Il Mondo: Centinaia di migliaia di persone fuggono dalla guerra nella Repubblica Democratica del Congo. Che storia ci racconta Stalin.

Internazionale Internazionale 3/16/23 - Episode Page - 21m - PDF Transcript

Dalla redazione di Internazionale io sono Claudio Rossi Marcelli, io sono Giulia Zoli e questo

è il mondo, il poca scotidiano di Internazionale.

Oggi vi parleremo della guerra nell'est della Repubblica Democratica del Congo e di Stalin

e poi di un fotografo e di un'opera lirica.

È giovedì 16 marzo 2023.

A Bukavu, una città sulla punta meridionale del lago Kivu, nella Repubblica Democratica

del Congo, questa donna che vende i fagioli al mercato cittadino si lamenta perché la

merce non arriva più.

Negli ultimi giorni violenti scontri tra una milizia di belle e le forze governative

hanno aggravato la crisi umanitaria nella Repubblica Democratica del Congo, costringendo

nel solo mese di febbraio 300 mila persone ad abbandonare le loro case nella provincia

del Nord Kivu.

L'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati denuncia terribili violazioni dei diritti

umani, tra cui uccisioni arbitrarie, rapimenti, extorsioni e stupri.

La recrudescenza della violenza nella parte orientale della RDC ha provocato 800 mila

sfollati da marzo del 2022, anche verso le provinze del Sud Kivu e delle Turi.

Almeno 120 gruppi armati sono attivi al confine tra la Repubblica Democratica del Congo e

in Rwanda.

Da 24 anni la monusco, la missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite nel Paese

affianca le forze dell'esercito congolese per cercare di contrastare le milizie.

Ne parliamo con Francesca Sibani, editor di Africa di Internazionale.

Da un anno questa parte una milizia chiamata Movimento 23 marzo, e spesso la si legge

abreviata in M23, ha ripreso le armi attaccando le popolazioni civili di questa provincia

dell'est congolese che si chiama Anor Kivu, come ricordato, e contro le forfarmate nazionali

e sta stringendo da allora verso una importante città al capoluogo di questa provincia che

si chiama Goma, conquistando man mano nuovi territori.

Questo nonostante va davanti da un po' di tempo un tentativo di mediazione internazionale

per convincere questi ribelli che tra l'altro avevano già negoziato un accordo con il

governo una decina di anni fa a abbandonare le armi e a ritornare alla vita civile.

Chi sono questi ribelli dell'M23? Cosa vogliono?

I ribelli dell'M23 sono una milizia di etenia Tuzzi che parla la lingua del Rwanda, al

Chiena Rwanda, e secondo i rapporti delle Nazioni Unite sono direttamente sostenuti e appoggiati

dall'Rwanda.

Il Rwanda dice di sostenerli perché ha bisogno di difendersi a sua volta da un'altra milizia

presente in questa parte del territorio congolese, una milizia Utu che minaccia il suo governo.

Allo stesso tempo però molti analisti fanno notare che queste milizie sono strumentali

per i governi vicino, servono a mantenere aperto un canale di contrabbando e di traffico

di risorse minerali che sono molto abbondanti in questa parte del Congo.

Tra questi minerali ricordiamo il Coltan, loro la Cassiterite.

Secondo alcuni analisti il Rwanda sarebbe anche intervenuto per ribadire la sua posizione

e dopo che il governo di Kinshah aveva stretto un accordo per l'apertura di una strada

attraverso cui esportare questi minerali verso Luganda.

Questa situazione ci riporta a un conflitto più antico di cui oggi si sentono ancora

le conseguenze.

Esattamente tutta questa parte di Africa che viene chiamata la Regione dei Grandi Laghi

che quindi comprende l'est del Congo ma anche Rwanda Burundi non conosce pace da almeno

una trentina d'anni dal famigerato genocidio del Rwanda che portò milioni e milioni di

profugi nelle Paesi vicini scatenando successivamente almeno due enorme guerre che hanno visto con

l'involgimento a seconda dei periodi di altri otto Paesi africani e che hanno causato milioni

e milioni di morti.

Ancora oggi in queste tre province che ha inominato prima quindi in orchivo, sudchivo e i turi

sono attive almeno 120 diverse milizie secondo varie stime.

Queste milizie sono di diverse etnie vicine a diversi governi dei Paesi confinanti quindi

al Burundi, a Luganda oppure al contrario si oppongono a questi governi e quindi l'eminacciono.

Fundamentalmente sono radicate in questa zona perché lo Stato Congolese assente, ricordiamo

che la RDC è un Paese che è grande quasi come l'Europa Occidentale.

Queste tre province sono a loro volta enormi e contengono enormi risorse minerarie.

Questo ha permesso a questi gruppi armati di vivere di un'economia di guerra che è fatta

di estorsioni, di violenze contro le popolazioni civili ma anche dello sfruttamento di queste

risorse minerarie come abbiamo detto prima.

E intanto a fare le spese di questa lunghissima guerra sono soprattutto i civili?

Abbiamo notizie di massacri nei villaggi con centinaia di morti, massacri di cui spesso

è difficile anche avere un bilancio esatto perché c'è una presenza molto scarsa di

osservatori esterni, sappiamo che tuttora continua l'uso dello stupro come arma di

guerra.

Infatti pochi anni fa è stato premiato con il Premio Nobel per la pace il dottor Denis

Mukwege proprio per il suo lavoro a favore delle donne che erano state vittime di questi

abusi terribili.

Finora quali tentativi sono stati fatti a livello diplomatico oppure tra tutti gli

attori presenti sul campo c'è ne qualcuno che potrebbe sbloccare la situazione?

Rispetto ad altri crisi africane in questo caso sono entrate subito in gioco alcune potenze

della regione tra cui il Kenya e l'Angola che in realtà poi si trova anche abbastanza

lontana.

Tuttavia questo loro interesse ha fatto sì che si siano moltiplicati quindi tentativi

di raggiungere un accordo negoziato con i ribelli o di stabilire un cessato il fuoco

come per esempio il 7 marzo doveva partire un cessato il fuoco che però poi in realtà

non è mai stato applicato perché i ribelli non l'hanno rispettato da subito.

Questo è sicuramente una dinamica positiva nella regione.

Allo stesso tempo il coinvolgimento di organizzazioni regionali come la comunità degli stati dell'Africa

orientale ha fatto sì che nel paese siano arrivati dei eserciti stranieri, sono arrivati

le truppe kegnane, quelle burundese, adesso anche l'Angola ha annunciato che manderà

i suoi soldati.

In passato questo tipo di intervento non si è mai rivelato ne risolutivo e forse le cose

sono peggiorate però sicuramente c'è un'attenzione a livello africano.

Certo è che anche l'Occidente dovrebbe fare la sua parte come hanno fatto notare alcuni

commentatori africani spesso verso il Rwanda che viene accusato in questo caso di finanziare

direttamente i ribelli, i paesi occidentali usano due pesi e due misure, tollerano un

regime autoritario che spesso agisce

esattamente legittimi, adesso sappiamo che il Rwanda è un alleato degli Stati Uniti per esempio

con il Regno Unito ha stretto un importante accordo sull'immigrazione.

C'è molta reticenza a criticare Paul Kagame, il Presidente Rwandese, nei concessi internazionali,

quando invece forse anche l'Occidente potrebbe mostrare un po' più di risolutezza e di fermezza

nelle sue condanne.

Grazie a Francesca Sibani.

Grazie a voi.

Rosi Santella, foto editor di Internazionale, racconta il lavoro di un fotografo svizzero che

uscirà sul prossimo numero di Internazionale.

Grazie a voi.

Grazie a voi.

Grazie a voi.

partito comunista per arrunciare la sua morte il 5 marzo 1953.

Internazionale ha dedicato a Stalin uno dei suoi speciali storici che raccoglie una selezione

di articoli usciti sulla stampa straniera dell'epoca insieme a contributi più recenti.

La sua vita, il suo sistema di potere, il grande terrore, i gulag, la caressiena ucraina

degli anni 30, il volume di internazionale storia che ha uscito in edicola nelle librerie,

anche quelle online, ricostruisce

la parabola politica di Stalin, una figura importante per capire la russia,

che racoglie una selezione di articoli usciti sulla stampa straniera dell'epoca insieme a contributi

più recenti. La sua vita, il suo sistema di potere, il grande terrore, i gulag, la caressiena

ucraina degli anni 30, il volume di internazionale storia che ha uscito in edicola nelle librerie,

anche quelle online, ricostruisci la parabola politica di Stalin, una figura importante per

importante per capire la Russia di oggi. Ne parliamo con Andrei Pipino, giornalista

d'internazionale che ha curato il volume.

Questo sostali nel quinto volume degli storici d'internazionale, realizzati da

internazionale. Abbiamo cominciato con il crollo del muro di Berlino nel 1989, poi ci

siamo occupati dell'emigrazione italiana vista dai Paesi di destinazione dei migranti, poi

abbiamo fatto la nascita del Partito Comunista italiano, la decolonizzazione e la marcia

sul Roma che parlava anche del primo anno di vita del fascismo. In occasione del 70'

aniversario della morte di Stalin, che è stato il 5 marzo del 1953, abbiamo fatto uscire

questo speciale su Stalin e sullo Stalinismo. Questa volta devo dire che la ricerca è stata

quasi capovolta rispetto al passato. Siamo partiti dai nomi e non dalle fonti, come invece

c'era capitato di fare nelle altre occasioni. Sapevamo infatti che diversi autori si erano

occupati di Stalinismo su determinati mezzi di informazione e abbiamo cercato specificamente

i loro contributi. Così abbiamo trovato poi letto il fine deciso di pubblicare i testi,

per esempio, di Anne Arendt, del poeta polacco Cheshua Mewesh, di Panaiti Strati che è un

importante scrittore romano e di Raymond Aron e di François Faito. Poi, ovviamente, abbiamo

anche attinto alla produzione degli Stalinologi, se vogliamo chiamarli così, più importanti

al 900, per esempio Robert Conquest, Edward Carr e Isaac Doicher. E infine abbiamo anche

pubblicato di pezzi di quei riporti occidentali che raccontarono con particolare coraggio

gli aspetti più brutali dello Stalinismo. Qui mi riferisco in particolare all'inglese

Malcolm Moggaridge, che scriveva per Il Guardian e al gallese Garrett Jones, che fu l'uomo

che per primo, scrisse firmandosi con il suo vero nome e non con un nome di plumpo, come

facevano molti, di carestia e di collettivizzazione, quando molti dei suoi colleghi occidentali

facevano finta di non vedere quello che stava succedendo nell'Unione Sovietica lontano

da Mosca e da Pietro Borgo. Durante la ricerca di articoli dell'epoca, di tutto il periodo

che avete coperto, vi siete imbattuti in qualche sorpresa, in qualcosa che non vi aspettavate

di trovare? Sì sì, per esempio abbiamo scoperto, cercando

sui giornali francesi che Antoine de Saint-Exupéry, l'autore del Pitcolo Principe, aveva scritto

il reportage da Mosca negli anni 30, uno l'abbiamo pubblicato. E poi cercando sui giornali americani,

invece, abbiamo scovato l'unica intervista rilasciata dalla madre di Stalin, che era

una donna giorgiana di origini molto umili e che faceva un po' fatica a capire il ruolo

e le responsabilità del figlio. L'intervista fu realizzata da un giornalista che si chiama

Albert Renfrow-Nickerbocker e, devo dire, ci abbiamo messo un bel po' a rintracciarla

e a farcela spedire dagli Stati Uniti. Però al fine ne è valsata la pena, perché è

veramente un documento curioso, uno dei più curiosi della collezione. Anche l'intervista

rilasciata al giornalista tedesco, Amy Ludwig, da Stalin stesso, è una lettura parecchio

interessante, perché Stalin va a fare pagato riflessivo, analitico e, soprattutto, stranamente

molto interessato a capire quello che succede in America e in Occidente. Poi, io, personalmente,

sono molto legato alle tre poesie che abbiamo deciso di pubblicare. E in particolare è

una ballata che si chiama Oblakal, le nuvole, che è di Alexander Gallic, scritta e poi

cantata anche da lui, un cantatore russo della generazione dei Bardi, di cui faceva parte

anche Vissowski, che è probabilmente in Italia più conosciuto. Racconta la storia di un

uomo che viene liberato dal Gulag, che torna nella vita quotidiana di Mosca, ma non riesce

a liberarsi dai fantasmi e dalla violenza di quell'esperienza.

Al di là del valore storico o legato all'anniversario della morte di Stalin, secondo te perché

è importante oggi parlare di Stalin? Semplicemente perché nella Russia di Putin,

nella Russia di oggi, si ritrovano diversi elementi del sistema di potere messo in piedi

da Stalin. Primo tra tutti è il ruolo dominante nella vita pubblica e politica della Russia,

degli apparati di sicurezza, che oggi come allora sono sganciati da qualsiasi tipo di

controllo politico e democratico. Questo in qualche modo il portato del fatto che l'apparato

di potere messo in piedi da Stalin tra gli anni 30 e 50 è sostanzialmente sopravvissuto

fino ad oggi nei suoi tranti salienti, nonostante i tentativi più o meno ambigui e di destalinizzazione

fattine degli anni 60. Poi certo questo non vuol dire che Putin sia un nuovo Stalin e

che il suo regime sia un nuovo Stalinismo. Stalin regnò su un grande paese che era in

una fase di estrema modernizzazione e di enorme crescita industriale. Putin invece domina

su un sistema che è economicamente molto fragile e ormai corroso da i suoi problemi

e dalle sue contraddizioni interne, politiche ed economiche. Una specie di oligarchia bellicista

e molto nazionalista, però con un pedigri ideologico molto poco omogeneo.

Ecco, parlando proprio di ideologia, secondo te ci sono delle similitudini tra gli anni

dello Stalinismo e la Russia odierna. Difficile dirlo, Stalin è stato un assassino

di massa uno di più feroce della storia e il suo regime è stato un'ortodossia ideologica

molto severa per quanto ci fossero all'interno di quel regime degli spazi per l'esercizio

arbitrare della forza molto ampi. Quello di Putin invece è un regime così dire sincretico

da un punto di vista della sua rappresentazione e autoidentificazione, quindi da un punto

di vista ideologico. Per creare una nuova identità russa, post-sovietica e post-gelsiniana,

che in questo caso vuol dire semplicemente post-democratica, Putin ha sicuramente recuperato

degli alimenti dello Stalinismo. Il principale, sicuramente la vittoria nella Seconda Guerra

Mondiale, quella che i russi non a caso chiamano la Grande Guerra Patriotica. Il triunfo bellico

di quegli anni che viene celebrato ogni anno nel 9 maggio è diventato un po' la pietra

angolare e il mito fondativo della russia di Putin. Il quale Putin però, poi tutti

questi elementi li ha impastati con altre suggestioni, altri ricordi storici. Per esempio

la nostalgia dell'Ozzarismo o l'insegnamento di filosofi conservatori che Putin stesso ha

riscoperto e che oggi cita quotidianamente come i suoi punti di riferimento. Penso

per esempio a Ivan Ilin che fino a qualche anno fa non era così conosciuto e che fu

un ammiratore del fascismo italiano e dei regimi nazionalisti e corporativi degli anni

2030. Tutto questo poi è ulteriormente condito con la retorica che ormai conosciamo bene

sulla missione civilizzatrice della russia, che si considera una forza alternativa all'Occidente

decadente e corrotto, anche grazie alle sue radici ortodosse. Insomma, sembra essere di

fronte a una specie di hibrido ideologico che non vede nella rivoluzione d'ottobre

del 1917 una frattura ideologica, il tutto di nuovo nel nome della gradezza della russia,

comunque forma politica e ideologica essa possa prendere.

Ecco, in questo senso, tu credi che l'ombra di Stalin abbia pesato anche su l'invasione

russa dell'Ukraine, sia ancora una figura che in qualche maniera ha influenzato questa

scelta?

Sicuramente l'eredità dello Stalinismo, i suoi caratteri nazionalisti anche imperiali

possono essere ricollegati a quello che sta succedendo, anche in virtù del fatto che

negli ultimi anni la figura di Stalin è stata riscoperta, ufficialmente, dal potere

che nelle celebrazioni, appunto, nella seconda guerra mondiale, e non solo ma anche dall'opinione

pubblica.

Stalin è sistematicamente uno dei leader che i russi ricordano come figure di cui andare

fiedi nei sondaggi di opinione.

Su una cosa però c'è una grossa differenza.

Stalin è stato sicuramente un calcolatore cinico, brutale, un leader estremamente violento

ma era anche scaltro e capace di prendere le decisioni giusti a un momento giusto.

Non si sarebbe mai imbarcato in una impresa così sconclusionata e male organizzata come

è stata l'invasione dell'Ukraine decisata l'anno scorso da Putin.

Grazie d'Andrea Pipino.

Grazie a voi.

Il consiglio musicale della settimana è di Alberto Notar Bartolo, vice direttore di

Internazionale.

Giacomo Puccini morì prima di completare il finale della Turandot.

Lo scrisse Franco Alfano partendo dei suoi appunti, ma il suo lavoro fu radicalmente

accorciato, così lo opera come siamo abituati a sentirla a un finale che dal punto di vista

drammaturgico è veramente postigio.

Ora abbiamo questa nuova registrazione diretta da Antonio Pappano che recupera la versione

integrale del finale.

È una decina di minuti di dueto dei due protagonisti che finalmente dà un senso al

radicale ribaltamento del carattere di Turandot, che nella versione alla quale siamo abituati

passa bruscamente da essere una principessa spietata e agida a una donna che si strugge

d'amore per il tenore.

L'esecuzione è davvero bellissima da tutti i punti di vista.

Vero che la Turandot ha già una discografia molto ricca, però questa novità apre davvero

uno sguardo nuovo su tutta l'opera.

Turandot, di Giacomo Puccini, diretta da Antonio Pappano.

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Negli ultimi giorni violenti scontri tra una milizia ribelle e le forze governative hanno aggravato la crisi umanitaria nella RdC. A settant’anni dalla sua morte, Stalin è ancora una figura importante per capire la Russia di oggi.

Francesca Sibani, editor di Africa di Internazionale
Andrea Pipino, editor di Europa di Internazionale

LINK

Rdc:
https://www.dw.com/en/dr-congos-south-kivu-bears-the-brunt-of-ongoing-war/video-64238417

Stalin: https://www.youtube.com/watch?v=5q3QTvMyAtw

Stalin shop: https://shop.internazionale.it/product/617

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Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
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