Il Mondo: I viaggi di Alice Rohrwacher, parte 3

Internazionale Internazionale 8/2/23 - Episode Page - 13m - PDF Transcript

Inedicola c'è un numero speciale di internazionale, viaggio.

164 pagine di reportage, racconti di viaggi e immagini dai quattro angoli del pianeta.

Dalla redazione di internazionale io sono Giulia Zoli.

Io sono Claudio Rossi Marcelli e questa è la serie estiva del mondo, il podcast quotidiano di internazionale.

Questa settimana Valentina Pigmay, giornalista e consulente d'itoriale, intervista alla regista Alicia Rohrbacher sul tema del viaggio.

È mercoledì 2 agosto 2023.

Alicia Rohrbacher ha 41 anni ed è una delle più importanti registe italiane.

Il suo ultimo film è Chimera, presentato al Festival di Cannes, che uscirà ottobre.

Nell'episodio di oggi parla del buio, della perfezione delle api e di alza morante.

Il miele per te è un po' sinonimo di infanzia.

Tuo padre fa l'apicultore e questo mestiere e in generale il mondo delle api,

forse per te è collegato comunque a emblema di questo mondo antico, di questo mondo anche archaico,

vagamente pressociale, che un po' ritorna in tutti i tuoi film.

Le api sono, se vogliamo, l'ultimo scampio di vita selvaggia, di natura selvaggia.

Sei d'accordo che ci sia un legame tra il mondo delle api e l'arcaicità dei tuoi film?

È difficile spiegare con delle parole il mio sentimento per le api.

Però innanzitutto visto che parliamo di viaggio, è sicuramente il lavoro da cui ho imparato a viaggiare,

perché capitava spesso di dover accompagnare il babbo dalle api.

Lui è un apicultore nomade, quindi porta le api sulle diverse fioriture al nord, al sud.

Il suo lavoro è obbligato a cercare i posti più selvaggi, raggiungibili,

tra l'altro fa apicultura biologica, quindi luoghi dove non arrivano pesticidi, dove ci sono fioriture libere.

Attraversare l'Italia all'interno, non nelle città,

ma attraversare proprio questa incredibile spina dorsale dell'Apennino, dal sud, dal nord,

alla ricerca dei fiori, è una cosa che mi ha formato, e soprattutto viaggiare di notte,

perché le api si spostano sempre di notte che tormono.

Durante questi viaggi mi addormentavo spesso, mi addormentavo sopra gli alveari,

e quindi mentre dormivo c'era questo doppio suono, il suono del viaggio,

del furgone che attraversava la strada, e intanto sotto questo covare, questo ronzare,

queste api che di notte fanno un suono molto profondo, molto denso, un ronzare molto denso.

Forse non è un caso che tutti i film che ho fatto poi iniziano al buio,

che è un po' questo buio qui, questo buio piano di suoni in cui la mia immaginazione andava lontano,

anche arrivare in un posto di notte e non vedere niente e doverlo immaginare,

e poi vedere l'alba e scoprire quanto la mia immaginazione si sia avvicinata alla realtà.

Quindi innanzitutto forse dalla apicultura ho imparato a viaggiare, a viaggiare di notte,

a immaginare, a amare i luoghi selvaggi, e poi soprattutto a conoscere, a lavorare con un animale libero.

L'apicultore è l'unico allevatore, nel senso di rapporto uomini, animali allevati,

che lavora con un animale che non è chiuso in gabbia, che non è in un recinto,

che non ha uno spazio delimitato, un animale libero, un animale che può andare via,

e quindi è un animale che lui deve in qualche modo convincere a restare,

perciò deve attuare tutte le pratiche seduttive che poi sono, appunto,

trovarli dei bellissimi posti con dei fiori spettacolari, metterli all'ombra,

dargli delle casse belle, diciamo, questo è molto importante.

È un po' centra secondo me, alla lontana, con il mio lavoro, anche io lavoro

con qualcosa che non posso in qualche modo bloccare, qualcosa che devo cogliere,

ma non posso chiudere in un recinto, che sono le immagini.

E poi forse la cosa più incredibile, io non so se voi conoscete degli apicultori,

ma sono veramente degli esseri incredibili, spesso molto tristi,

perché comunque vedono, lavorano, spesso molto tristi, forse tristi non è la parola giusta,

direi dilaniati, innanzitutto perché vedono quello che sta accadendo del pianeta,

molto più degli altri, non a caso chi guardava le api ha capito subito che stava succedendo

qualcosa a centinaia di chilometri di distanza a Chernobyl, oppure pensa tutto

ciò che è successo di drammatico nell'ambiente, come le api hanno reagito a questo cambiamento.

E poi, perché vedi un animale veramente perfetto, che è l'ape, che crea questa bellezza,

questa miracolo, perché comunque il miele è una sostanza miracolosa,

e tu comunque sei un ladro per quanto poi dici, ah vabbè ma io gli ho dato la casa,

però comunque rubi una bellezza, un animale che non puoi accarezzare,

un animale a cui non puoi dare nomi, un animale che comunque non ha bisogno di te principalmente.

E secondo me c'è una specie di drammate dentro ogni apicultore, di hypersensibilità

a quello che accade nel mondo, e anche un po' di hypersensibilità verso

partecipare a qualcosa di così bello e non esserne parte.

Allora, il mondo delle api, pensando ai tuoi film, in particolare le meraviglie,

fa pensare all'infanzia, fa pensare allo sguardo delle bambine,

uno sguardo a quello della bambina che ritorna un po' in tutti i tuoi lavori,

in particolare le pupille, che è il cortometraggio con cui si è stata candidata all'Oscar in 2022,

è dedicato a tutte le bambine che stanno lottando nel mondo, che possono rompere questa torta

e farsi che possa essere condivisa.

Perché sei così interessata allo sguardo delle bambine?

Le pupille è tratto da una lettera che Elsa Morante,

l'immensa Elsa Morante scrisse al suo amico Goffredo Fofi.

Era una lettera di aguri di Natale, in cui raccontava di un pranzo di Natale,

è avvenuto molto, molto tempo prima in un momento di carestia,

questo pranzo di Natale in un collegio religioso che un bambino scardinasse un po'

quello che erano i piani della Bate, che voleva tenersi una torta tutta per sé

e facesse in modo che questa torta potesse essere condivisa.

Ho deciso di trasportare questa lettera in un collegio femminile

aggiungendo anche tutto un po' una parte sul Natale che avevo voglia di raccontare

e ho deciso di trasportare questa lettera in un collegio femminile

perché mi sembrava che dietro quel ragazzino di Elsa Morante,

quel ragazzino di cui lei parlava, il ragazzino ribelle degli anni 70,

oggi si nascondesse una ragazzina.

Penso ai grandi cambiamenti che stanno accadendo adesso,

alle grandi rivoluzioni da quella dell'ambiente,

quella per i diritti che sono spesso guidate da delle giovani ragazze

e poi anche per la gioia di questo termine pupilla.

Mi hai detto che hai vissuto in tante città, però poi alla fine sei tornata in campagna.

La consideri una scelta politica, quella della tua diciamo migrazione nel posto dove sei nata?

Ti mancano invece le città, in particolare in Pensuali Sbona o Berlino, dove hai vissuto a lungo?

Sono tornata in campagna inizialmente soprattutto per problemi pratici e economici.

Avevo una figlia e non avevo un lavoro che mi permettesse comunque di mantenere la mia vita in città.

Quindi inizialmente pensai di andare in campagna per un periodo

perché banalmente è un affitto di una casa in campagna,

di un casale con la terra in campagna costa come una stanza a Roma.

Avevo bisogno di tante stanzi perché avevo la stanza per me, la stanza per mia figlia, uno studio.

Quindi mi serviva uno spazio grande e non potevo pagarlo.

Quindi il mio tornare in campagna è stato proprio, pensavo che sarebbe stato un ritorno provvisorio.

Poi nello stare lì ho capito che era assurdo non stare lì,

un po' perché è un luogo che devo presiedere e far capire che è un luogo abitato.

Per questo lo ripeto e ci tengo che i grandi praticoni che amministrano l'economia

non pensassero che è un luogo vuoto dove si può fare qualsiasi cosa.

È un luogo presidiato e abitato.

E poi anche perché credevo che nella scuola della provincia, nella vita della provincia

c'è ancora quello che poi forse amo di più dell'Italia.

C'è ancora un'umanità che ci rende speciale.

Dopo aver vissuto in tanti paesi stranieri, in tante città,

c'è ancora una radice di un'umanità che mi fa sentire una appartenenza.

È stato importantissimo vivere in altre città.

È molto difficile tornarci adesso perché quello che è successo negli ultimi 15 anni è enorme.

Sono tornata all'Isbona, città dove ho abitato diversi anni, l'anno scorso.

E non potevo più riconoscere questa città che è diventata un parco a tema.

È diventato almeno la parte bella della città.

La bellezza è diventata parte di un parco a tema per dei turisti che arrivano

e che cercano di consumare nel più breve tempo possibile, più bellezza possibile,

ma non è più presidiata, non è più abitata da chi quella città la vive.

È certo che è molto diverso dalla città che ho avuto la fortuna di vivere.

Una città dove aveva un senso fare tutta quella strada per arrivare

perché si arrivava davvero in un altro posto.

Si arrivava in un posto che era sul confine di un altro mondo, che si affacciava sull'oceano,

che aveva una storia che veniva da lontano

e che ti trasportava davvero in un altro posto e ti insegnava l'altro posto.

La città che ho visto l'ascorso-estate è una città che possiamo benissimo immaginare seduti da casa.

Non ha niente che ti trascini al posto.

E questa è un po' una grande pena di quello che sta succedendo nei centri storici,

soprattutto delle città belle che si stanno alla fine trasformando tutte in uno stesso luogo.

Forse è solo un passaggio, ci sarà qualcosa che succederà dopo

e che sconvolgerà di nuovo tutte le carte, ne sono sicura.

Dalla redazione di Internazionale, per oggi è tutto.

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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
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Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
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