Il Mondo: Chi vuole l’Ucraina nella Nato. Nel nordest dell’India c’è un conflitto che nessuno vuole risolvere.

Internazionale Internazionale 7/12/23 - Episode Page - 21m - PDF Transcript

Dalla redazione di Internazionale io sono Giulia Zoli, io sono Claudio Rossi Marcelli e questo

è il mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.

Oggi vi parleremo del vertice della NATO e di un conflitto etnico in India e poi di giovani

donne in Kenya e di un festival nelle Marche.

È mercoledì 12 luglio 2023.

Abbiamo questo summit historico.

Prima di tutto, siamo riconferiti di che Russia è il più grande strato per l'allianza nata

e per questo strato, bisogna adottare nuovi plan di difesa.

Questo richiede la preparazione di nuovi piani di difesa, ma il vertice che si chiuderea oggi

ha in realtà un ordine del giorno molto più ampio. Ne parliamo con Jacopo Zanchini,

vice direttore di Internazionale.

Il vertice della NATO ha Vilnius ha già le caratteristiche di un evento storico.

Naturalmente anche un evento rituale, i vertici della NATO sono annuali e vi partecipano di

diritto ovviamente i leader e i capi di Stato di Governo dei 31 paesi che compongono l'allianza.

Ne fanno infatti parte gli Stati Uniti, il Canada e 29 paesi europei.

Tra questi naturalmente ci sono quasi tutti i membri dell'Unione Europea,

c'è il Regno Unito che dall'Unione Europea è uscito, ci sono vari paesi dei Balkani,

poi c'è la Norveggia e infine la controversa turchia che ha fatto morto parlare di sé.

Ci sono quindi tutti questi paesi presenti a Vilnius in Lituania e c'è naturalmente

l'invitato d'onore, l'Ucraina con il presidente Zelenski, ci sono i vertici dell'Unione Europea,

ci sono i leader di paesi osservatori. Quindi questo submit è particolarmente importante,

ma anche particolarmente blindato perché l'allituania confina con la Bialorusia,

alleata della Russia. Quindi tutto questo ci racconta che ci sono condizioni di sicurezza

molto rafforzate quasi senza precedenti per questi due giorni di vertice che va a cadere proprio

nel momento in cui sono appena stati superati i 500 giorni della guerra in Ucraina.

Quali sono i temi principali sul tavolo della discussione?

Al centro del vertice la questione fondamentale è una sola, è l'Ucraina e l'anato,

la decisione eventuale del Paese a l'anato e i suoi tempi e modi. Su questo c'è un dissenso.

Oggi a opporsi all'ingresso immediato dell'Ucraina e nell'anato sono soprattutto gli Stati Uniti e

la Germania, mentre premono per questa soluzione al più presto possibile la Polonia e i Paesi

Baltici e paradossalmente anche la Francia che invece per mesi aveva cercato di stabilire un

canale di comunicazione con Mosca per, come disse Emmanuel Macron, non umiliare la Russia che

adesso invece forse per non aver trovato alcuna scolto in questa sua linea dialogante ha sposato

una linea più dura. La posizione che naturalmente dovrebbe prevaleare alla fine del vertice è quella

degli Stati Uniti, parliamoci chiaro, assistenza militare sì ma per ora nessun ingresso nell'anato

perché fare entrare in un'alleanza militare un Paese nel corso di una guerra quando il trattato

istitutivo di questa alleanza prevede la mutua assistenza tra i firmatari significa che

improvvisamente probabilmente si dovrebbe entrare in guerra contro la Russia. Cosa si aspetta l'Ucraina

dal vertice? L'Ucraina si aspetta non un ingresso formale anche se è quello che chiede ma si

aspetta dei tempi certi un impegno politico da parte dell'anato che ci sarà un ingresso del Paese

nell'alleanza a guerra finita o comunque se ci sarà una tregua lunga e stabile con scadenze

chiare concrete un ammorbidimento delle procedure normalmente previste per entrare nell'alleanza

e un rinnovato impegno al sostegno militare nei prossimi mesi ovviamente della controffensiva

Ucraina. Il Paese in qualche modo vuole avere la garanzia che una volta che ci saranno dei nuovi

confini quali che saranno dell'Ucraina questi saranno rispettati dal vicino russo e che questo

rispetto sarà imposto dall'alleanza con occidente. Come fatto notare prima le Repubbliche Baltiche

fanno parte dell'anato già da molto tempo con tutto che erano delle ex Repubbliche Sovietiche ma

invece della tensione dell'Ucraina non si era mai parlato? Varie giornali e vari osservatori in

questi giorni hanno richiamato il vertice dell'aprile del 2008 nel quale Washington chiesa agli

alleati di promettere alla Georgia e l'Ucraina che un giorno sarebbero entrati nella NATO ma gli

alleati non volevano in particolare Francia e Germania quindi la formula adottata fu molto vaga

una porta aperta diciamo a questi due paesi senza però formalmente invitarli. Questo compromesso

nasceva anche dal fatto che eravamo nel 2008 c'era l'amministrazione di George W. Bush che

era nella sua fase diciamo finale chiaramente c'era stata l'Irak e con tutto quello che aveva

comportato e l'opposizione di Francia e Germania a questa soluzione serveva sì anche a non innervosire

la Russia ma era anche dettata da una certa diffidenza nei confronti dell'amministrazione

americana. Oggi gli osservatori sottolineano che forse Mosca interpretò quella scelta come un

segno di debolezza e quindi attaccò pochi mesi dopo la Georgia nel 2008 copò la Crimea nel 2014

e poi come sappiamo ci fu la crisi del Donbass ai combattimenti fino ad arrivare al 24 febbraio

2022 all'attacco all'Ucraina. Quella promessa vaga del 2008 fu interpretata da Mosca come un segnale

di debolezza la parte della NATO e dei paesi europei oggi col segno di poi possiamo anche dire di sì

però certo quella promessa nacque in quel contesto lì di diffidenza tra gli Stati Uniti e l'Europa

e quindi oggi è difficile a posteriori rimettere la indiscussione cancellando completamente il

contesto. Anche se il vertice è concentrato sulla situazione in Ucraina non dobbiamo dimenticare

che per gli Stati Uniti una questione di politica internazionale fondamentale sono i rapporti con

la Cina. Pechino in qualche modo presente a questo vertice? La Cina come sappiamo è la priorità

della politica essere a Stato Unitezza e a sua volta il rapporto con gli Stati Uniti è il centro

della visione mondiale di Pechino e la ricerca di un rapporto che sia da una parte di cooperazione

e dall'altra in qualche modo di sfida a quella che Xi Jinping considera legemonia di Washington.

Quindi il fatto che la NATO stia cercando di rafforzare la sua collaborazione con gli alleati

degli Stati Uniti nell'area dell'Asia Pacifico e che in particolare abbia invitato a questo vertice

di Vilnius paesi come la Corea del Sud, il Giappone, l'Australia, la nuova Zelanda,

in nervosice parecchio la leadership cinese. È un altro tassello di questa tensione che

stiamo vedendo tra le due grandi potenze del mondo che da una parte stanno cercando delle

strade per dialogare ma che continuano a avere numerose occasioni di scontro.

Uno degli aspetti più specifici che riguarda la NATO è questo vertice in particolare e poi

l'ingresso della Svezia. Dopo la Finlandia sembrerebbe che adesso la Turchia abbia dato il suo

bel restare anche l'ingresso della Svezia nell'alleanza atlantica. Cosa è successo?

Perché la situazione si è sbloccata? Il presidente turco Erdogan ha deciso di

essere uno dei grandi protagonisti di questo vertice della NATO. Si considera il grande

mediatore della crisi ucraina, fa parte della NATO ma continua a avere un canale preferenziale

di dialogo con Putin, ha detto che lo inviterà ad agosto a visitare la Turchia. In qualche modo

questo suo atteggiamento di i piedi in due staff lo mette al centro della scena, ne fa un

protagonista per quanto controverso. Ha appena vinto le elezioni presidenziali, si sente forte a casa

sua ma deve affrontare una crisi economica molto molto forte quindi gioca molto sul prestigio

internazionale. Dalla Svezia in particolare Erdogan ha ottenuto purtroppo molte garanzie sulle

stradizioni dei militanti kurdi che si sono rifugiati nel paese scandinavo il che francamente

non è una pagina gloriosa né per la Svezia né per l'Europa. Ora vedremo se effettivamente

il veto turco all'ingresso della Svezia cadrà davvero, se il Parlamento farà quello che

Erdogan ha detto che farà, certo che l'Europa e la NATO, dopo aver esperato nella sconfitta di

Erdogan alle elezioni, dovranno avere che fare ancora per molti anni con un alleato incombrante

e non certamente democratico. Lo scoppio della guerra in Ucraina ha cambiato in qualche modo l'equilibrio

tra Europa e Stati Uniti all'interno dell'alleanza atlantica. Prima della guerra in Ucraina e dopo

gli anni di Trump il presidente francese Manuel Macron aveva proclamato la NATO in Stato di Morte

Civile. Paradossalmente uno degli effetti non voluti della guerra di Putin è proprio il fatto

non solo di avere resuscitato la NATO da questa morte ma di averla rafforzata e rilanciata. Oggi

ci sono dei nuovi stati che sono entrati o stanno entrando, la NATO ha un nuovo ruolo in Europa e

nella impalcatura di sicurezza del continente. In questo quadro naturalmente la superiorità

militare degli Stati Uniti, la loro forza in termini strategici, pesa nel rapporto con l'Europa.

L'Europa non è stata capace negli anni di Trump di costruire una sua autonomia strategica. Ora ha

aumentato certamente le spese militari ma non ha costruito un concetto di difesa europea autonomo

da Washington e ritrovandosi. Con una crisi così grave come quella ucraina l'Europa si ritrova

indietro e gli Stati Uniti riprendono la leadership nella NATO. Lo abbiamo visto anche nella recente

decisione di Washington di fornire le bombe a grappolo a Kiev. Questo tipo di armi sono state

bandite dai paesi europei che hanno voluto vietare il loro impiego sui campi di battaglia.

Washington non aveva firmato quella convenzione ma ha deciso autonomamente di fornire agli

ucraini. È una scelta che sottolinea che l'alleanza è ancora molto sbilanciata.

Grazie Giacopo Zanchini. Grazie a voi.

Francesca Sibani, editor di Africa d'Internazionale racconta un articolo uscito sull'ultimo numero.

La corrispondente del settimanale tedesco di Zeit, Andrea Baum, viene invitata a Nairobi a

visitare una scuola di Chibera, che è la più grande baracopoli del Kenia e secondo alcuni di

tutta l'Africa. Appena arriva sente delle urla fortissime. Lei si preoccupa, ma vede che intorno

a Sè ci sono dei gruppi di ragazzi che continuano a fare come se niente fosse. Il mistero è presto

svelato, in una delle classe, in corso una lezione di autodifesa tenuta da una energia locale che sta

cercando di portare in tutte le scuole del paese l'Empowerment Self-Defense. In questi corsi,

le insegnanti mostrano come proteggersi da molestie e aggressioni, anticipandole, e allo

stesso tempo invitano le ragazze ad alzare la voce, per dire di no. La giornalista tedesca è sinceramente

ammirata dai successi ottenuti con questi corsi, che secondo alcuni studi hanno dimezzato il

rischio di subire uno stupro tra le giovani che gli hanno frequentati. In questo articolo che si

può leggere sul numero di internazionali in edicola questa settimana, non solo riceviamo delle

buone notizie dall'Africa, ma perché no? Anche degli spunti su come affrontare meglio

alcuni problemi sociali, come la violenza contro le giovani donne.

Shifting our focus now, violence has struck the Indian state of Manipur yet again. The chief

minister of the state says that a large number of quote unquote terrorists have been killed by security

forces here. Yes, now this incident comes just ahead of Indian Home Minister Amit Shah's visit to the

violence hit state. Un rest was visible on the streets on Sunday as civilians protested to free the

area of ethnic disturbance. This came as incidents of violence were reported from multiple districts.

Chief minister N. Birren Singh said that as many as 40 quote unquote terrorists have been killed so far

during the crackdown by security forces. Dall'inizio di maggio nello stato del Manipur,

nel nord-est dell'India, si è riacceso un conflitto che ha radici antiche. Le tensioni tra

la comunità Mayday, maggioritaria nello stato e la minoranza Kuki si sono trasformate in scontri

aperti con uccisioni, devastazioni e incendi. Negli ultimi giorni la violenza è diminuita dopo

che il governo centrale ha schierato l'esercito per proteggere una zona cuscinetto tra i

gruppi rivali. Ma il conflitto resta risolto e in assenza di una soluzione politica le

violenze potrebbero riesplodere mentre la situazione degli sfollati nei campi profghi

rischia di trasformarsi in una crisi umanitaria. Ne parliamo con Giunco Terrao, editor di Asia

di Internazionale. Nelle violenze che sono scoppiate all'inizio di maggio sono morte circa 130

persone in gran parte di Erzini a Kuki e più di 75 mila sono sfollate. La maggior parte si

trova adesso in campi di soccorso allestiti nello stato in condizioni precarie e potenzialmente

esplosive dal punto di vista igienico sanitario. Il governo di New Delhi ha mandato 40 mila

uomini tra soldati dell'esercito per amilitari per sedare le violenze ma ci sono anche squadroni

di vigilanti di entrambi le fazioni che hanno rubato armi alla polizia del Manipur e seminano

il terrore per le strade. Quindi c'è una situazione sostanziale anarchia anche se

nell'ultima settimana la situazione è un po' migliorata sia un po' calmata con l'arrivo

di queste forze dell'ordine e oltre alle abitazioni sono stati risulti anche a 200 chiese 17 templi.

Inoltre nello stato da più di due mesi è bloccata internet. Ufficialmente è per non

far circolare le notizie false che potevano essere pericolose e generare nuovi scontri e solo

nel weekend lo scorso weekend l'alta corte del Manipur ha ordinato un'arrivo caparziale di

questo blocco. Come è cominciata questa esplosione di violenza e perché? Le violenze sono cominciate

all'inizio di maggio quando i due principali gruppi etnici che abitano le colline del Manipur

che sono i Kuki e i Naga che insieme costituiscono il 43% della popolazione e sono prevalentemente

cristiani hanno manifestato contro l'inclusione dei Meitei che è l'etnia maggioritaria tra i

gruppi tribali ufficialmente riconosciuti. I Meitei sono circa la metà dei 3,3 milioni di abitanti

del Manipur e sono in gran parte in doom. Dunque in India la questione dell'inserimento nella lista

delle tribù riconosciute dà a dei gruppi deboli e svantaggiati dei privilegi come per esempio

delle cuote riservate nelle scuole nella pubblica amministrazione oppure la possibilità di accedere

di comprare i terreni in zone appunto riservate ai gruppi tribali. I Kuki lo sono, compare nella

lista dei gruppi tribali riconosciuti e a marzo un tribunale aveva stabilito che anche i Meitei

potevano essere riconosciuti ufficialmente come gruppo tribale. I Meitei che controllano la

valle invece mentre i Kuki sono nelle colline e controllano anche in falche la capitale dello

stato da tempo accusano i Kuki di essere ingiustamenti privilegiati mentre i Kuki si

oppongono all'inclusione dei Meitei e nella lista delle tribù riconosciute perché temono che

questo rafforzerebbe ulteriormente il dominio economico del gruppo maggioritario e gli darebbe

la possibilità soprattutto di comprare terreni sulle colline che sono riservate alle comunità

tribali riconosciute. I Meitei altro motivo di tensione è che i Meitei si lamentano perché le

tribù delle colline scendono a valle e migliano di fatto mettendoli numericamente in minoranza e a

questo proposito i gruppi tribali delle colline denunciano una grave mancanza di infrastrutture

che li costringe a spostarsi a valle quindi è una costruire complessa in cui giocano un ruolo

rilevante diversi elementi. Si ha parlato molto anche del fatto che la comunità Maitei maggior

Italia è di religione in due mentre quella dei Kuki è di religione prevalentemente cristiana

protestante. La componente religiosa che peso ha in questi scontri? In realtà nel caso del

mani pure di queste comunità la religione c'entra poco nel senso che è più rilevante il fatto

che appunto sono gruppi etnici diversi costretti a convivere in modo complesso, difficoltoso e a

spartirsi un territorio in cui convivono in 39 gruppi etnici. Chiaramente sul conflitto pesano

il fatto di essere o meno riconosciuti come gruppo etnico ufficialmente ma anche appunto

la spartizione del territorio, le disuguaglianze economiche, l'alta disoccupazione. Parliamo del

nord dell'India che appunto comprende tra gli stati più poveri del paese quindi insomma la

componente religiosa in questo caso è meno rilevante. Come hanno reagito le autorità sia

locali sia il governo centrale? Dunque il governo locale è stato molto criticato perché il

governatore Birain Singh che è un Mayday ed è del partito BJP, il partito del Primo Ministro

da rendere a modi, non ha sostanzialmente dimostrato di voler far molto per risolvere la situazione.

Singh aveva lanciato una campagna contro i coltivatori di Papà e vero da oppio, una campagna, la sua

guerra alla droga, coltivatori che lavorano soprattutto nei territori dei cookie e questo

ha spritto molti rapporti tra la comunità cookie e il governo. Singh tra l'altro appunto accusa

i cookie oltre che di produrre, spacciare e droga ma di offrire anche ospitalità ai migrati

irregolari. L'unica mossa che il governatore Singh ha fatto è stato incontrare il ministro

dell'interno Amit Shah, il ministro dell'interno del governo centrale con cui però non ha trovato

una soluzione anzi ha mandato un messaggio contraddittorio all'esterno perché ha ordinato per

esempio ai dipendenti statali di tornare al lavoro anche se per molte persone mancano

proprio le condizioni per farlo perché semplicemente non hanno più casa dove tornare quindi figuriamoci

al lavoro. Entrambi gli schieramenti sperano in un intervento di mediazione del governo di

New Delhi a questo punto però finora non c'è stato e il primoministro non renda modi è stato in

silenzio su questo ed è stato molto criticato per questo e se le violenze si sono placate

dopo il displiegamento delle forze armate nello stato potrebbero scoppiare di nuovo da

momento all'altro. Diversi osservatori in effetti temono che questo possa succedere e che la

violenza destabilizzi altri stati del nord-est e addirittura la birmania perché? Sì il nord-est

dell'india è una zona da sempre terreno di insurrezioni e movimenti separatisti e questo

adatto al governo centrale il pretesto per dare dei poteri speciali alle forze armate

dispiegate nella regione questo chiaramente come succede per esempio anche nel Kashmir indiano

da sempre origine di forti tensioni nel mani pur ci sono almeno quattro gruppi armati nella

valle vari gruppi naga e quasi 30 gruppi armati cookie quindi in più la situazione nella vicina

birmania dove in corso ricordiamo una guerra civile di cui purtroppo si parla poco rischia di

rendere il conflitto ancora più violento e pericoloso perché l'esercito regolare birmano

sostiene i meitei mentre le forze ribelli sostengono i cookie entrambe le parti fanno entrare nel

mani pur molte armi e quindi questo potrebbe essere un elemento potenzialmente pericolosissimo e

appunto fa pensare che le virenze non si fermino qui grazie ad un coterao grazie a voi

Claudio Balboni il producer di questo podcast segnala un festival nelle Marche

dal 14 al 16 luglio nelle Marche a Ripi San Ginesio e Loro Piceno torna un festival bellissimo

Borgofuturo che da 13 anni anima i piccoli borghi e le aree interne con incontri eventi

culturali e concerti quest'anno l'argomento principale è l'abitare tema sul quale interverranno

esperti come Filippo Barbera, Sara Gainesfort e gli attivisti di ultima generazione. Nell'arco

delle tre serate del feste o al poi andrà in scena un fitto programma musicale con i

calibro 35, Fulumi Tziki e Daniela Pesso e poi chi vuole potrà partecipare alle altre

attività come i laboratori del riciclo, i workshop di ceramica e perfino i tornei di

Ascondino. Borgofuturo dal 14 al 16 luglio a Ripi San Ginesio e Loro Piceno.

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I capi di stato dei 31 paesi della Nato sono riuniti a Vilnius, in Lituania, per il vertice annuale dell’Alleanza atlantica. Dall’inizio di maggio nello stato del Manipur si è riacceso un conflitto etnico che ha radici antiche.

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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
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