Il Mondo: I viaggi di Vinicio Capossela, parte 2

Internazionale Internazionale 8/8/23 - Episode Page - 14m - PDF Transcript

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Dalla redazione di Internazionale io sono Giulia Zoli, io sono Claudio Rossi Marcelli

e questa è la serie stiva del mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Questa settimana Giovanni Anzaldo, giornalista di Internazionale, intervissa cantatore Vinicio

Capostella sul tema del viaggio.

È martedì 8 agosto 2023.

Vinicio Capostella è un cantautore, musicista e scrittore italiano, a 57 anni.

Il suo ultimo album è 13 canzoni urgenti.

Nell'episodio di oggi parla di bel grado di blisi e di rebetico.

Vinicio, spesso nei tuoi brani hai cantato l'Europa dell'Est, che è una regione che ti affascina da sempre.

Per quest'ora vorrei parlare di un tour che hai fatto proprio da quelle parti nel 2022, che si chiamava Balcangiro.

In che posti hai suonato e che esperienza è stata per te?

Abbiamo suonato in novembre a Belgrado, a Scutari, a Tirana, a Peggia, in Kosovo, a Skopje.

Era una rotta che si riguardava quello che un tempo era la Yugoslavia e l'Albania.

Ci siamo andati con un mezzo adatto, cioè una bella Mercedes del 1968.

Ha un'affezione particolare fin da ragazzo da quello che era quel paese, che si chiamava Yugoslavia,

perché così si chiamava ancora quando andava a fare i primi viaggi.

Era molto bello, era come una specie di specchio, un cielo al rovescio, un richiamo tra una sponda e l'altra.

Il primo film di costurica che si chiama, ti ricordi di Dolly Bell?

C'è questo gruppo di ragazzini che suonano gli strumenti, il partito,

tutti quanti fanno questa rock band e cantano un pezzo di cellentano.

Quindi da lì si vede quasi l'esottismo, non è un pezzo americano, un pezzo italiano.

24.000 bacci, diciamo, con duecino.

Allo stesso tempo, la prima volta che ho fatto un giro, ho girato un certo punto in una piazzetta,

c'erano tutte le macchine che io ricordavo della mia infanzia quando andavo, per esempio, in Irpinia,

che lì avevano un altro nome che chiamavano Zastava, Zastava.

Però erano quelle vecchie Fiat, però appena un po' modificate,

e mi sembrava di trovare dei pezzi, insomma, un po' dell'infanzia,

di un mondo che andava perdendosi, che lì era intatto.

Naturalmente erano sensazioni molto superficiali, perché conoscevo la lingua e non stiamo parlando gli anni 80.

Il primo viaggio che ho fatto a D'Esta non avevo proprio nulla, avevo soltanto...

Avevo fatto la stagione improvvisando da me, Barban, ma senza sapere nulla.

Mi ero preso un manuale con la lista dei cocktail e mi è venuto buono qualche anno dopo

per fare un pezzo che si chiamava Lune 35 Circa, così.

Con i primi soldi di quella stagione, c'era un traghetto allora, no,

un Ali Scaffo che collegava Rimini a Pola.

E poi da Pola il treno per Belgrado.

Ecco, questo treno Pola a Belgrado ha segnato la mia iniziazione a un mondo diverso.

Intanto era pieno di fumo, non ci si vedeva dal fumo.

Correva questo treno con gli scompartimenti strapieni, con le leccote,

con tutte queste persone che fumavano le cose,

e poi c'erano queste beer che venivano servite direttamente da una tinozza,

si staccava le tichette, non sapevo neanche che marca avessero,

e tutta questa virulenza d'umanità, anche la stazione di Belgrado.

Ricordo con queste, anche destinazioni dei treni che allora erano destinazioni

che ci erano precluse, quindi vedevano Sofia, Mosca, Berlino, Est, Praga,

tutto quel mondo, niente, era un mondo altro.

E io sono andato fino a Bucharest, che all'epoca era veramente una città

davvero molto triste, perché era nel pieno del regime, diciao,

a trovare un amico violinista, avevo solo l'indirizzo scritto su un foglio,

ed è rimasto terrorizzato quando si è sentito bussare la porta,

perché, insomma, poteva essere qualcos'altro,

invece poi ha fatto una gran festa, e mi hanno fatto questo giro,

poi andando poi sul Mar Nero, dove c'è la tomba di Ovidio,

sempre fingendo, perché era proibito,

ho dovuto stare, ho detto io è sembrale Romeno,

o doveva stare, ho detto lui è sembrale,

era un altro mondo, con quei primi soldi ho fatto questo primo viaggio,

e poi dopo a seguire sono stati viaggi più musicali,

però a me è sempre rimasto questa sensazione un po' di, come se la parte non rassicurata

e non rassicurante del mondo fosse così verso quella parte,

attraversare l'adriatico è sempre una cosa molto che ha una sua emozione,

ed è un'emozione che permane.

Io adesso andrei ancora un po' più est, e vorrei parlare di Tbilisi, in Georgia,

che è un posto dove tu sei stato qualche anno fa poco prima del lockdown,

se non ricordo male, e ho scoperto che siamo stati nello stesso posto,

perché sono stato anche io a Tbilisi, che è il Café Linville,

e cercando su internet ho trovato questo video dove c'è di tu al Café Linville,

che ascolti in lontananza con una rosa e fai questo commento e dici,

la parte strumentale era molto bella, però peccato, perché io cantavo come uno stupido, perché?

Le canzoni purtroppo hanno il difetto che spesso uno le registra dopo poco che le ha scritte,

invece come il vino dovrebbero affinarsi, maturare, cosa che succede,

perché poi uno le canta dal vivo, passano gli anni,

quindi a volte capita come ascoltando quella canzone troppo nasale,

non c'era bisogno, c'erano delle forzature,

mentre invece l'arrangiamento è meraviglioso, l'ha fatto Tomaso Vittorini,

che è un musicista straordinario che è nipote del noto scrittore,

e ha fatto un arrangiamento esattamente così, vellutato come devono essere le rosa,

io canto come uno stupido, e questo proprio ho capito in un Café di Tbilisi,

però li ho capito anche altre cose, che avevo bevuto vini sbagliati fino all'ora,

perché i vini giorgiani nelle Anfore sono qualcosa che meritano veramente il viaggio,

la Giorgia è un paese incredibile, Giorgi Armani sono luoghi straordinari,

e Tbilisi è una città bellissima, nella sua fattiscienza, della sua decadenza, della sua bellissima.

Ci sono questi edifici brutalisti in mezzo alle case basse, no?

Tbilisi, che ogni tanto spuntano fuori, sono veramente incredibili.

E poi queste specie di balconate, di legno, che sono tutte le viste sono lì,

e poi andare lì nelle zone, lì nel cacchetti, come si chiamano, dove ci sono tutte queste vigni,

e poi il caucaso, i forzuti del caucaso, certo?

Invece adesso rispetto alla prospettiva italiana Andrea Sudest, cioè in Grecia.

A questo paese tu hai dedicato un libro, Tefteri, un disco, rebettico Guimnastas,

e un film, in debito, che hai realizzato insieme a Andrea Segre.

Tu sei stato lì, in quegli anni, nel 2012, nel periodo in cui si parlava molto della crisi economica in Grecia,

non solo in Grecia, in tutta Europa, c'era un forte dibattito sulla questione.

Citando Bob Dylan, cosa ti sei riportato a casa da quel tuo viaggio in Grecia?

È una storia lunga che è precedente, antecedente.

Il viaggio più significativo l'ho fatto su uno di queste vecchie Mercedes, proprio nel 98,

cercando di andare alla festa di San Giorgio, in Macedonia.

Per una deviazione sono finito a Salonico, e a Salonico, in una taverna,

mi è capitato per la prima volta di ascoltare il rebettico.

Ho visto un giovane che usciva da un posto con una chitarra a tracollo,

ha detto, ma si suona qua, ha detto, si suona a rebettico, e cos'è lui?

Ha detto, è Lenic Blues.

Io sono inorridito, ho pensato proprio ai giri di blues, cantati in greco.

Era giusto, era corretto, era un blues, nel senso che era un genere di musica fine,

come ce ne sono altri, musici che vengono dagli strati bassi della società,

dall'immarginazione, dall'uso di droghe, dall'uso del carcere,

di tutto quello che viene dalla parola rebett, che significa ribelle in Turco.

Quindi una musica che mi ha colpito come una specie di, sembrava più una congiura,

una cospirazione, perché sono entrati in un luogo dove...

La gente mangiava, ma tutti quanti cantavano insieme queste canzoni,

che anche se non si capiva il testo avevano comunque qualcosa nell'anima che accendeva una ribellione.

E poi quella ribellione l'ho compresa negli anni andando, informando,

mi andando a studiare, incontrando, ascoltando, leggendo,

e quindi allora i testi delle canzoni, ed è una musica straordinaria,

anche perché avviene tenuta viva in contesti molto umani,

come la taverna, è una musica corale che ha anche un valore etico

e che ho scoperto dopo i giovani, soprattutto i più giovani,

anche un certo tipo di giovani abituati alla contestazione, antissistema,

so quanto prendono quasi a bandiera identitaria.

Ed è una musica che in realtà non ha nulla di politico,

perché non ci sono canzoni esplicitamente politiche nel testo, ma è politico farlo,

cioè suonarle, eseguirle, farla praticarla,

e proprio prendendo uno strumento del rebetico che il baglamasca

è una specie di minuscolo buzuki che si usava perché si poteva nascondere bene,

si portava nella prigione, la potevi ricavare.

Quasi come fosse una di quei bastoni dei rabdomanti,

mi sono messo a cercare di capire qualcosa di quello che stava succedendo nel 2012.

Era successo che qualche anno prima, avendo questa passione,

avesse incontrato dei musicisti ottimi, Manolis Papos e altri,

e quindi avessimo registrato ad attene un disco

dove alcuni brani che avevo già registrato venivano suonati con arrangementi diversi

con quel tipo di musicisti che si chiama, appunto, rebetico gymnastas,

ma poi il disco era stato silente,

ma nel 2012 la Grecia era, come dicevi, sulla bocca di tutti,

perché c'era un aspro di battito, perché c'erano delle elezioni

che avrebbero potuto segnare se si fosse affermato Sirisa,

che sarebbe venuta una crisi dell'euro.

La Grecia era anche il paese dove gli effetti della crisi economica

e le ricette del fondo monetario della cosiddetta troika

erano più aspre e più avanti,

dove le conseguenze di queste politiche erano più visibili.

Quindi mi è sembrato doveroso cercare di capire qualcosa,

però partendo dal territorio che conosco meglio,

cioè quello dell'ambiente di chi suona il rebetico,

e cosa significava suonare quella musica in un momento di crisi?

Cosa ci si porta a casa?

La domanda crisi è una parola che viene dal greco,

che è crino, scegliere alla fine.

Quindi quando c'è una riduzione delle nostre disponibilità,

dobbiamo scegliere,

ma soprattutto dovremmo anche scegliere di cosa essere fatti,

a cosa dare un valore, a cosa no.

Un pochino nell'etica di questa musica,

di chi la praticava,

e anche di chi la pratica tutt'ora.

Secondo me c'era un modo di tenere dritta la schiena,

anche nella difficoltà,

e anche dove le cose che riguano le nostre vite

vengono decise altrove.

Quindi Tefteri e anche il documentario

fatto con Andrea Segre in debito,

si parla un po' di cose che invece riguardano in assoluto l'uomo,

perché l'uomo, la Grecia l'ha inventata a partire dal nome antropos,

che significa appunto il guardante in alto,

a differenza del Gaster,

cioè lo stomaco,

qualcuno che è soltanto un buco di appetito.

Questo tipo di domande è bene farsi in Grecia,

perché la Grecia da sempre,

a partire dall'etimologia delle parole,

è un luogo dove queste cose,

in qualche modo, sono state pensate

e continuano a essere pensate.

Quindi mi sembrava il punto d'osservazione a migliore

per capire cosa stava succedendo.

Poi, naturalmente, ci sono anche moltissime analogie

tra Italia e Grecia,

di là del noto, detto, una fazza, una razza,

però è vero che in Grecia le cose sono sempre andate un po' oltre,

cioè quindi più radicali.

In Italia poteva esserci la guerra civile,

dopo la seconda guerra mondiana, in Grecia c'è stata.

In Italia potevano esserci i colonnelli,

come nel bellissimo film con Tognazzi,

invece, lì ci sono stati.

E così, anche nella rivolta, nella contestazione,

in Grecia c'è comunque una linea un po' più avanti.

Dalla redazione di Internazionale per oggi è tutto.

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Belgrado, un caffè di Tbilisi e una teverna di Salonicco. Giovanni Ansaldo intervista il cantautore Vinicio Capossela.

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