Il Mondo: I viaggi di Luciana Castellina, parte 5

Internazionale Internazionale 8/18/23 - Episode Page - 13m - PDF Transcript

In Edicola c'è un numero speciale di Internazionale. Viaggio. 164 pagine di reportage, racconti di viaggi e immagini dai quattro angoli del pianeta.

Dalla redazione di Internazionale io sono Giulia Zoli.

Io sono Claudio Rossi Marcelli e questa è la serie estiva del mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Questa settimana Vanessa Roghi, storica e autrice di programmi per Ray 3, intervista Luciana Castellina.

È venerdì 18 agosto 2023.

L'intervista è una giornalista, scrittrice e politica e letta più volte nel Parlamento italiano e in quello europeo.

Nata nel 1929 è stata tra le fondatrici del quotidiano il manifesto.

Nell'episodio di oggi parla di emigrazione, Europa e scuola.

La cosa che colpisce nei tuoi racconti e nelle tue riflessioni è comunque il fatto che per capire la storia bisogna viaggiare.

Cioè non c'è niente che affonda nel passato remoto che non diventa un po' più chiaro se si va a vedere poi dove è conoscente.

Lo dicevi appunto relativamente alla storia dell'Unione Sovietica, della Siberia, della guerra civile.

Ma appunto questo credo che funzioni anche quando si pensa alla decolonizzazione, all'America Latina, all'Africa.

Andare a vedere i luoghi da dove certe storie arrabbiano.

Ci le rende immediatamente più chiare, anche se ovviamente come tu stessa dici non è sufficiente stare 15 giorni o 20 giorni o un mese in un posto per cercare nemmeno lontanamente di capirlo.

Ma certo appunto aiuta su questa idea, su questo sguardo appunto sulla necessità un po' di andare nei luoghi e quindi di metterli in un posto in un posto in un posto in un posto in un posto in un posto in un posto in un posto in un posto in un posto in un posto in un posto in un posto in un posto in un posto in un posto in un posto in un posto in un posto in un posto.

E' una idea su questo sguardo appunto sulla necessità un po' di andare nei luoghi e quindi di mettersi poi nei panni degli altri.

Io vorrei introdurre questa ultima parte della nostra conversazione, riferendomi ad un tema molto attuale che è chi ha il diritto di viaggiare,

chi ha il diritto di andare nei luoghi e vedere che cosa ci succede.

Recentemente la nostra premier ha detto che noi dobbiamo in qualche modo operare per difendere il diritto di non emigrare.

Io trovo che sia una cosa terribile questa idea che le persone debbano avere un diritto di non pensare di potersi spostare, che questo sia addirittura venduto come un diritto.

Come è possibile che siamo arrivati a pensare che si può partire dalla propria luogo in cui siamo nati o siamo cresciuti?

Soltanto se esiste un problema drammatico, una guerra, una carestia, una malattia e non perché ogni asseri umano ha il diritto di decidere quando viaggiare, se viaggiare e come farlo.

Viaggiare anche in Europa, nessuno conosce l'Europa e io sentire continuamente che ci si lamenta per quanto l'Europa è stata fatta male non dipende dal fatto che i trattati andrebbero certamente buttati via i rifatti,

ma dal fatto che si è partita dall'idea che in Europa erano tutte uguali, cose che non è vera per niente.

Tanto è vero che la debolezza dell'Europa, perché finché i tedeschi continuano a pensare che i greci non lavorano e i greci pensano che i tedeschi sono tutti nazisti, cosa vuoi fare alla solidarietà?

L'Europa è diversissima, non solo, ma in ogni paese c'è un monumento che testimonia la vittoria sul suo vicino.

Non si è merificati a fare un libro di storia comune per questa ragione.

È mai stato fatto una lotta comune? Adesso penso un po', c'è il salario di città di lanza, oppure il minimo, ognuno c'è una proposta un po' diversa.

Lo stanno facendo in tutti i paesi d'Europa, ma non si potrebbe fare una campagna comune, l'unica battaglia comune che è stata fatta è stata quella del pacifismo,

che è stata davvero una cosa che è partita dalla società civile, è la prima volta che si è creato un movimento europeo.

Una delle poche cose buone che ha fatto l'Europa è lo rasmus degli studenti che vanno a vedere con l'osce, ma perché gli studenti?

Io voglio fare le rasmus degli spazzini, perché non è possibile, visto che lì mi ho detto che c'è uno dei problemi fondamentali che ci abbiamo nel nostro tempo,

perché non è possibile che Roma mandi due dei suoi spazzini a Parigi per sei mesi e quelli vengono qua a fare la stessa esperienza?

Perché non allarghiamo tutte le possibilità di conoscersi andando a vedere, stando a quello posto, non solo gli studenti,

ma tutte le varie professioni che si possono fare a curiciare per l'appunto degli spazzini?

O noi facciamo questo? O l'Europa è borta, perché non c'è un corpo, un soggetto.

Solo questione invece che tu ponevi, io credo che sia.

Voglio parlare delle nostre colpi una volta tanto, non solo di quelle della meno uniche, sono anche più facili da indicare.

Noi in Italia uno dei paesi dispa moltissimo per gli immigrati, c'è una grande attività di solidarità,

è anche molto bello, perché sono la mia organizzazione che è l'Arci che lavora però,

con Pax Cristi, con Colcari, etc.

Però non facciamo abbastanza per dare soggettività politica agli immigrati,

che quindi si sentono sempre in una condizione di oggetti di carità.

Papa Francesco, che è l'uomo più di sinistra che c'è in circolazione in questo momento,

ha detto in una delle sue incigli qualcosa bellissima,

non serve una politica per i poveri, cioè la carità, serve una politica dei poveri,

e cioè la soggettività dei poveri.

Allora, noi non li aiutiamo a sentirsi superiori agli stupidi italiani attaccati con i piedi alla loro terra.

Il cittadino di domani è il nomade, non è lo zappatore.

E allora, quante le volte che sento anche quelli che sono stati,

i migrati che sono qui in violuta molto tempo, etc., che devono difendersi da queste sciurrette che dicono,

ma tu, certo, hai capito, sei qua, non sei abbastanza italiano, tanto c'era pelle scuole,

e che non dovrebbero noi aiutarli a risponderli.

Tu sei una poverasceva che conosci solo la tua cultura

e non conosci altro che quello.

Noi ne ricorsiamo due, tre di colture, abbiamo viaggiato, vogliamo viaggiare ancora,

e devi tu essere della che finalmente prende coscienza che il mondo si circono,

le merci capitali, etc., devono essere circolari anche gli uomini,

e quindi cominciano a prendere in giro che gli migrati possano essere capaci,

ma bisogna anche aiutarli, aiutarli a sentirsi fieri della loro identità,

a far conoscere, per esempio, la prima cosa che dovrebbero fare.

In quasi tutti i comuni c'è il mediatore culturale.

Che fa il mediatore culturale?

Racconta agli italiani come sono usati i digeriani.

Segna i digeriani come si fanno diventare italiani, come si fanno i digeriani.

Ma non c'è nessuno che insegna gli italiani, che causano solo i digeriani,

che causano solo gli africani, gli asiatici, e così via.

Nessuno ha mai raccontato agli italiani dove stanno i fili fili.

Allora tutto questo è, credo, fondamentale,

per aiutare appurre la questione reale dell'immigrazione,

è che oramai il mondo è globale, non può essere globale per il capitale

e non essere globale per gli umani.

Come diceva Don Lorenzo Milani, la lotta di classe,

quando la fanno i ricchi e le eleganti, quando la fanno i poveri.

Esatto, è quindi questa questione qui,

io credo che va da posta con enorme forza,

è perché corrisponde un fatto storico,

cioè non siamo più in un'epoca in cui gli umani

mettono i piedi fissi nel terreno che debbano zappare, è diverso.

E se non si fa questo, sarà sempre una tragedia.

Oggi ogni viaggio potrebbe iniziare dentro una qualsiasi classe,

di una scuola primaria, di un qualsiasi comune d'Italia.

Entrare dentro una classe e vedere i bambini da dove vengono,

adesso sarebbe già un bel viaggio nel mondo.

Pensa quanti comuni gemellatici sono in Italia,

se uno si prendesse davvero cura del palciposto con cui gemellanto,

da se anche a vederli quando sono arrivati sul tuo territorio

e farsi raccontare dai bambini,

non è mai accaduto che si facciano raccontare i bambini migrati,

la loro storia.

Ci pare normale che questi bambini vengono qua e devono studiare l'italiano

e devono disimparare la lingua del paese da dove vengono.

No, dovrebbero continuare ad avversare,

così come per essere cittadini del mondo.

Ma come è possibile?

Noi siamo veramente cresciuti in un mondo

nel quale il problema degli altri era davvero il problema nostro.

Io stessa da bambina era ragazzina, avevo la stanza tappezzata

di manifesti con il cilene nel cuore, i saraui,

tutte le lotte di liberazione che ci riguardavano,

ed era una tradizione che, per girare anche gli anarchici ogni tanto,

risaliva quell'internazionalismo per cui la nostra patria è il mondo intero.

Ora, come è possibile che oggi appunto in un mondo globalizzato,

quindi così interconnesso, invece questa dimensione del sentire vicino,

la lotta di chi sta più lontano è praticamente scomparza?

Perché sai, la cosa tragica che è avvenuta sono due cause questi anni.

Uno è la crisi del noi, io da solo forse me la cavo,

questa è la Roslogan, c'è anche un libro che era bellissimo,

e il noi non esiste più, cioè pensare collettivamente con i diversi.

Io mi sento anche un po' irresponsabile di questo,

perché ho presentato per tanti anni la commissione cultura del Parlamento europeo,

e noi siamo stati ossessionati del riconoscimento e il diritto alla differenza,

e però c'è un rischio, ognuno si tiene la sua differenza

e si fa i nostri sindaci, quindi sono quelli razzisti, lasciavano i perdi,

poi si dividono in due categorie, quelli che ti dicono,

io sono così buono che ti faccio diventare italiano,

cosa che per esempio gli inglesi non fanno, gli inglesi certanto,

non potrei mai diventare come gli inglesi, quindi lascio perdere,

invece francese o diventi franceso, sono niente.

Oppure sono quelli che gli dicono, no, io riconosco la differenza culturale,

tanto che ti dò un terreno dove tutti fai la moschea,

e poi ti lascio fare che tu scrivi il campo per te della tua cultura.

Il problema è l'intreccio delle culture, il dialogo.

Le culture non è come le rane o le piante che devono essere conservate

in nome della biodiversità, sono cose che se non si inestano,

perdono il loro significato storico.

E allora c'è una bellissima frase di Eduard Zahid,

gran e intellettuale palestinesa, che dice

l'altro mi è necessario perché mi aiuta

a avere un rapporto dialettico con me stesso

e mi aiuta a capire come mi può arricchire.

E questo è la battaglia di oggi,

perché noi andremo, siccome c'è una crisi del capitalismo,

ormai ci sarà una lotta disperata per le risorse del mondo

e questo sarà la guerra mondiale.

Se non ricostruiamo in noi il rischio è pesante.

Luciana, grazie di questa opportunità davvero

di sentire dalla tua voce tante storie che ricostruiscono

una trama che è proprio quella dei luoghi e del tempo

che abbiamo lasciato alle spalle

e che continuiamo comunque ad attraversare tu.

In un tuo libro Citi Zid, che dice un viaggio,

è sempre quello che si scopre o si riscopre

la memoria di quello stesso luogo,

scoprire, riscoprire e poi ricordare che è quello

che abbiamo fatto insieme oggi.

Quindi ci auguriamo di continuare a farlo insieme,

ti ringraziamo e buon viaggio.

Grazie, come avete dato l'opportunità di ricordare

tante cose che uno poi nel corso della vita

finisce per rimuovere.

Quindi sono tornata la giovedezza, l'autostop.

Dalla redazione di internazionale per oggi è tutto.

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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni, con Vincenzo De Simone.
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Direzione creativa di Jonathan Zenti.