Il Mondo: I viaggi di Alice Rohrwacher, parte 1

Internazionale Internazionale 7/31/23 - Episode Page - 18m - PDF Transcript

Inedicola c'è un numero speciale di internazionale. Viaggio. 164 pagine di reportage, racconti di viaggi e immagini dei quattro angoli del pianeta.

Dalla redazione di internazionale io sono Giulia Zoli.

Io sono Claudio Rossi Marcelli e questa è la serie estiva del mondo, il podcast quotidiano di internazionale.

Questa settimana Valentina Pigmei, giornalista e consulante dittoriale, intervista la regista Lice Rorvaccher sul tema del viaggio.

È lunedì 31 luglio 2023.

A Lice Rorvaccher ha 41 anni ed è una delle più importanti regista italiane. Il suo ultimo film è Chimera, presentato al Festival di Cannes che uscirà ottobre.

Nell'episodio di oggi parla di strade bianche, alberi e cantastorie.

A Lice, tu vivi in una casa di Campania a Castel Giorgio, in provincia di Termi, non lontano dal Vieto e dal Lago di Borsena.

È una terra di confine dove si incrociano varie strade. Siamo in umbre, ma vicino all'altolazzo e alla Toscana.

Strade bianche, Campania vera, natura ancora selvaggia, ma anche abbandono e difficoltà negli spostamenti.

Si dice sempre che l'Italia sia facile da attraversare in verticale, ma molto meno in orizzontale.

Questo perché le famose aree interne sono talvolta dimenticate dalle istituzioni e i collegamenti scarseggiano.

Durante la pandemia hai girato un cortometraggio intitolato 4 strade.

Non si poteva viaggiare e quindi hai deciso di fare uno spostamento minimo, andando a trovare i tuoi vicini di casa.

Io vorrei chiederti, ma è possibile vivere una grande avventura anche soltanto non spostandosi dal luogo in cui si vive?

In effetti vivo in un reticolo di strade bianche, il luogo dove vivo si chiama proprio 4 strade come il cortometraggio,

perché il monumento più importante è un incrosso.

Un incrosso tra due strade bianche molto lunghe, una che porta Nord e quindi che va da Nord a Sud e una che va da Esta Ovest.

Questa rete di strade bianche è una delle grandi ricchezze secondo me anche dell'Italia.

È un po' come un sistema capillare che oniva a potere a potere regione a regione.

Spesso immaginiamo questi luoghi isolati, colleghiamo l'idea dell'isolamento a un isolamento anche di percorsi che ci portano.

Ma in realtà quando ci avviciniamo a questi luoghi scopriamo che erano molto più percorsi da strade che una grande città.

Banalmente mi è capitato tante volte di ritrovarmi sulla cima della Spromonte piuttosto che in dei luoghi della Pennino molto sperduti

e di trovare incrosci con strade che portavano ovunque perché proprio i crinali, le montagne che ora si parano,

ora che viaggiamo in autostrada, ora che viaggiamo con l'alta velocità, in realtà questi crinali univano, erano delle dorsali che univano dei territori

e ancora l'anno dove io vivo c'è memoria di questo, cioè ci sono più strade bianche che strade asfaltate su cui andare veloce.

Ci sono più strade lente che strade dritte, più strade curvose.

Questa ricchezza di questa rete di strade in cui vi ho vivo è immerza soprattutto durante la pandemia.

La mi sono accorta che solo camminando in queste tre direzioni potevo incontrare dei mondi molto diversi tra di loro come si vede nel cortometraggio

che sarebbero questi miei vicini di casa, tre diversi angoli di questa croce, di questo incroscio.

Questo è un piccolo cortometraggio senza nessuna produzione, se non una vecchia macchina da presa e della pellicola scaduta.

Però dato che il mio corpo non poteva avvicinarsi a loro, perché era proprio proibito a toccarsi, a avvicinarsi, sembra assurdo,

l'abbiamo vissuto avendo uno zoom.

Ho deciso che questo occhio magico mi poteva fare avvicinare a loro laddove il mio corpo non poteva.

E quindi ho riflettuto su come, guardandoli, io potevo trarre un insegnamento da loro, degli insegnamenti molto semplici,

anche a non aver paura la notte, oppure a immaginare sempre una nuova possibilità dello stare insieme.

E mi era venuto in mente un albero, un albero molto, molto vecchio, che avevo visto in Francia qualche anno fa.

Un albero che aveva vissuto, che ha vissuto, che ha vivo tutt'ora migliaia di anni,

inspiegabilmente perché in parte questo albero era anche morto, però in realtà continuava a vivere.

E avevo letto che questo albero in particolare, ma questo si può dire di tutti i grandi alberi,

è riuscito a vivere così tanto, anche addirittura a superare delle difficoltà molto grandi,

come la possibilità di seccarci, grazie a una specie di armonia che aveva trovato con i suoi vicini alberi,

perché in qualche modo la vita di un albero dipende molto dalla vita degli alberi che gli stanno attorno.

Più gli alberi intorno stanno bene, più gli alberi intorno sono sani, più tutto il sistema, l'ecosistema, può vivere a lungo.

E forse questa cosa della vicinanza, dei vicini di casa, anche quando ho abitato in città,

perché poi ho abitato in tante città in tre in particolare, è sempre stata determinante per me,

avere un vero rapporto anche determinato un po' dal destino che ci ha fatto vivere vicino,

e scoprire come poteva evolvere il rapporto con l'albero che mi era canto.

So che hai scritto un libro per bambini su una strada, ci puoi raccontare di più?

Ho scritto un libro per bambini su una strada che non sapeva dove andare, va a casaccio, un po' di qua, un po' di là,

si ritrova poi a crescere, diventa addirittura un certo punto un'autostrada, poi diventa una strada pericolosissima,

viene abbandonata, diventa una strada perza, alla fine si ferma, poi riprende, poi riparte.

Ho una grande passione per le strade, tant'è che spesso già quando mia figlia era piccola

immaginavamo proprio le strade come degli esseri viventi che decidono di andare di qua,

di là ogni strada un po' con il suo carattere, con la sua voglia di andare o anche voglia di invece andare più lentamente,

ecco, di sbagliare percorso.

Ho scritto questo piccolo racconto che poi è diventato un libro illustrato dalle da Ziruffo,

perché volevo in qualche modo testimoniare quanto le strade sbagliate sono state importanti per me,

più di quelle giuste, più di quelle dritte, di quelle appunto spianate.

E in qualche modo è la storia di una strada appunto sbandata, che non sa dove andare,

ma scopre un sacco di cose nel suo errore.

Questo libro si intitola La Buona Strada, tutti i tuoi racconti cinematografici sono sempre pieni

di immagini allo stesso tempo periferiche, ma molto immaginifiche.

Il tuo modo di descrivere lo spazio molto originale.

Perché hai scelto di raccontare la campagna, principalmente invece che la città?

Mi ricordo in un libro molto importante per me che è stato l'Angelo Snovus di Walter Benjamin,

dove parla di due possibilità di raccontare una storia.

La possibilità, diciamo, di chi è stanziale, di chi non si è mai mosso,

dell'uomo che è sempre stato lì e ti racconta il mondo che si è trasformato attorno a lui

e il viaggiatore, il narratore per eccellenza, l'uomo che attraversava i paesi

e che tornava a casa e che poteva raccontare.

Forse questi due spiriti, questi due sangui, uno più animale appunto, quindi,

il movimento e uno più vegetale, più stanziale fanno parte un po' della mia vita

e quindi del mio desiderio anche di raccontare.

Perciò mi sono ritrovata a raccontare storie legate alla campagna,

in particolare a una zona di confine tra l'Azio, Umbria e Toscana,

la zona dove sono cresciuta e dove sono tornata a vivere,

un po' con questo doppio sguardo, da una parte come una persona radicata in un territorio,

ma anche figlia di uno straniero, figlia di due viaggiatori, principalmente,

e quindi mai autorizzata ad essere davvero locale.

Cioè, comunque, quando sono a casa, sono la straniera, i miei genitori sono gli stranieri,

riesco a essere del posto solo quando mi è lontano.

Allora, lì posso dire, sì, sì, sono proprio dell'altopiano, dell'alfina,

però so che quando sono lì non sono di lì.

E quindi questo doppio sguardo ha poi fatto sì che, da questo animale doppio,

non so forse invianemente quell'immagine bellissima dell'isola di Arturo, di Alza Morante,

quel doppio sangue che è il ladro con la schiena appoggiata al tesoro,

ha fatto sì che nascessero insomma le storie che ho raccontato un po' da questo doppio sguardo.

È un luogo, il luogo da cui vengo, dove io sono cresciuta, ma da cui sono scappati tutti.

Quando io ero piccola era tutto vuoto.

Ora è di nuovo molto abitato, le case sono state magari recintate, comprate come seconde case,

case di vacanza, sono state ristrutturate, ma comunque staccate dal territorio,

perché sono circondate proprio visivamente da Siepi, quindi non appartengono più al territorio,

ma quando io ero piccola erano tutte abbandonate, tant'è che i miei genitori quando scelsero quel casale

ne viderò, non so, venti dell'azienda, tutti vuoti e ne scelsero uno.

Quindi c'era questa strana sensazione di trovarsi in un luogo che mi sembrava un paradiso,

ma da cui erano scappati tutti e questa sensazione era anche un po' angosciante,

perché io mi chiedevo ma perché sono scappati?

Abitavo una forma vuota lasciata da qualcuno, una casa che era stata costruita, modificata

e pensata per ospitare altre vite e che ora ospitava noi, ma noi eravamo gli ultimi di una lista,

stavamo bene, mi sembrava un posto bellissimo, tant'è che ci sono tornate a vivere,

però dietro c'era una storia di fuga e quindi ho desiderato tanto capire che cosa era successo.

E soprattutto sogliere un nodo, spesso mi veniva detto che i contadini siano andati

perché cercavano le comodità e quindi quasi che fosse responsabilità a loro,

delle famiglie contadine che abitavano la zona erano responsabili dell'abbandono,

ma invece andando a chiedere, andando a indagare ho capito che le motivazioni erano molto più profonde

e venivano da un abuso di potere che era stato perpetuato da chi era proprietario della terra,

da chi aveva reso impossibile la vita di quei contadini

e se quindi c'era una responsabilità non era da cercare in basso,

ma era da cercare in alto, era da cercare in come per migliaia ad anni, centinaia diciamo,

possiamo forza arrivare a migliaia come tuttora in altre forme il lavoro umano

era stato sfruttato, era stato perpetuato con delle logiche di abuso e potere.

E quindi ho detto da una parte io devo testimoniare tutto questo,

però vorrei anche raccontare che è un posto bellissimo, che è un posto che potrebbe essere un paradiso,

dico potrebbe perché purtroppo tuttora le dinamiche che abitano la campagna tendono sempre a trasformare il paradiso in inferno,

pare proprio che sia impossibile far triomfare quel paradiso che c'è,

perché c'è abbondanza, c'è ricchezza, c'è gioia, c'è vita, c'è tanto nello stare fuori dalle città,

ma è chiaro che questo territorio, questi territori, nel momento in cui non sono abitati da persone che li vivono

e che li lavorano, sono anche dei territori vuoti e quindi sono dei territori su cui si investe un altro tipo di sfruttamento.

Alice, la tua prima serie TV uscirà nel 2024, si chiamerà Ci sarà una volta,

sarà ambientata nel mondo dei cantastorie che fino alla seconda metà del 900 hanno popolato le strade, le piazze e le feste d'Italia.

Da dove ti viene questa passione così originale per i cantastorie e per il teatro di strada?

Sicuramente l'amore per lo spettacolo viaggiante e per la strada, sempre ritorniamo alla strada,

è fondamentale in tutta la mia vita, io per lunghi anni ho fatto la Don Orchestra,

suonavo nelle metropolitane, negli incruosi, era il mio lavoro e la durezza, la bellezza della strada

è qualcosa che mi ha formato, mi ha anche insegnato delle cose tremende quando è bisogno di qualcosa,

nessuno te la dà e è solo quando ti dimentichi di averne bisogno che la ricevi,

però mi ha anche fatto capire che ciò che dai comunque ritorna.

Ho iniziato a fare i film, ho iniziato questo viaggio nel mondo del cinema a causa di uno spettacolo viaggiante,

a causa di un piccolo circo familiare, il Circo Soluna, che ho conosciuto da bambina

perché per un periodo hanno transitato in Umbria, era una famiglia tedesca come mio padre, con sei figli

e viaggiavano con dei carrozzoni con i cavalli, il mio desiderio di partire con loro era enorme,

ma anche il mio senso della responsabilità e di impegno, per come sono cresciuta non si può partire senza una scusa di impegno,

devi avere comunque un impegno che ti giustifica la partenza.

Quindi, pensando di imparare l'arte circenze, assieme a un amico e regista per Paolo Giarolo,

decisi di fare un documentario sulla famiglia Soluna e quindi seguimo il Circo per una stagione attraverso tutti gli appennini,

attraverso la Bruccia, il Molise fino al Confine, era l'anno in cui il Circo decise che l'Italia era troppo consumistica

e che avrebbero voluto emigrare all'estero, diciamo, dovevano andare verso Lungheria,

poi quando il grande capitalismo arrivata anche lì, sono tornati indietro, ora sono in Italia,

perché alla fine dopo tutto in Italia ci sono ancora delle sacche di resistenza che invece in tanti altri paesi si sono un po' smarrite.

Perciò per imparare l'arte del Circo mi messi a girare un film, con grande vergogna di fare un film,

perché odiavo tutti coloro che andavano in giro con la telecamera, ho sempre avuto una grande antipatia profonda per la macchina da presa,

per le macchine fotografiche, per tutto ciò che era immortalare.

Soprattutto nel fare questo documentario avevo tanto desiderio che tutti mi prendessero per una circienza più che per una regista di documentari,

quindi un po' mi mascheravo, mi facevo prestare i loro vestiti.

Quando c'erano i momenti critici in cui il Circo si trovava, spesso io smettevo di fare le riprese per andare ad aiutarli,

tant'è che per Paolo Giarolo l'altro regista mi disse, ma è proprio il momento critico che tu devi guardare da fuori,

ma io volevo guardare da dentro, volevo essere una di loro.

Poi, quando ho montato questo film, che si chiama un piccolo spettacolo,

un documentario molto semplice che segue le avventure di questa famiglia, io ho capito il potere del cinema in qualche modo anche,

di quanto vedere, rivedere una scena vissuta possa essere anche un insegnamento di come guardare quella scena,

di come stare in quella scena e di come è possibile essere dentro anche quando si è fuori.

L'appuntamento con la serie stiva del mondo è domattina alle 6.30.

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Strade bianche, alberi e cantastorie. Valentina Pigmei intervista la regista Alice Rohrwacher.

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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.