Il Mondo: I viaggi di Paolo Giordano, parte 3
Internazionale 8/23/23 - Episode Page - 14m - PDF Transcript
Se ascolti questo podcast e ti piace, abbonati a Internazionale.
È un modo concreto per sostenerci e per aiutarci a garantire ogni giorno un'informazione
di qualità.
Vai su www.internazionale.it slash podcast.
Dalla redazione di Internazionale io sono Claudio Rossi Marcelli.
Io sono Giulia Zoli e questa è la serie stiva del mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.
Questa settimana analisa Camilli, giornalista di Internazionale, intervista lo scrittore
Paolo Giordano.
È mercoledì 23 agosto 2023.
Paolo Giordano è uno scrittore italiano.
A 40 anni è un dottorato in fisica.
Il suo ultimo romanzo è Tasmania, pubblicato dai Naudy nel 2022.
Nell'episodio di oggi parla della guerra di scrittori e di giornalisti.
Dal 30 gennaio al 9 febbraio del 2023 è andato in Ucraina e hai scritto per il Corriere
della Sera.
Nel viaggio ti sei fatto accompagnare da una scrittrice ucraina, Caterina, che avevi conosciuto
un festival letterario anni prima e che in un anno di guerra hai trovato molto cambiata.
Perché sei andato in Ucraina e perché hai voluto vedere la guerra da vicino?
In realtà per me c'era un legame già attivo tra scrittura e guerra che risaliva almeno
al secondo romanzo coscritto che si chiamava il corpo umano e che era ambientato interamente
in Afghanistan tra i soldati italiani.
Guerra è molto diversa, situazione è molto diversa, istinto a voler vedere, a volersi
avvicinare al teatro di guerra è molto simile invece, che è qualcosa che affonda un po'
in un mistero.
Da una parte mi dico che era lì da prima, nel senso che ho sempre avuto una forte attrazione
per la letteratura di guerra, innanzitutto per i film, per un certo tipo di filmografia
di guerra.
In Afghanistan, ad esempio, ero andato stimolato, attivato da un film di quegli anni, un film
di Catherine Bigelow che si chiamava The Hurt Locker, che mi aveva fatto intravedere
qualcosa che poi continua a cercare nella guerra, che è proprio perché certe persone,
soprattutto giovani, avvertono quella chiamata e cosa c'è che a un certo punto crea anche
quella dipendenza da un certo sistema che nella guerra nel conflitto si attiva, ed
è qualcosa che ha a che fare con credo una estrema vitalità, un'estrema energia anche
sessuale a volte che si esprime e con il fatto che l'essere umano in quei contesti
è come se venisse fuori, spogliato di tutta un'opacità che invece ci tiene un po' in
ombra, un po' coperti, un po' inaccessibili nella vita normale.
L'Ukraine è molto diverso, nel senso che l'Ukraine è una guerra che non ha chiamato
dei professionisti, ha chiamato delle persone molto simili a me, a te, a noi e gli ha
chiamati in un contesto quindi non avrebbero mai voluto partecipare.
Uno dei motivi per cui ho sentito fortissima fin dall'inizio la pulsione di andare è proprio
perché io conoscevo alcune di queste persone, ero stato in Ukraina più volte prima, c'ero
stato in un contesto pacifico, c'ero stato per delle fiere del libro, c'ero stato per
promuovere i miei romanzi lì e quindi avevo conosciuto scrittori, scrittrici come me,
persone dell'editoria e quando gli ho contattati nei giorni dopo l'invasione sulla rcascala
mi sono reso conto che alcune di queste persone si erano ruolate nei primi giorni.
Allora questo discontinuità in delle vite che erano così affini alle nostre ma solo per
appartenenza geografica si trovavano pionbate, si trovavano precipitate in quella condizione.
Mi sembrava qualcosa con cui stabilire immediatamente un ponte e da quel momento di fatto non posso
dire di aver pensato veramente nient'altro se non all'invasione dell'Ukraine.
Con Caterina, la tua amica scrittrice attivista, vi siete spinti fino al Dombas,
Kramatorsk, Bakhmut, avete portato dei vivere e dei rifornimenti ai soldati che erano al fronte,
poi siete risaliti verso Izyum Kiev. Cosa hai visto in Ukraina che ha incontrato e come è cambiato
il tuo sguardo se è cambiato sul conflitto dopo esserci stato?
In realtà il mio sguardo non è cambiato, dico con un po' di per quanto possa essere
una formazione controversa che non è stato un viaggio che ho intrapreso per cambiare sguardo.
Credo ci siano delle posizioni, questo come dire è la mia fede nel giornalismo,
ci siano delle posizioni che si possono prendere semplicemente grazie all'informazione giornalistica
di un certo tipo che abbiamo, che non ci sia bisogno di essere dei santo maso per vedere con
i propri occhi. Questo vorrebbe già dire non credere a ciò in cui invece io, quello che per me è uno
dei pilastri del nostro vivere civile. Quello che volevo aggiungere era la mia reazione personale
da scrittore davanti a quel tipo di paesaggio ed effettivamente il livello di distruzione che
sapevo, che avevo anche visto in fotografia, ma seguirlo, trovarci sì davanti,
vederlo giorno dopo giorno per molte ore al giorno ha un effetto. Sulla tua emotività,
sulla mia emotività ho avuto un effetto molto forte, in particolare le zone di Izium che hai
citato, vedere le fosse comuni, trovarsi a Bucia anche dove in realtà era stato tutto già appianato
in un certo senso, ma arrivarci con la consapevolezza di quello che avevi letto. Beh, in quel senso
essere nel posto ancora un valore che è una strana forma, non vorrei risultare cinico nel dirlo,
il contrario, ma per uno scrittore o una scrittrice è una strana forma di investimento nel modo che
puoi avere di parlare della realtà. Io credo che per chi scrive avere il contatto con l'orrore
sia una necessità, almeno per me è una necessità, altrimenti non so dove affondano davvero nel senso
le cose che posso raccontare dell'oggi. Simone Weil o Ernest Hemingway,
nel conflitto civile spagnolo Susan Sontag, nella guerra dei Balkani, sono andati a vedere anche un
po' per partigianeria, cioè perché volevano metterci il corpo, cioè questo aspetto anche nella
tua esperienza. Non c'è l'aspetto eroico che viene anche un po' celebrato ad esempio da un autore
come Hemingway. Io ho sentito però un'attinenza, ad esempio ho riletto Ruel, quello che scriveva
nel ventri della Balena proprio all'inizio del conflitto e l'analogia l'ho sentita nel
senso che ho percepito che l'invasione dell'Ukraine era una nostra guerra, questo per me risolveva
anche una serie di relativizzazioni che sono molto state fatte all'inizio, perché l'Ukraine è non
però la Siria, altri conflitti che abbiamo più trascurato, perché io sentivo istintivamente,
forse anche perché ero stato l'imprecedenza e conoscevo delle persone, però sentivo che quella
era una guerra per cui noi avevamo una chiamata diretta, anche partigiana se vogliamo. Mi sono
interrogato su questo, per una settimana dopo il 24 febbre sono rimasto paralizzato nell'idea di
andare, non andare, andare, non andare, con l'idea proprio che dovesse invece essere attivo, mettere
il corpo come hai detto. Poi mi è sembrato velleitario ma non ho mai creduto che questo fosse
un conflitto in cui fosse necessario tenere una imparzialità, non ho mai creduto nell'imparzialità
rispetto all'invasione dell'Ukraine. Sei uno scrittore ma interveni spesso sui giornali e
non scrivi come fanno di solito gli scrittori solo di libri o di cultura, di questioni letterarie,
anzi spesso ti occupi come in questo caso di attualità. Il reportage è in fondo sempre un
viaggio come genere nasce nella letteratura di viaggio, perché da scrittore sei così interessato
a questo viaggio nella realtà che è il giornalismo che ha molti paletti però rispetto a quelli che di
solito sono dati a uno scrittore. Cioè da dire che questo è abbastanza comune nella tua generazione
nel momento che sta vivendo anche la letteratura, ma come si interseca questa passione per il
giornalismo e per la realtà appunto con la letteratura e con la tua passione per la
narrativa invece? Io non sono partito dalla realtà come scrittore, sono partito davvero
dall'invenzione, dall'immaginazione. Anzi per molti anni ho sentito una carenza come l'ho
sentita quasi come una forma di colpa di qualcosa in cui stavo mancando il rapporto con la realtà
diretta, poi sarà una questione di invecchiamento semplicemente, però con il passare degli anni
sento sempre più forte questa chiamata alla realtà al partire dal fattuale, da ciò che mi sembra
rilevante e che sta succedendo attorno. Per esempio per lungo tempo io mi sono impedito di
commentare la realtà attivamente, non sentivo di avere le carte in regola per farlo, come se ci
volessero un qualche tipo di studio anche in quel caso. La fisica in questo ti dà un'impostazione
un po' dogmatica, puoi parlare solo se. E poi lentamente credo di aver allentato questo e quindi
di essermi concesso. Una attenzione alla realtà che in effetti forse poi è quella che mi muove di più,
ma non ho mai avuto alcuna confusione tra il mio ruolo e quello di un giornalista o di una
giornalista. Per me non c'è mai sovrapposizione fra le due attitudini, sono veramente due approcci
diversi. Un certo tipo di oggettività, di attenzione alle fonti, di deontologia che i
giornalisti conoscono e che mi riguarda solo fino a un certo punto, nel senso che alla fine quello
che io come scrittore cerco anche nelle situazioni in cui ti trovi a contatto con i giornalisti è
sempre di capire me stesso in quella situazione, non di capire la realtà in quanto se stessa,
ma di capire me in quella realtà. Credo che questo divida proprio i due campi senza creare nemmeno
così tante ambiguità. Perché secondo te questa è qualcosa che non riguarda solo te, riguarda
evidentemente più di una generazione di scrittori, è Manuel Carrera il più famoso tra questi,
ma c'è un'iniezione molto forte di realtà, anche la letteratura sta cercando in questi anni,
come un bagno di realtà. Secondo te perché? È come se qualcuno ha detto in fondo una debolezza
della letteratura e che cosa ne pensi? C'è una divericazione nel senso che accanto a questo
movimento verso la realtà che soprattutto per chi scrive significa non posso parlare di null'altro
se non di quello di cui sono testimone diretto, quindi è una autolimitazione molto forte dell'invenzione
che esiste negli ultimi anni, è un problema che io stesso mi pongo. Questo si diverica con una
tendenza quasi opposta che quella di andare, pensiamo alle serie tv, di andare verso invece
l'invenzione più inventiva in assoluto, il dispositivo puramente narrativo o in letteratura,
ad esempio il retro datare, moltissimi romanti, c'è molta letteratura che oggi di autrici magari
di 25 anni che ci scrivono storie ambientate nel fascismo, quindi è un modo in realtà per,
secondo me, scartare dallo stesso problema. Qual è il problema? Credo una difficoltà reale nella
vera che fare con il contemporaneo, perché è molto complesso, molto diramato, richiede molta
esperienza in diversi campi e c'è questa sensazione continua che il contemporaneo sopravanzi è superi,
in velocità la nostra capacità di renderlo narrazione, quindi ci si chiude su quello che
sicuramente è nostro dominio o si va in dei posti che ci sembra essere più controllabili
perché già un po' di ceriti. Il contemporaneo è complesso, purtroppo è l'unica cosa che
mi è interessata davvero. Dalla redazione di Internazionale per oggi è tutto, scriveteci a
podcastkiocciolainternazionale.it o mandate un messaggio vocale al numero che trovate nella
descrizione del podcast e dell'episodio. E per ricevere una notifica quando esce un nuovo
episodio iscrivetevi al podcast. L'appuntamento con la serie Stiva del mondo è domani mattina alle 6.30.
Machine-generated transcript that may contain inaccuracies.
Guerra, scrittori e giornalisti. Annalisa Camilli intervista lo scrittore Paolo Giordano.
Se ascolti questo podcast e ti piace, abbonati a Internazionale. È un modo concreto per sostenerci e per aiutarci a garantire ogni giorno un’informazione di qualità. Vai su internazionale.it/podcast
Scrivi a podcast@internazionale.it o manda un vocale a +39 3347063050
Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.