Il Mondo: Ci sono novità per il processo Regeni. Migliaia di nordcoreani costretti dallo stato a lavorare all’estero.

Internazionale Internazionale 4/5/23 - Episode Page - 22m - PDF Transcript

Dalla redazione d'internazionale io sono Claudio Rossi Marcelli, io sono Giulia Zoli e questo

è il mondo il podcast quotidiano di Internazionale.

Oggi vi parleremo del processo per l'omicidio di Giulio Reggiani e della Corà del Nord

e poi di una notizia di scienza e di un disco.

È mercoledì 5 aprile 2023.

Dobbiamo, come sapete, aspettare il 31 maggio per sapere quale sarà la decisione del giudice per l'indagine

preliminari, quindi se viene rimessa la corte costruzionale, la questione in costruzionalità

dell'articolo 420 bis che prevede il processo in assenza,

oppure se si può anche procedere con l'articolo che abbiamo già in assenza degli imputati

oppure se non si potrà procedere.

Quella che avete sentito è la voce di Alessandra Ballerini,

l'avvocata della famiglia di Giulio Reggiani.

Il ricercatore di 28 anni trovato morto al Cairo il 3 febbraio 2016

vicino a una prigione dei servizi segreti egiziani.

Ballerini stava partecipando a un sit-in che si è svolto il 3 aprile a Piazzale Claudio davanti al Tribunale di Roma

per chiedere verità e giustizia sulle morte di Reggiani.

Intanto in aula, nell'ennesima udienza del processo ai 4 agenti dei servizi segreti egiziani,

sospettati di aver sequestrato, torturato e ucciso Reggiani,

la Procura di Roma chiedeva alla corte costruzionale di esprimersi su una parte dell'articolo 420 bis

del codice di procedura penale che riguarda la possibilità di procedere in assenza dell'imputato,

l'ultimo tentativo di sbloccare un processo fermo in udienza preliminare da più di un anno.

Ne parliamo con Riccardo Nuri, portavoce di Amnesty International Italia

e Francesca Agnetti, editor di Medio Oriente di Internazionale.

La Procura di Roma chiede un intervento della consulta per determinare l'applicabilità della riforma cartabbia,

ovvero dall'articolo 420 del codice di procedura penale, rispetto alla cosiddetta contumacia volontaria

dei quattro indagati che fanno parte delle forze di sicurezza dell'Egitto,

che sono sospettati del sequestro e di complicità in omicidio e nella tortura di Giulio Reggiani.

La Procura ritiene che queste quattro persone siano perfettamente consapevoli che c'è stata un'indagine

di loro confronti, che c'è l'intenzione di fare un processo di loro confronti,

e l'ostacolo che ha sempre contraddistinto questa fase è stata l'assenza di notifica

degli atti del processo ai quattro imputati presso i loro domicili privati.

Perché questa notifica non è stata possibile?

La notifica non è stata possibile perché la magistratura egiziana non ha mai fornito

i quattro indirizzi di questi funzionari, dei servizi di sicurezza che sono per altro molto noti

per il ruolo che hanno avuto all'interno del sistema di sicurezza e di violazione dei diritti umani in Egitto.

C'e' aiuti a ripercorrere le tappe di questo processo e come si è arrivati fin qui?

Una data chiave è il 25 maggio del 2021,

e il giorno in cui indagini portate avanti con grande meticolosità e attenzione dal lato italiano

si chiudono con una richiesta di invio giudizio che viene accolta dal giudice per l'udienza per eliminare

e l'inizio è il percorso ostacoli.

Ogni tentativo di avviare il processo si scontra contro il garantismo legittimo della allora procedura penalitariana

che tutela le persone dal rischio che siano sottoposte al processo e al loro insaputa.

E questa procedura erantista di cui dobbiamo essere fieri viene utilizzata esattamente con l'obiettivo contrario,

cioè di evadere consapevolmente alla giustizia da parte dei quattro indagati.

Francesca, che ruolo hanno avuto le autorità egiziane in tutto questo?

Come hanno risposto alle richieste degli inquirenti italiani?

Il Cairo non ha mai collaborato con la gestizia italiana, non solo ma ha fatto molto di peggio.

L'Egitto ha chiuso un'investigazione congiunta con le autorità italiane alla fine del 2020

perché le prove contro gli agenti dei servizi segreti egiziani sono stati ritenute insufficienti.

La procura egiziana ha continuato a sostenere una teoria, chiamiamola così,

che aveva presentato fin dall'inizio che il Reggiani fosse stato ucciso da una banda criminale

specializzata nel fingersi agente di Polizia e nel sequestrare cittadini stradieri per derubarli.

Questo è stato il depestaggio più clamoroso, più grave e messo in atto dal regime del Cairo.

Nel marzo del 2016 il ministro dell'interno egiziano annunciò che erano stati individuati colpevoli

dell'omicidio di Reggiani, si trattava di una banda di malviventi che erano stati uccisi

in uno scontro a fuoco con la Polizia e nel loro covo erano stati trovati gli effetti personali

di Reggiani, il passaporto, la carta di identità, una carta di credito,

il tesserino dell'Università di Cambridge. Questa tesi fu presto confutata dalla autorità italiana,

ma i tentativi di diffamare i Reggiani, di distorcere l'intero caso sono cominciati in

realtà subito dopo l'umicidio. Investigatori egiziani insinuarono che Reggiani potesse

essere stato vittima di un'incidente stradale, di un delitto passionale e di un regolamento

di conti per motivi di droga. E poi i depissaggi sono continuati. L'ultimo risale alla fine

di aprile del 2021, la vigilia del giorno in cui era stata fissata l'udienza preliminare

del processo contro i quattro esponenti dei servizi segreti. È stato pubblicato su YouTube

un video intitolato The Story of Reggiani. I autori erano ignoti, ma presentavano questo

video come il primo documentario che rivelava gli ultimi momenti del ricercatore italiano

nella capitale egiziana. In realtà era un tentativo per screditare Reggiani, per scaggionare

il regime egiziano da ogni responsabilità per la sua morte. Le attività di ricerca di

Reggiani erano infatti presentate come sospette e si insinuava che lui fosse vicino ai servizi

segreti occidentali e ai fratelli musulmani. I familiari di Reggiani hanno detto è stato

ucciso come un egiziano. Che cosa vuol dire questa espressione?

Se questa è una cosa che hanno gridato anche i rivoluzionari egiziani, Giulio e Reggiani

era uno di noi, l'hanno ucciso come uno di noi. Innanzitutto perché Reggiani era un

amico degli egiziani, era emerzo nella realtà egiziana, parlava l'arabbo, era un costruttore

di ponti, è stato detto tra le culture e tra le identità. Tammi embargo, una delle più

importanti voci della rivoluzione egiziana l'ha anche scritto in un articolo pubblicato

in seguito all'uccisione di Reggiani. Ha scritto Giulio Reggiani è il martile della nostra

rivoluzione. I egiziani hanno pagato cara la loro rivoluzione con cui nel 2011 hanno

rovesciato il dittatore Osnebu Barak. Da quando il Presidente Abdel Fatal Zizi è sabito

al potere nel 2013, la repressione è diventata sempre più dura, ormai colpisce i cittadini

comuni come i operatori dell'ONG, giovani ragazzi accusati di moralità per i video pubblicati

sui social network. Secondo Yuma Rights Watch in Egitto ci sono più di 60.000 prigionieri

politici tra cui attivissi giornalisti, avvocati, intellettuali, militanti, islamisti. Ci sono

alcuni casi più noti anche perché coinvolgono paesi stranieri, in Italia ovviamente conosciamo

soprattutto il caso di Patrick Zaki, l'attivista egiziano, studente all'Università di Bologna

che ha trascorso 22 mesi in detenzione preventiva, che è stato rilasciato ma che ancora rischia

fino a cinque anni di carcere per diffusione di notizie falsi. Ma c'è anche Al Abdel Fatal

di cui si è parlato molto nei mesi scorsi per un suo lungo sciopero della fame, volto

della primavera araba egiziana in carcere dal 2019, già varie volte arrestato in passato

con passaporto britannico. Però è certo che l'uccisione di Giulio Reggiani rappresenta

uno sparti aque per qualsiasi discorso sui diritti umani in Egitto, ed è per questo che pretendere

verità e giustizia per Giulio Reggiani è importante anche il nome di tutti gli egiziani

che subiscono ogni giorno le ingiustizie del regime di Al Sisi.

Riccardo, torniamo al processo, a di là delle questioni appunto di carattere strettamente

processuale, cosa potrebbe sbloccare la situazione a questo punto?

Il punto è proprio che ci si limita a valutare in punta di delitto se questo processo si

debba fare o meno. Quello che occorrerebbe è spostare sul piano della politica, la discussione,

cioè da un punto di vista politico. L'Italia è mancata in tutti questi anni e siamo al

decimo anniversario del colpo di stato di Al Sisi. Sei di questi anni riguardano Vicende,

Giulio Reggiani e poi Patrick Zacchie che ci interessano da vicino e i governi italiani

in tutto questo periodo hanno sempre scelto la strategia per dente, cioè di ottenere

magari qualche favore, qualche sussurro a bassa voce a costo zero, anzi a costo più

uno, ma più uno per l'Egitto, continuando a mandare armi, privilegiando buoni rapporti

e approfondendo le relazioni su una serie di dossier primi tra tutti con il petrolio

e poi l'immigrazione e poi il terrorismo sempre a scapito dei diritti umani.

Grazie a Riccardo Nuri e grazie a Francesca Agnetti.

Grazie.

Elena Boille, vice-direttrice di Internazionale racconta la notizia di scienza della settimana.

Tra gli articoli di divulgazione scientifica che pubblichiamo sulle pagine di Internazionale,

ogni tanto c'è ne qualcuno che riguarda quei fenomeni o meccanismi che hanno a che

vedere con il nostro quotidiano, che spiegano il funzionamento di cose che usiamo tutti

i giorni, tra cui il nostro stesso corpo.

Nel numero inedicola per esempio c'è ne uno che parla banalmente della saliva, quel liquido

che bagna la nostra bocca e che tutte le persone in buona salute danno per scontato.

L'articolo che abbiamo ripreso da Knowable Magazine ci ricorda che la saliva non è solo

un lubrificante, senza il quale avremo difficoltà a parlare e a deglutire quello che mangiamo,

ma ci protegge anche dai microbi.

E soprattutto, e questa è la parte più interessante e nuova, è che la saliva influenza

il gusto.

È come una sorta di mediatore che condiziona il modo in cui percepiamo i sapori degli alimenti

e delle bevande come il vino.

Quella sensazione di secchezza o all'appamento che sentiamo quando beviamo certi vini rossi

non dipende dal fatto che il vino rende effettivamente la bocca piaciutta, ma delle sue molecole

di tannino che fanno perdere in parte alla saliva il suo potere lubrificante.

E visto che le persone hanno portate salivari e composizione della saliva differenti, abbiamo

esperienze di sapore piuttosto diverse gli uni dagli altri.

Da decenni la Corea del Nord sfrutta il lavoro di cittadini che invia a lavorare all'estero.

Nel 2017 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite avvietato questa pratica nell'ambito

di una serie di sanzioni, un risultato di cui si rallegra in questo audio l'ambasciatrice

degli Stati Uniti presso l'ONU.

Le Nazioni Unite hanno obbligato tutti i Paesi membri a espellere entro il 2019 i cittadini

nordcoreani inviati da Pyongyang a lavorare all'estero.

Lo scorso fine settimana però un rapporto pubblicato ancora del Sud ha rivelato che

il regime ancora riesce a utilizzare questo sistema di sfruttamento dei suoi lavoratori

espatriati, soprattutto grazie al supporto di Russi e Cina.

Per capire perché questa viene definita una forma di schiavitù di Stato e come mai è

così importante per Pyongyang, parliamo con Giunco Terrao, editor di Asia che nel 2016

è stata per internazionale in Corea del Nord.

Il lavoro dei nordcoreani mandati all'estero è una delle poche fonti di liquidità per

i regimi di Pyongyang, si tratta di fatto non di rimesse come succede in molti altri

paesi anche asiatici, ma di lavoro forzato, perché queste persone vengono andate all'estero

e vengono andate in paesi con cui la Corea del Nord ha dei rapporti principalmente russi

a Cina, ma con cui la Corea del Nord confina anche quindi i lavoratori trasfrontalieri sono

tradizionalmente numerosi, ma anche paesi africani, paesi del Sud estasiatico, paesi

del Medio Oriente, principalmente in cantieri edili, nella ristorazione, in cantieri navali.

Mi ricordo che per esempio ogni occasione di mandiorei del 2018 in Russia avevamo pubblicato

proprio un articolo che spiegava come lo stadio principale che era in costruzione

impiegava lavoratori nordcoreani, è un sistema che serve che è necessario al regime nordcoreano

e un rapporto appena pubblicato dal governo di Seoul che si concentra sulle relazioni

di diritti umani in Corea del Nord, parla proprio di questo sistema e spiega come negli

ultimi anni, in particolare in dieci anni di regime di Kim Jong-un, il ricorso di questo

sistema è aumentato moltissimo.

Però ci spiega rispetto a dei normali lavoratori emigrati che vanno a lavorare all'estero

in che cosa questo sistema è diverso e in che cosa è anche gestito dal regime?

È completamente gestito del regime, a cominciare dalla selezione di questi lavoratori che devono

essere persone la cui fedeltà nei confronti del regime non deve lasciare dubbi, per esempio

non devono avere famigliari scappati a Sud oppure anche noi devono essere militari che

hanno lavorato in passato avendo accesso a informazioni sensibili, quindi c'è un controllo

da parte del regime e nella selezione di chi può andare all'estero, dopodiché queste

persone vanno all'estero ma non sono libere, sono strettamente sorvegliati da guardiani,

questo per tutto il tempo del loro soggiorno lavorativo nei paesi stranieri.

Nel 2016 io a Pyongyang avevo incontrato per esempio due ragazze che lavoravano in una

pizzeria, già avvo chiacchierato con loro mi avevano raccontato di sette due anni a

Napoli per imparare a far la pizza, a quel punto chiedo a me è come vi è sembrata Napoli,

vi è piaciuta, candidamente mi hanno risposto che non avevano mai visto la città perché

in quei due anni avevano vissuto nell'appartamento dove alloggiavano e poi venivano trasportate

dal loro guardiano nel posto dove imparavano a far la pizza e questo è un esempio di come

nordcoreani che vengono all'estero vivono, dei regimi di sorveglianza a cui sono sottoposti,

questo non sono i lavoratori ma per esempio anche gli studenti, gli studenti nordcoreani

che vengono mandati nelle università stranieri a fare scambi, a fare periodi di studio vengono

mandati mai da soli almeno sempre in coppia, questo perché si possono così controllare

a vicenda e sempre ci sarà anche un guardiano a sorvegliare entrambi.

Quindi questo è un sistema consolidato che riguarda appunto gli soggiorni dei nordcoreani

all'estero, inoltre i loro passaporti vengono requisiti e tenuti dei guardiani e a casa

queste persone lasciano la famiglia e sostanzialmente lasciano degli ostaggi per cui se loro dovessero

fare dei passi falsi, pensare di scappare o di accedere informazioni proibite per i

nordcoreani, sanno che a casa potrebbe succedere qualcosa alle loro famiglie, quindi questo

parla appunto di un regime di sostanzialmente di schiavitù.

Nel 2017 il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha votato all'unanimità delle sanzioni contro

la Corea del Nord e tra questo c'era anche l'obbligo per tutti i Paesi membri di espellere

i lavoratori nordcoreani entro il 2019 proprio per combattere questo tipo di pratica, quindi

in teoria non dovrebbe più succedere.

Ora però è uscito fuori che invece non è così, giusto?

Rapporto pubblicato dal Ministero dell'Unificazione di Seul che è il Ministero che si occupa

dei rapporti con la Corea del Nord ha rivelato che moltissimi nordcoreani si trovano ancora

soprattutto in Cina e in Russia, come sempre succede quando si tratta di sanzioni votate

dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, russia e Cina magari votano le sanzioni,

votano a favore ma poi non le rispettano, innanzitutto perché russia e Cina sono tradizionalmente

i due Paesi tra virgolette amici della Corea del Nord su cui Pyongyang conta per la propria

sopravvivenza economica, riceva gli utili alimentari in periodi di grossa crisi come

quell'ottuale e poi perché russia e Cina usano anche la Corea del Nord e le sanzioni

contro la Corea del Nord in un gioco con i Paesi occidentali o i Paesi alleati dell'Occidente

vicini a loro tra cui appunto Giappone e Corea del Sud come strumento nelle relazioni

diplomatiche con gli altri Paesi del Consiglio di Sicurezza.

Quindi questo fenomeno è tutt'altro che chiuso, giusto?

Al contrario, quello che ci dice a questo rapporto è che è aumentato questo fenomeno

negli ultimi tre anni, tra l'altro, causa la pandemia, moltissimi di questi lavoratori

sono rimasti intrappolati fuori dalla Corea del Nord, quindi in particolare in Cina e

Russia, perché i confini della Corea del Nord sono stati chiusi ermeticamente per

non far entrare il virus e quindi questi lavoratori sono rimasti blocati all'estero, quindi

costretti a continuare a lavorare in questo regime di schiavitù.

Come mai questo sistema che i New York Times in questi giorni definisce

c'è proprio una schiavitù di Stato?

È così importante per la Corea del Nord?

Beh, importante perché, come dicevo all'inizio, è una delle poche fonti di entrate per il

governo.

La Corea del Nord base la sua sopravvivenza, la sopravvivenza della sua popolazione sui

aiuti che riceve dai vicini amici in periodi in epoche di maggiore distensioni con i sud

anche in aiuti umanitari dalla Corea del Sud.

Però per il resto, negli ultimi anni le sanzioni si sono accumulate, poi c'è stata anche la pandemia

per l'esmeralda, per l'esmeralda.

Il disco della settimana è consigliato da Giovanna da Scienzi, fotoeditor di Internazionale.

Il disco di cui vi parlo oggi è un debutto. L'autrice è Debbie Friday, una di Jedi origine nigeriana emigrata in Canada quando era bambina e ora residente a Toronto.

Guglark è un lavoro sostanzialmente elettronico che alterna e mischia con sicurezza vari generi

come l'Industrial, l'Rnb e anche il Rock con passaggi di basso che potremmo ritrovare

in un pezzo di cure. Debbie Friday che canta in ogni brano non è mai fuoriposto e anzi

aderisce

è un lavoro sostanzialmente elettronico che è un lavoro sostanzialmente elettronico che

è un lavoro sostanzialmente elettronico che è un lavoro sostanzialmente elettronico che

Machine-generated transcript that may contain inaccuracies.

La procura di Roma ha chiesto un intervento della Corte costituzionale sulla possibilità di procedere in assenza degli imputati. Il regime di Kim Jong-un invia lavoratori nordcoreani all’estero per guadagnare valuta straniera.

Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia
Francesca Gnetti, editor di Medio Oriente di Internazionale
Junko Terao, editor di Asia di Internazionale

Alessandra Ballerini: https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/04/03/regeni-la-procura-di-roma-chiede-al-giudice-lintervento-della-consulta-la-famiglia-il-processo-inizi-prima-possibile-basta-impunita/7118876/

video Corea: https://edition.cnn.com/2017/08/05/asia/north-korea-un-sanctions/index.html

Scrivi a podcast@internazionale.it o manda un vocale a +39 3347063050

Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.