili.
I combattimenti, come dicevo prima,
sono localizzati in aree urbane
e stanno chiaramente rendendo impossibile la vita quotidiana.
Vengono bombardati anche strutture di uso quotidiano.
Ci sono carenze di acqua potabile,
si interrompe l'electricità,
gli ospedali devono chiudere.
Insomma, la vita sta diventando impossibile
per gli abitanti di cartume di altre città sudanesi.
Quindi possiamo già parlare di una crisi umanitaria in corso?
Sì, ci sono già decine di migliaia di persone
che sono scappate all'estero.
20.000 circa in Chad e 4.000 nel sud Sudan.
Le Nazioni Unite estimano che se la situazione non migliorerà breve,
è possibile che 270.000 persone decidano di lasciare il Sudan,
che ricordiamo ospita circa 800.000 profughi sudsudanesi.
Molte di queste persone potrebbero decidere a un certo punto
di tornare nel loro paese per sfuggire ai combattimenti,
anche se, nel loro paese, la pace manca ancora da lungo tempo.
Parlando proprio di stranieri,
molti paesi stanno cercando un modo per impetriare i loro connazionali.
Come sta andando questa operazione?
Questa è stata la notizia che ha dominato gli ultimi giorni,
quindi era impatrio degli europei.
Tutto ora il Regno Unito sta cercando di portare a casa
quelle che si stimano circa 2.000 persone che stavano in Sudan,
anche l'Italia ha rimpatriato un centinaio di persone,
così come tanti altri paesi europei,
ma anche del resto del mondo,
perché lo stesso hanno fatto la Russia, l'Ukraine, l'Arabia Saudita.
Oggi, per esempio, è arrivata una nave sulla costa dell'Arabia Saudita
che aveva a bordo 1.700 persone di 50 diverse nazionalità
che volevano lasciare il Sudan.
Le persone di tutto il mondo stanno cercando di abbandonare il Paese
e questa non è una buona notizia per gli abitanti del Sudan,
che da una parte si sentono abbandonati,
dall'altra pensano che la situazione non è destinata a risolversi a breve.
Qual è poi nella pratica il modo in cui gli stranieri
o i profugi in questo momento possono lasciare il Sudan?
A parte i voli organizzati dai governi stranieri
che spesso fanno scalo da cartume in paesi vicine come Djibouti
oppure CIPRO, prima di arrivare in Europa o in altre destinazioni,
le persone spesso lasciano il Paese via nave,
quindi passando dalla costa, bimbarcandosi a Port Sudan
per aggiungere l'altra costa del Mar Rosso, quindi l'Arabia Saudita,
oppure lo fanno via terra,
attraversando la frontiera con l'Egitto, che è una frontiera aperta
e le persone possono muoversi liberamente nei due sensi.
Il fatto sta che su Twitter e altri social
le persone si scambiano consigli sui modi migliori,
ma anche sulle difficoltà.
In questi giorni si leggeva che il biglietto dell'autobus
per arrivare in Egitto da cartume
è aumentato di costo di 6 volte rispetto a prima della crisi
e che ora costa intorno ai 340 dollari,
che è una cifra comunque notevole.
Oltre a due fazioni militari in campo,
ci sono altre potenze straniere
che in qualche modo prendono parte
o alimentano anche indirettamente il conflitto in Sudan?
Non ci sono potenze straniere che direttamente
partecipano ai combattimenti,
però è stato più volte sottolineato che entrambe le parti
godono di importanti appoggi,
anne alleatiche,
da un certo punto li riforniscono anche di armi.
Per esempio, in un articolo del New York Times
che pubblichiamo questa settimana su Internazionale,
che Califaftar, il signore della guerra libico,
quello che controlla l'est della Libia,
avrebbe offerto a Emetti,
che è il capo delle forte di supporto rapido,
delle armi che non si sa
se provengano dal suo arsenale personale
o se sono armi che arrivano dagli Emirati Arabi Uniti
che sono sostenitori sia di Aftar sia di Emetti.
Allo stesso tempo abbiamo l'Egitto,
che è un paese molto importante in questa regione
e che sostiene il generale Alburan,
quindi l'avversario di Emetti.
Alburan e il presidente egiziano Al-Sisi
sono due persone che hanno una certa affinità
sia per la loro provenienza,
sono entrambi i militari di carriera,
sia per il loro ruolo all'interno di un regime consolidato.
Al-Sisi per esempio non vedrebbe di buon occhio,
secondo molti analisti,
essere sulla sua frontiera meridionale
un regime dominato da un capomilizia,
come sarebbe Emetti.
La presenza di soldati egiziani
è stata anche una delle cause
dell'accendersi di questo conflitto.
Per esempio, nei giorni prima del 15 aprile
erano presenti in una base militare sudanese
quella di Meroe dei soldati egiziani,
che sono stati catturati dalle forze di supporto rapido
rilasciati solo dopo alcuni giorni.
Le forze di supporto rapido hanno spiegato
che le vanno catturati temendo che,
nell'eventualità che scoppiassero delle ostinità,
questi soldati sarebbero andati
in soccorso dei loro rivali.
Quindi, insomma, ci sono tante alleanze,
tanti sostenitori, diciamo,
tante potenze esterne che possono, in un certo senso,
complicare la situazione
e renderla più esplosiva di quello che è.
Molti giornali poi parlano della presenza
del senario russi della Wagner in Sudan.
Sì, sappiamo che questo compagnia privata russa
che ha fatto della sicurezza il suo business,
ha fatto affari in passato con i metti.
E secondo sempre questo articolo
del New York Times che citavo prima,
secondo funzionari statunitense
avrebbe anche offerto delle armi.
In realtà, il capo della Wagner era recentemente dichiarato
che lui è disposto a mediare
tra i due generali sudanesi
e che il suo obiettivo finale
è quello di ottenere la pace,
che, detto da lui, insomma,
sembra un'affermazione un po' paradossale.
Ecco, ma parlando proprio della possibilità
che si possa arrivare a un dialogo
se non ha una pace,
quali sono secondo teleorganizzazioni internazionali
o anche i singoli paesi
che in questo momento potrebbero essere
nella posizione di favorire questo dialogo?
A questo proposito possiamo ricordare
che ha in corso dalla mezzanotte del 25 aprile
una tregua molto traballante
che, di ora in ora, le notizie cambiano,
però per il momento sembra aver portato
a una diminuzione relativa
dei combattimenti a cartume nelle altre città.
Questa tregua è stata negoziata
da Stati Uniti a Rabia Saudita
che stanno comunque intervenendo
per fare il possibile per riportare
la situazione alla calma.
Resta il fatto che a prevalere comunque
il pessimismo, per esempio,
l'inviato delle Nazioni Unite in Sudan,
Volker Pertes, ha dichiarato recentemente
a una riunione del Consiglio di Sicurezza
che non ci sono segnali
che le parti in guerra
siano pronti a negoziare,
precisando che entrambe le fazioni
pensano di poter ancora ottenere
la vittoria sul campo.
Quindi probabilmente
dovranno intervenire
questi sostenitori nell'ombra
di cui parlavamo prima
e a fare le debite pressioni
affinché i due generali si siedano
finalmente a un tavolo per dialogare.
Grazie a Francesca Sibani.
Grazie a voi.
Maisa Moroni, foto editor di Internazionale,
racconta la copertina del nuovo numero.
L'aviazione civile rappresenta circa il 3,5%
del riscaldamento climatico
causato dall'attività umana.
Può sembrare poco,
ma la maggior parte dei passeggieri di un aereo
non lo prende per motivi di lavoro o di famiglia,
ma per andare in vacanza.
L'aviazione si candida quindi
a essere l'attività ricreativa
più dannosa in circolazione
e il settore che ha fatto di meno
per ridurre il suo impatto sul clima.
L'articolo del quotidiano Britannico The Guardian
che pubblichiamo questa settimana
ci racconta che alcune aziende
stanno cercando di sviluppare aerei alimentati a batteria
e che quindi inquinano meno.
Ma per ora sembra ancora difficile
che un apparecchio possa davvero volare
ai missioni zero.
Quando pensiamo alla prossima copertina
cerchiamo di fare in modo che non sia troppo simile
alla precedente, e in generale
cerchiamo di variare il tipo di linguaggio
visivo da utilizzare.
Era da apparecchio che non affidavamo una copertina
un illustratore, abbiamo quindi iniziato
a immaginarla illustrata, disegnata
partendo da due parole chiave,
voli e verdi.
Prendiamo all'inquinamento e alla crisi climatica
visualizziamo fumigrigi, oneri
e scene apocalittiche.
Questa volta invece abbiamo deciso di lavorare
sull'opposto e rappresentare
il sogno di un aereo che non inquina.
Abbiamo chiesto quindi all'illustratore
Davide Bonazzi di disegnare
un aereo con una scia molto colorata
piena di fiori, un po' psichedelica.
L'utopia dei voli verdi
è la copertina d'internazionale di questa settimana.
Che cos'è un cerchio?
È un cerchio
una cosa
rotonda.
Non c'hanno
nei lati, nei angoli.
Ogni punto del
perimetro è
uguale alla distanza del centro.
Quindi se prendo qualsiasi punto del perimetro
è sempre uguale alla distanza del centro.
Succede in altre figure che il perimetro
è...
No, no, no.
Perché gli altri forni hanno gli angoli.
La distanza
degli angoli nel centro è diversa da quelli
che dall'alto al centro.
Dall'alto al centro, sì.
Manca poco più di un mese
agli scrutini di fine anno scolastico.
Anche nella scuola primaria,
gli insegnanti saranno chiamati a valutare
il livello di conoscenza e apprendimento
delle alune e degli alunni.
Molti dei quali hanno affrontato negli anni scorsi
la discontinuità e la frammentazione
degli insegnamenti causate dalla pandemia.
La perdita delle relazioni con i coetanei.
Ma cosa sappiamo noi adulti di loro?
Spesso, perfino,
gli insegnanti sono più attenti
interessati a propinare lezioni
o a dare risposte che ad ascoltare.
Le voci che avete sentito all'inizio
sono tratti dal film
è meglio che tu pensi la tua,
diretto da Davide Vavalà
e disponibile sul replay,
che racconta l'ultimo anno d'insegnamento
del maestro Franco Lorenzoni
a una quinta elementare di Giove,
maestro, ricercatore e formatore,
Lorenzoni ha fondato sempre in umbra
la Casa Laboratorio di Cenci,
un centro di sperimentazione educativa
e ha appena pubblicato per cellerio
educare controvento
storie di maestre e maestri ribelli.
L'ascolto è trascurato perché
la maggioranza, purtroppo di noi insegnanti,
pensa che deve
tutto il tempo
educare qualcosa, insegnare qualcosa.
Si dimentica che la relazione educativa
è fondata sulla reciprocità,
la parola recipro co-recus pro,
cosa vuol dire, faccio un passo indietro
e poi un passo in avanti.
Se non fai quel passo indietro,
se non crei quel vuoto
in cui i bambini e i bambini possano
dire la loro come vogliono,
cioè dire la loro a partire dalla loro sensibilità,
da loro mode di guardare il mondo,
noi perdiamo
una enorme ricchezza
di pensiero e di elaborazione.
L'ascolto è molto legato
anche al dialogo, cioè al fatto che
la costruzione del sapere
non avviene mai per una trasmissione,
non si può trasmettere la cultura.
La cultura, ognuno deve costruirla
e ricostruirla.
Alessandra Ginzburg fu la prima a parlare
di pedagogia dell'ascolto, già negli anni 70.
Lei si occupava molto
di inserimento dei disabili
prima della legge del 77, quindi
era una grande visionaria
da questo punto di vista, infatti
dedico un capitolo di questo libro.
Lei parlava della pedagogia dell'ascolto come
una capacità nostra
di entrare in un'altra cultura,
perché in fondo le bambine e i bambini hanno
una cultura diversa dalla nostra,
noi questo lo dimentichiamo molte volte.
E le qualità di questa cultura
sono guardare il mondo con
punti di vista molto distinti
dai nostri, diciamo così.
E noi invece pensiamo sempre che dobbiamo
educarli più rapidamente possibile
a pensare come noi adulti,
perdendo così quella capacità
infantile
di accettare la compresenza di contraddizioni,
di stupirsi continuamente,
insomma tutte qualità che
purtroppo con l'età noi andiamo perdendo.
Quindi diciamo l'ascolto
è il fondamento di una educazione attiva.
E per come l'hai descritto
non è per niente passivo
invece è quasi l'inizio, già, di un dialogo.
Sì, sì, il dialogo nasce proprio da questo.
Se c'è un consiglio
che darei a qualsiasi insegnante
prendere appunti,
segnare tutto quello che
avviene ai bambini diicolo,
su qualsiasi argomento, quando si discute,
perché poi rileggere quello che hanno detto
ci dà una quantità di informazioni enormi,
sia sulla loro capacità di elaborazione,
sulle loro difficoltà,
anche naturalmente,
e soprattutto sulle interrelazioni
tra loro. Però per fare questo
ci vuole molto tempo.
Questo è il grande problema.
Il motivo per cui non si ascolta
è perché si pensa di non avere tempo
per fare questo. Tante volte mi è capitato
questo, ma io non ho il tempo per farlo.
Il problema del tempo è nostro,
nel senso che noi dobbiamo decidere
di fare meno cose e farle più profondamente.
Anche perché questo garantirebbe
alla scuola di andare
un po' controcorrente, di riequilibrare,
cioè se tutti vanno veloci,
se tutti sono iperconnessi
orizzontalmente con tutte le informazioni
che arrivano, tu devi creare un luogo
in cui invece si approfondisca,
si ritorni allo stesso tema, ci si dia
il tempo per capire anche come ragione
la tua compagna, che magari è
anche un'altra cultura, magari
ha una sensibilità diversa, magari
ha delle disabilità, quindi io sono convinto
che le casi disomogenee siano molto educative.
Molto educative naturalmente
si dà il tempo a tutti
di giovarsi del punto di vista
dell'altro. E non è una cosa facile
insomma, anche io tante volte
non ci riesco. Però è la tendenza
a cui dobbiamo andare.
La bellezza del rimbalsare
sugli oggetti culturali è che io capisco
di più, se siamo intanti a leggere
lo stesso racconto o a guardarlo
stesso quadro, sia del quadro
perché posso vederlo con gli occhi
dei miei compagni, e sia capisco i miei
compagni, capisco Seriana, capisco Peter,
capisco Emilia, perché
quello che lei vede in quel quadro
di giotto mi dice qualcosa sulla sua
personalità, sulla sua sensibilità.
Questo scambio, questo
dialogo e lo spazio per questo
dialogo è qualcosa che è necessario
anche tra gli adulti, come
tu Sottolini, forse in particolare
in quest'ultimo libro. Tutte queste cose
le ho imparate nel movimento di cooperazione
educativa, che era un gruppo di persone
che esiste ancora, che
facevano di laboratori, laboratori
adulti, in cui noi facevamo la stessa
cosa, cioè ci mettiamo in discussione
e magari abbiamo passato con Nora
Giacobini, stavano andati a essere l'MCE
un anno intero su una fiamma russa
per dire, per un anno
una fiamma vuol dire entrarci
dentro, attraverso tutti i linguaggi
possibili, attraverso il mito,
il canto, la ricostruzione
e la deconstruzione.
Questo metodo si può acquisire
provandolo su di sé.
Quello che ho imparato proprio all'inizio
e poi ho cercato di fare tutta la
mia vita in segnante
era mettersi in gioco, insomma.
I bambini si accorgono subito se un adulto
sta ricercando davvero
oppure se fa finta.
Che cos'è la Casa Laboratorio Senci?
La Casa Laboratorio Senci è nata
dal movimento di cooperazione educativa
quindi è sicuramente un luogo
dove noi abbiamo costruito sia situazioni
educative, fuori luogo.
Scherzando un po' tre amici
quando abbiamo fondato Senci
nel lontano 1980
facciamo qui tutto quello che non si può fare a scuola.
Andare al bosco la notte,
accendere un fuoco, stare a guardare
il movimento lento delle stelle nel cielo
e tante altre cose. Molto legati al corpo
e al cosmo. Quindi c'era
anche molto teatro.
C'era anche la formazione
insomma, io penso che una formazione residenziale
per esempio ho visto negli anni tante volte
degli insegnanti che
uscivano un po' trasformati
insomma, cioè che cambiamano qualcosa
un piccolo spostamento
non lo chiamavano l'inchampo
se uno fa un'inchampo poi magari si rialza
e vede cose che prima non aveva visto
questo mi sembra sempre molto importante
anche perché noi insegnanti
in questa fase in particolare
siamo chiamati quasi a cambiare un po' il nostro mestiere
che c'è un aspetto di cura
obbligatorio oggi nella scuola
per l'enorme sofferenza
che vive l'infanzia, la adolescenza
che certe volte ci vede
non attrezzati insomma, non è facile fare questo
abbiamo bisogno di coraggio
e di chi ce lo dà e di condivisione
l'inchampo ci riporta anche
alla struttura fisica proprio degli
ambienti in cui si fa scuola
di cui tutti sei occupato
di come sono fatti proprio gli edifici scolastici
l'architettura
che condiziona la didattica
enormemente bisogna
stare sempre in spazi che possono essere cambiati
scherzando
Roberta Passoni dice
si chiamano mobili perché sono mobili insomma
dobbiamo spostare continuamente
penso che stare in classe
in una organizzazione spaziale che è sempre quella
facciamo male al pensiero
e dovremmo continuamente cambiare
sedersi a terra, stare in cerchio
stare sotto un albero
le scuole dovrebbero avere tutte
i verdi vicini, nell'impossibilità
dovrebbero avere delle isole pedonali
intorno insomma io penso che lo spazio interno
e esterno devono dialogare
so che i bambini sono più attenti
se noi cambiamo le posizioni di reciproche
e talvolta questo
noi insegniamo un po' analfabeti rispetto allo spazio
tra poco cominceranno gli scrutini di fine anno
cosa vorresti raccomandare i maestri
e le maestre che ci ascoltano?
nella mia esperienza è stato
molto importante sempre
registrare le conversazioni
all'inizio c'erano i magnetofoni
oppure si prendevano a punti
adesso anche con un telefonino si può fare
se tu registri una conversazione
e poi è la pazienza di trascriverla
e restituisci alla bambina il bambino
la conversazione redatta
tu stai dando molti messaggi
il primo di dare dignità
a tutti i pensieri di tutti
e questo è importantissimo
il secondo capire quanto il nostro pensiero
è sempre condizionato da cosa dicono gli altri
cioè una costruzione
collettiva di ragionamento
io penso che apprendere a ragionare insieme
sia una grande educazione
alla democrazia
oltre che un bellissimo
modo di capire che il mondo è fatto
di tantissime differenze
che certe volte la scuola non riesce ad ascoltare
grazie a Franco Lorenzoni
grazie a voi
il disco della settimana è consigliato
a Giovanna da Scienzi, fato editor di Internazionale
il nuovo album di Davo Kumu
riflette la sua storia
e anche quella dei suoi antenati
nota avvienna da genitori kegnoti
a dieci anni si trasferisce tape
con la famiglia a Londra
dove cresce trappassionati di musica
ha fatto parte della band The Invisible
e ora che lavora da solista
il suo metodo creativo
resta comunque radicato nella collaborazione
probabilmente perché negli ultimi vent'anni
è stato anche un produttore
e un musicista nei dischi di altri
e così questo nuovo disco
accame from love
è attribuito a lui e The Seven Generations
la band è composta da Nick Ram,
Scott e Tom Skinner
con cui di fatto lo ha sviluppato
e se non bastasse ha coinvolto anche amici
come Grace Jones
e il jazzista Byron Wallen
di conseguenza la musica di Okumu
non si ripiega mai su se stessa
perché tende continuamente
la mano verso l'altro
In a came from love confluiscono
senza problemi i pop,
jazz, R&B, funk
e spiritual, tutti i generi
che servono per esplorare la storia
dei neri ripercorrendo a cuore aperto
violenze e ingiustizie sociali
ma soprattutto invocando
la necessità di resistere
e dilottare per il cambiamento
I came from love
di Dave Okumu e The Seven Generations
L'appuntamento con il mondo
è do mattina alle 6.30
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A dieci giorni dallo scoppio del conflitto tra fazioni militari, la popolazione civile in Sudan paga il prezzo più alto. Perché l’ascolto e il dialogo dovrebbero avere un ruolo centrale nell’educazione di bambini e bambine.
Francesca Sibani, editor di Africa di Internazionale.
Franco Lorenzoni, maestro e fondatore della Casa-laboratorio di Cenci.
Video Sudan: https://www.youtube.com/watch?v=OdNcm0KdpBc
È meglio che tu pensi la tua: https://www.raiplay.it/programmi/emegliochetupensilatua
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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.