Il Mondo: I paesi dell’Asia centrale si allontanano dalla Russia e guardano alla Cina. Perché aumentano i prezzi di frutta e verdura.

Internazionale Internazionale 5/19/23 - Episode Page - 27m - PDF Transcript

Dalla redazione di Internazionale io sono Giulia Zoli, io sono Claudio Rossi Marcelli,

questo è il mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Oggi vi parleremo delle 5 ex repubbliche sovietiche dell'Asia centrale e dell'aumento

dei prezzi dei prodotti agricoli, e poi di una nuova rubrica sul sito di Internazionale

e di un film francese.

È venerdì 19 maggio 2023.

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In questa intervista con la TV di Stato cinese, Actilec Musaeva, che è l'ambassatrice del Kyrgyzstan a Pekino,

parla dell'importanza del vertice tra Cina e i Paesi dell'Asia Centrale che si è aperto ieri a Sian nella provincia cinese dello Shansi.

Il presidente cinese Xi Jinping incontra i capiti Stato di Kazakhstan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tajikistan e appunto Kyrgyzstan.

Si tratta di un vertice strategicamente molto importante per Pekino, a partire dal suo valore simbolico.

Si tiene infatti negli stessi giorni in cui in Giappone si riniscone i Paesi del G7.

Ne parliamo con André Pipino, editor d'Europa l'internazionale ed esperto dell'ex blocco sovietico.

Il vertice di questi giorni è molto importante per diversi motivi.

Innanzitutto la scelta del posto non è casuale.

Come hai detto, il summit a luogo Sian, la città da dove partivano le caravane che percorrevano la via della seta,

attraversando l'Asia Centrale e poi proseguendo verso l'Europa.

Poi c'è la questione della data.

Quest'anno ricorre infatti il decennale del lancio dell'iniziativa One Belt, One Road,

che è la cosiddetta nuova via della seta, e inoltre il vertice è quasi una risposta al Giappone

che proprio in questi giorni sta ospitando i lavori del G7.

Insomma, è un'iniziativa diplomatica molto ambiziosa della Cina che ha diversi obiettivi,

più o meno sintetizzabili nel tentativo di accrescere l'influenza di Pekino

nelle ex republie centrasiatiche dell'Unione Sovietica.

Ecco nello specifico qual'è il motivo di questo vertice,

cioè quali sono gli interessi in gioco per i cinesi e per i Paesi Centroasiatici.

L'obiettivo dei cinesi è essenzialmente uno, cioè espandere i rapporti commerciali

e aprire nuove opportunità di investimento per Pekino, al livello sia di infrastrutture,

di trasporti, al livello di oliodotti, gasdotti, però non è tutto qui,

perché ci sono anche questioni che riguardano la sicurezza e la cooperazione militare.

In particolare quello che sta cuore a Pekino è la stabilità della regione,

perché ogni focolaio di rivolta in asia centrale, almeno questo è quello che teme la Cina,

potrebbe innescare proteste nella regione dello Xinjiang che è cinese, ricordiamolo,

ma abitata in maggioranza da una popolazione musulmana e turcofona.

La Cina poi ha anche interesse a trovare alleati in sede di consiglio di sicurezza all'ONU,

per questo deve trovare supporto per la sua posizione in merito alla guerra in Ucraina

e dare credito anche al suo tentativo di imporsi come potenziale forza mediatrice nel conflitto

sempre però mantenendo le gammi molto stretti con la Russia.

Ovviamente è un progetto molto ambizioso questo programma cinese e andrebbe a essere realizzato

soprattutto a discapito degli interessi russi nella regione, russia che infatti non è un caso

se non è stata invitata proprio Albertice Di Sian.

Ecco, prima di entrare nel dettaglio dei rapporti tra questi paesi e la Russia,

ci aiuti a orientarci sulla situazione politica in queste 5 ex repubbliche sovietiche.

Le 5 repubbliche ex-sovietiche dell'Azio Centrale hanno governi i sistemi abbastanza diversi tra loro.

Ovviamente nessuna è una democrazia perfetta, forse nemmeno imperfetta, però le differenze ci sono comunque.

Il paese più chiuso è il Turkmenistan, che è ricco di gas ed è retto da un presidente che si chiama Sardar Berdim-Mohammedov

ed è figlio di un altro presidente che a sua volta fu nominato come suo successore

dal più eccentrico di tutti i dittatori centrasiatici,

quel Saparmurat Niasov che si faceva chiamare padre dei Turkmeni, ossia Turkmenbashi,

e mi semplia di un sistema di culto della personalità con aspetti anche grotteschi, per esempio Stato Edoro,

o i mesi dell'anno chiamati con i nomi dei suoi familiari e altre aminità del genere.

Ma c'è il taggis che sta anche qui con un presidente di lungo corso al potere ormai da 30 anni e rimasto molto vicino a Mosca.

C'è da dire che è l'unico paese della zona abitato da una popolazione cepoeranico,

perché gli altri stani invece hanno popolazioni turcofone.

Il terzo paese di cui parliamo è invece il Kirgisistan,

che nel 2005 è stato il primo Stato della regione a vivere una rivoluzione contro il sistema autocratico che allora governava

e che da allora ha conosciuto altre diverse ondate di proteste

ed è forse il paese più instabile dell'area.

I due paesi più importanti sono invece Lutzbegistan e Kazakistan.

Il primo ha la popolazione più consistente della zona, più di 35 milioni di persone,

e la città più grande che è Tashkent.

Anche in questo caso non siamo ovviamente ancora di fronte a una democrazia, anzi, tutt'altro.

Ecco però Lutzbegistan è l'unico tra questi paesi che forse può ambire a un ruolo di punto di riferimento regionale

insieme, ovviamente, come dicevamo, al Kazakistan, che è un grande esportatore di materie prime,

è un territorio molto vasto e all'inizio dello scorso anno ha vissuto una grande ondata di proteste,

anche violente, contro il sistema autocratico che reggeva il paese da quasi 30 anni ormai.

Dopo la caduta dell'Urz, la Russia ha mantenuto la sua influenza nell'area.

Mosca è sempre stato il punto di riferimento, una specie di fratello maggiore per questi paesi,

sia sotto il profilo economico, come politico e della sicurezza.

Per una breve stagione si è pensato che la Turchia, in virtù delle comuni radici turaniche

delle loro popolazioni, avrebbe potuto imporsi come partner principale dell'Asia Centrale.

In realtà questo periodo è durato molto poco.

Gli strumenti con cui Mosca esercita la sua influenza nella regione sono essenzialmente due,

almeno dal punto di vista formale, il CSTO, cioè Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva

e l'Unione Eurasiatica. La prima è un'alleanza strategica che è stata fondata nel 1992,

più o meno sul modello organizzativo della NATO e che ha un certo punto arrivato addirittura

a comprendere nove delle quindici ex Republie Sovietiche.

Oggi ne conta appena sei, tra cui la Bialorusia che è il primo alleato di Mosca e il Kazakistan.

È chiaro che se dovesse perdere a questo punto uno di questi due membri perderebbe buona parte

della sua ragion d'essere e il suo futuro al momento non sembra così prosio.

Poi dicevamo c'è l'Unione Eurasiatica che è essenzialmente un'organizzazione di cooperazione economica.

Anche qui solo cinque membri, tra cui il Kazakistan e il Kyrgyzstan,

il Lutzbeckistan invece, solo come osservatore.

Se è vero che Mosca è un partner fondamentale per i Paesi centrasiatici,

c'è da dire che altrettanto è vero che per il Kremlin il Kazakistan e gli altri Paesi dell'Asia Centrale

sono essenziali almeno per tenere in piedi le organizzazioni formali con cui la Russia

cerca di proiettare il suo potere nello spazio ex sovietico.

E poi con la guerra in Ucraina, però, sono cambiati gli equilibri tra questi Paesi?

Sì, sono cambiati in direzione di una riduzione dell'influenza russa nella regione.

Un sguardo superficiale potrebbe sembrare che oggi i rapporti siano in una fase di sviluppo,

dato che dall'inizio del conflitto gli scambi commerciali tra Mosca e Asia Centrale sono aumentati consideravelmente.

La realtà è che questo è il risultato della riorganizzazione delle rotte commerciali russe

dopo le sanzioni occidentali e dell'apertura di nuovi canali che si sono aperti appunto proprio per aggirare le sanzioni occidentali.

Poi c'è una questione che riguarda molti altri Paesi ex sovietici,

ossia il fatto che le generazioni che hanno conosciuto e avuto rapporti con l'URSE si stanno esaurendo

e si stanno affermando invece le generazioni più giovani che sono nati dopo l'indipendenza che hanno una mentalità

e un'identità politica completamente nuova.

Però c'è anche altro, perché l'aggressione all'Ucraina inevitabilmente innescato delle preoccupazioni

per possibili minacce all'indipendenza di questi Paesi che, ricordiamolo, sono diventati independenti

proprio in seguito al crollo dell'Unione Sovietica.

Nel nord del Kazakistan per fare un esempio c'è una consistente minoranza russa

e gli argomenti che Mosca ha usato per intervenire in Ucraina,

cioè la difesa dei russi del Donbass, potrebbero tranquillamente essere replicati anche in questo caso.

È chiaro che questo sta alimentando una certa diffidenza nei confronti di Mosca.

Per fare un esempio, come dicevamo prima, nel 2022 il Kazakistan è stato scosso da una grande ondata di proteste

contro l'aumento del prezzo di carburanti, proteste che poi sono diventate una ribellione contro il regime.

Ebbene, allora il governo chiese a Mosca, nell'ambito degli accordi del CSTO,

l'invio di truppe per riportare l'ordine.

Oggi una situazione simile sarebbe totalmente impensabile.

Anche i flussi migratori si sono invertiti.

Nell'ultimo anno il Kazakistan e altre repubbliche centrasiatiche

si sono trasformate da luoghi di partenza degli immigrati che andavano a Mosca e a Piotroburgo,

in luoghi di destinazione dei russi che scappavano dalla repressione o dagli tentativi di arruonamento.

Centinaia di migliaia di persone, quindi un numero considerevole di persone spesso,

con un'ottima formazione specialmente nel campo della tecnologia.

Come dicevamo poi, c'è anche il fatto che l'organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva

sembra sempre meno in grado di governare gli screzzi tra le nazioni della regione e di garantire stabilità.

Lo si è visto per esempio negli scontri dello scorso settembre in Nagorno Karabakh

e al confine tra il Tajikistan e il Kirghizistan.

Poi ci sono anche aneddoti più leggeri, ma allo stesso tempo eloquenti.

Per esempio Putin, che in un summito dei paesi del Casp in Turkmenistan

è l'unico leader a non essere ricevuto all'aeroporto con la cerimonia dell'offerta del sale e del pane.

Una cosa che fino al qualche anno fa sarebbe stata inimmaginabile nei rapporti tra paesi centrasiatici e Russia.

E in questo contesto, quindi, come si posiziona questo vertice con la Cina?

In una fase così fluida, in cui manca una chiara leadership, il vertice della Cina è importante

perché segnala l'interesse di Prechino a imporsi come guida in questa regione.

Ma è chiaro che ci sono anche altri diversi attori che cercano di fare lo stesso

e di accreditarsi come possibili sponsor dei paesi dell'Asia Centrale.

Non lo fa solo la Cina, non lo fa solo Putin, che nel 2022 è stato nella regione per ben cinque volte.

E nei mesi scorsi, in Kazakistan e in Uzbekistan, si è fatto vedere il Presidente statunitense Biden

e a ottobre del scorso, ottobre del 22, c'è stata anche una visita del Presidente e Consiglio Europeo, Charles Michel.

L'Unione Europea sta cercando di intensificare i rapporti con l'Asia Centrale,

come sta facendo Washington, come stanno facendo Pechino

e come sta cercando di fare anche Moscan, nonostante il conflitto.

È possibile, quindi, che i Paesi della zona cercheranno di orientarsi,

volta per volta, barcamenandosi tra l'Europa, la Cina, l'America e la Russia,

forti della loro importanza strategica e delle risorse naturali,

che, con il tempo, molto probabilmente, si affrancheranno dalle vecchie pipeline sovietiche

e saranno esportati direttamente all'estero, senza passare per la Russia.

È difficile pensare di una situazione di passaggio così poco stabile che questi Paesi vogliano di nuovo legarsi a doppio filo,

a un partner unico e accettare di essere controllati in tutto e per tutto da un nuovo fratello maggiore come è stato per decenni la Russia.

Grazie per andare a Pechino. Grazie a voi.

Rossi Santella, fotoeditor di Internazionale, presenta una nuova rubrica del sito.

Questa settimana sul sito inauguriamo una nuova rubrica che si intitola Il Sesso Secondo Maya.

L'autrice si firma con l'opseudonimo di Maya Masorette ed è una giornalista scrittrice, blogger e pittrice francese.

Dal 2015 tiene questa rubrica sul quotidiano francese Le Monde, dove analizza la rappresentazione del corpo,

le pratiche e le fantasie sessuali, cercando di abbattere gli stereotipi.

Nell'articolo che abbiamo pubblicato ieri, spiega come il fallocentrismo,

la tendenza ad avere una prospettiva maschile su tutto, possa avere ripercussioni non solo nell'ambito del diritto e della medicina,

ma anche a letto, a discapito del desiderio femminile.

Per accompagnare gli articoli di Masorette abbiamo scelto di non usare delle foto,

ma di affidarci a uno illustratore con cui collaboriamo da anni, che è Pierluigi Longo.

Longo ha scelto di concentrarsi sul senso del tatto.

In ogni illustrazione c'è una mano che sfiora oggetti che fanno pensare agli organi sessuali maschile femminili e ad altre parti del corpo.

Nunca antes, l'acete di oliva abbia alcanzato un prezio tan alto, con una coseccia che,

per falta di acqua e exerzo di calor, appena suppone la metà della del anno passato.

Il sumo di acetuna è, più che nunca, oro liquido.

Il chilo di acetuna si paga un 150% più caro.

In questi giorni l'Italia è attraversata da un'ondata di maltempo eccezionale con piogge torrenziali e alluvioni devastanti.

Fino a qualche settimana fa però, buona parte del paese era colpito da una grave siccità, che ha danneggiato molti raccolti.

Forti alluvioni e persistente siccità sono due venti estremi, entrambi collegabili al cambiamento climatico.

A causa della mancanza d'acqua, in tutto il Mediterraneo la produzione di olio d'oliva è stata molto inferiore a quella dell'anno scorso,

in particolare in Spagna, il più grande produttore del mondo.

E questa scarcità provocherà forti rincari, come spiega il notiziero spagnolo che avete ascoltato all'inizio.

Ma a determinare i prezzi dell'olio d'oliva e di altri prodotti agricoli contribuiscono anche altri fattori, dai costi di produzione a quelli di distribuzione.

E a volte scegliere dove fare la spesa può fare la differenza.

Ne parliamo con Stefano Liberti, giornalista che colabora con Internazionale e ha scritto tra gli altri terra bruciata,

come la crisi ambientale sta cambiando l'Italia e la nostra vita, pubblicato da Rizzoli.

L'olio d'oliva ha conosciuto negli ultimi mesi un aumento di prezzo importante intorno al 40%,

che è sostanzialmente il frutto di una carenza di prodotto.

Quest'anno nel bacino Mediterraneo dove si produce sostanzialmente la quasi totalità dell'olio d'oliva,

c'è stato un accalo di produzione molto rilevante intorno al 40% in Italia e anche in Spagna,

che sono i due grandi produttori del bacino Mediterraneo insieme agli stati della Riva Sud, che però sono ancora meno importanti.

La siccità che ha colpito tutto il bacino Mediterraneo, la carenza di acqua ha fatto sì che le piante entrassero in sofferenza

e quindi producessero meno frutti e quando li hanno prodotti frutti più piccoli, che quindi producono meno olio.

A questo elemento climatico si ha sommato poi un aumento dei costi di produzione per i produttori

in termini di aumento del costo degli imputti agricoli, quindi i fertilizzanti pesticidi che sono aumentati di costo,

come il conseguenzo dell'invasione dell'Ukraine da parte della Russia,

l'Ukraine è una dei principali produttori di fertilizzanti al mondo,

e anche come conseguenza degli aumenti dei costi energetici, di trasporto e anche non ultimo del vetro,

il vetro costa di più e quindi le bottiglie di vetro che contengono l'olio costano di più

e questo aumento del costo di vetro incide sul prezzo alla vendia dell'olio d'oliva.

La ragione più importante è sicuramente il caro di produzione e quindi il fattore climatico,

che poi è un elemento che potremmo definire strutturale perché il Mediterraneo è un hotspot climatico

dove le temperature stanno aumentando a dismissure dove gli elementi di carenza idrica e di siccità stanno diventando strutturali

e a questo poi si aggiunge l'elemento più congiunturale degli aumenti di prezzo dei fertilizzanti,

dell'energia e del vetro che possiamo legare invece a un fattore temporale.

Rimanendo dell'area mediterranea, quali sono le produzioni agricole più uminacciate dalla crisi climatica?

Sono diverse le produzioni agricole e è un tema di cui si parla poco,

ma in effetti negli ultimi anni c'è stato un caldo di produzione anche nel settore agroalimentale italiano importante,

soprattutto per quanto riguarda i frutti estivi, peire, albicocche, susine,

che conoscono decali di produzione determinati sia dalla mancanza di acqua che dagli eventi atmosferici estremi

che distruggono grandiinate eccezionali che prima non c'erano che distruggono i rapporti

che anche dall'invasione di specie alieni che prima non c'erano e che attaccano questi frutti rendendoli non commercializzabili.

Questo è anche il frutto dei cambiamenti climatici perché parliamo di animali parassiti che arrivano

negari attraverso gli scambi commerciali, attraverso dei banali navi che nelle acque di zavoro

oppure nascosti nei contenere e che trovano però un ambiente più consono alla loro riproduzione

perché comunque fa più caldo di quanto faceva prima.

L'esempio classico è quella della cimiciasiatica che ha distrutti molti raccolti negli ultimi anni

che comparsa prima volta in Italia nel 2015 e che è un vero e proprio falicello nel Nord Italia

perché appunto si riproduce e resiste all'inverno e poi attacca la frutta estiva.

Poi c'è il tema enorme che è quello del vino, prodotto di cellenza italiano,

l'Italia è prima produttore mondiale di vino.

Tutti noi vediamo che le vendemie che una volta si facevano l'ottobre si iniziano a fare a settembre,

che l'uva matura prima fa più caldo, che il grado di maturazione zuccherino del luva

non corrisponde al grado di maturazione fenolico e quindi è più complicato fare un vino come si è sempre fatto.

E di fronte a questi cambiamenti è possibile immaginare degli adattamenti della produzione? Ci sono già forse?

Intanto abbiamo degli adattamenti di produzione di alcuni produttori che producono prodotti di maggiori valori aggiunto come appunto il vino,

quindi alcuni produttori stanno spostando per quanto possibile i vigneti più in altitudine,

dove appunto ci sono condizioni climatiche che una volta erano proibitive e che invece diventano ottimali per la produzione di vino.

Poi ho chiesto che ci debba essere un adattamento anche da parte dei consumatori dei cittadini.

Noi siamo abituati a un certo tipo di gusto del vino oppure per quanto riguarda i frutti noi siamo abituati ad avere sempre dei frutti

al supermercato che sono perfetti di una certa forma con un'estetica diciamo impeccabile.

Ecco questo non è la realtà. Allora una volta i frutti che sono troppo piccoli o i frutti che hanno qualche ammaccatura

sono sempre venuti scartati perché non venivano e non vengono considerati adatti alla commercializzazione.

Una volta questi frutti da scarto erano il 10% della produzione. Ora iniziano ad essere il 20, il 30, a volte anche il 40%,

che vengono non venduti semplicemente perché sono troppo piccoli, perché di nuovo c'è poco acqua e quindi magari l'arancia

non è di quella grandezza a cui noi siamo abituati o la pera è troppo piccola o la mela anche è troppo piccola.

Allora il discorso del calibro che non è adatto alla commercializzazione è un elemento di pura abitudine

e di pura consuetudine che tuttavia non va ad intaccare le proprietà organolettiche e le proprietà del frutto.

Ecco abituare il cittadino che la frutta non si produce in una fabbrica, ma quindi può avere forme di dimensioni diverse

ed è soprattutto soggetta ai cambiamenti del clima, potrebbe aiutare a superare questo periodo di crisi

perché a quel punto noi metteremmo in commercializzazione molta più frutta di quella che normalmente veniva scartata

e quindi potremmo aiutare i produttori a superare i momenti di crisi.

È quella frutta che a volte troviamo nei supermercati o al mercato in un'offerta speciale, no?

C'è una consuetudine e poi c'è anche una legislazione europea che impedisce immigrati di vendere un certo tipo di frutta sotto un certo calibro

che è stato fatto per evitare la sovraproduzione. C'è una normativa europea che norma perfettamente quella che deve essere la lucentezza delle bucce

e via dicendo fatta in origine per dire non ci deve essere sovraproduzione e altrimenti i prezzi alla vendia vanno troppo in basso.

Ora siamo in un altro contesto per cui quella normativa diventa obsoleta e forse bisognerebbe rivederla.

E rivedendola bisognerebbe anche rivedere le abitudini di acquisto e di consumo di tutti noi

attraverso un educazione alimentare collegando maggiormente quelli che sono i cigli della natura a quelli che sono le nostre abitudini di consumo.

Rispetto a quello che è appena detto perché a volte quando andiamo a fare la spesa notiamo delle differenze di prezzo anche grandi da un riveditore all'altro.

A non sempre esiste una corrispondenza tra il costo di produzione e il prezzo alla vendita.

Le filiere alimentari sono spesso molto lunghe, sono governate da un numero molto elevato di intermediari.

È difficile ricostruire la scomposizione del prezzo e la distribuzione del valore lungo la filiera alimentare.

Quello che è accaduto nell'ultimo anno in cui ci sono stati molti aumento di prezzo.

Perché ci sono stati oggettivamente anche degli aumenti dei costi di produzione per gli agricoltori.

Abbiamo visto come la grande distribuzione organizzata, cioè i supermercati,

che sono il principale canale di accesso all'acquisto alimentare ormai in Italia,

perché più del 70% di acquisti alimentari si fanno oggi in un supermercato.

Hanno aumentato i prezzi alla vendita gradualmente.

Inizialmente si sono fatti carico di un aumento di costi.

Non hanno aumentato in proporzione al reale aumento di costo che aveva il settore produttivo.

Ma poi questi aumenti si sono mantenuti.

Non c'è stata un'oscillazione legata al reale costo di produzione.

Perché tu vedevi che magari una melanzana lunga prodotta a vittoria

veniva venduta dal produttore all'intermediario a 18 centesimi al kilo

e poi veniva venduta al supermercato a 5 euro.

Perché quello è il prezzo a cui il supermercato aveva abituato ormai il cittadino consumatore.

E a quel punto si trattava di avere una vera speculazione

rispetto al prezzo di acquisto e di una distribuzione del tutto iniqua del valore lungo la filiera.

Il produttore veniva rimunerato molto poco e con lui il quale faceva il reddito

era il gestore dell'insegnare del supermercato.

Questa cosa si vede molto bene se noi osserviamo in paragone

i mercati contadini, i farmer's markets, i mercati a vendere la diretta

dove i produttori vendono direttamente al consumatore.

E lì si è visto nel corso dell'ultimo anno plasticamente

come i prezzi variavano o scillavano incredibilmente a seconda dei costi di produzione

quindi aumentavano e poi scendevano.

E a un certo punto si è visto che questi mercati contadini

che normalmente hanno dei prezzi un po' più altri rispetto al supermercato

perché il supermercato fa dell'economia di scala

perché il supermercato ha un potere contrattuale molto forte nei confronti dei fornitori.

Ecco, nei mercati contadini si sono avuti in quest'ultimo anno

e si hanno ancora in alcuni casi dei prezzi più bassi rispetto a quelli

praticati dalla grande distribuzione organizzata.

Perché i mercati contadini hanno un contatto reale,

c'è un rapporto immediato di conseguenzialità

tra il costo di produzione e il prezzo alla vendita.

Ovviamente fatto salvo il reddito che l'agricoltore deve avere

sia come produttore che anche come commerciante.

Però oggi è inimmaginabile che soprattutto nelle grandi città

tutti noi facciamo la spesa nei mercati contadini.

È un canale di vendita che sta crescendo molto

che è un fenomeno di estremo interesse in Italia

e è cresciuto moltissimo anche durante la pandemia

quindi anche in momenti più complessi i mercati contadini si sono aperti

e comunque suscitano grandissimo interesse.

Ovviamente parliamo ancora di una nicchia,

ma è una nicchia che cresce di importanza

perché fa dei fatturati intorno ai 6 miliardi di euro

per cui non è insignificante

e in cui soprattutto si crea un nuovo contatto

che secondo me è sempre più cercato tra chi produce e chi consuma

perché quello che è accaduto negli ultimi 20-25 anni

è un allungamento di smisura delle filiere

e una distanza che è fisica e poi diventa anche cognitiva

tra chi produce il cibo e chi lo consuma

e quindi una sempre maggiore ricerca di ritrovare l'identità del cibo

che passa attraverso la persona che lo produce e che te lo vende.

Siamo in una fase in cui i supermercati sono ancora il canale prioritario

ma non è detto che sarà sempre così

perché poi si possono creare delle nuove forme di vendia

che passano anche attraversi meccalismi digitali

che possono riavvicinare anche in questo modo il produttore al consumatore.

Da vedere io sono molto convinto che nei prossimi 10-15 anni

noi faremo la spesa molto diversamente da come la facciamo adesso.

Grazie Stefano Liberti.

Grazie a voi.

Il film della settimana è consigliato da Piero Zardo, editor di Cultura d'Internazionale.

In passifixion, un mondo sommerso di Albert Serra,

siamo nella pulniresia francese,

una comunità d'Oltremare, un residuo del colonismo francese.

Lì per qualche giorno seguiamo le orme dell'alto commissario della Republic

che si chiama Derollet,

intorno a cui ruotano tutta una serie di personaggi

più o meno ricorrenti o più o meno enigmatici.

Derollet è interpretato da Benua Magimel,

che in Francia è molto popolare,

ma anche molto discusto per via di diversi e giudiziari che ha avuto.

Magimel trasferisce prende tutto questo portato,

tutta questa ambiguità sul personaggio,

rendendolo ancora più sfocato di quanto il suo ruolo non faccia.

Ma è tutto l'uccidente che in questo paradiso,

derollet appare subito ingombrante, grottesco, decrepito,

orrendo, in ogni solo rappresentazione.

La voce che la Francia riprende le testi nucleari nelle isole

fa crescere un senso di paranoia che aumenta sempre di più.

Con un'energia geniale, Serra ci mette sempre al centro dell'azione,

come in una pazzesca sequenza in barca, in cui si ondeggia sullo scena,

ma l'atmosfera è assurreale, non si capisce mapped davvero cosa succede,

anche se il regista sembra suggerire che non importa,

non c'è più nessun paradiso da salvare,

salvare la contrapposizione tra civiltà natura e superata e in fondo dobbiamo sapere che

succederà qualcosa di molto peggio di quello che potremmo immaginare.

Pacific Show di Albert Serrat al cinema da 18 maggio.

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L'appuntamento con il mondo è lunedì mattina alle 6.30.

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In questi giorni il presidente cinese Xi Jinping ospita un vertice strategico con i capi di stato di Kazakistan, Kirgizistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Tajikistan. Il caldo e la siccità nel Mediterraneo stanno danneggiando la produzione, ma a far salire i prezzi dei prodottiagricoli contribuiscono anche altri fattori

Andrea Pipino, editor di Europa di Internazionale
Stefano Liberti, giornalista e scrittore

Video Asia Centrale: https://news.cgtn.com/news/2023-05-17/China-Central-Asia-Summit-an-important-dialogue-platform-1jSwSBcG1fa/index.html

Olio d’oliva in Spagna: https://www.youtube.com/watch?v=dEPB_hY15n8

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