Il Mondo: Dimostrazione di forza cinese intorno a Taiwan. Una speranza per la pace in Yemen.

Internazionale Internazionale 4/11/23 - Episode Page - 23m - PDF Transcript

Dalla redazione di Internazionale io sono Giulia Zoli e questo è il mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Oggi vi parlerò delle esercitazioni militari cinesi intorno a Taiwan e di un possibile accordo di pace a Yemen e poi di un articolo di Internazionale e di un libro.

È martedì 11 aprile 2023.

Abbiamo più volte sottolineato che ci opponiamo fermamente a ogni forma di contatto ufficiale tra gli Stati Uniti e la autorità di Taiwan.

Ha detto il 7 aprile la portavoce del Ministero degli Estri Cinesi Maoning nella conferenza stampa che avete appena sentito.

I rappresentanti degli Stati Uniti, a aggiunto, dovrebbero rispettare la politica di un'unica Cina e assenersi dall'inviare segnali sbagliati alle forze indipendentiste taiwanese.

Il giorno dopo la Cina ha dato il via tre giorni di esercitazioni militari intorno a Taiwan in risposta alla visita negli Stati Uniti della presidente taiwanese Tsai Ing-wen.

Taiwan ha condannato le manovre militari cinesi, accusando Pequino di compromettere la pace e la stabilità nella regione.

Ne parliamo con Junco Terau, editor di Asia di Internazionale.

L'esercitazione militari cinesi che si sono concluse ieri intorno a Taiwan sono state delle esercitazioni imponenti, ma non le più imponenti degli ultimi tempi.

Taiwan ha parlato di una settantina di aerei da guerra e di 11 navi nelle acque circostanti l'isola.

Sono stati dichiaratamente, da parte di Pequino, una risposta a quella che ha definito una provocazione.

La provocazione è stato l'incontro tra la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e lo speaker della camera delle rappresentate Stati Unitense Kevin McCarty in California la settimana scorsa.

È stato un incontro chiaramente non ufficiale, perché Washington non riconosce ufficialmente Taiwan come stato sovrano,

ma si è trattato di un incontro politicamente molto importante in un contesto bipartisan istituzionalmente non rilevante,

però quella che è di fatto la presidente e di Taiwan ha incontrato la terza carica nella leadership Stati Unitense più importante, quindi è stato un incontro politicamente rilevante.

Tsai Ing-wen è rientrata a Sabato a Taiwan concludendo un viaggio di 10 giorni nelle America. Quali erano gli obiettivi di questo viaggio?

Tsai, negli Stati Uniti ti trovava di passaggio, diciamo così, perché era andata in America centrale e in visita ufficiale nei due dei 13 paesi rimasti ad avere rapporti diplomatici con Taiwan,

il resto del mondo invece ha rapporti diplomatici con la Repubblica popolare cinese, è andata in Belize, in Guatemala,

dopo che poco fa l'Onduras si è sfilata da questo gruppo di 13 e ha riconosciuto invece la Repubblica popolare cinese come unica Cina.

Queste manifestazioni di solidarietà e di amicizia da parte degli Stati Uniti e dei politici statunitensi nei confronti di Taiwan sono aumentate molto ultimamente di pari passo al crescere del sentimento anti-cinese in America.

Per Taiwan questo può essere un gioco un po' pericoloso, nel senso che, come per esempio ha dimostrato la visita della Ex,

il speaker della Cama delle Representanti inensipelosi a Taipei, lo scorso agosto, che aveva sollevato le reazioni furibonde di Pechino

e, quella volta sì, delle esecutazioni davvero imponenti e molto minacciose.

Per Taiwan da un lato è bene avere la vicinanza, la solidarietà della principale potenza mondiale, ma può essere un'arma dopo taglio, può essere anche controproducente,

perché va bene affermare la propria vicinanza all'isola, ma provocare in modo così sfacciato Pechino non è detto che per Taiwan poi sia la cosa giusta.

Però Taiwan ha sempre vissuto in una situazione di ambiguità, anche Taiwan riconosce che esiste una sola Cina, ma sull'interpretazione di cosa sia questa sola Cina,

Taipei e Pechino hanno pegnoni diverse, per Pechino la Cina è la Repubblica popolare, e invece per Taiwan è la Repubblica di Cina.

C'è una sorta di gara di solidarietà da parte dei politici statunitensi, addirittura pare che McCarty inizialmente avesse proposto a Zaydi fare la stessa cosa che aveva fatto Pelosi,

di andare in visita nell'isola, e pare che Zaydi abbia detto, ma forse lasciamo stare, vengo io in California e ci incontriamo insomma, durante questo viaggio in America.

Più o meno negli stessi giorni in cui Zaydi era nell'America, l'ex presidente taiwanese Maingio del partito nazionalista del Kuomintang era in viaggio in Cina,

dove è rimasto sempre fino al 7 aprile. Quali erano gli obiettivi di questo viaggio?

Il viaggio di Ma, contemporaneo alla visita di Zaydi in America, è stata una sorta di offensiva diplomatica di Pechino.

Pechino per la prima volta è invitato un ex-leader, leader non l'ha mai invitato, ma un ex-leader taiwanese a visitare la madre patria,

ufficialmente per andare a render omaggio ai suoi avi, insomma, a visitare la terra dei suoi avi.

È stato da un lato, da parte di Pechino, un'offensiva diplomatica, cioè un modo per postarsi più distesa nei confronti dei taiwan,

mentre poi subito dopo avrebbe fatto le esercitazioni, però diciamo che probabilmente dal punto di vista dei diplomatici di Pechino le cose non confliggono,

e probabilmente anche perché questo diceva l'analista della BBC l'altro giorno,

perché in vista delle elezioni presidenziali a taiwan l'anno prossimo, Pechino cerca di non aizzare i nazionalisti,

e quindi mostrandosi appunto così, accogliente nei confronti di un ex-leader di taiwan,

probabilmente ha cercato un po' di conquistare, tra virgolette, anime e cuori a taiwan, cosa che dubito sia riuscita a fare, insomma.

È vero che le esercitazioni cinesi sono state presentate come una reazione alla visita di Tsai, ma è anche vero che sono cominciate

dopo il viaggio in Cina del presidente francese Manuel Macron e della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen,

che hanno incontrato a Pechino il presidente Xi Jinping.

Sì, esatto. Xi Jinping ha avuto un atto di riguardo nei confronti di Manuel Macron,

perché ha aspettato che Macron se ne tornasse in Europa per far partire le esercitazioni.

Questo in linea anche probabilmente con lo spirito, quello che chi c'era, insomma i giornalisti che c'erano,

hanno detto che è stato lo spirito di questa visita di Macron in Cina.

Macron è andato a proporre, a parlare di indipendenza strategica dell'Europa,

indipendenza rispetto alla linea degli Stati Uniti nei confronti della Cina,

in qualche modo suscitando il compliacimento di Xi Jinping,

perché Xi Jinping non vedrebbe l'ora che l'Europa si stacchia dall'allianza con gli Stati Uniti.

Von der Leyen rispetto a Macron ha una linea, rappresentando lei l'intera Unione europea,

ha una linea meno decisa in questo senso, ovviamente,

anche perché sappiamo bene che per quanto Macron tenti di trovare una terza via europea in questa disputa,

in realtà i paesi dell'Unione europea sono molto divisi rispetto a che linea a mantenere,

che tipo di rapporti va a avere con Pekino.

Le esercitazioni cinesi intorno a Taiwan sono terminate,

ma vanno avanti da anni e probabilmente continueranno. Dobbiamo preoccuparci?

La maggior parte degli analisti esclude il rischio reale di una guerra.

Dopotutto, né Cina, né Stati Uniti hanno alcuni interesse a scopiare un nuovo conflitto,

che a quel punto sarebbe veramente un conflitto di livello mondiale.

Tanto più che gli Stati Uniti non sono tenuti in nessun trattato a intervenire in caso di attacco cinese a Taiwan,

hanno una legge con cui si impegnano a fornire a Taiwan i mezzi per difendersi,

quindi sostanzialmente a vendere gli armi, cose che stanno facendo.

Detto questo, alzare così la temperatura in quella parte di mondo non è assolutamente una cosa buona,

potrebbe sempre esserci un incidente e in quel caso qualcuno si troverebbe costretto a rispondere.

Grazie a Junco Terrao.

Grazie a voi.

La notizia di scienza della settimana raccontata da Elena Boille, vice-direttrice di Internazionale.

Sappiamo che le piante non possono muoversi per sfuggire ai pericoli,

ma sono meno inermi di quanto tendiamo a pensare.

Se un parassito alle attacca, per esempio, possono emettere delle sostanze chimiche che sembrano avere

la doppia funzione di respingere il nemico e di allertare le piante vicine.

Ora, un gruppo di ricercatori di Tel Aviv sostiene che le piante rispondano allo stress anche e mettendo dei suoni.

Per dimostrarlo, come racconta un articolo di The Conversation nell'ultimo numero di internazionale,

hanno sistemato dei microfoni a 10 centimetri d'alcune piante a cui mancava l'acqua,

o che erano state parzialmente rescise alla base.

Hanno poi confrontato i suoni registrati con quelli di piante non sottoposte a stress.

Si è visto che le piante stressate emettevano molti più suoni.

Per renderli udibili anche all'orecchio umano, i ricercatori li hanno elaborati e accelerati.

Il risultato è una sorta di scoppiettio.

Questi pop emessi sono probabilmente legati alla cavitazione,

un processo attraverso il quale delle bolle d'area si espandano e scoppiano nell'oxilema,

il tessuto che trasporta acqua e nutrienti nelle piante.

Un po' come quando ci scrocchiamo le dita.

Comunque, quale che sia il meccanismo che gli produce,

i suoni sembrano trasmettere delle informazioni.

Infatti variano a seconda della specie che gli emette e del tipo di stress subito.

Resta da capire se questi suoni siano davvero una forma di comunicazione tra le piante

o con l'ambiente circostante.

Il 9 aprile, una delegazione dell'Arabia Saudita è arrivata insieme a un gruppo di mediatori dell'Oman,

a Sana'a, la capitale dello Yemen, per discutere con i ribelli uti un accordo di pace definitivo.

Nell'audio che avete ascoltato, il capo dei negoziatori uti ha appena sbarcato l'aeroporto di Sana'a

e l'enca le sue condizioni, tra cui l'area apertura di porti e aeroporti,

il pagamento degli stipendi e dipendenti pubblici di Yemeniti

e l'allontanamento delle forze stranieri dal Paese.

I colloqui di questi giorni potrebbero essere un passo storico per mettere fine a una guerra civile

che va avanti da più di 9 anni e che ha provocado la più grave crisi umanitaria del mondo.

Ne parliamo con Francesca Agnetti, editor di Medi Oriente d'Internazionale.

Alcuni mezzi di informazione dei uti, i ribelli siti che controllano la capitale Sana'a e altre parti del Paese,

hanno diffuso delle immagini che mostrano l'ambasciatore saudita nello Yemen,

Muhammad al-Jabbar e il capo politico del gruppo ribelle, Madi al-Mashat,

stringersi la mano. Un'altra foto mostrerebbe anche la presenza del leader dei uti, Muhammad Ali al-Uti.

Nessun funzionario però ha fatto delle dichiarazioni ufficiali sul contenuto dei colloqui.

Varie fonti hanno fatto intendere che le parti potrebbero arrivare a un accordo entro la fine del mese.

Due diplomatici iemeniti che lavorano nel Golfo hanno detto all'agenzia France Press sotto Anonimato

che i negoziatori discuteranno i mezzi per avanzare verso l'instaurazione della pace.

Mentre, secondo la BBC, anche se i termini dell'accordo non sono pubblici,

probabilmente comporteranno un impegno a pagare i salari dei dipendenti pubblici,

compresi quelli che lavorano nelle regioni sotto il controllo dei uti,

l'arriapertura di tutti i porti e aeroporti, quindi l'eliminazione del blocco aereo

e marittimo imposto dall'Esercito Saudita, e poi degli obiettivi ancora piuttosto vaghi

come una transizione politica alla ricostruzione del Paese, il ritiro di tutte le forze stranieri.

In ogni caso, Hans Grunberg, l'inviato delle Nazioni Unite per Loiemen, ha detto all'Associate Press

che Loiemen non è mai stato così vicino a un vero progresso verso una pace durevole.

In parallelo a queste consultazioni mediate dall'Oman,

che danni a un importante ruolo di mediatore nel golfo,

anche le Nazioni Unite stanno portando avanti un percorso di negoziati con l'obiettivo

di trovare una soluzione a questo lungo conflitto.

Si parla spesso di guerra dimenticata a proposito dello Loiemen.

Allora, ci aiuti a ricordare, a ripercorre le tappe di questo conflitto?

La guerra nell'Oiemen è molto complessa, per raccontarla bisogna tornare indietro almeno fino al gennaio del 2011,

quando, sull'onda della primavera Araba, la serie di protesti che hanno toccato vari paesi,

parte della Tunisia, Leggitto, la Libia, la Siria,

e anche nell'Oiemen furono organizzate delle manifestazioni contro il presidente Ali Abdullah Saleh,

che era al potere da 33 anni.

Dietro la pressione della piazza, Saleh lasciò il potere al suo vice, Abd Rabdo Mansuradi.

A quel punto, però, intervendero gli uti, che sono un movimento fondato negli anni 90,

sono originari del nord del Paese e seguaci del zaidismo, una variante dell'Islam-Shita.

Sentendosi esclusi dal nuovo aspetto del potere che si andava delineando dopo la caduta di Saleh,

verso la fine del 2014 si allearono con l'ex presidente, presero il controllo della capitale Sana'

e a gennaio del 2015 rovesciarono il governo di Adi, e quindi lanciarono un'operazione per conquistare il sud del Paese.

Adi si era rifugiato ad Aden nel sud, ne scappò in Arabia Saudita,

e nel marzo del 2015, Riad abbiava una campagna militare contro gli uti,

con il sostegno di altri paesi della regione, tra cui i Emirati Arabi Uniti.

In seguito, Saleh fu ucciso in uno scontro con gli uti, mentre il sud del Paese,

in particolare l'importante porto di Aden, sono diventati terreno di azione del Consiglio di Transizione del Sud,

che è un movimento secezionista sostenuto dai Emirati Arabi Uniti, complicando quindi ancora di più le cose,

mentre sono cominciati anche gli attacchi dei uti contro obiettivi militari,

impianti petroliferi e del gas in Arabia Saudita.

Ora il Paese resta diviso tra una parte, il Nord-Ovest, che è sotto il controllo dei uti,

e il resto del Paese, il Sud e l'Est, sotto il controllo del governo riconosciuto dalla comunità internazionale,

che al momento è guidato da un Consiglio Presidenziale, a cui Adi ha trasferito i suoi poteri nell'aprile del 2022.

L'obiettivo del Consiglio è creare un fronte unito tra le fazioni sostenute dagli Emirati e dalla Arabia Saudita contro gli uti,

ma il suo operato è segnato da divisioni e conflitti interni.

In generale, secondo molte esperti, il conflitto nell'Oiamen è diventata una guerra per procura tra i due grandi nemici della regione,

l'Arabia Saudita e l'Iran che sostiene i uti.

Questi due Paesi proprio un mese fa hanno raggiunto un accordo storico con la mediazione di Pechino

e hanno deciso di rialacciare le relazioni diplomatiche.

Questi incontri a Sanapo possono essere considerate una specie di effetto collaterale di questo riavvicinamento?

Sì, sicuramente in realtà già ad aprile del 2022 era entrata in vigori una tregua nell'Oiamen di due mesi

che era stata concordata tra l'Arabia Saudita e i uti con la mediazione dell'ONU

e aveva fatto sperare già in un avanzamento verso la pace,

però poi a ottobre la tregua è scaduta dopo due rinnovi e non è stata ulteriormente rinnovata.

Nel frattempo a Maggio erano già ripresi dei colloque informali tra l'Arabia Saudita e i uti, sempre con la mediazione dell'ONU,

ma non c'erano visti dei risultati tangibili. Poi il 10 marzo del 2023 a Arabia Saudita e Iran,

con la mediazione appunto della Cina, hanno restabilito le relazioni diplomatiche che erano interrotte dal 2016.

E molto osservatori hanno espresso la speranza che questo potesse avere delle conseguenze positive sul confetto nell'Oiamen.

Da anni in realtà l'Arabia Saudita cerca di uscire da quello che ormai è diventato un pantano nell'Oiamen.

Questa spedizione militare doveva essere una legittimazione dell'allora ministro della difesa e vice-principere d'Itario Saudita,

Mohamed Bilsalman, che nel frattempo poi ha proseguito la sua scala tal potere diventando principere d'Itario.

Lui aveva presentato l'operazione nell'Oiamen come una vittoria facile e veloce che l'avrebbe presentato al mondo

e suoi sudditi come un grande capo militare, ma in realtà questo intervento si è trasformato in un disastro politico e umanitario

che ha cominciato anche a menacciare la sicurezza della monarchia uabita, soprattutto con gli attacchi appunti o condotti

contro chissabilimente della compagnia Petroliferaram con i ultimi anni.

Dall'alto lato probabilmente una spazione più tranquilla nell'Oiamen in questo momento conviene anche a l'Iran che da mesi

è alle prese con una rivolta interna senza precedenti e che rischia di essere sempre più isolata nella regione

considerato anche il contesto della guerra in Ukraine e lo stallo nelle trattative sul nucleare.

Hai parlato di disastro umanitario, qual è la situazione oggi nel paese?

Già nel marzo del 2017 le Nazioni Unite hanno descritto l'Oiamen come la peggiore crisi umanitaria del mondo.

Sono 23,5 milioni, gli Yemeniti che hanno bisogno di aiuti umanitari, 4,5 milioni di persone sono state costrette a lasciare le loro case.

La guerra nell'Oiamen è stata ed è molto violenta.

Sempre secondo le Nazioni Unite sono 150 mila le vittime dirette della guerra, ma sono molto di più considerate anche quelle indirette.

Bombardamenti sauditi spesso hanno colpito i civili e anche con armi prodotte in occidente, tra cui in Italia.

A dicembre del 2022 l'Unicef ha avvertito che più di 11.000 bambini sono stati uccisi o mutilati dal 2015.

Ma nonostante questa situazione catastrafica, i finanziamenti per l'aiuto umanitario nell'Oiamen da parte della comunità internazionale sono diminuiti anno dopo anno.

Le varie ONG, le agenzie internazionali che operano sul terreno moltiplicano gli appelli.

Però il fatto che l'Oiamen in tutti questi anni raramente si è stato sulle prime pagine dei giornali e come dicevi tu è un conflitto piuttosto dimenticato.

Questo sicuramente non ha aiutato anche per quanto riguarda la risposta della comunità internazionale all'emergenza umanitaria.

Che paese potrebbe uscire da questi colloqui se si trovasse un accordo per una pace definitiva? Come potrebbe essere l'Oiamen di domani?

È molto difficile da prevedere, è probabile che il Consiglio di Transizione del Sud voglia tornare addirittura a una situazione precedente al 1990,

cioè all'unificazione tra l'Oiamen del Nord e l'Oiamen del Sud.

Questo scenario di una divisione è respinto dagli uti che sono contrari anche a l'idea di una confederazione,

ma insisto invece su un Oiamen unificato, però ovviamente vogliono avere il controllo su una parte sostanziosa del paese compresa la capitale.

A rabbia saluta i demirati ovviamente non accetteranno mai una prospettiva del genere.

Non c'è molta fiducia tra le parti, però a quanto dicono le agenzie internazionali,

sembrerebbe che sauditi e uti si siano già messi d'accordo e l'ina di principio su una tregua di sei mesi che aprirà la porta

a un periodo di negoziati di altri tre mesi per arrivare poi a stabilire un periodo di transizione di due anni.

Ma come diceva Maliniccio ancora non c'è niente di definitivo, niente di ufficiale,

però forse è il momento per essere fiduciosi che qualcosa si sia effettivamente muovendo per mettere fino a questo conflitto lungo e doloroso.

Grazie Francesca Agnetti.

Grazie a voi.

Il libro della settimana è consigliato da Anna Frankin, editor di Scuola di Internazionale.

Educare e Controvento, Storie di Mestre, Mestre di Belli e il nuovo libro di Franco Lorenzoni che è stato maestro per 40 anni.

Come nei due testi precedenti pubblicati da Sellerio, anche qui Lorenzoni condivide alcuni momenti di quello scambio ricchissimo che a Verenaula con i più piccoli e che lui sa di scrivere sempre molto bene.

Ma stavolta, accanto i bambini alle bambine, celebra anche gli adulti raccontando le donne e gli uomini che lo hanno accompagnato nella sua ricerca.

Persone ribelli perché non si sono contentate e hanno cercato di moltiplicare le possibilità intorno all'istruzione.

Tra le pagine che mi hanno colpito di più ci sono quelle dedicate al lavoro di Alessandra Ghisburg che nel 1970 si oppone alle scuole speciali in cui sono relegati gli alunni con disabilità e apre a Roma la prima scuola dell'infanzia rivolta a tutti.

Anticipando di 7 anni la legge sull'integrazione scolastica e mi sono piaciuta molto le parti del libro che si soffermano sul movimento di cooperazione educativa perché fanno capire quanto è importante per gli insegnanti mettersi in gioco e formarsi insieme, cioè fare squadra.

Educare contro vento, stare di maestre maestre ribelli, di Franco Lorenzoni edito da Sellerio.

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Sottotitoli e revisione a cura di QTSS

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La Cina ha dato il via a tre giorni di esercitazioni militari intorno a Taiwan, in risposta alla visita negli Stati Uniti della presidente taiwanese Tsai Ing-wen. Il 9 aprile una delegazione dell'Arabia Saudita è arrivata a Sanaa per discutere con i ribelli houthi un accordo di pace definitivo.

Junko Terao, editor di Asia di InternazionaleFrancesca Gnetti, editor di Medio Oriente di Internazionale

La portavoce del ministero degli esteri cinese: https://www.youtube.com/watch?v=_0U9LW53lxo

Capo della delegazione houthi:https://www.youtube.com/watch?v=WGaQfSvilxo

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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.