Il Mondo: I costi della Brexit spingono Londra verso l’Europa. Cosa c’è dietro l'indagine per l’impeachment di Joe Biden.
Internazionale 9/19/23 - Episode Page - 25m - PDF Transcript
Dalla redazione di Internazionale io sono Claudio Rossi Marcelli, io sono Giulia
Zoli e questo è il mondo il podcast quotidiano di Internazionale.
Oggi vi parleremo del Regno Unito e del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden
e poi della sensazione di essere imbrogliati e di una mostra.
è martedì 19 settembre 2023
Il 17 settembre il leader del partito laburista britannico Keir Starmer ha dichiarato che se il
suo partito andrà al governo il Regno Unito rinegozierà l'accordo sulla Brexit e rafforzerà
rapporti con Bruxelles. Il suo annuncio detta la linea di un partito che è dato già in netto
vantaggio su conservatori da molti mesi e è arrivato per una serie di misure e dichiarazioni che sembra
andare tutte verso la stessa direzione e cioè un ammorbidimento della linea di Londra nei
confronti dell'Europa. A cominciare dalla decisione di rientrare dal 2024 in Horizon,
che è il programma europeo per la ricerca e l'innovazione. Ne parliamo con Andrei Pipino,
editor di Europa di Internazionale. Dunque questa notizia, quella del rientro del Regno Unito
nel programma Horizon, era attesa già da tempo, specialmente dalla comunità scientifica britannica.
Di fatto significa che Londra potrà dal 1 gennaio 2024 partecipare nuovamente ai progetti
del programma scientifico dell'Unione Europea che ha un budget molto consistente di circa 95 miliardi
di euro e che riguarda iniziative di diverso tipo, iniziative di ricerca che coprono temi molto
diversi, dalla salute, del cambiamento climatico fino all'energia e alla sicurezza alimentare.
Dunque l'accordo per la partecipazione del Regno Unito post Brexit a questo progetto in realtà era
già stato raggiunto nel 2020, ma in quel clima di diffidenza tra Londra e Bruxelles che si era
creato e che era segnato per esempio dagli scontri sulla questione dello status dell'Irlanda del
Nord, non era mai stato ratificato. D'altra parte la comunità scientifica britannica è
perfino il Brexit, è più convinti, non sembrano mai aver preso troppo sul serio l'alternativa che
era stata immaginata dal governo conservatore, cioè un progetto che si doveva chiamare Pioneer,
finanziato con 14 milioni di sterline, che in teoria avrebbe dovuto trasformare il Paese in una
superpotenza scientifica ma che in pratica avrebbe finito per isolarlo e avrebbe poi frenato anche
il lavoro e la collaborazione degli scienziati britannici con quelli internazionali. Al di là
del suo significato pratico per il mondo scientifico questa decisione invece che è valore politico
a, cioè una decisione isolata o rientra in una tendenza più generale a rivedere gli accordi post
Brexit? Il vero punto politico è che questa decisione segue una tendenza che nell'ultimo
anno è diventata piuttosto evidente e che in qualche modo sta facendo fare ai britannici i conti
con la realtà che per lungo tempo avevano evitato di guardare in faccia. In concreto significa che
le istituzioni britanniche si vedono costrette a fare marceni dietro su molte questioni cruciali
sulle quali invece i sostenitori della Brexit avevano immaginato che il Paese ce l'avrebbe
fatta per così dire da solo, perfino fermandosi come grande potenza e li citiamo quasi testualmente
liberando le sue potenzialità che in precedenza erano state inbrigliate dalla partenenza l'UE.
Per ogni osservatore onesto era chiaro che le cose non stanno in questo modo, non sono mai
state in questi termini. Tutto questo fa anche capire come l'intero dibattito sulla Brexit prima
e appena dopo il referendum del 2016 sia stato condotto in maniera del tutto irresponsabile e
realistica dai Brexit er più convinti, i quali promettevano un futuro in cui il Paese sarebbe
stato la singapore d'Europa, una specie di corazzata economica, un faro culturale,
nuovamente padrone della propria sovranità politica. Ovviamente le cose non sono andate in
questo modo, sono andate diversamente e su molte questioni oggi Londra sta facendo marceni dietro.
Con un'altra decisione di cui infatti si è parlato molto queste settimane è l'ennesimo
rinvio dell'applicazione dei controlli al confine sui prodotti freschi e gli alimenti che
arrivano nel Regno Unito dall'Europa. Perché si continua a rimandare l'inizio di questi controlli?
Quella dei controlli sulle importazioni alimentari dall'Europa in effetti è una questione che
riassume molto bene i paradossi e gli intoppi del funzionamento dei rapporti commerciali post-Brexit
tra appunto Regno Unito e Europa. I controlli erano già stati rimandati per ben quattro volte e dovevano
adesso entrare in vigore il prossimo ottobre, ma il governo di Cisunac ha deciso per un nuovo
rinvio almeno fino al gennaio del 2024. Ora il motivo ufficiale è dare più tempo alle aziende per
mettere appunto i sistemi per le verifiche soprattutto come hai detto sulla sicurezza dei
prodotti alimentari freschi ed di origine animale. In realtà il timore come ha fatto notare il
ministro dell'economia è che l'aggravarsi degli oneri burocratici per i produttori possa
ulteriormente far aumentare l'infrazione che è già molto cresciuta nell'ultimo periodo. Insomma
se un'altra vicenda che conferma come le istituzioni fossero totalmente imprevate alle
difficoltà pratiche che l'uscita dall'Unione europea avrebbe creato ovviamente la misura è stata
criticata dalle opposizioni con i liberali democratici che hanno parlato di una umiliante
marcha indietro, humiliating Newton e anche dai produttori secondo i quali in questo modo le
merci britanniche scontano uno svantaggio competitivo anche perché i controlli sui
prodotti britannici che invece entrano nell'Unione europea sono ormai nato da più di due anni.
Per quanto riguarda invece la collaborazione nella gestione dei flussi migratori cosa
succede ci sono ripensamenti anche lì da parte di Londra? La questione l'immigrazione è un altro
tema estremamente sensibile anche perché è stato il tema al centro della campagna referendaria
del 2016 e in fondo possiamo dire che la brexit fu venduta agli elettori britannici soprattutto
come un sistema per interrompere l'immigrazione dall'Unione europea e riappropriarsi di una
politica migratoria propria e sovrana che almeno nelle intenzioni dei brexit doveva essere più
chiusa all'Unione e più aperta soprattutto ai paesi del Commonwealth anche qui però la
realtà non ha rispettato le promesse, i migranti hanno continuato ad arrivare sempre più numerosi
e sempre più spesso in modo illegale con la differenza però che gli accordi sui impatri che
erano in vigore prima della brexit oggi sono a verta straccia e che quindi le espulsioni per
i britannici ci sono molto più complicate da effettuare anche qui c'è stato un altro di autofront
praticamente ormai per il premier su knack è diventata una priorità politica assoluta a
raggiungere un accordo sul rimpatio dei migranti illegali con l'Unione europea e non è detto
che l'Unione europea voglia accettare, negoziati sono ancora in corso, è evidente che anche per
la questione della gestione delle migrazioni è impensabile per l'ondra tagliare del tutto i
ponti con l'Europa. Come abbiamo detto in apertura c'è poi il leader laburista Starmer che ha detto
che se diventerà premier rinegozierà da capo l'accordo tra Europa e Regno Unito, in questo
caso il Regno Unito potrebbe trasformarsi una specie di norveggia nei suoi rapporti con l'Europa.
Allora in realtà Starmer non è mai stato un fautore della necessità per il Regno Unito di
rientrare nell'Unione europea. Di recente per esempio nella trasmissione TV Good Morning Britain
aveva detto che non c'è nessuna necessità di tornare nell'UE o nel mercato comune o nell'Unione
europea e nemmeno di riattivare gli accordi sul libro Movimento di cittadini. Sono posizioni che
non devono stupire perché Starmer le ha sempre sostenute. Sembra quindi difficile immaginare
un modello norvegese per la Gran Bretagna, un modello che d'altra parte Starmer in passato ha
detto di non voler mai adertare. Eppure qualche giorno fa come ricordavi il leader laborista ha
chiaramente dichiarato al Financial Times che se i laboristi nel 2024 vinceranno le elezioni
andranno al governo, un scenario che oggi appare piuttosto verosimile, gli accordi con Bruxelles
che sono stati negoziati prima da Boris Johnson e poi in parte finalizzati da Sunak saranno
profondamente modificati. Sarà costruita una partnership spiegato, più stretta e più ampia,
che lui ha definito un accordo migliore per il Regno Unito, che però evidentemente lui non
immagina come un maggior isolamento dall'Europa, ma molto probabilmente il contrario. Anche perché,
nonostante la classe politica britannica, faccia in gran parte finta di non vederlo e i dati
economici del paese Post Brexit sono abbastanza preoccupanti. Proprio ieri il New States mi ha
dedicato un articolo allo studio di un economista che si chiama John Springford che ha immaginato
un Regno Unito senza la Brexit. Ebbene, questo ipotetico Regno Unito ancora europeo oggi
avrebbe un volume di commercio con l'estero maggiore del 7%. Una crescita economica più alta
del 5% è un'inflazione molto minore, oltre ovviamente ai minori problemi di approvvigionamento
di mano d'opera che negli ultimi mesi sono stati piuttosto seri. Insomma, in una situazione
del genere non stupeisce che nel paese si stia diffondendo un sentimento collettivo che i giornali
cominciano a chiamare Brigret, cioè Brexit più Regret, praticamente il rimpianto di aver votato
per uscire dall'Europa nel referendum del 2016. Lo dicono anche i sondaggi, lo dicono i dati.
Secondo un recente studio di Hugov, il 51%, più del 51% degli elettori britannici per essere
precisi, oggi pensa che 7 anni fa il paese abbia fatto la scelta che poi alla fine si è
rivelata sbagliata. Grazie d'Andrea Pipino, grazie a voi.
La notizia di scienza della settimana raccontata da Elena Boille, vice-direttrice di Internazionale.
Quando ti fanno pagare più di quanto ti aspettassi, quando il tuo collega si dà malato per la terza
volta in un mese, quando sei bloccato nel traffico e ti superano sulla corsia d'emergenza.
La sensazione di essersi fatti fregare, di essere un po' il fesso di turno, può essere molto
fastidiosa. È normale a nessuno piace farsi abbindolare, ma per alcuni la paura della
fregatura può diventare una vera e propria ossessione. Tanto che alcuni psicologi hanno
coniato un po' per scherzo, la parola sugrofobia, dal termine inglese soccer, stupido, passando
per il latino sugere. In pratica è la paura di fare la figura del fesso. L'eccessivo scetticino
scicismo può andare ben oltre la giusta prudenza e diventare corrosivo e non solo a livello
individuale, può raggiungere livelli che impediscono di fidarsi dell'altro, di cooperare e di impegnarsi
per la collettività, con il rischio di alimentare la discriminazione, come spiega l'autrice
dell'articolo di Ion che riprendiamo su Internazionale questa settimana.
Infatti, quando viene evocata l'aminaccia di una fregatura, come gli immigrati ci rubano
il lavoro, può essere utile domandarsi chi ha davvero il potere in questa situazione.
La scorsa settimana a Kevin McCarty, lo speaker republicano della Camera degli Stati Uniti, ha annunciato
l'apertura di un'indagine che potrebbe portare a un voto per l'impeachment del Presidente
Joe Biden. McCarty ha dichiarato che ci sono elementi per ritenere che la famiglia di Biden
sia guidata da una cultura della corruzione. Un riferimento ha presunte attività illecite
condotte all'estero dal figlio del Presidente, Hunter Biden.
Ne parliamo con Alessio Marchionna, editor di Stati Uniti di Internazionale.
Sembra una forzatura anche perché, al momento, le accuse contro Hunter Biden e di conseguenza
contro il suo padre Joe sembrano abbastanza deboli. In sostanze republicani accusano il
Presidente di aver coperto, in alcuni casi incoraggiato, molte attività sospette di
suo figlio all'estero, per esempio in Ucraina e in Cina, attività da cui Hunter Biden avrebbe
guadagnato milioni di dollari e beni di lusso attraverso società di comodo. Grazie all'apertura
di un'indagine formale, i republicani avranno un più ampio margine di manovra per ottenere
delle prove, per esempio, documenti finanziari della famiglia Biden. In questo modo sperano
di trovare delle prove a sostegno dell'accusa che finora nelle indagini preliminari, non
sono emersi. Al centro delle accuse dei republicani c'è comunque Hunter Biden, il figlio del
Presidente. Cosa avrebbe fatto e cosa c'entra il padre? Hunter Biden è un problema per
Joe da molto tempo, lo è chiaramente prima di tutto a livello umano perché nel suo
percorso di vita ha avuto vari problemi in particolare con la dipendenza da sostanze
e da qualche tempo è un problema anche a livello politico. Almeno dal 2018 che i republicani
cercano di usare il figlio del Presidente come uno strumento per colpire Joe Biden prima
come candidato e poi in questo momento come Presidente. Nel 2018 un procuratore che era
stato nominato da Donald Trump cominciò a indagare sugli affari di Hunter Biden su una
serie di potenziali comportamenti criminali. C'erano tre filoni, il primo riguardava le
sue attività all'estero in particolare in Ucraina e in Cina cioè l'idea che si sarebbe
arricchito e questo è quello a cui ha fatto riferimento lo speaker McCarty si sarebbe
arricchito guadagnando milioni di dollari attraverso una serie di consulenze e attività
in Ucraina e in Cina. Un'altra questione riguarda il possesso di un'arma da fuoco
in un periodo in cui non poteva avere il porto d'armi perché era dipendente da crack e una
terza accusa riguarda l'evasione fiscale perché non avrebbe pagato le tasse nel 2017
e nel 2018. Per quanto riguarda la prima accusa al momento è ferma nel senso che non è stato
scoperto nessun tipo di reato da parte di Hunter Biden all'estero né tanto meno un
coinvolgimento da parte di suo padre Joe. Le accuse che per ora sono in piedi sono quelle
che riguardano il possesso d'arma da fuoco per cui Hunter Biden è stato incriminato
pochi giorni fa e l'evasione fiscale. Non sappiamo se le accuse contro Hunter Biden
porteranno all'impeachment dell'attuale presidente ma sappiamo che il suo nome è
allegato all'impeachment di un ex presidente cioè di Donald Trump nel 2019. Ci ricordi
quella vicenda c'è un collegamento con l'intaggine attuale? Donald Trump ha subito due processi
di impeachment. Al centro dell'impeachment del 2019 c'era l'accusa di aver ricattato
il presidente ucraino Volodymyr Zelensky chiedendogli di cercare delle prove incriminanti contro
Hunter Biden e contro suo padre Joe che in quel momento era potenziale candidato alle
presidenziali del 2020 e nel fare questa richiesta Zelensky secondo gli inquirenti all'epoca
aveva messo in atto una sorta di ricatto nel senso che gli aveva detto in maniera abbastanza
diretta che gli Stati Uniti non avrebbero più dato aiuti militari all'Ucraina se il
presidente ucraino non avesse contribuito a trovare queste prove contro la famiglia Biden.
Donald Trump si è salvato da quell'accusa di impeachment anche se le prove al suo
carico erano molto pesanti, si salvò soprattutto perché il Partito Repubblicano come sempre
è stato in questi anni si schierò compattamente dalla sua parte.
Quattro anni dopo sembra che la situazione si sia ribaltata, cioè in questo caso sono
i repubblicani ad accusare il presidente che adesso è democratico di aver condotto
delle operazioni illegali riguardo all'Ucraina e in qualche modo quelle tesi infondate di
Trump sulle attività di Biden in Ucraina vengono convalidate per cercare di aprire
un procedimento che serve fondamentalmente a colpire e a indebolire l'amministrazione
Biden.
Nel complesso sembra di capire che le accuse contro Joe Biden sono abbastanza deboli perché
repubblicani hanno deciso di aprire queste indagini adesso.
Questa scelta si spiega con una considerazione di carattere politico che riguarda le divisioni
all'interno del Partito Repubblicano, cioè il Partito Repubblicano in questo momento
è spaccato perché c'è una parte diciamo più radicale e trampiana che spinge per non
fare nessun tipo di accordo con i democratici per attaccare in ogni modo possibile il presidente
Biden e che accusa lo speaker repubblicano McCarty di essere troppo morbido nei confronti
di Biden.
McCarty in questo momento da un lato rischia di essere estromesso dal suo ruolo di speaker
proprio sotto la pressione di questa ala radicale e dall'altro si trova in un momento
molto delicato del suo incarico perché deve, entro fine settembre, trovare un accordo
con i democratici sul piano di spesa per questo deve collaborare con l'amministrazione Biden
per evitare quello che si chiama lo shutdown, cioè la chiusura parziale dell'attività
del governo.
Sembrerebbe quindi che stia usando la questione dell'impeachment contro Biden come strumento
per placare l'ala più radicale del partito e quindi per cercare di avere una maggior
margine di manovra sulla questione della spesa e tentativo di evitare lo shutdown.
Un'altra questione che è quella più ampia che riguarda la politica e statunitensia
del prossimo anno è quella delle elezioni presidenziali del novembre 2024, chiaramente
una strategia dei repubblicani che si apprestano a nominare a quanto pare Donald Trump come
loro candidato per le presidenziali, una strategia potrebbe essere quella di creare
una sorta di equivalenza morale e politica tra Donald Trump e Joe Biden per dire agli
elettori guardate Donald Trump non è l'unico ad avere dei problemi con la giustizia, quattro
processi in corso anche Joe Biden ha fatto i suoi errori e ha un passato poco trasparente
quindi è poco affidabile.
Questa indagine potrebbe effettivamente indebolire Biden in visita delle elezioni, cosa dicono
i sondaggi?
Secondo i sondaggi fatti a inizio agosto i repubblicani sono abbastanza compatti nel
ritenere che il figlio del presidente abbia ricevuto un trattamento di favore finora che
non si sia indagato abbastanza sulle sue attività e che questo sia dovuto al fatto
che appunto c'è suo padre che lo protegga.
Detto questo però la maggior parte degli elettori ritiene che Biden sia in realtà un buon padre
nel sostenere il figlio che solo il 26% dichiara di essere meno propensa a votare per Biden
a causa dei problemi legali di suo figlio.
Questo non vuol dire che Joe Biden sia un presidente popolare anzi il suo indice di
gradimento è molto basso anche rispetto ad altri presidenti del passato in questa fase
del suo mandato e sono tanti anche all'interno del partito democratico sia politici sia elettori
che sono spaventati da questo scarso indice di popolarità di Biden in vista delle elezioni
del prossimo anno.
Nello stesso campo progressista in effetti c'è ancora chi sostiene che Biden non dovrebbe
ricandidarsi per il 2024?
Sì prima dell'estate Biden ha pubblicato un video in cui lanciava la sua candidatura
alle elezioni del 2024 quindi lì teoricamente la questione se doveva o no candidarsi sembrava
in qualche modo risolta.
Ma nelle ultime settimane in parte anche proprio per via dei problemi legali del figlio
si è ricominciato a parlare della candidatura di Biden e sono molti all'interno del mondo
progressista sui giornali anche voci politiche che gli chiedono di farsi da parte sulla base
di due ragionamenti il primo è sempre il solito ed è quello che riguarda l'età.
Biden avrebbe 82 anni quando inizierebbe un suo eventuale secondo mandato e secondo un
sondaggio recente dell'associate press il 77% dell'opinione pubblica il 69% dei republicani
pensa che sia troppo vecchio per essere efficace per quattro anni.
Un secondo problema riguarda anche la sua vicepresidente Kamala Harris che a sua volta
è molto impopolare quindi c'è chi dice a questo punto non dovrebbe farsi da parte
solamente Biden ma anche lei e trovare due candidati più forti attraverso le primarie
del partito democratico.
Chi sostiene che invece Biden debba ricandidarsi lo fa anche in questo caso con argomentazioni
che sono le stesse da molti mesi cioè l'idea che chiedere a un presidente che ha avuto
un successo piuttosto importante nei primi quattro anni di mandato perché ha provato
delle leggi molto importanti sull'ambiente, sulle infrastrutture e riuscito a sostenere
la resistenza ucraina senza portare gli Stati Uniti in guerra con la Russia, chiederli
di farsi da parte in questo momento sarebbe quanto meno rischioso quindi secondo il vecchio
detto Stati Unitense non aggiustare una cosa se non è rotta, in tanti pensano che Biden
debba invece assolutamente essere il candidato democratico alle presidenziali dell'anno prossimo.
Grazie Alessio Marchionna.
Grazie a voi.
La mostra della settimana consigliata da Daniele Cassandro, editor di Cultura di Internazionale.
Paolo Pellegrin è un fotoreporte romano vincitore di 11 world press foto e le stanze della fotografia
a un grande spazio espositivo all'isola di San Giorgio a Venezia gli ha dedicato una
retro spettiva intitolata all'orizzonte degli eventi.
Nella fisica teorica l'orizzonte degli eventi è quella zona liminale in prossimità di
un buco nero oltre la quale nessuna partecella di materia può più tornare indietro, neanche la luce.
Paolo Pellegrin, come tutti i fotografi, lavora con la luce e, come tutti i fotogiornalisti
impegnati in zone di guerra o in situazioni delicate, sa bene che esiste una soglia che
divide lo scatto giusto dal nullo, l'immagine fa catturata in quel momento, subito prima
che venga indiottita nel buco nero.
In Mostra Venezia gli sono più di 300 scatti, alcuni sono tratti da suoi lavori già molto
famosi come quelli realizzati in Libano, in Iraq e in Palestina, altri da progetti più
sperimentali come quelli sulla video sorveglianza o quelli quasi pittorici sui volti che emergono
dalle uscite della metropolitana di Tokyo.
Pellegrin mostra anche un reportage inedito dall'Ukraine in cui la guerra è mostrata
come qualcosa che ha delle conseguenze immediate e molto tangibili sulle vite quotidiane
delle persone.
Notevoli sono anche i tre video che ci permettono di seguire quasi in soggettiva il lavoro del
fotografio.
Paolo Pellegrin, l'orizzonte degli eventi, a cura di analisa d'Angelo e Denis Scurti,
alle stanze della fotografia di Venezia fino al 7 gennaio 2024.
L'appuntamento con il mondo è domattina alle 6.30.
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Il leader laburista Keir Starmer ha dichiarato che se il suo partito andrà al governo, il Regno Unito rinegozierà l’accordo sulla Brexit e rafforzerà i rapporti con Bruxelles. La scorsa settimana Kevin McCarthy, lo speaker repubblicano della camera degli Stati Uniti, ha annunciato l’apertura di un’indagine che potrebbe portare a un voto per l’impeachment del presidente.
CON
Andrea Pipino, editor di Europa di Internazionale
Alessio Marchionna, editor di Stati Uniti di Internazionale
LINK
Video Brexit: https://www.youtube.com/watch?v=1jRLCUoc9Ek
Video Biden: https://www.youtube.com/watch?v=Of_w0WpzSoY
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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni, con Vincenzo De Simone.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.