Il Mondo: I viaggi di Paolo Giordano, parte 4

Internazionale Internazionale 8/24/23 - Episode Page - 10m - PDF Transcript

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Questa settimana analisa Camilli, giornalista di Internazionale, interviste allo scrittore

Paolo Giordano.

È giovedì 24 agosto 2023.

Paolo Giordano è uno scrittore italiano, ha 40 anni un dottorato in fisica.

Il suo ultimo romanzo è Tasmania, pubblicato dai Naudi nel 2022.

Nell'episodio di oggi parla di confinamento, turisti e cose da non dimenticare.

Durante la pandemia non è stato possibile viaggiare, uno degli effetti dell'epidemia

di Covid-19 è stato proprio interrompere tutte le relazioni, quindi anche gli spostamenti.

Abbiamo rinunciato a viaggiare per giorni, per mesi, per anni.

Ora a distanza di 3 anni dall'inizio dell'epidemia, mentre l'OMS ha dichiarato chiusa l'emergenza,

che cosa abbiamo scoperto sulla nostra attitudine, sul nostro desiderio di viaggiare, di spostarci.

Mi sembra che abbiamo scoperto che ha un'inerzia fortissima l'idea del viaggio,

che forse non è davvero un di più come magari pensavamo, cioè quella cosa che uno si concede,

ma è qualcosa di fondante, almeno per me, del vivere oggi 2023.

L'ho notato sia all'inizio della pandemia che dopo nella coda,

all'inizio una delle cose su cui sono stato più irreazionale,

è stato il cancellare dei biglietti aerei che avevo già emessi per marzo 2020,

e una parte della mia testa sapeva benissimo che partire sarebbe stato impossibile.

Eppure ho aspettato e aspettato perché questa idea della interdizione al viaggio mi sembrava una cosa meno accettabile di altre.

Quando la pandemia non era ancora veramente finita, abbiamo tutti ricominciato un po' a viaggiare,

a quel punto mi ero abituato all'idea che forse sarei diventato più saggio, ne avrei fatto molto meno,

avrei emesso meno CO2 inutile nell'atmosfera, e in meno di un anno sono tornato ai livelli prepandemici.

Quello che mi consola e non mi consola è che poi sono andato a vedere qualcuna del poche ricerche che ci sono su questo,

in realtà il turismo globale sembra quasi tornato ai livelli prepandemici in modo molto rapido.

Quindi c'è qualcosa di evidentemente profondamente legato al nostro vivere contemporaneo che ha a che fare con la possibilità di viaggiare.

Non sapremmo cosa farci ne un po' di noi stessi senza pensarci anche come dei turisti.

La pandemia è quasi irrappresentabile nella letteratura, nel pensiero.

La giornalista scientifica Laura Spigni ha scritto che per farse un'idea servirebbe qualcosa di più vicina all'oralità circolare usata da certi popoli africani.

Ma secondo te è per questo che è poco per niente rappresentata nella letteratura occidentale.

Durante l'epidemia sono andata a cercare dei libri narrativi che parlassero della Spagnola, per esempio,

e non ho trovato molto, a parte appunto davvero pochi casi,

nonostante molti intellettuali e scrittori dell'epoca fossero stati toccati direttamente dalla Spagnola con perdite di familiari.

Che libri hai letto durante la pandemia e in che modo secondo te finirà nella letteratura?

È stato strano anche nei mesi più intensi, in effetti tutti cercavano dei riferimenti in letteratura e tornavano sempre gli stessi,

cioè siano andati a parlare di Camus, di Manzoni e del Decamerone.

Queste erano i tre libri che continuamente venivano fuori, come se in effetti mancasse una tradizione del racconto epidemico.

Uno dei libri più interessanti che ho scoperto in coda tutto questo è stato Massa e Potere di Canetti,

in cui invece c'è un discorso sulle epidemie, sulle… come cambia, sull'idea di massa,

la massa dei morti che si crea nell'epidemia, che è esattamente il pensiero invece ricorrente che ho avuto

in quegli anni che poi mi ha portato a scrivere Tasmania, l'idea di come si racconta questa

massa invisibile di morti che si crea durante un'epidemia.

Perché in fondo quello che oggi dovrebbe rimanerci di più è proprio questo pensiero,

l'eccedenza di morte che siamo addirittura capaci di misurare oggi, l'eccedenza di morte che il Covid ha portato.

Allora questo io spero che nel racconto con il tempo trovi un suo modo.

Probabilmente c'è un tempo fisiologico da aspettare.

Mi colpisce che nell'ultimo anno siano uscite molte opere che parlano, che raccontano

l'astraggio del Bataclan in modi diversi, quindi c'è stato come un tempo di elaborazione minimo di 7-8 anni,

magari sarà così anche nel nostro caso.

Quello che invece mi preoccupa di più mi lascia più perplesso è il fatto che nella mente di molti di noi già,

durante la pandemia, ma soprattutto adesso, nella mente anche degli artisti,

la pandemia invece di un eccesso di morte, di sofferenza, dei mancati funerali,

dei mancati a dia, i cari che è stato veramente il trauma profondo che abbiamo vissuto,

si è diventato più un sinonimo dei nostri lockdown, del nostro isolamento

e che addirittura ci sia piuttosto diffusa una specie di nostalgia strana verso quella forma di vita ristretta

che evidentemente, soprattutto per chi era un po' più privilegiato,

poteva diventare anche un momento di pausa dorato.

Ecco però non è stata davvero quello, non è stata solo quella la pandemia.

La pandemia è stata una malattia tremenda innanzitutto e questo non sono sicuro di quanto e di chi riuscirà a raccontarlo.

Ha scritto un piccolo libro che si chiama Le cose che non voglio dimenticare,

quali sono le cose che non vuoi dimenticare,

qual è stato il primo viaggio che hai fatto dopo la pandemia

e che cosa ti sei portato dietro di quella esperienza, di quella esperienza anche collettiva?

Quello che cerco di non dimenticare è proprio l'ultima parola che hai usato, questo senso di collettività.

Non mi era così presente, non era in me così automatico.

Invece nelle prime settimane di pandemia l'ho sperimentato fisicamente come molti di noi.

Questa idea comunque di appartenenza collettiva a un momento della storia, a un qualcosa che stava accadendo.

Ho pensato che fosse molto promettente, che fosse la base necessaria per affrontare

un'infinità di altre crisi che sono ancora aperte, che sono anche più complicate del Covid stesso.

Non so come si è andata o come andrà su questo, ma il fatto stesso di averlo sperimentato

è sperimentato tutti io o ancora la fiducia che possa diventare una specie di precedente utile,

soprattutto interiormente.

Rispetto a tutti gli altri moralismi che sono fioriti subito con l'inizio della pandemia,

non ci credo allora, non ci credo neanche adesso, così come non ho creduto alla meraviglia

delle acque della logona di Venezia che improvvisamente erano diventate pulite

e dell'idea di un mondo, come dire, depurato della nostra presenza invasiva.

Non è stato così, sarebbe stato forse l'occasione per ripensare certi modelli aggressivi,

anche di viaggio, di movimento, di turismo.

Questo non è mai stato che io ricordi neanche tentato in quella fase o in quella successiva.

E questo appunto a me dice più qualcosa sulla nostra natura che su... sulla pandemia.

Dalla redazione di Internazionale per oggi è tutto.

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Il confinamento, il ritorno dei turisti, le cose da non dimenticare. Annalisa Camilli intervista lo scrittore Paolo Giordano.

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