Il Mondo: I viaggi di Vinicio Capossela, parte 4

Internazionale Internazionale 8/10/23 - Episode Page - 14m - PDF Transcript

Se ascolti questo podcast e ti piace, abbonati a Internazionale, è un modo concreto per

sostenerci e per aiutarci a garantire ogni giorno un'informazione di qualità.

Vai su www.internazionale.it slash podcast.

Dalla redazione di Internazionale io sono Giulia Zoli, io sono Claudio Rossi Marcelli

e questa è la serestiva del mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Questa settimana Giovanni Anzaldo, giornalista di Internazionale, interviste al cantautore

Vinicio Capostella sul tema del viaggio.

È giovedì 10 agosto 2023.

Vinicio Capostella è un cantautore, musicista e scrittore italiano, a 57 anni, il suo ultimo

album è 13 canzoni urgenti.

Nell'episodio di oggi parla di Irpinia, Reggio Emilia e di Tom Weitz.

Vinicio, tu sei nato da Nover in Germania e sei cresciuto a Scandiano, vicino a Reggio

Emilia, mentre da parte di padre hai origini in alta Irpinia, messo d'Italia.

E quindi vorrei citare uno dei tuoi romanzi, che è il Paese dei Coppoloni, che parte da

una stazione abbandonata e da un incontro che il narratore fa con una persona del posto,

che gli fa una domanda molto importante.

Chi siete? A chi appartenete? Che andate cercando?

E quindi volevo chiederti semplicemente chi sei, Vinicio.

Questa domanda viene fatta all'inizio, appunto, di questo pellegrinaggio e quindi direi il

viandante.

Viandante, in questo caso, di strade tortuose, non autostrade, strade piene di giri, di tornanti

e di ritornanti.

Allora, dei cupoloni è un viaggio da viandanti, perché sono luoghi che bisogna attraversare

a piedi e in quelle che sono un po' le terre del mito.

Io, se parliamo di radici, per la radice vale un po' quello che dice Jung, cioè l'inconscio

della nostra radice collettiva, la zona d'ombra, quell'ombra in cui sono rimaste le cose che

nemmeno noi abbiamo, di cui abbiamo pienamente conoscenza, conoscenza, che sono l'ombra

culturale che c'è un po' generato.

E quindi, in questo caso, il Paese dei Coppoloni, come radice anche, è una radice mitica.

Per me l'Altirpinia, che è il luogo dove non sono cresciuto, ma dove sono cresciuti i

miei genitori, faceva parte proprio una zolla di terra, un'ombra, che si sono tenuti attaccati

tutta la vita, che li ha definiti e che io ho vissuto di seconda mano, nel senso che

a mezzo del racconto.

Per me l'Altirpinia, poi da adulto, ho iniziato a frequentarla come bacino di ancestralità,

perché ne intendevo il dialetto, perché ero ben nutrito da questi racconti, ma poi ci sono

volti altri racconti per dare profondità a quel racconto che altrimenti rimaneva così

mitologia familiare, ma è una specie di infanzia mitica, perché quello per me è stato l'ultimo

momento di assaggio, di appartenenza al mondo millenario, che è quella insomma della civiltà

cosiddetta della terra.

E questo secondo me è l'ombra che tutti noi un po' ci portiamo a qualsiasi lattitudine.

Siamo un'ombra che a volte è molto scura e anche violenta, altre volte il concetto

stesso di appartenenza è un concetto che può essere violento.

Per esempio, sempre in tedesco, c'è il Fatterland, che è il concetto della patria, del suolo che

ha sempre a che fare con il maschile, con il padre, quindi con il sangue, con la terra.

Invece questa parola femminile è molto più aperta che Heimat, cioè la cosa in cui ti senti

a casa.

È un'etica portabile, una Heimat, qualcosa che giustifica quella bella frase di De Martino

che dice che ognuno ha bisogno di un paese, ma a mio parere nel mondo contemporaneo non

abbiamo bisogno del paese così come era, poteva essere inteso all'epoca anche solo

dei miei genitori, ma di un Heimat da abitare, che è qualcosa a cui sentiamo in qualche

modo di condividere, di appartenere a coo.

A proposito di Irpinia, tu hai fatto un disco bellissimo che si chiama Canzoni della Cupa,

nel quale tu hai in parte rielaborato un repertorio di Canzoni folk del sud Italia e

in parte hai composto Canzoni tue.

Il pezzo che chiude questo disco si intitola il treno e a proposito di viaggi descrive un

mezzo di trasporto che in un certo senso spopola un paese, cioè arriva e come un uccello

si prende e si porta via tutti i paesani.

Questa figura del treno, che tra l'altro è una figura anche nella musica americana molto

importante, il treno, la ferrovia.

Come è nata l'idea di scrivere un pezzo del genere e che tipo di viaggio è il viaggio

di questo treno?

In Canzoni della Cupa, in realtà più che pezzi folk del sud Italia, ci sono un episodio

che viene dal Salento, ma sostanzialmente ho cercato di sempre nel piccolo paese, Calitre,

il paese di mio padre, dove c'erano degli anziani che cantavano ancora questa cosa, il

canto a Sonnetto.

C'erano diverse storie che venivano cantate in questo canto che è proprio sempre uguale,

però con le storie ho provato a farne delle canzoni, quindi lo dico solo perché era

un mondo molto circoscritto, quello a cui ho cercato di attingere, perché secondo me

è nel minuscolo che si può annidare il gigantesco se ci andiamo in profondità.

Io sono sempre stato un appassionato di treni, anche i trenini elettrici, ho subito da subito

da bambino il fascino del treno.

C'è un detto nel paese di mio padre, a Calitre, per dire quando ti metti in testa un'idea

un po' irrealizzabile, un sogno, se diceva che ti sei sognato il treno.

Il treno a cui fa riferimento questa canzone è uno dei questi gloriosi linee ferroviari

aperte a fine 800, quando il treno arriva proprio come il braccio, la luce del progresso,

ad opera fortemente voluto da un meridionalista importante come Giustino Fortunato che fa

anche una descrizione di questo treno che attraversa la valle dell'Ofanto, che è un

luogo dove non c'erano neanche bene le strade, quindi arriva il treno proprio come arriva

così la luce del progresso e poi seguendo le sorti, in realtà questo treno poi viene

finisce abbandonato e ora sono linee che sono state tagliate e che hanno dei percorsi

paese giistici straordinari.

Abbiamo fatto un festival che si chiama Spons Fest in Alti Irpini e la seconda edizione l'abbiamo

chiamata così.

Mi sono sognato il treno.

Era tutto, si svolgeva sulle stazioni abbandonate di questa linea ferroviaria e quella linea

ferroviaria che all'inizio doveva essere, come posso dire, l'arrivo del futuro, del

progresso, lo sviluppo, in realtà è stata la via di partenza negli anni 50, 60, era

quello il mezzo con cui si andava, dunque il treno a cui fa riferimento la canzone è

proprio il treno della storia con la S maiuscola, quella che travolge, quella che porta via,

i treni sono serviti a portare via i contadini per portarli al fronte nella prima guerra mondiale,

poi nella seconda e poi negli anni 50 l'immigrazione.

Destini che venivano decisi al trove e quindi questa humanità fuori dalla storia, vedeva

nel treno, infatti c'era una canzone bellissima di Otello Profazio, mannaggia agli ingegneri

che hanno inventato la ferrovia, se no all'America non si andava, come se dipendesse proprio dal

mezzo, erano invece i grandi flussi economici che determinavano tutto, spesso le canzoni

che portano via e segnano le migrazioni, come per esempio il rebetico che è un'altra

musica di assenza, cioè musica che è venuta da una guerra e quindi da gente che se ne

dovrà andare, è l'unica cosa che spesso si ha ad apportarsi è la cosa più immateriale

di tutti, cioè il ricordo di una canzone, di una musica, uno strumento possibilmente

non troppo ingombrante da portarsi dietro.

Allora dal treno alla macchina, c'è una parte della tua vita che si è svolta dalle

parti di Reggio Emilia e d'intorni e c'è una canzone che si chiama Sabato al Corallo

che mi fa pensare invece a una realtà più on the road, ricordiamolo questa canzone fa

parte del tuo disco d'esordio al lune 35 circa del 1990, che ricordi hai del periodo in

cui hai scritto questa canzone e come era la tua vita al tempo, come era girare per

questi locali e lo si faceva penso soprattutto appunto in macchina.

Io sono cresciuto in Emilia in un paese piccolo, scandiano, Reggio Emilia, che è anche il

paese di Luigi Ghirri, del fotografo e il paese di Matteo Maria Boyardo, va beh, ma

è anche il paese dove sorge tuttora questo dancing che è stato fatto negli anni 60,

a Corallo, e che negli anni 90, 80 aveva delle senate in cui si metteva un certo tipo

di musica, c'era una radio che la metteva e quindi c'erano queste grandi migrazioni

notturne per andare al Corallo, chi è cresciuto come me in quegli anni in un posto come scandiano

è cresciuto praticamente in macchina perché dovunque ci fosse andare e c'era continuamente

da andare, c'era andare a scuola, c'era andare a lavorare, c'era andare nei locali oppure

ci si è sempre mosse per forza di cose in auto, quindi l'auto fa parte proprio anche

della narrativa che per esempio è uno delle letture che ha cambiato la mia percezione

del mondo, è stato altri libertini di Pier Vittorio Tondelli che è un romanzo ambientato

completamente in quei luoghi, quindi si parla di nuovo della stazione dei treni, ma è il

posto ristoro della stazione di Reggio Emilia e poi c'è un bel racconto dove innumera i

bar che ci sono lungo la via Emilia tra Modena e Parma, questo fatto di doversi muovere

in macchina, ascoltare la musinica in macchina, farla morire in macchina, cioè ci si in un

certo senso vivia dentro, per cui dentro c'era un po' di tutto, la maggior parte del tempo

lo spesa sulle ruote mobili e anche la musica credo che sia almeno restato il luogo dove

meglio ci si fa raggiungere dalla musica, ho un amico carissimo che si chiama Tony Benzina,

il grande riparatore di Outuit, quanto diceva, uno dei suoi molti per descrivere quel periodo

era, erano tempi d'acceleratore, la vita ci ingravidava e la strada ci adottava, quindi

questo fatto che la strada in qualche modo sia anche un luogo amichevole, un luogo che

ti adotta, è un concetto con cui ho preso familiarità da subito.

Tu hai cominciato a suonare in un duo che si chiamava Blue Valentine, come un disco di

Tom Waits, e all'inizio della tua carriera molti critici e giornalisti ti hanno paragonato

spesso a Tom Waits. La cosa ti ha nato fastidio?

Ma nessun fastidio, perché fastidio, ma magari, no ma non è un paragono impossibile come

paragonare, perché Tom Waits è l'America, l'essenza stessa dell'America non si può,

cioè non si può separare Tom Waits dalla lingua che parla, dalla musica e lui è proprio

l'enciclopedia di tutta la musica americana, dall'inizio è più vicina magari al jazz,

poi il folk, poi il blues, poi il soul, cioè un rielaboratore con un stile personalissimo

di tutta la grande tradizione sia narrativa che musicale americana, quindi era bellissimo

sognare sui discritti di Tom Waits e anche su certa letteratura, però è impossibile

un'America che non esisteva da nessuna parte, se non in quelle canzoni, dunque uno poteva

abitarla cercando di fare quelle canzoni, infatti facciamo delle cover, io e la mia

innamorata era una storia molto romantica, io mi struggevo, avevo vent'anni e ascoltavo

un pezzo e lo cantavamo anche, che si chiama Marta, bellissimo pezzo del primo disco di

Tom Waits, ripreso immediatamente sei mesi dopo da Tim Buckley per dire che questa canzone

è una cosa insopportabile che c'è lui che si ricorda da vecchio di questi giorni che

erano i giorni che stavamo vivendo, che stavamo vivendo, cantavamo questa canzone già in

lutto per il presentendo quello che sarebbe venuto e che chiaramente è avvenuto, per cui

si è cantanti un po' prebiografici soprattutto tu quando si scrive o si frequentano troppo

le canzoni che parlano degli addi, come dice benissimo John Fante in un suo libro quando

dice che prova a essere scrittore, all'inizio lui legge Dostoyevski, legge questo e quest'altro

e poi la prima volta che veramente soffre ecco che insieme alle lacrime gli escono le parole

e quindi questo è proprio quella frontiera che c'è tra la letteratura e la vita o tra

il mondo diciamo che si è immaginato e appena sono restato da solo sulla strada ecco che

improvvisamente insieme alle lacrime sono venuto delle parole che non avevano più bisogno di una

mitologia esterna perché era soltanto la vita che aveva l'urgenza di cauterizzare quella ferita.

Dalla redazione di internazionale per oggi è tutto, scriveteci a podcast yoccio all'internazionale.it

o mandate un messaggio vocale al numero che trovate nella descrizione del podcast e dell'episodio.

E per ricevere una notifica quando esce un nuovo episodio iscrivetevi al podcast,

l'appuntamento con la serie stiva del mondo è domattinale 6.30.

Machine-generated transcript that may contain inaccuracies.

L’Irpinia, guidare sulla via Emilia, Tom Waits. Giovanni Ansaldo intervista il cantautore Vinicio Capossela.

Se ascolti questo podcast e ti piace, abbonati a Internazionale. È un modo concreto per sostenerci e per aiutarci a garantire ogni giorno un’informazione di qualità. Vai su internazionale.it/podcast

Scrivi a podcast@internazionale.it o manda un vocale a +39 3347063050
Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.