Il Mondo: Come si vince il premio Strega. Il passato schiavista dei Paesi Bassi non si cancella con un discorso del re.

Internazionale Internazionale 7/6/23 - Episode Page - 27m - PDF Transcript

Dalla redazione di Internazionale io sono Giulia Zoli e questo è il mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Oggi vi parleremo del premio Strega e del passato schiavista dei Paesi Bassi e poi della copertina del nuovo numero di Internazionale e di un disco.

È giovedì 6 luglio 2023.

Il premio Strega

Ho un ricordo di adolescenza. Amavo molto Paese e ho visto le foto di Paese che riceveva il premio Strega.

Trovarsi nella stessa situazione da indobbiamente una certa emozione anche se si accetta al gioco dei premi con una certa freddezza

e pensare che se la riosta è migliore del tasso, cosa per cui i genti uomini del 6-700 si battevano in duello senza risolvere per alto la questione.

La riosta e il tasso. Cioè comunque si è una risputa tra artisti veri.

Beh, come dice Woody Allen, quando l'accusano di credersi di io bisogna porcegliersi dei modelli.

Era la voce di Umberto Eco in un'intervista televisiva del 1981, anno in cui vince il premio Strega con il romanzo Il Nome della Rosa.

Un caso editoriale e un best seller internazionale tradotto in più di 60 paesi venduto in decine di milioni di copie in tutto il mondo.

Saranno annunciati oggi, nel niffeo di Villa Giulia a Roma, i vincitori della 77e edizione del premio Strega, uno dei più importanti premi letterali italiani.

Istituito nel 1947 dalla scrittrice Maria Bellonci e da Guido Alberti, proprietario della casa produttrice dell'Iquare Strega da cui prende il nome,

il premio viene assegnato ogni anno all'autore o all'autrice di un libro uscito in Italia tra il 1 marzo dell'anno precedente e il 28 febbraio dell'anno in corso.

La giuria, ai cosiddetti amici della domenica, è composta da centinaia di uomini e donne di cultura, tra cui gli ex vincitori e vincitrici del premio e varie istituzioni culturali.

Ne parliamo con Gianluigi Simonetti, docente di letterature italiana contemporanea all'Università di Losanna e autore del saggio Caccia allo Strega, uscito quest'anno per l'editore Notte Tempo.

Gli abbiamo chiesto innanzitutto a cosa servono i premi letterari.

Storicamente i premi letterari servivano a tutelare l'autonomia degli artisti, dei letterati.

Quando nasce il primo importante premio letterario moderno, il premio Goncourt, nasce in Francia da fine 800, l'idea di Pilar Fondato era quella di dare un bel po' di soldi a dei giovani romanzieri promettenti

per farsi che loro potessero fericasti proprio all'arte del romano, senza cadere vittima per motive alimentari di sopravvivenza, di quella che oggi definiremmo l'industria culturale.

E che in realtà all'epoca era soprattutto il giornalismo, le gazette, i romanzieri venivano recrutati dai giornali, però venivano anche un po' prostituiti, diciamo, in bisogno di vendere questi giornali.

I premi letterari nascono, possiamo dire così, per dare un sufficiente denaro ai giovani scrittori promettenti, permette di descrivere per l'arte.

Questo è interessante perché le cose sono molto cambiate nel frattempo, naturalmente.

Questa cosa dei premi letterari, il fatto che fin dall'inizio possero una garanzia di qualità, una specie di blasone culturale assegnato a chi vinceva questi premi come Goncourt,

nel costo del tempo è diventato anche un po' un brand, potremmo dire, un marchio, cioè diventa qualcosa che si può usare sul mercato.

Vediamo con le fascette che ci scondono i libri vincitori dei premi letterari attuali.

Il fatto che un libro aveva questa fascetta, vincitore del premio Strega, vincitore del premio Campiello, eccetera, eccetera, aumenta il valore commerciale dei libri,

che è un certo tipo di lettore, colto strutturato o anche semplicemente esigente, compra il libro con la fascetta.

E allora si è un po' rovesciata la cosa. Mentre, all'inizio, i premi letterari si devono per tutelare l'autonomia del romanziere, giovane e promettante,

oggi, in certo senso, i premi letterari servono a portare i romanzieri, devo dire, anche dei vinciniani giovani e a vostri promettenti, proprio verso il mercato invece.

Perché la consacrazione smorica, la consacrazione prestigio, la consacrazione culturale è diventata anche una forma di consacrazione commerciale.

Un romanzo che vince un premio, come lo Strega, vende cinque volte più di quello che ha venduto, e buberia prima di ricevere il premio.

Quindi sono molto fuse queste due economie, diciamo, l'economia del prestigio, che è sempre stata legata ai premi, è l'economia del mercato, che sia adesso un po' attaccata alla precedenza.

Nel tuo libro scrivi, il premio Strega è uno spazio molto attraente per la ricerca letteraria sulla sociologia delle opere.

Ci descrivi questo spazio e perché è attraente?

Beh, ho proprio quello che dicevo prima, perché i premi sono sempre state molto legati allo spirito del tempo, no?

I premi non devono tanto edificare un canone, un allenario di valore letterario, devono intercettare quello che nel presente consideriamo bello, valido di qualità.

E questo quindi è interessante, perché studiare i premi significa studiare la nostra idea di qualità letteraria mentre si forma, per così dire, indiretta.

La trovazione di qualità di valore è molto mediata dall'editoria, oltre che dall'escriptori, perché nell'editoria c'entra molto quei premi letterari.

Però, come dicevo, il fatto che negli ultimi decenni i premi siano anche diventati una specie di laboratorio commerciale li rende come doppiamente interessanti.

Lo spirito del tempo quindi non solo come la nostra idea del valore, ma anche come la nostra idea del romano di successo.

E quindi, premi letterari, dal mio punto di vista, come laboratorio, di opere, quelle finaliste, quelle che vincono, che sono, al tempo stesso, considerate belle, ma anche sempre più depositari di una forza commerciale.

Questo crea soprattutto un'area che non è ne quella della letteratura di consumo, di evazione, no?

Dei letterature invionarie, e spesso anche un tipo di narrativa globale.

Però non è nemmeno quella della narrativa più sofisticata di ricerca, molto in Italia, per pochissimi lettori, molto colti e molto strutturati.

Soprattutto è un laboratorio che va a colpire una fascia intermedia.

Il letteratura che vende parecchio, ma non tantissimo, e che però non è letteratura di consumo, ma dell'ambizione artistica.

Questa tipo di narrativa tu la hai descritta come nobile intrattenimento?

È un termine che uso proprio per dare il senso di questo doppio aspetto che contraddistingue questa narrativa.

Intrattenimento, perché spesso in questa fascia di libri che vanno forte nei premi letterari, ci sono comunque delle tecniche di intrattenimento.

Proprio perché devono avere poi un impatto commerciale.

Nobile, perché però c'è anche un'ambizione di qualità letteraria.

È un po' uno stimolo, perché noi leghiamo la nobilità culturale-artistica a qualcosa di molto lontano dal loro intrattenimento.

L'arte deve divertire, però la grande arte letteraria e grandi opere d'arte non sono puro e semplice intrattenimento.

Diciamo che nel nobile intrattenimento le due cose cercano di coesistere.

Ora non voglio dire con questo che tutti i romanzi che vengono i premi letterari o che rincono lo strega siano tutti libri di nobile intrattenimento.

Mi sembra però che nei ultimi anni, nei ultimi 15-20 anni in particolare, sempre più spesso questo tipo di letteratura, un po' a metà tra evasione e ambizione letteraria,

sia sempre più presente in generale nella notte di Toria e in particolare nel circuito dei premi.

I premi sono molto ricettivi per il nobile intrattenimento, perché i premi come il nobile intrattenimento hanno questa doppia volontà di tenuta commerciale e di ambizione artistica.

In base alla tua ricerca, quali sono le caratteristiche stilistiche del romanzo che potremmo definire da strega?

Sono romanzi diversissimi tra loro, odori molto diversi, però che generalizziamo un po' e penso che il caso si possa fare sulla base proprio alle scelte formali.

Credo che abbiamo una tendenza appunto da un lato a semplificare la lingua, rendere la scorrevole non troppo impegnativa per la decifrazione.

In concreto, per esempio, molto paratasti e meno ipotasti.

Poca letteratura che si vede, poche orpelli, diciamo così, linguistiche e quindi una certa scorrevole.

Dall'altro, però, proprio per le cose che abbiamo detto, è necessario che si senta che c'è un po' di letteratura.

Quindi, per esempio, un certo uso delle metafore, dei traslati, come si dice tecnicamente in generale.

Cioè, c'è questa lingua scorrevole piano che però a un certo punto si accende in qualche metafora forte, molto rumorosa e ingombrante.

Queste sono caratteristiche di molti romanze che finiscono nel circuito delle cinqueine, soprattutto magari non necessariamente vincono.

Oppure, prima parlavamo di paratasti.

Ci può rendere letterare anche una scelta sintattica facilitante come la paratassi, spezzettando molto il periodo, andando peso a capo, mettendo un tacco di punti,

rendendo, cioè, una paratassi qualcosa di patetico, diciamo, qualcosa che crea attenzione in questa maniera un po' grossolana.

Tutte tendenze che vanno un po' alla ricerca di uno stile, che sia facile da decidere per il lettore, che non gli impegni troppo la testa,

e che però contenga delle macchie di colore artistico, proprio per tenere insieme le due cose.

Nell'assegnazione dei premi letterari dello strega in particolare, che rola oggi la critica letteraria?

Allora, nell'assegnazione dei premi letterari è abbastanza poca, soprattutto il catolo strega, perché i critici letterari veri e propri sono pochissimi negli amici della domenica, cioè tra i giurati.

In generale, la critica letteraria, come la intendevamo nel 900, sta un po' scomparendo.

Cioè, quei critici che con una forte competenza tecnica, una grande cultura romanistica, andavano un po' in profondità, no?

Cercando le cose che, nei romanti, non si vedono subito, ma vanno trovate attraverso un'analisi della lingua dello stile,

quella cosa che c'è un riferenzio del mio libro, questa cosa non si fa più tanto.

E gliene sostituito di te, invece, da un diverso approccio al discorso sulla letteratura e da nuovi tipi di critici.

Sempre meno verticalità e ricerca della profondità, sempre più orizzontalità.

Sempre più ricerca, non tanto in un discorso critico sul testo letterario quanto di una esperienza di lettura.

Cioè, lettori comuni, giornalisti, tuttologi, o spesso altri scrittori, che parano un tanto di come un libro è fatto.

Ma raccontano, soprattutto, che effetto ha fatto su di loro?

In che circostanza l'hanno letto? Che cosa hanno provato? Che emozioni di assuscitato?

Quindi, una lettura che è sempre meno critica, sempre più emozionale.

E quindi, anche sempre più condivisibile.

Quindi, il tipo di lettura che può essere, anche appunto, condivisa, per esempio, sui soci,

allo cimento di massa, arriva più facilmente al lettore, lo impegna di meno, appunto, in istante lettore culturale,

e crea anche meno problemi alla promozione del libro.

Perché, di solito, questo tipo di lettura non è una lettura polemica, non è una lettura aggressiva,

è una lettura spesso empatica, che quindi tende a dire di tutti i libri che sono belli.

Cosa ti è colpito della cinquina di quest'anno? C'è qualche caratteristica che accomuna i cinque romanzi finalisti?

Beh, due cose, soprattutto colpiscono, anche a uno sguardo superficiale.

La primissima è che sono quattro scrittrici su cinque autori.

Ed è, forse, la prima volta che succede, il corso del 900, le donne premiate, la striga sono state poche.

Curiosamente, se pensiamo che il premio è stato un diretto da due donne, per quasi tutta la sua storia.

Però è così, è un'inversione di tendenza, qui corrisponde una tendenza di tutta l'invitoria occidentale,

in questo momento, a cercare e a valorizzare le scrittrici.

Credo ci sono ragioni ideologiche, culturali, di costume.

Credo che c'era anche una questione commerciale, che spesso va insieme con l'ideologia del resto.

Cioè, il fatto che il pubblico della narrativa, della fiction letteraria,

in tutto il mondo occidentale e anche in Italia, è composto in grandissima parte da donne.

Quindi si cerca, in qualche modo, anche di facilitare l'identificazione fra scrittrice e pubblico.

È uno dei modi per farlo e anche quello di valorizzare i figure di scrittrici,

che, invece, nel corso del 900 erano, per l'oppito di notare, marci.

L'altra cosa caratteristica, tutti e cinque romanti in cinquina,

e addirittura i nove romanti, se guardiamo a Cacampiello,

all'altra cinquina quella del Campiello.

I nove romanti su dieci, nei primi due previli letterali italiani,

e cinque su cinque, nella rossega di quest'anno, sono testi letterali racconti ispirati a storie vere.

È che qui il segno di un privilegio, che stiamo abituando e ce l'accordare,

è la non fiction, come si dice. Cioè, a racconto di cose autenticamente successe.

Anche questa è una tendenza occidentale, non solo italiana.

Anche questa è una tendenza che si vede soprattutto nei premi.

I lettori di massa continuano a comprare fiction e saghe di fiction.

Mentre i lettori un po' più sofisticati, i lettori medi, diciamo così,

si stanno avvicinando alla non fiction.

Questo trasforma un pochino anche la figura degli scrittori.

Sempre meno inventori, sempre più testimoni di qualcosa che hanno visto con i loro occhi,

che gli è successo, o di cui si sono informati,

su che hanno studiato, che hanno approfondito personalmente.

Quindi cambia un pochino anche l'identità dello scrittore,

oltre che quella del testo stesso.

Grazie a Gianluigi Simonetti.

Grazie a voi.

Maisa Moroni, fato editor di Internazionale, racconta la copertina del nuovo numero.

Scrivere della situazione abitativa negli Stati Uniti è deprimente.

Racconta la giornalista Francesca Mari sul magazine del New York Times.

E continua, sono diventata il tipo di persona che, durante una festa,

se la prende con gli investitori che speculano sul mercato immobiliare.

Ho sessionato dal problema della casa,

Mari comincia a cercare soluzioni fuori dagli Stati Uniti

e ne trova una molto interessante a Vienna in Austria.

Dove grazie ai progetti di edilizia sociale,

l'80% degli abitanti ha diritto a un alloggio popolare.

Luca Locatelli, fotografo italiano che da sempre esplora con il suo lavoro

la relazione tra persone e ambiente, ha fotografato per il New York Times queste abitazioni,

realizzando alcune spettacolari vedute aeree.

Abbiamo fatto una prima prova in copertina

con una veduta di uno dei più grandi complessi di case popolari del mondo,

il Karl Marx Hof.

Ma poi abbiamo preferito un altro complesso di edilizia sociale viennese,

alcuni grattacieli ricoperti di verde,

con tanto di piscina sul tetto, visivamente più efficaci.

Una casa per tutti è la nuova copertina d'internazionale.

Sottotitoli a cura di qualsiasi internazionale

Oggi sono qui davanti a voi come re e membro del governo per chiedere scusa,

e sento il peso di queste parole sul mio cuore e nella mia anima.

Con questo discorso tenuto il 1 luglio, il re Willem Alexander dei Paesi Bassi

si ha scusato ufficialmente per il ruolo avuto impassato dal suo paese nella tratta degli schiavi.

A 150 anni dalla sua abolizione, il tema della schiavitù torna ciclicamente al centro del dibattito pubblico,

nei Paesi Bassi, così come in altri ex paesi colonialisti.

Ma per alcuni le scuse del re non bastano.

Ne parliamo con Gianpaolo Accardo, direttore del sito d'informazione europeo Vox Europe,

che collabora con internazionale e che abbiamo raggiunto a Bruxelles.

Nel suo discorso trasmesso indiretta la televisione nazionale,

il re Willem Alexander ha chiesto scusa,

in sostanza affermando che, sebbene per molto tempo non sia stato fratto nulla sul passato,

a un certo punto ha sentito il dovere morale di agire.

Anche detto che il razzismo nella società holandese rimane un problema,

è che non tutti i sono d'accordo con le sue scuse.

Queste scuse corrispondono anche, bisogna dire, a una specifica richiesta

che proviene dai discendenti degli schiavi.

Dicendenti che hanno indicato il Ketikoli,

il giorno anniversario della abolizione della schiavitù,

come l'occasione perfetta per affrontare questo argomento.

Le scuse del re, va detto, seguono di qualche mese quelle del Premier Margaret a dicembre.

Il Primo Ministro si era infatti formalmente scusato a nome dello Stato landese

per il suo ruolo storico nella schiavitù

e anche per le conseguenze che, a suo dire, si protragono ancora oggi.

È vero che nessuna delle persone che vivono oggi

è personalmente responsabile della schiavitù, ha detto Ruth.

Tuttavia, lo Stato landese è responsabile

delle immense sofferenze che sono state inflitte

a coloro che sono stati ridotti in schiavitù e ai loro discendenti.

Queste scuse intervengono, nel contesto di una più ampia considerazione

del passato coloniare dell'Olanda,

comprese gli sforzi per istituire le opere d'arte saccheggiate

e comprese le attore lotte dei Paesi bassi contro il razzismo.

Il Paese è trapresso un dibattito spesso difficile

sul suo passato coloniale e il passato anche di commercio di schiavi

che lo ha trasformato però in uno dei Paesi più ricchi del mondo.

Come sono state accolte queste scuse dai diretti interessati, diciamo così, dalle axcolonie?

Nel suo discorso, che le ha fatto davanti a migliaia di discendenti di schiavi

che provenivano dalla nazione del Suriname in Sudamerica e dalle isole caribiche,

il suo discorso è stato accolto piuttosto positivamente,

però molti hanno detto, va bene, ma vorremmo anche un risercimento da parte dei Paesi bassi.

Infatti, i Suriname attivisti e funzionari pubblici affermano

anche che non è stato chiesto loro di dare un contributo al discorso di scuse e alla riflessione

e che questo riflette l'atteggiamento olandese definito coloniale ancora.

Quello che serve davvero, insistono, è un risercimento.

Ora, nel 2013, il blocco commerciale dei Caraibi, noto anche come carico,

aveva stilato una lista di richieste, tra cui quella di chiedere ai governi europei,

di scusarsi formalmente, ma anche di creare un programma di rimpatrio

per coloro che desiderano tornare in patria, cosa che non è avvenuta, è di risercimento.

All'indomani, poi, delle scuse di Markrutt, il Presidente del Suriname, Cian Santocchi,

aveva detto di aver preso nota del discorso il Più Ministro,

ma allo stesso tempo ha criticato il modo in cui si era arrivati a quelle scuse.

Santocchi rimproverava in particolare al governo l'andese di non averlo consultato.

Di cosa parliamo quando parliamo di schiavismo l'andese? Che dimensione ha avuto?

Nel corso dei secoli, gli l'andesi acquistarono e spedirono circa 600.000 persone schiavizzate

dall'Africa nella tratta transatlantica degli schiavi, circa il 5% del totale degli schiavi

portati dall'Africa verso le America e li hanno portati le colonie caribiche,

come il Suriname e Kurasau, oltre che in altre colonie europee, le America.

I colonizzatori olandese erano guidati dalla compagnia olandese delle indie occidentali

e rapirono uomini, donne e bambine, per farli lavorare nelle piantagioni di zucchero, di caffè

e di altri beni che creavano ricchezza però al prezzo della miseria sul posto.

Gli africani schiavizzati venivano anche trasferiti con la forza nelle colonie olandesi

dell'oceano indiano, come l'attuale indonesia, mentre i balinesi e i giavanesi schiavizzati

venivano trasportati nell'odierno sudafrica. Si calcola che alla fine del XVIII secolo

circa il 5% dell'economia olandese dipendeva del lavoro degli schiavi.

Nella parte più ricca del Paese, la regione che comprende le città di Amsterdam,

di Rotterdam e dell'Aia, la percentuale era salita addirittura al 10%,

e è stato questo un contributo non indiferente al celebre Haudenheu,

il secolo d'oro a cavallo tra il 600 e il 700 che ha visto fiorire il commercio e le arti

e durante il quale i ricchi mercanti olandese hanno potuto commissionare artisti come Vermeer e Rembrandt.

Uno studio olandese pubblicato a giugno, aperato rilevato per la famiglia reale,

ha guadagnato 545 milioni di euro in termini attuali tra il 1675 e il 1770 dalle colonie.

I lontani antenati dell'attuale re, cioè Guglielmo III, Guglielmo IV e Guglielmo V,

sono stati secondo questo studio tra i maggiori beneficiari di quello che lo studio stesso

ha definito in coinvolgimento deliberato, strutturale e a lungo termine dello stato olandese nella schiavitù.

Qualcuno in effetti ha criticato il re per aver parlato solo di schiavitù e non di colonianismo,

cioè di non aver detto niente sul sistema coloniale che è un sistema economico

con il quale il Paese si è arricchito appunto.

Il problema è che chiedere scusa per il colonialismo in generale,

vuol dire, è sporsa il rischio di aver pagare delle riparazioni.

Un indemnizio per i danni le perdite generate nei Paesi dove il colonialismo si è esercitato.

Amonterebbero ha delle somme colossali e nessuno oggi vuole rischiare

di aver pagare una somma del genere.

Armand Sönder, il Presidente della Commissione Nazionale per le Reparazioni del Surrename,

ha dichiarato, per esempio, che non sarebbero sufficienti né le scuse,

nel progetto di dedicare 200 milioni di Euro alla sensibilizzazione sulla schiavitù,

oltre a 15 milioni di Euro per la costruzione di un museo sul fenomeno.

Ciò che è stato distrutto, ha detto Sönder, deve essere riparato.

Il nostro quadro di riferimento sono miliardi di Euro

e non solo le centinaia di milioni di cui si parla.

Questo lo ha dichiarato a dei giornali locali la scorsa settimana.

Sönder faceva ecco la posizione della Commissione di Reparazioni dei Caraibi,

che è un gruppo di 15 paesi della regione,

nelle quali vivono molti discendenti e di schiavi,

e che ha pubblicato un piano di riparazione in 10 punti,

piano che prevede sia delle scuse,

ma anche dei finanziamenti per la storia pubblica,

la salute e l'alfabetizzazione, oltre al trasferimento di conoscenze.

In tutto questo, l'opinione pubblica dei Paesi Bassi, come è reagito?

Come è stato commentato il discorso del re anche sui giornali?

Che dipende un po' dall'orientomiento politico,

sia delle persone dei giornali.

Per esempio, il progressista The Wallsgrant ha eloggiato il gesto,

affermando però che c'è ancora troppo senso di superiorità mal riposto in Orlando,

un senso che impedisce speende una visione dei lati oscuri del passato del presente,

come la discriminazione sistematica,

e il fatto che ampie face della popolazione siano ancora svantaggiati

sono in maggior parte discendenti degli schiavi,

o vengono dai Paesi che erano stati colonizzati.

Il fatto che resi stiamo avvendo per porfina tutto questo

è un segnale importante e dimostra che la monarchia può svolgere un ruolo importante anche in questi tempi.

Invece, il conservatore del Telecraft preme perché la vicenda venga considerata chiusa

e perché non si riapra mai più la questione delle richieste di esercimento.

Con questo tour delle scuse scrive, speriamo di lasciarci alle spalle questo doloroso passato.

Alcuni attivisti chiedono risercimente per decine di miliardi,

ma questa cifre sorbitante verrebbe imposta le generazioni presenti e future.

I contribuenti che non hanno alcuna colpa per la schiavitù del passato

dovrebbero pagare questi risercimenti e quindi il governo farebbe bene

ignorare queste richieste e a chiudere questo capitolo.

Invece, negli altri Paesi che hanno un passato coloniale e schiavista, cosa succede?

Altri capi di Stato europei hanno presentato delle scuse.

Di a quello della schiavitù che è quello del colonialismo,

è un tema che torna ciclicamente sulle prime pagine dei giornali

nel dibattito pubblico delle espotenze coloniali europee.

Per esempio, a gennaio, il presidente francese Manuel Macron ha dichiarato

che non chiederà, perdona l'Algeria per la colonizzazione francese,

ma spera di continuare a lavorare per la riconciliazione.

Non spetta a me chiedere, perdona, aveva dichiarato.

Non si tratta di questo, perché questa parola romperebbe tutti i nostri legami.

Anche qui il problema delle riparazioni, ovviamente, si pone.

Nel 2020, il re dei Belgi, Filippo, ha espresso il profondo rammarico

per l'attrocità commesso durante il dominio colonial del suo paese in Congo.

In particolare sotto il suo predecessore Leopold II,

ma nemmeno lui ha pronunciato scuso ufficiale, sempre per lo stesso motivo.

L'anno scorso la Germania, invece, si è scusata per il genocidio commesso

all'inizio del XX secolo in Namibia e ha promesso circa un miliardo di euro

in aiuti allo sviluppo.

Queste dichiarazioni, però, raramente si traducono in riparazione effettive.

Avevamo postare a vedere.

Cinque anni fa, la damimarca si era scusata con il Ghana,

colonizzato dalla metà del XVII secolo alla metà del XIX,

ma anche qui non abbiamo notizie di riparazioni.

Infine, nel Regno Nito, che di colonie e di schiavi ne ha avuti parecchi,

la vicenda è ancora più delicata.

Nel marzo 2022, il principe William,

il primo in linea di successione al trono britannico,

aveva espresso profonda tristezza

il passato schiaviste coloniale di quello che fu l'impero britannico.

E questo durante una tappa gamaicana di una tourneca

che aveva realizzato nel Caraibi.

Anche qui, però, niente scusa, eh,

ma al grado le pressanti richieste da parte delle ex colonie,

comprese richieste di compensazione a titolo di riparazioni.

Richieste alle quali risposto picchi e di recente,

anche il primo ministro britannico Reci Sunak,

affermando che il tentativo di riscrivere la storia del Regno Nito

non è qualcosa su cui il governo britannico

concentrerà a breve le sue energie.

Insomma, come vediamo, scuse va bene,

rammarico va bene,

ma le richieste di riparazioni non se ne parla.

Grazie a Gianpaolo Accardo.

Grazie a voi.

Il disco della settimana è consigliato da Daniele Cassandro,

editor di Cultura di Internazionale.

La cantautrice e attivista afroamericana Michelle De Geocello

ha cominciato nei primissimi anni 90 come bassista jazz e funk.

Negli ultimi 30 anni ha sperimentato ogni tipo di fusione tra i generi.

Personalmente, io considero un suo disco del 1999,

Bitter, uno dei grandi album sold degli anni 90.

Dopo un recente album di cover intitolato Ventriloquism,

in cui cantava anche i canzoni di Prince di Natarnere delle TLC,

Michelle è tornata con decisioni al jazz

e ha inciso un album di nuove composizioni con la storica etica etica Blue Note.

The Omnicord Real Book è un album ricchissimo e ambizioso,

in cui Michelle De Geocello dimostra ancora una volta

il suo eccezionale virtuosismo, non solo come bassista,

ma anche come arrangiatrice e cantante.

In The Omnicord Real Book è un impeccabile bandleader,

ma anche un genio della sintesi.

In poco più di 60 minuti ci fa viaggiare attraverso le sue radici musicale

tra funk, jazz, hip hop, dub e perfino rock.

Michelle De Geocello, The Omnicord Real Book,

su etica etica Blue Note.

Dalla redazione di internazionale, per oggi è tutto.

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Saranno annunciati oggi a Roma i vincitori dello Strega, uno dei più importanti premi letterari italiani. Il 1 luglio il re olandese Willem Alexander si è scusato ufficialmente per il ruolo svolto dal suo paese nella tratta degli schiavi.

Gianluigi Simonetti, docente di letteratura italiana contemporanea all’università di Losanna
Gianpaolo Accardo, giornalista a Bruxelles

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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.