Il Mondo: Cosa cambia ora per tutto il Medio Oriente. È giusto restaurare Banksy?
Internazionale 10/13/23 - Episode Page - 27m - PDF Transcript
Dalla redazione di internazionale io sono Giulia Zoli, io sono Claudio Rossi Marcelli e
questo è il mondo, il podcast quotidiano di internazionale. Oggi vi parleremo della
crisi regionale in Medio Oriente e di Banksy e poi di di vario alimentare e di un film.
È venerdì 13 ottobre 2023.
In questa intervista ho nottivuto ad unitanze il tenente colonnello Jonathan
Cornikos racconta come l'esercito israeliano sta rispondendo al lancio di razzi dalla Siria e dal
sud del Libano. Dopo l'attacco di Hamas del 7 ottobre nel sud di israele rischia di aprirsi un
altro fronte nel nord ai confini con il Libano. Il timore è che Ezbolla, il gruppo armato scivita
alleato dell'Iran e di Hamas e che domina nel sud del Libano, decida di attaccare il territorio
israeliano. La risposta di Israele potrebbe provocare una nuova guerra con il Libano dopo quella
disastrosa del 2006 e le conseguenze si estenderebbero ben oltre i confini libanesi,
stravolgendo una serie di equilibri che si stavano definendo in Medio Oriente.
In questo contesto ieri alcuni ride aerei israeliani hanno preso di mira agli aeroporti di Damasco e
Dialepo in Siria dove Ezbolla è un alleato del Presidente Bashar al Assad che lo aiuta a
rifornirsi di armi iraniane. Ne parliamo con Lorenzo Trombetta, giornalista esperto di Medio
Oriente che vive a Beirut ed è autore tra gli altri di negoziazione e potere in Medio Oriente,
alle radici dei conflitti in Siria d'intorni, pubblicato da Mondadori l'anno scorso.
L'informazione che abbiamo dal fronte nord israeliano sono oggi 12 ottobre di una calma
precaria, tesa come si dice in gergo, nel senso che a differenza agli ultimi tre giorni non ci
sono stati incidenti, botta risposta tra Israele e gli Esbolla, il movimento armato,
scelta figlio iraniano in Libano, ma nelle ultimissime ore ci sono state notizie confermate
adesso dalla Siria di raede aerei attribuite a Israele contro gli aeroporti siriani di Damasco
e Dialepo, probabilmente contro dei pausi di diarmi iraniane custodite dagli Esbolla libanesi,
questo per dare un'idea del tipo di allargamento e il conflitto in corso in queste ore.
Cos'è Esbolla e perché ha un ruolo così importante nella regione, in particolare in questo
momento? Esbolla è un partito armato nato negli anni 80 del secolo scorso su finanziamento e
volontà strategica dell'iran quando all'epoca Israele occupava il sud del Libano in un contesto
quindi diverso da quello attuale, nel corso degli ultimi vent'anni Esbolla ha aggiunto alla sua
diciamo identità armata di resistenza islamica contro l'occupazione israeliana, ha aggiunto il
lato istituzionale governativo civile. Esbolla è da anni membro delle istituzioni centrali e
locali libanesi, non soltanto gestice come Sindia, c'è come consiglieri comunali numerose
località del Libano nel sud, nella valle della BK e anche alla periferia sud di Berut,
ma anche ha numerosi ministri direttamente come partito di Dio, ma anche come forze politiche
libanesi alleate di Esbolla, quindi una presenza popolare istituzionale e anche militare,
molto rilevante in Libano, ma è anche dal 2012 presente militaremente in Siria, nella Siria in
guerra e direttamente e indirettamente controlla ampie regioni della Siria al confine con le
alture del Golan, con tese tra Siria e Israele, quindi il fronte di Esbolla non è soltanto un
fronte libanesima, anche un fronte siriano a proposito di possibili allargamenti del conflitto.
Hai detto che Esbolla è nato per volontà strategica dell'Iran, ci spieghi meglio i rapporti di
questa organizzazione con l'Iran appunto? Come tutti gli attori della regione, ci sono
attori locali che hanno delle affiliazioni, dei rapporti di clientela con attori regionali
internazionali. Esbolla non soltanto è stato creato negli anni 80 proprio dall'Iran, ma nel
corso degli anni ha consolidato questo suo rapporto privilegiato con la Repubblica eslamica,
oggi il cosiddetto As de la Resistenza guidato dall'Iran è composto proprio da Esbolla,
da Hamas e dal Gia di Islamico. Hamas e Gia di Islamico non abbiamo sentito tanto parlare in
questi giorni perché sono due formazioni palestinesi molto vicine all'Iran. Esbolla è una
formazione libanese anche che sta molto vicina all'Iran. Diciamo che l'Iran controlla parte del
Mediterraneo orientale proprio grazie a sui clienti arabi. Esbolla da una parte Hamas e Gia di Islamico
dall'altra. Che interesse avrebbe Esbolla e quindi l'Iran a intervenire nel conflitto ora?
Esbolla serve come attore filo iraniano, che ha un'autonomia anche decisionale libanese,
per sostenere l'azione regionale. Quella di Hamas è un'azione non soltanto interpalestinesi o
israelo-palestinese, ma è un'azione regionale per rafforzare la resistenza filo iraniano.
In questo senso Esbolla serve da supporto, da sostegno, da elemento di distrazione come ha
fatto in questi giorni, ovvero lanciando una serie di razi e di segnali contenuti, ma può essere
un elemento di sostegno militare e logistico, aprendo proprio un altro fronte, quindi distraendo,
drenando forze israeliane dal sud verso nord o addirittura prendo il fronte del Golan,
quindi il fronte nord-est per Israele. Ci sono varie gradualità, varie sfumature della capacità di
Esbolla di sostenere l'asse della resistenza, non soltanto Hamas. Molti osservatori hanno detto
che uno degli obiettivi dell'attacco di Hamas era bloccare la trattativa in corso tra Israele e
Arabia Saudita per allargare i cosiddetti accordi di Abramo del 2020, che con il sostegno degli
Stati Uniti avrebbero dovuto portare a una normalizzazione dei rapporti tra i due paesi.
Cosa c'è intra l'Iran? Possiamo dire che l'intervento dell'Iran dietro Hamas,
l'offensiva del 7 ottobre, probabilmente è stato deciso anche per cercare almeno di rallentare
il processo di normalizzazione fra sauditi e israeliani, che nella sua dimensione proprio globale
potrebbe dare dei benefici enormi proprio all'amministrazione americana di Joe Biden in vista
delle presidenziali americane del novembre del 2024, tanto è vero che qualche ora prima
del 7 ottobre si diceva che l'accordo tra Israele e Arabia Saudita sarebbe stato sancito
pubblicamente entro la primavera dall'anno prossimo proprio per dare tempo a Biden di
raccogliere i frutti politici di questo accordo. Dalle fonti che ho sentito e che sto sentando
in questi giorni, in queste ore, appare probabile che il processo di normalizzazione possa essere
soltanto rallentato ma non interrotto definitivamente. I sauditi e gli israeliani hanno intenzione
strategica di andare avanti verso una normalizzazione anche diplomatica perché politicamente
questi due paesi ormai hanno relazioni alla luce del sole. In queste ore sappiamo che i sauditi
e gli iraniani dall'altro lato sono in contatto, per ragioni diciamo di galateo politico,
ma sappiamo anche che i sauditi e gli israeliani continuano a parlarsi perché questo processo
non deve in qualche modo essere deragliato nonostante gli eventi.
Siamo partiti dal fronte nord, andiamo invece al fronte sud dalla striscia di Gaza.
Qui hanno un ruolo importante altri due paesi della regione.
Uno è il Qatar che, da anni, manda aiuti e finanziamenti nella striscia.
Sì, il Qatar è lo stesso paese a cui molti paesi europei sono rivolti per forniture di
gas dopo lo scoppe della crisi ucraina e lo stesso paese che ha ospitati mondiali
di calcio l'anno scorso, ma è lo stesso paese che da anni tiene in vita l'amministrazione
e le istituzioni, la governance, anche dei servizi di Hamas dentro la striscia di Gaza,
quindi è un attore sostanzialmente che ha le mani sulle finanze di Hamas, non a caso i leader
politici di Hamas, Ismail Hani e altri sono basati a Doha, non sono certo sotto le bombe a Gaza.
Questo significa che oggi l'attore regionale che ha ottimi relazioni con l'Occidente,
per quello che dicevamo prima, ha possibilità di parlare direttamente con Hamas e il Qatar.
In quest'ora, infatti, la Germania che ha rapporti energetici privilegiati con il Qatar
e anche uno dei paesi sta cercando tramite Doha di attivare dei canali per la liberazione
alcuni ostaggi israeliani dentro la striscia di Gaza, comunque è un attore sicuramente centrale.
Chiunque oggi deve andare a parlare con Doha per provare a sbrogliare la matassa di Gaza.
E poi c'è l'Egitto che tiene chiuso il valico di Rafa al confine con Gaza,
attraverso il quale centinaia di famiglie palestinesi vorrebbero fuggire dai bombardamenti.
Qual è il suo ruolo adesso?
L'Egitto del Fatah Sisi, storicamente, anche prima di Sisi stesso, è un attore cliente
degli Stati Uniti e di Israele.
Sin dagli accordi di Cam David, l'Egitto risponde alle esigenze strategiche degli americani e degli israeliani.
Lo stesso Egitto è che, insomma, in qualche modo ha ucciso Giulio Reggiani,
oggi è l'interlocutore principale per determinare l'assedio di Gaza.
Abbiamo visto come ha subito chiuso il valico di Rafa le richieste internazionali di consentire la fuga,
quindi i corridoi umanitari verso il zina e egiziano delle persone che probabilmente
cercheranno riparo altrove dai bombardamenti israeliani, però ora non sembrano essere ascoltate.
L'Egitto svolgerà anche un ruolo di mediazione tra Hamas e Israele,
come lo svolge da anni tramite i suoi servizi di sicurezza militari,
ma ricordiamo l'Egitto in questa fase, e anche nella fase successiva,
sarà un attore nel campo israeliano e Stato Unitense.
Non certo servirà gli interessi dell'Iran e di Hamas.
In questo momento ci sono già in realtà dei tentativi di mediazione in corso?
Sì, mediazione a scala diverse, c'è una mediazione più urgente,
brevissimo termine che è quella degli ostaggi che avviene in ordine sparso i vari paesi
che sono coinvolti perché numerosi ostaggi hanno doppia nazionalità,
si stanno muovendo appunto con i loro canali, come abbiamo visto la stessa Italia,
con il ministro degli esteri italiani, non in ordine coordinato,
ma poi c'è una mediazione più ampia che è quella che effettivamente riguarda il conflitto.
Il fatto che Israele fino adesso non abbia deciso di entrare fisicamente in maniera massiccia
dentro alla striscia di casa riguarda proprio la necessità di negoziare e di capire quali
margini a ritrovare un accordo con Hamas che soddisfi Israele per evitare la carneficina,
un nuovo Vietnam come dicono moltissimi analisti israeliani.
Tra due giorni sarà una settimana dalla mattanza al 7 ottobre e gli israeliani ancora
non sono entrati e questo è un indice che la mediazione e la negoziazione sta avvenendo
al di là delle bombe che cadono e quelle anche fanno, come sappiamo,
parte delle trattative diplomatiche e politiche.
Grazie Lorenzo Trombetta.
Grazie a voi.
Alice Facchini racconta un articolo che è scritto per il sito di Internazionale.
La mia ricerca è cominciata quando il ministro dell'agricoltura Lollobrigida ha
dichiarato che in Italia chi è più povero mangia meglio perché compra dal produttore
e a basso costo prodotti di qualità.
In realtà, profondendo il tema, ho scoperto che questa affermazione è falsa per due motivi.
Il primo è che i prodotti di qualità hanno prezzi mediamente più alti e non più bassi
e il secondo è che ci sono svariate ricerche che mostrano che i fattori socio-economici
hanno un impatto fortissimo sull'alimentazione, tanto che oggi si parla di food social gap.
Per l'articolo ho fatto un viaggio nelle mense per i poveri, nelle botteghe solidali,
tra le associazioni che distribuiscono anche i pacchi alimentari,
e ho scoperto che a differenza di quanto uno si aspetterebbe l'accesso al cibo non è la questione
più urgente, perché ancora tendiamo a pensare che chi è povero mangia poco,
ma in realtà il problema principale è che chi è povero mangia male, almeno in contesti come
quello italiano, per cui questo fa sì che il tasso di obesità cresca nelle fasce più povere.
Questo chiaramente ha conseguenze anche sulla salute delle persone, tanto che il
divario alimentare si trasforma poi in divario di salute.
Era inevitabile che un intervento di questo tipo, da parte di uno dei più famosi
artisti dell'astretta intenzionale, una vera e propria star, avesse un risalto così grande
e suscitarsi un clamore e anche delle contese degli assensi e dei dissensi, perché come si può
facilmente capire se si somma la figura standardinariamente nota e famosa al mondo di questo
stile tartista inglese e immagine di Venezia, sommare queste due situazioni significava creare
qualcosa di imprevisto e di assolutamente anomalo e anche clamoroso e destinato a suscitare di battito.
Nico Stringa è professore di storia dell'arte contemporanea presso l'Università Carfoscari
di Venezia e con queste parole, nel maggio del 2019, commentava l'apparizione di un'opera
dello street artist Banksy lungo uno dei canali della città.
Migran Child, questo è il nome dell'opera in questione, negli anni ha poi attirato
moltissimi appassionati d'arte, ma l'effrattempo ha cominciato a sbiadirsi sotto l'effetto degli
agenti atmosferici. Per questo motivo si è aperto un dibattito sull'opportunità di restaurare
e mettere in sicurezza l'opera di Banksy, che ha diviso le istituzioni ma anche il mondo dell'arte.
Ne parliamo con Daniele Cassandro, editor di cultura di internazionale.
Durante l'abbiena di Venezia nel 2019, su un muro del Sestiele di Torsoduro vicino a Campo di San
Pantalon è comparsa un'opera pittorica su un muro, proprio sul cilio dell'acqua del canale.
Si trattava di un bambino con un giubbotto salvagente che agita un fumogeno rosa e chiaramente
un riferimento ai bambini migranti salvati durante l'attravvisata del Mediterraneo.
Dall'ostile un inconfondibile stensile si è subito pensato che fosse lo strittarti spritannico Banksy.
Banksy è un'artista tra i più noti e più famosi dell'arte contemporanea di oggi
che notoriamente non ha identità, cioè non si sa chi sia la persona. C'è un management
che gestisce kl sue opere e non si sa chi sia lui. Banksy si occupa di temi di attualità
nel suo lavoro e lavora in un modo molto improvviso, di notte molto spesso, proprio seguendo la tradizione
dei writers, dei primi street artisti illegali, occupa uno spazio e mette lì la sua opera.
Quindi è un'opera che arriva in città assorpresa con un tema di solito di attualità molto caldo
ed è un'opera che lì per tutti a quel punto l'artista si dimentica che quella opera è stata fatta
e appartiene alla città. Può venire staccata, può rovinarsi con le intemperie,
all'artista questa cosa più di tanto non interessa, ha Banksy in particolare interessa che non venga
venduta, che non venga fatto un lavoro di lucro dietro alla sua arte. Banksy si è sempre occupato
di migranti nel suo lavoro. Per esempio, Akale, nel famoso centro per i rifugiati in Francia,
dipinse un ritratto di Steve Jobs come se fosse un migrante che arrivava lì. Come per dire,
i migranti sono considerati persone che rubano il lavoro, in realtà portano ricchezza e conoscenza
nelle società in cui arrivano. Ecco, per tornare a My Grand Child, l'opera d'arte di Banksy a
Venezia, in questi anni si è molto sbiadita e si è rovinata per via della salsedine, per via
degli agenti atmosferici. Qual è quindi il dibattito che si è aperto a Venezia?
Allora, il dibattito che si è aperto è le opere di street art. Sono opere d'arte effimere,
quindi devono fare la loro vita e finire, appunto, cancellate, dilavate dall'acqua
dagli agenti atmosferici, oppure devono essere conservate, ripristinate e valorizzate.
Le teorie qui sono divergenti. Molti street artists dicono la nostra è un'arte effimera,
soprattutto non pensata per la vendita e non pensata per il consumo, quindi è normale
che vada disintegrandosi nel tempo. Invece, e c'è chi da un punto di vista più storico-artistico
dice, no, questi sono opere d'arte legali o i legali che siano, questo non è importante,
devono essere salvate perché fanno parte del patrimonio dell'umanità ed è giusto che in
futuro vengono studiate. Ecco, quindi dal punto di vista istituzionale il comune di Venezia quale
posizione abbracciava? Dal punto di vista proprio legale del restauro l'opera di Banksy presenta
un problema. Per poter essere restaurata, cioè per poter fare un intervento di restauro a maggior
ragione in una città come Venezia, l'opera deve essere più antica di 70 anni e l'artista deve
essere morto. Nessuno dei due casi è quello di Banksy. Banksy è vivo e l'opera appunto è del 2019,
quindi teoricamente sarebbe un'opera su cui non si può intervenire con un restauro o con un'opera
di consolidamento o conservazione. Però l'altra parte c'è il problema che si sta effettivamente
di lavando, quindi se si vuole conservare quest'opera sarebbe opportuno intervenire,
ammesso che non si faccia come molti street artist auspicano e la si lasci morire lì di lavata
dall'acqua. E qui è entrato in scena Vittorio Sgarbi? Sì, il comune di Venezia aveva deciso
di non intervenire proprio per via di queste specifiche e proprio della legge legata al restauro
delle opere d'arte. A quel punto entra come il suo stile a gambatesa Vittorio Sgarbi che,
ricordiamolo, è sottosegretario del Ministero dei Beniculturali con delega l'arte contemporanea,
che dice no, questo lavoro di Banksy va conservato a tutti i costi e sono le virgolette che vi leggo
del suo comunicato, non ci interessa se l'opera abbia o no più di 70 anni né se l'autore sia
vivo e neppure se ci dia il consenso al restauro dal momento che tra l'altro il murale è stato
realizzato illegalmente. Mi assumo io la responsabilità dell'intervento avendo la delega
sull'arte contemporanea ed è il mio compito tutelarla. Quindi Sgarbi con il solito, diciamo,
suo sistema un po' superomistico dice, buoni, ci penso io, faccio tutto io, in più ha trovato
lui attraverso una banca i soldi per fare questo restauro e, andando contro, diciamo, alle regole
della città, ma in generale le regole italiane sul restauro delle opere d'arte, ha deciso
unilateralmente di intervenire su questo lavoro. Perché però il mondo della street art e quello
dell'arte in generale era così in disaccordo con Sgarbi. Da una parte per la maniera unilaterale
con cui ho intervenuto sicuramente, dall'altra con un'effettiva difesa di quella che viene
chiamata arte e fimera, ovvero ci sono opere d'arte, ma proprio nel corso della strada dell'arte,
pensate per non durare. Mi vengo in mente, per esempio, le macchine delle feste barocche anche
fatte da persone come Borromini o Bernini, quegli hanno lavori che venivano usati una volta e poi
venivano obbruciati o venivano comunque distrutti. Penso le sculture di ghiaccio che venivano fatte
durante i banchetti del 600. Insomma, ci sono molti lavori d'arte pensati per non durare.
Ecco, cosa si fa con questi lavori quando hai la possibilità di salvarli? Li lasci andare oppure
pensi a come fare perché rimangano studiati dai posteri, apprezzati dai posteri o da chi verrà
dopo. È proprio un problema di teoria del restauro da una parte e di filologia dall'altra.
Banschi, come hai detto tu prima, ha lavorato in moltissime città del mondo, specialmente in
Europa e le sue opere sono apparte un po' ovunque e anche in posti abbastanza improbabili.
Le altre città, in passato, come si sono comportate nella tutela di queste opere,
hanno fatto qualcosa per proteggerle? Per esempio, in Italia a Napoli ci sono due
lavori di Banschi, che sono due madonne, uno la madonna con la pistola e l'altro la madonna
con le patatine e la coca-cola. La prima, che è un'opera del 2010, è ancora visibile ed è
protetta da una lastra di Plexilas. La seconda, invece, è la madonna con coca-cola e patatine,
sempre a Napoli, è stata coperta dal lavoro di un altro street artist. Ecco, anche questa è una
cosa che può capitare alle opere dei street art, diventano la base, una specie di palinzesto per
il lavoro dello street artist che arriverà dopo. In generale, Banschi non ha interesse cosa succede
più di tanto al suo lavoro. Alcune volte il suo lavoro viene staccato e viene venduto,
ovviamente, illegalmente e non con la volontà dell'artista. Altre volte viene distrutto,
per esempio se sulla parete, il proprietario della casa, non apprezza il lavoro e lo distrugge.
In un caso, addirittura, Banschi ha realizzato volontariamente un'opera per una squadra di calcio
locale che stava fallendo, dicendogli, in via del tutto eccezionale, potete staccarlo e venderlo
e fare i soldi che vi servono per andare avanti con la squadra. Ci sono opere Banschi perfino
in Ucraina, dove l'artista ha lasciato 7 lavori dopo l'inizio della guerra, proprio in semio di
solidarietà per il popolo Ucraino. 4 di questi 7 lavori sono stati protetti da un'azienda privata,
con un sistema, una teca, con sensori e antifurti anche sensibile agli urti. Quindi
sarebbe un tentativo di impacchettare queste opere in tempo di guerra e che, se vogliamo,
ci possono ricordare anche gli impacchettamenti delle opere dei grandi musei durante la Seconda
Guerra Mondiale. E a Venezia si è capito in che modo verrà protetta l'opera di Banschi?
Al momento non si sa cosa Sgarbi vuole fare del migrant child di Banschi, non si sa se vuole
proteggerlo con Plexiglas, se vuole staccarlo o se vuole in qualche modo semplicemente consolidarlo
e fare in modo che non si dilavi così velocemente. E questo apre proprio il dibattito su cosa fare
di questi lavori una volta che uno decide di salvarli. Va bene, salviavoli, ma come?
Ecco, ma secondo te è un dibattito che riguarda solamente Banschi per la natura abbastanza
particolare del suo modo di fare arte e di diffonderla, oppure è un discorso che riguarda un po'
tutta l'arte contemporanea. Le teorie dell'estauro si sono dovute interrogare già a partire dalle
avanguardie, cioè da quando i lavori delle avanguardie storiche hanno cominciato a diventare
lavori musealizzati e venduti nelle gallerie, cosa fare di opere dalla difficile conservazione?
Cosa fare di una tavola di raffaello? Si sa, devi evitare il falso storio, quindi evitare di
ripristinare delle parti di pittura che mancano, ma devi rispettare i materiali usati dall'artista
e fare in modo che non continui il decadimento dell'opera. Ecco, con opere come per esempio la
merda d'artista di Piero Manzoni, il pane sempre di Piero Manzoni, le pagnotte di pinte di bianco,
cosa fare con opere i cui materiali sono talmente vari? Come si fa a non far una sostituzione in
quel caso? O pensiamo anche all'aria di Parigi di Duchamp, l'aria tenuta in una fiala, che tipo
di restauro si può fare su questo lavoro? Quindi i teorici del restauro si sono interrogati
ormai da decenni su come far mantenere nel tempo questi lavori. La street art è semplicemente la
nuova frontiera di questo lavoro che i teorici del restauro stanno facendo. Quando parliamo di street
art parliamo di un termine ombrello molto ampio, in cui ci sono materiali di ogni tipo, vanno dalla
pittura spray, agli adesivi, l'uso dello stencil o non l'uso dello stencil e quindi proprio quando
si comincia ad affrontare il problema di come restauro è la street art si apre proprio un
nuovo capitolo. Il dibattito è molto interessante perché sarà una nuova sfida per chi si occupa di
conservazione di restauro. Grazie Daniele Cassandro. Grazie a voi.
Il film della settimana ha consigliato da Piero Zardo, editor di cultura di internazionale.
In una tipica cittadina americana è la notte di Halloween. La 16 anni è Jamie, prima di andare
a un concerto litica con la madre Pam che è molto apprensiva. Questo perché 35 anni prima,
nel 1987, quando Pam era adolescente, un maniaco ha ucciso tre sue compagne di scuola per poi
scomparire nel nulla. Come si è detto siamo Halloween e quindi ovviamente il maniaco torna a colpire.
La premessa di Totally Killer è tipica di uno slasher movie, cioè un sottogeneo del cinema horror
in cui c'è un maniaco possibilmente mascherato o sfigurato che comincia a decimare un gruppo di
persone possibilmente a colpi di ascia o di pugnale. Ma Totally Killer fa parte di un ulteriore
sottogeneo inaugurato nel 2017 da Auguri per la tua morte, che mescolava lo slasher con una
comedia fantastica. In quel caso ricomincio da capo il classico di Harold Remis in cui Bill
Murray è costretto arrivare all'infinito il giorno della marmotta. Totally Killer mescola invece
Halloween niente meno che con Ritorno al Futuro. E così la protagonista, Jamie, viene risucchiata
nel 1987, dove proverà a risolvere il caso. L'idea è molto più generale del film stesso,
che comunque è abbastanza divertente. Soprattutto quando la protagonista, costretta a vivere una
settimana negli anni 80, è sconvolta dalla brutalità di quell'epoca, quando il politicamente
corretto, l'inclusività non esistevano e il bullismo invece era un motivo di orgoglio.
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Dopo l’attacco di Hamas nel sud di Israele, rischia di aprirsi un altro fronte nel nord del paese, ai confini con il Libano. Il dibattito sul restauro e messa in sicurezza di un’opera di Bansky a Venezia ha diviso le istituzioni, ma anche il mondo dell’arte.
CON
Lorenzo Trombetta, giornalista esperto di Medio Oriente
Daniele Cassandro, editor di cultura di Internazionale
LINK
Video Libano Siria: https://www.youtube.com/watch?v=EGOqSMsf-3g
Video Banksy: https://www.youtube.com/watch?v=81WeZjEY92I
Articolo sul divario alimentare di Alice Facchini: https://www.internazionale.it/essenziale/notizie/alice-facchini/2023/10/12/poverta-alimentare-italia
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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni e Vincenzo De Simone.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.