Il Mondo: I viaggi di Luciana Castellina, parte 2

Internazionale Internazionale 8/15/23 - Episode Page - 13m - PDF Transcript

In Edicola c'è un numero speciale di internazionale. Viaggio. 164 pagine di reportage, racconti di viaggi e immagini dei quattro angoli del pianeta.

Dalla redazione di internazionale io sono Claudio Rossi Marcelli.

Io sono Giulia Zoli e questa è la serie estiva del mondo, il podcast quotidiano di internazionale.

Questa settimana Vanessa Roghi, storica e autrice di programmi per i3, intervista Luciana Castellina.

È martedì 15 agosto 2023.

C'è una giornalista scrittrice e politica e letta più volte nel Parlamento italiano e in quello europeo.

Nata nel 1929 è stata tra le fondatrici del quotidiano Il Manifesto.

Nell'episodio di oggi parla di Roma, Praga e Sarajevo.

È molto bella questa cosa.

È molto bella questa cosa che dici che la scoperta della politica dopo appunto 20 anni di fascismo

significava anche incontrare non le persone come noi, ma quelle diverse da noi, no?

E tu appunto in questa famiglia francese lo racconti nel tuo libro Scopri, quella Francia di Viscino.

Mi sembra che dici quella Francia appunto conservatrice, quella Francia di Viscino.

Tutto e due caffè di flore è una Francia che sembrava più conservatrice di qualse fosse l'Italia.

Esattamente.

Ma la cosa è che colpisci appunto in questa scoperta della politica è anche appunto un altro elemento

sul quale tu sei passata, come dire, dando un po' per scontato, ma che io invece credo sia interessante.

Cioè appunto la tua scoperta della politica è anche un altro elemento sul quale tu sei passata,

come dire, dando un po' per scontato, ma che io invece credo sia interessante.

E appunto la tua scoperta invece di chi ancora non era come te, ma insomma si stava lavorando

perché lo diventasse cioè il Partito Comunista, no?

Come incontri questa realtà che poi diciamo attraverso la quale, grazie alla quale,

ma anche insomma in favore della quale tu inizierai a viaggiare come una trattola tutta la vita?

Quando mi chiedo lo Partito Comunista e io dico il Partito Comunista mi ha consentito

di scoprire il bordo, di uscire dal getto del mio quartiere, del mio uscito sociale,

della mia storia e conoscere il mondo. Lo conosciuto in modo molto traumatico

il Partito Comunista perché la prima volta che l'ho incontrato era 9 giorni dopo la liberazione,

dopo la liberazione, non di Roma che era riveduto un anno prima, ma insomma del 25 aprile,

cioè il 4 di maggio 1945, prima manifestazione per Trieste Italiana,

immediatamente organizzata, io per via del nonno, figurati, ero in prima fila,

arriviamo con tutti i cortei delle scuole di Roma a Piazza Esebra, allora si chiamava Piazza Repubbite,

si chiamava Piazza Esebra, a Piazza Rapiena, mi ricordo sempre che dissi alla compagna di scuola

che stava vicino a me, vi è visto come riuscita bene la manifestazione, la pazza è piena,

la Piazza Esebra è piena di operari comunisti che ci picchiarono a Tisanta del giorno.

Questo è stato il primo contatto che ho fatto con il Partito Comunista, perché?

Perché noi non lo sapevamo, ma la nostra manifestazione era stata organizzata da un gruppetto neofascista

nel capitano Penna Bianca che contemporaneamente dette l'assalto armato alla sede del Partito Comunista

che allora stava all'angolo di Via Nazionale. Ci vorrono volte da ormi, la polizia che incontrò,

insomma tutto un paio d'ore di casino in menso, perché messi tutti a calmi dal sede del Partito Comunista

esce un drappello piccolo e uno fa un comizio volante e quell'uno era un destino.

Il destino cominci a raccontare quello che i fascisti dal 22-23 avevano fatto con gli Sloveni,

cioè la prima polizia etnica, quella che è stata fatta ai palestinesi, esattamente.

I Sloveni vivevano nel frio lì da secoli, avevano il terro, stavano lì e sono stati cacciati

con le biracce, con gli uniscidi, in tutti i molti.

E mentre lui parlava, io mi sono fermato a rifletere e ho detto,

Dio mio, a Casamielli, i Sloveni vengono chiamati sciavi, sciavi.

E allora mi ha impressionato e così mi ho detto, c'avessero ragione questi comunisti.

E allora, il giorno dopo, a scuola, cercano i comunisti e a scuola, trovai Cittomaselli,

il quale Cittomaselli dirigeva il circolo culturale, erano tutti comunisti.

E così naturalmente mi fece partecipare.

Anzi, la prima cosa che ho fatto per il Partito Comunista,

cioè per il circolo culturale del tasso,

fu una conferenza sul cubismo, perché io allora volevo fare i pittori,

quindi sapevo cos'è il cubismo e così piano piano mi hanno reclutato.

S'è stato comunque traumatico, la prima volta l'ho incontrato,

ma ho preso a botte per il Comunista.

È sempre interessante leggere questo momento dell'incontro

con un soggetto politico che poi farà parte sostanziale della propria vita,

ma soprattutto è molto interessante raccontare, diciamo,

ricordare come le donne si avvicinano a questo soggetto

che sicuramente non si poteva definire femministra,

anche se, come disse una volta una deputata democristiana,

era una questione di decenza democratica,

il fatto di dover dire che comunque a questo punto

ci volevano anche le donne nella costituente,

poi in Parlamento e così.

Ora tu, del Partito Comunista, scopri subito,

non solo questa essenza di fondo un po' maschilista,

ma sulla tua pelle, quando in un altro viaggio,

fraga, decidi, visto che non si sapeva quando si sarebbe tornata in Italia,

di farti un bel giro insieme a tre compagni inglesi che avevi incontrato,

peraltro uno, se non sbaglio, figlio di Carpolani,

come avresti scoperto poi, il grande studioso insomma.

E ci fu qualcuno che ti fece la predica quando tornasti indietro,

non ho decisi perché appunto quella storia dei bicchieri

su cui non si pone la bocca due volte.

Il Partito Comunista era molto, come dire, molto bigotto allora,

perché aveva paura che ci fosse una crinita e un'accusa dei cattolici,

quindi stava molto attento.

Quando io andai con questi tre di Salvini facciamo un viaggio in autostoppio,

pensavo che l'autostoppio fosse un autobus,

invece non avevamo mai visto l'autostopio nella nostra vita,

e quindi va bene.

Quando tornai da questo viaggio,

la storia era che io ero scappata con tre basche inglesi

e quindi trovai un piccolo tribunale a Braga presieduto da Giuliano Paietta,

che mi fece tutta una predica, dicendomi appunto che ricordavano mille parole di Clara Zetkin

e poi di Lenin, che parlando con Clara Zetkin aveva detto che

i bicchieri non piaccia nessuno, per dire da un bicchiere che dove si siaggiava,

la traccia di un'altra bocca.

E io non capio neanche di che cosa mi parlava,

devo dire la verità, anche perché io avevo avuto un'educazione mitele europea

e quindi molto puritana.

Credo che sia stata l'unica che è tornata a Vergine, da Braga,

che tutti quelli che erano cattoli ci sono quasi tutti i matrimoni

del partito comunista si sono iniziati a Braga,

però certo l'idea che mi dicevamo, facessero questa cosa non ho capito niente,

quindi a me è cominciata così.

Dicevi che appunto quando hai sentito la parola autostop

per la prima volta pensavi fosse un mezzo, no?

Però racconti anche che invece tu questo mezzo, diciamo,

orto d'osso l'hai usato tanto per viaggiare?

Il mezzo migliore per viaggiare l'autostop,

perché uno incontra la persona e situazioni che se avesse preso un treno

non avrebbe mai avuto modo di incontrare.

La difficoltà nella cicoslovachia, perché allora la cicoslovachia del 1947

è che non c'erano le automobili,

quindi viaggiamo soprattutto su dei carri di fieno,

con i contadini, andando poi quindi a dormire nei fienili.

Cioè conoscemo una cosa che a me mi è colpì molto,

perché andiamo a Carlo Vivari, tutti i posti di cui le mie zi e tre stile

mi avevano parlato quanti dei grandi luoghi,

delle terbe, della villaggiatura dove loro andavano,

in quanto a Ostriac.

L'ho conosciuta invece, dove tutto questo,

qualsiasi mangiare nel 1947 non c'era più traccia,

però c'era questo mondo,

quindi ho scoperto, non solo la cicoslovachia,

ma il mondo contadino, visto in una dimensione diversa

da quella del Veneto che avevo conosciuto io.

Poi partiamo lì il seppe al Praga che stavano formando

una brigata internazionale per andare a fare i volontari

nella costruzione della ferrovia Shamak San Diego,

in Tugoslavia, che era stata distrutta dalla guerra.

Naturalmente pensai che era una buona occasione

per vedere finalmente...

Per fare il facchino, finalmente.

Finalmente, tre esti e abito quindi questo,

quindi mi scrisse immediatamente.

E finalmente ero molto difficile fare una brigata allora,

perché in quell'estate tutti hanno cambiato

in qualche modo la nazionalità.

Io mi ricordo a Praga nel corso del Congresso internazionale

degli studenti che ci fu un indiano che arrivò

alla notizia, mentre c'era il Congresso che l'India

era diventata indipendente.

E mi ricordo ancora un ragazzetto delegato,

un illese con i capelli rossi, che arrivò all'idesa

e tutto l'imbroglio dell'imbrialismo,

invece era diventata indipendente l'India.

Quindi quando facciamo il viaggio, c'erano gli indiani

che non si capeva più che erano,

perché avevano cambiato cittadinanza durante l'estate

e quindi il documento, e così gli indonesiani,

c'era stata la corogna dell'Olandat,

cosa ignorava completamente.

Tutti, nessuno aveva più una nazionalità certa insomma.

E quindi fu molto interessante un viaggio

attraverso l'Europa, distrutta.

Io la guerra lo vista nelle sue vere dimensioni lì,

perché andare da Praga fino a Sarajevo

significato parzare per Bratislava,

poi per Budapest, poi per Begrat,

e tutte le volte mettevano questo treno su un binario

e ci dicevano, avete 6 ore per girare per la città.

E per vedere queste città completamente distrutte dalla guerra,

una cosa tremenda proprio.

Quindi il Budapest, una ricorta fatta in benissimo,

a Belgrado, e poi questo treno fino a Sarajevo

e poi dovevamo andare a Zinezza,

e a Zinezza, il treno neppure si fermava,

a Zinezza, il vecchio treno che c'era,

scartamento ridotto,

ma sì, il treno rallentava e noi dovevamo saltare

giù dal treno.

Quindi è stato davvero un'altra scoperta straordinaria,

perché la sera, dopo aver lavorato come bestia,

perché lavoravamo tantissimo anzi,

c'era una bella testimonianza di Italo Calvino,

che ho ricordato in questi giorni,

perché il centelario che Italo Calvino

era il redattore dell'Unità,

e lui scrisse un articolo su le brigade volontarie d'Indo-Slave

e disse se qualcuno crede che sia un cazzo simbolica,

si sbaglia, perché era una fatica terribile,

e io torna con il distintivo Giudarnic,

che vuol dire stacca no vista,

è una fatica terribile,

perché la sera ci mettevamo intorno al fuoco,

nel nostro campus,

non c'e' avevamo anche la paiera,

proprio legno e basta,

e ci lavavavamo nel fiume,

e ognuno raccontava la storia del suo base,

e quindi, capito,

venute fuori delle storie straordinarie,

c'erano asiatici e frigani,

frigani non poche asiatici,

e poi europei anche,

mai viste, eccetera,

ognuno raccontava i propri paesi,

e quindi, io mi vergognavo

con una ladra dell'Italia,

perché la guerra era appena finita,

e ci fecero vedere due film,

Giugoslavia, i primi fatti

dalla Giugoslavia,

e così, quando sono tornata,

mi mancava questo per via di Trieste

per iscrivermi proprio a Pertino Comunista.

Dalla redazione di Internazionale,

per oggi è tutto.

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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
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Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.