ONE MORE TIME di Luca Casadei: Simone Ciaruffoli, dalla fame a Burgez

www.repubblica.it www.repubblica.it 6/29/23 - Episode Page - 1h 38m - PDF Transcript

Io non ero ristoratore, non sono ristoratore, non ero addirittoriettivo, non sono addirittoriettivo,

non ero uno che lavorava nell'ambulanza, cioè lo ero ma non lo sono, io non sono quello che faccio,

quello che faccio mi serve per diventare uno, qualcosa, se l'albero si vede dai frutti si

riconosce penso di aver fatto qualcosa in questi anni e quindi io non sono legato né a un

hamburgo, io scrivo dei libri legati al marketing e alla psicologia soprattutto e quindi la gente

non sa mai come interfacciarsi come a manorra, lui sa fare i panini, possa scrivere libri di marketing,

quindi è difficile che la gente ti apprezzi, ti apprezza sempre nella penultima cosa che hai

fatto perché la dimostrazione è che ha sempre di farla.

Curtroppo non esiste una scuola che ti insegna gestire il successo e per questo ho deciso di realizzare

questo podcast che parla di rinascita facendo un viaggio nella vita di personaggi noti che mettono

a disposizione la loro storia per aiutarci a cadere meglio. Oggi avremo il piacere di fare un viaggio

con Simone Ciaruffoli, protagonista di una vita ricca e dolorosa che dopo aver raschiato il fondo

più volte ha saputo trovare gli ingredienti per risorgere creando un brand di hamburger iconico.

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tutti i nostri social. Io sono Luca e questo è One More Time.

Allora, si parte dall'inizio. Ho già pensato al titolo, non lo faccio mai. Normalmente il

titolo lo scrivo dopo, era puntato dopo aver intervistato, il mio provvisorio è Simone Ciaruffoli

dalla fame a Burghez. Perché secondo me è molto attinente alla tua storia. C'è una storia perché

uno dice Burghez, vabbè adesso ci racconta come l'ha fatto, ma forse è l'ultimo pezzettino,

ma c'è un pezzettone gigantesco prima. Ho visto diverse tue interviste con diverse figure

su YouTube dove racconti il business, ma non ho mai sentito raccontare la tua storia personale.

Mi ha toccato perché non è per nulla banale, nel senso che mi hanno chiesto tante volte

durante questa stagione di cominciare a parlare di persone comuni, quindi di raccontare storie

straordinarie ma di persone sconosciute. Se tu non avessi fatto Burghez per la storia che tu hai,

ti avrei intervistato comunque perché è sorprendente. Ci vuole tenaccia, nel senso che si fa

meno fatica a prendere una strada sbagliata quando si è in una determinata difficoltà,

soprattutto emotiva, poi entreremo nel G1, entreremo in una nuova abbastanza fattidico

all'emotivo. Però sto spoilerando troppo, non lo faccio mai, quindi partiamo dall'inizio in

che hanno nasci, in che famiglia, come hai rimesso a coccole.

Allora, intanto devo dire che questa probabilmente è la mia prima seduta psicanalitica, perché

solitamente non parlo di me stesso. L'ho fatto in un libro, però anche quello è stata una sorta

di seduta, mentre lo scrivevo durante il lockdown, quindi è stata una cosa per me importante perché

non sono capace di parlare di me, ma sicuramente di ciò che faccio. E quindi oggi per me è una

cosa nuova. Ti dico solo una cosa, io nel 2008 ho fatto il metodo Hoffman e prima di farlo, ci sono

due ITER. Uno è un incontro con, in quel caso, la psicoterapeuta che l'ha cofondato, che ti dice

se sei donne o nel poterlo fare, ma poi c'è il materiale preparatorio. E lì, per la prima

volta nella vita, io, come sempre, l'ho fatto all'ultimo, invece ti dovresti prendere almeno una

stimana di tempo per farlo con calma e ti facevano domande così profonde. E forse quello mi ha

insegnato quello che oggi ho ancora fatto. Che mi ha fatto fare delle riflessioni, ma anche dei

pianti da solo, cioè dei momenti, ma ha fatto ripercorre delle cose, quindi non avevo mai pensato.

Quindi quando tu mi dici questa cosa, mi hai fatto vedere in mente il mio momento del materiale

preparatorio, però ti fa bene perché in modo di descalico comincia a ricostruire la linea della

vita. Esatto. E a dare un senso le cose. Però scuse, mi sto continuando a parlare di me. Questa era

tua puntata. È interessante. Tra l'altro io sono uno, e poi parto anche io, che dimentica tutto. Quindi io

difficilmente ricordo le cose del passato. Io avevo semplicemente il presente. Quindi se mi chiedi

tre anni fa cosa hai fatto, dovrei difficilmente io te lo so dire. Embarazzante questa cosa, ma chi mi

conosce lo sa. Quindi devo fare uno sforzo importante. Nasco il 10 settembre 1970, e questo mi

lo ricordo, a Fano. Fano è una cittadina delle Marche. Un po' democristiana, se sta bene,

democristiana nel senso che non è ne Marchigiana come Senigaglia che sta poco sotto,

nero o magnola come Pesaro che sta poco sopra. E lì simpatica, carina, però una città che ti

da poco, diciamo. Molto carina, si mangia a me, è bella, però ti da poche possibilità. Nasco nel

70. Figlio unico. Nasco nel dopo i tuoi fratelli. Per otto anni sono me la spasso, sono figlio unico.

Quando dici me la spasso vuol dire che rielcentro della tensione dei ricoccolato era tutta per te la

tensione dei tuoi genitori come era? No, non sono stato mai coccolato. Mai. Neanche un secondo.

E se qualcuno lo faceva mi dà anche un po' fastidio. Quindi io per otto anni me la sono spassata

nel senso che ero l'unico in casa, diciamo. E sono stato sempre un bambino abbastanza

naturo. Io ero tipo che sette o otto anni prendeva il treno, andava a Rimini, senza dire niente,

e il mio genito ritornava la sera, lui non s'accorgeva, ma stava via una giornata intera. Mi nascondeva

nel bagno del treno, usciva quando era ora, scendeva, ho anche più di Rimini, io ricordo una volta a

Milano, ma forse questo un po'... Io ho un figlio che sta per compiere otto anni a pensare

che per il treno solo che si nascondeva nel bagno mi verrebbe una sincopa. Erano altri tempi, ma i

miei genitori sono sempre fidati a tantissimo di me. Ok, proprio per questa maturità di cui tu parli.

Probabilmente sì, delle volte mi chiedevano anche dei pareri a sette o otto, dieci anni. E qui di...

Stavo sempre solo, non ho avuto amici, diciamo. Quindi giravo intorno a Fano, scoprivo,

doveva in campagna, correvo, mi piaceva correre, ma correre è così per correre.

Mia madre era una operaia, una farle della Maria, e mio padre era rappresentante della Loria. Cerco

di ricordarmi tutti i dettagli perché comunque mio padre è un'altra copa America che abbia

un sacco di lavori e in quel momento doveva essere il momento della Loria, sì. Quindi la mia vita è

stata abbastanza tranquilla, primi anni, diciamo. Giocavi da solo perché non ti piacevano in general

gli esseri umani, bambini, perché? Perché non mi trovavo bene. Con nere e tuaggio? Non era

mio agio, infatti io tendevo a stare sempre con quelli un po' più grandi di me. Quindi otto anni,

dieci, ondici, la mia prima figa anzattina aveva 12 anni, quando ne avevo otto. Nonostante io abbia

dimostrato sempre da piccolo, soprattutto, 10 anni meno di quanti ne avessi. Come facevi a

farti accettare da quelli più grandi quando avevi otto anni? Perché è difficile che un 12 anni

giochi con un ragazzino di otto, no? Normalmente tu hai qualche skill, qualche caratteristica,

o se no ti buttano subito fuori al gruppo? Non parlavo, ascoltavo e... Quindi non

devi fastidio? No, ascoltavo e parlavo poco. Questo anche più avanti, quando avevo 18, 20 anni

stavo con quelli di 30, magari 30, 35, anche con le mie quei tani adesso. Però non ho mai parlato

più di tanto, è stato sempre abbastanza in ascolto. Quando nasce tuo fratello che tu hai

otto anni, però pensiamo a te 12 anni, lui che ne ha quattro, con lui invece giocavi,

avevi un bel rapporto o anche li ti isolavi? Non più di tanto. Un rapporto fraterno,

ovviamente, gli ho sempre voluto bene, ci manchia di vero... E' affetto, ma non fisico?

No, no, no, così in casa non siamo mai stati abituati ad avvicinarci più di tanto.

Quando c'era un problema in casa, no? Quando facevi una cazzata. Come si affrontava? Visto

che c'era poca empatia da quello che tu mi dici. Come affrontava un momento diciamo di

rimprovero o volendoti impartire un'educazione o tuo papà, chi era il più severo dei due intanto?

Nessuno dei due. Ok, non erano mai severi? Difficilmente, do proprio fare la grossa,

tipo spaccare la macchina di mio padre. Se no... Cosa di questo tipo.

Se no non c'era, come dire, la riunione di famiglia? No, non mi hanno mai insegnato niente,

non mi hanno mai educato, però ho imparato tanto da loro guardandoli. Non avevano la presunzione

di dirmi di vi fare questo o quest'altro. Io davvero, se a otto anni gli dicevo vado a Milano,

loro dicevo va bene. E come andavi a scuola? Essendo molto autonomo?

Mia mamma ha insegnato a leggere a scrivere già quando avevo 4 o 5 anni, quindi diciamo che ho

campato di rendita fino a tutte le elementari, andavo abbastanza bene. Poi dalla prima media,

un casino totale, bocciato più volte. Per la disciplina? No, non tanto, non mi interessava,

mi interessava altro. Tipo cosa? Tipo muovermi, scoprire, leggere robe che interessavano a

me quello un po' più avanti, poi ne parleremo magari. E quindi mi piaceva stare fermi in un

banco per quelle 4, 5, 6 ore. Andavo bene solo nelle materie che mi interessavano,

che potevano essere lettere, italiano, geografia. Per il resto, niente.

Vai fin dalla maturità? No. Ti fermi alle medie alla fine terza?

Mi fermo prima, sì, perché poi succede che, casualmente, più o meno a 3-10 anni, sono in

macchina con mio padre e succede che sulla sinistra, vicino a Fano, vede una gara podistica. Sta

partendo una gara podistica. E mio padre ha questa intuizione, perché non la fai? Io dico cosa?

La gara? Di cosa? Di corsa? Ma in che senso? Non capivo perché non avevo mai corso, però avevo

una tuta. Forse l'associazione è stata questa banalmente. Una tuta e un paio di scarpe

alla gymnastica. E niente, proviamo. Scendiamo dalla macchina.

Al momento? Al momento. Partivano dopo ventina di minuti. Non riesce a farmi scrivere per 10

minuti poi il mio padre si in cavola perché non apparteneva a nessuna società di atletica

leggera. Quindi è riuscito a farmi scrivere lo stesso alla gara. Parto io con la tuta,

imbarazzante, restate le loro canottiere, pantroncini, scarpe tecnica anche allora.

Parto, non credo, 3,5 km vista l'età a 4 km. Niente, vinco la gara. Sto dietro loro,

perché non sapevo cosa fare. Sto dietro i primi, i primi due, i primi tre e gli ultimi 100 metri

di batto involata. Ma non sapevi quando scattare? Non sapevo neanche la strada.

Quindi seguivi i primi. Sono, e questo si capirà dopo, sono molto competitivo. Quindi

probabilmente quello che è scattato in me è stato proprio il principio di competizione

in quel giorno che poi avrei scoperto maggiormente dopo. La vinco. Tutti imbarazzati, gli altri,

io non avevo neanche la canottiera. Visto questa intuizione, il mio padre la domenica dopo,

in un paese in provincia della Romagna, me ne fa fare un'altra. La vinco. La domenica dopo me ne

fa fare un'altra, la vinco. La domenica dopo avevo già la canottiera e la maglietta,

ma non era escritto a nessuna società. Quindi vengo a tracare di seguito. In essa,

fra atletica, inizio a diventare un professionista, non vado a bea scuola, mi alleno mattina a pomericcio

e vado a scuola serale, quando voglia, quando mi ricordo, spesso mi addormento, in classe. Quindi

già da piccolo mi allontano. Voi perché non mi interessa? Voi perché poi in atletica leggera

divento tra virgolette qualcuno, diciamo, ero un balotelli giovane, se dicene, i 17,

ero ancora giovane, quindi gli giovane se non si conoscono an atletica leggera come i giovani

del calcio, diciamo. Però avevo il sponsor, avevo prima l'Asics, non si chiamava ancora Tiger,

poi la Nike, comparivo spesso sulla gazzetta, firmavo agli autografi nell'ambiente dell'atletica

leggera, ovviamente. Quindi sono andato avanti così fino a 23 anni. A dieci anni? Sì.

Più o meno fino a 23 anni, senza studiare, senza leggere, senza ne arte, ne parte.

23 anni vuol dire 93, però nel 92, lo ricordo perché ero fanatico di basket, c'era il dream team

a Barcellona nel 92, ci sono le Olimpiadi e so che intanto tu prima diventi campionitariano.

Sì, divento campionitariano più di una volta, sono quinto nel creatatore mondiali,

prima in quell'Europé, sono anni, sono belli anni. Non ho voglia di correre, lo sempre detto.

C'è nel senso non ti piaceva farlo, ma non volevi sprecare quel talento con loro?

Bravissimo, bravissimo. Mi sembrava troppo grande. Non ho detto che poi il mio padre iniziò a

allenarmi. Prima mi hanno allenato due allenatori che non ha tirato molto fuori da me.

A motivazione? Probabilmente sì, ma neanche i risultati. Poi già 15 anni, 16 anni,

il mio padre iniziò a studiare. Quindi non aveva corso, non sapeva niente,

conosceva suo figlio e sapeva tirare lì fuori. Iniziò a allenarmi e dopo poco iniziò a

avere i risultati. Grazie a lui. Quindi da una parte non volevo smettere perché riconoscevo un

talento, dall'altra parte non volevo smettere per non darlo a dispiacere il mio padre che lì,

oltre al lavoro, aveva trovato una soddisfazione. Infatti mezzo Italia in quel periodo voleva

farsi allenare da lui. Solo che lui diceva a tutti io leo mio fratello, non perché mi piace

il mio figlio, non perché mi piace allenare, ma perché, perché mio figlio. Tra l'altro non lo

chiamo Babbo, non lo chiamo Bruno, quindi per quello forse è noto mio fratello, lo chiamo da

una vita a Bruno, non Babbo o... Normalmente quando si chiama il proprio papà per nome non

è un distacco emotivo, perché normalmente lo si stima. Esatto, è per questo. Esatto, tutti lo

possono chiamare Bruno, ma io no e quindi mi sono detto da ragazzino, lo voglio chiamare anche io,

Bruno, e l'ho sempre chiamato così. Poi nel 1992 sono nella rosa di Barcelona per andare

all'Olympia di 2005 e mi faccio malenato scontro, cioè batto un banale... C'è l'Una Parxia?

C'è l'Una Parxia, batto il ginocchio e non vado. Ovviamente, avendo studiato un po' del

psicologina agli anni dopo, gli anni successivi, non dico che è stata un'azione volontaria,

ma quasi, non vai se sei un atleta professionista a fare queste stupidazioni. E quindi...

Smetto. Finalmente ho la scusa per smettere. Non vedevi l'ora? Dentro dei messi non vedevo l'ora.

Ti faccio una domanda. Quando tu, nel nucleo delle persone appassionate al tuo sport,

faceve gli autografi già a 13, 14, 15, hai detto ero qualcuno.

Sonniavi di diventare qualcuno quando tu eri così silenzioso a esplorare il mondo ed eri più

ragazzino. Che effetto fa sentirsi qualcuno? Era bello. Era bello perché il fatto che

qualcuno ti apprezi per ciò che sai fare e non per ciò che dici, per ciò che milanti,

ma per ciò che sai fare nell'Atletica Leggera c'è il cronometro. Parle nei risultati. Era molto

bello. Poi, sai, essere qualcuno, soprattutto poi molto giovane, quindi ancora junior, poi son

passato senior, certo? Poi ho smesso quasi subito. Non è come nel calcio che ti conoscono

tutti, quindi non c'è quella eseggerazione, magari ti monti la testa. Io l'ho conosciuto,

ho conosciuto nell'ambiente, quindi va lì.

Quando nel 1993, 23 anni smetti, prima però scopri la passione per la lettura, perché

a fanno c'è una delle più grandi o la più grande biblioteca d'Italia.

Sì, la seconda, quella più avanti, quello addirittura nel 98. Nel 1992, 1993 diciamo

che smetto di correre, ma ripeto non artene parte, quindi devo fare qualsiasi lavoro.

Che reputazione hai a 22, 23 anni? Chi sei per gli altri?

Sono quello che corre, semplicemente. E fuori della corsa quelli che ti conoscevano da

scuola e tutto come ti etichettavano? Come quello che probabilmente non faceva

niente scuola, quindi fortunatamente ha trovato questo talento perché sennò chissà

che fine faceva. Quindi quando ti sei sentito qualcuno, grazie

al tuo sport, prima nel tuo silenzio, ti sentivi stimato dagli altri o no? Che posto

avevi al mondo prima di quel momento? Non credo di essere mai stato stimato,

soprattutto in passato, perché parlavo poco, però quando parlavo, dicevo sempre quello

che pensavo, quindi mi ero tanto simpatico. C'eri molto diretto?

Moltissimo, imbarazzantemente, adesso non sono più così. Poi ho capito nel tempo che

essere così diretti significava avere un problema, perché devo dimostrare a tutti i costi di

essere più intelligente o di sapere quello che ti è successo prima di te addirittura.

Ok. Quindi piano piano.

E andate a scemare? Sì.

Hai smussato? Sì.

13 anni smetti a andare a scuola o l'ina nello sport, 10 anni. Poi, quando ti manca

quella cotidianità come colmi? Scopro tutto quello che non ho scoperto prima,

quindi io fino a 23 anni non ho avuto un bicchiere di vino, non sapevo cosa era la

birra, non sapevo niente, perché poi quando mi metto una cosa, sono preciso, non sgarro,

ero davvero un personista. Dai tutto.

Sì, quindi non mi interessava niente al di fuori di quello che stavo facendo. La vita

è dura, perché comunque non ho niente, un diploma di terza media, poi negli anni non

mi chiedere in che anno riesco a prendere la quarta, il quinto, probabilmente due o

tre anni dopo. Frequentando le serali questo?

Frequentando le serali. Quando ti ricordavi?

Quando mi ricordavi. E cosa succede?

Succede che nel 1993 sono fortunato, vado a lavorare come operaio in un'azienda che

carteggiava gli spoiler per l'areno, per le auto dell'areno. Mi muova abbastanza bene

e dopo un mesetto chiedo loro se danno me l'appalto della carteggiatura degli spoiler.

Quindi mi metto in un angolino del capannone, apro una partita IVA e lo faccio per voi.

Nel loro spazio?

Nel loro spazio, sì. Si stanno, lo faccio per diversi mesi, guadano un sacco di soldi,

non gli ho voluti. Da solo avevi un soldo.

Da solo poi chiamo anche un mio amico e lo facciamo in due, da una mattina alla sera,

dalle sette a sette e mezza, finora e dieci di sera, una cosa incredibile. Mani spaccate,

e infatti il mio amico poi è scoppiato, a un certo punto, si è andato e ho continuato da solo.

E andava benissimo, stava facendo un sacco di soldi, non mi ricordo quanti,

ma diversi migliaia di lire.

Risparmiavi?

No, non ho mai risparmiato un euro.

E a un certo punto decino di riprendersi in AUS, il progetto della carteggiatura degli spoiler,

e quindi finisce Pastro.

E' andava benissimo, stava facendo un sacco di soldi, non mi ricordo quanti ma diversi migliaiai di lire.

Risparmiavi?

No, non ho mai risparmiato un euro.

Poi appena ho smesso ho fatto solo tra virgolette l'imprenditore.

Questa cosa lo capita molte anni dopo, quella era un principio di imprenditoria.

Da lì invece ci sono rimasta molto male, mi ricordo questa cosa che mi disse,

forse non mi ricapita una cosa del genere, e iniziai a lavorare, fare tutti i lavori,

dal moratore, a lavorare allo stabulare del pesce,

dove avviene l'asta del pesce, dove si compra il pesce,

quindi mi svegliavo le due di notte, lavorare mercati, ho fatto per diversi anni mercati, vendevo abbigliamento.

Vivendo sempre a fano questo?

Vivendo sempre a fano.

Nel frattempo però leggevo, avevo iniziato a leggere,

avevo scoperto che leggeva bello.

Leggevo tanto, studiavo tanto.

C'è ti sei voluto fare d'autodidatta la tua cultura perché ti davano dell'ignorante o perché ti sentivi ignorare troppe cose?

La seconda, si.

Quindi mi sono accorto che studiare quello che volevo studiare,

mi piaceva tantissimo, quindi io perdevo anche tutta la notte per studiare.

Andavo a lavorare il giorno dopo senza aver dormito.

La literatura russa, francese, postmoderno, statunitense, filosofia, psicologia, fisica, tappe sulla fisica, un sacco di cose.

Come ti hanno introdotto nel mondo della lettura?

Come varchi la soglia della biblioteca la prima volta?

Chi ti dice,

parti da questo titolo, c'è sempre qualcuno che ci indottrina, che ci introduce, no?

Sì, la lettura, semplicemente la lettura,

quindi parto da Sidarta, credo,

una ragazza, come è solito,

una bellissima ragazza

e mi disse una volta, è letto Sidarta, io le chisi, cos'è, è un libro, prova,

lo lesse e mi piacque.

Da lì ho iniziato a leggere, che abbiamo già nato a Livisto, sei come sei piaccio, 8 anni.

E poi ho iniziato piano piano a leggere cose sempre un po' più, diciamo, dispessore.

Fino che, nel frattempo, faccio mille lavori,

faccio il disgaggiatore, questo è una cosa interessante, pochi sanno...

Che cos'è? Il disgaggiatore è quello che mette le reti paramassi sulle pareti delle montagne.

Ok. Un elicottero lecala

e tu sei legato alla parete, armato e fissima,

la rete che piano piano si è srotola e scende.

Fai un corso per...?

No, no, ho imparato lì.

E sei in sicurezza, quindi?

Sei in sicurezza, poi impari nodi, impari a far armarti, impari a fare tutto.

Ma questo non è la cosa più singolare, la cosa più singolare è quella della pulizia delle pareti.

Quindi tu liberi la strada, non fai passare nessuno sotto la strada

e inizia a pulire, a buttare giù le rocce e sassolini che sono labili, sporgenti,

li fai cadere prima che le intemperi li facciano cadere.

Ma ancora di più, e questa è ancora più interessante,

il disgaggiatore, almeno io, si occupava, non so se si occupa ancora,

io l'ho fece a Leridania, l'azienda di zucchero,

nei suoi container, dai container alti 50 metri enormi.

Cosa succede? Che lo zucchero dopo anni che sta lì e la parte sotto sono anni che sta lì.

Anzi, la parte sopra, scusami.

Si blocca, quindi le bocchette dove esce lo zucchero, dove i camion si avvicinano per fare entrare il rho zucchero,

si bloccano, diventa umido, poi si secca e diventa marmo.

Lo zucchero diventa come gli accio, anzi.

E quindi mandavano dei vecchietti una volta con il piccone a rompere questo zucchero per farlo uscire.

Poi il successo è un sacco di disgraze,

hanno pensato di passare dall'alto.

Quindi per un todo di tempo mi sono anche occupato di calarmi all'interno di questi silos,

con una corda, con una tuta di carta

e con un martello pneumatico per rompere a 30-40 metri d'altezza questi enormi ghiacciai di zucchero.

Va esaggio l'onare incredibile.

Io qua, a 30 metri, il mio collega è legati dall'alto perché ogni tanto cedeva lo zucchero di 20-30 metri sotto i due piedi,

quindi rimanevi legato, spaccavi lo zucchero da sopra invece che da sotto.

Una cosa incredibile, un rumore pazzesco, puoi immaginare il rimbombo.

Umidità, 400%, una cosa incredibile.

Quindi entravi con la tutta di carta due secondi dopo e ho già tutto bannato.

E ho fatto anche questo.

Quanto tempo?

All'interno dei due anni del lavoro di disgiaggiatore, diciamo.

Poi con lo stesso lavoro ho anche lavorato sulle chiese o all'esterno dei palazzi,

sai quando il lavoro non è enorme invece di montare sulle impalcatura,

chiami quelli che salgono in corda, che sono più veloci, costa meno e ti fanno lo stesso lavoro, diciamo.

Poi a 28 anni entrò in biblioteca, vedericiana di Fano, la seconda più importante d'Italia per quantità di numero di testi sul cinema.

Mi porto il mio amico, Emanuele Simoncelli, lo voglio citare perché non ci vediamo da una vita,

e mi dico, cavolo, c'è chi ha scritto di cinema.

Incredibile, io pensavo che gli film ne vedevo, ne vedevo tanti, così per passione mentre studiavo e mentre leggevo,

però non pensavo fosse una cosa così seria.

E nel 98, invece, entro in questa biblioteca e vedo che sono 20-25 mila libri testi sul cinema.

Inizio a andarci tutti i giorni, quando non lavoro, quando riesco a ritagliarmi del tempo,

e dopo un mese o un mese e mezzo sono responsabile di quella biblioteca,

e gli studenti di cinema vengono a chiedere a me quali libri studiare per fare la tesi su Fellini, su Jodorowsky, su Kubrick,

e quindi mi sento qualcuno, ma non mi pagano, quindi devo continuare a lavorare, ho sempre lavorato alla fine.

Però mi dà la possibilità di iniziare a leggere un sacco di cose riguardante il cinema,

iniziare a scrivere per riviste importanti, fino ad arrivare a scrivere per la rivista di Gianni Canova e tante altre riviste da Fano.

Quindi mi ricordo quando vi mandavano a vedere un film io prendevo il treno, tornavo all'indomani, dormivo per strada o non dormivo tutta la notte

per prendere il treno all'indomani perché magari a mezzanotte finiva il film a Rimini o a Bologna.

Qual è stata la prima cosa che ti ha fatto innamorare del mondo del cinema?

Pare della critica o del cinema, del mondo della lettura.

Di come funziona da dietro, perché quando guardi un film, fruisci di quella cosa lì e poi finisceGreat,

quando sai come funziona dietro, è una lettura diversa?

Sì, infatti è la seconda, la terza lettura che intravedevo, che mi interessava,

non quella che si porta presso la trama,

ma quella seconda, quella terza che poi è indipendente anche dai volere delle registra stessso.

E quindi leggevo dei saggi su Fellini, su Otte Mezzo, su Adolce Vita,

e diciamo io non ho visto niente, guardando il film e questi film di ciò che c'è scritto qua.

O sono stupido io, o esacerò questo qua, perché il suo mestiere deve scrivere,

quindi deve costruire un'architettura intellettuale,

su, tra un'altra, un'altra architettura intellettuale, perché sennò lui chi è.

E quindi non mi ha mai convinto fino in fondo questo mestiere, diciamo,

se possiamo chiamarlo mestiere, perché allora non gratuitamente anche quello,

quindi tanto lavoravo, facevo l'operaio,

facevo lavorato tre anni e mezzo nell'ambulanza,

guidavo l'ambulanza della Croce Verde per tre anni, tre anni e mezzo.

Nel mentre.

L'amore in tutto questo?

L'amore in tutto questo... In quegli anni? C'è l'amore?

Sì, sì, però devo fare a mente locale, scusami, ma...

Niente di significativo, cioè storie importanti.

Storie importanti, il primo fidanzamento ho sofferto comunque un cane,

perché sono stato lasciato con una ragazza americana.

A che ed era?

18, più o meno.

E la conosci a Fano?

Sì.

Viene abitare, diciamo, davanti a casa mia.

Anche per lei ho fatto delle cose incredibili,

tipo, mi buttavo dal terzo piano per uscire di notte,

per non far sapere niente a mio padre, perché quel tempo era il milanatore.

Quindi mi lanciavo dalla finestra su un albero che era tre metri sotto,

dal terzo piano, poi cadevo in mezzo ai rami e scivollavo giù.

Mettevo anche il casco per andare a trovare le tre di notte,

lei usciva da casa e ci vedevamo di notte,

è andata avanti per un annetto così.

Poi il mattino dopo però mi doveva volnare, quindi era dura.

Era tosta, perché ti ha lasciato?

Perché erano stupidi ogni sicuro, come è solito.

E quindi non è una cosa buona, diciamo.

Però mi ha imparato un sacco di cose.

Eravamo 10 anni dopo, più o meno nei 28 o 29,

quindi mi stavi dicendo, lavoro perché devo portare a casa la Pecugna.

Era un assiduo frequentatore della biblioteca,

tal punto che dopo pochissimo tempo ne diventò responsabile, non mi pagano.

Dopodiché scrivo per delle testate,

quindi dopo tu capisci che come ti chiedevano i consigli di biblioteca,

diceva, beh posso esprimere anche un mio parere scrivendo?

Bravissimo.

E però lì imparavo un sacco di cose,

perché vedevo tutti quei ragazzi che facevano la tesi

o vediamo dei film incredibili,

tipo partitura incompiuta per pianola meccanica di Nikita Mikarkov.

E venivano a vederlo in quel luogo

perché era uno dei pochi luoghi che aveva determinati film.

Ok.

Io li vedevo con le cuffie davanti il televisore

che però un po' s'addormentavano,

un po' guardavano al trove.

Poi alla fine gli facevo sempre la domanda,

come era il film, diciamo, bellissimo.

Quella cosa della moglie con il marito che,

ah, incredibile, non c'erano ne moglie, ne marito ovviamente.

Però già questa cosa mi puzzava un po',

ho avuto sempre un po' di difficoltà a stimare l'intellettuale

che intellettualizza un oggetto altro.

Cioè che non si occupa di si è stesso,

ma si occupa di qualcun altro

e costruisce 립i la sua carriera su questo.

Quindi, inizavano a piacermi più,

faccio un stato deporare, in realtà ho scritto,

per diversi anni, ovviamente.

Poi però continuo fino al 2002 più o meno.

Facciamo un passo indietro di un anno. Tu sei ancora fanno nel 2002?

Nel 2002 si partono, nel 2002 vado a Roma. Nel 2001 sono ancora fanno e lavorano con

mio fratello Andrea. Come si chiamano i tuoi fratelli?

Andrea e Luca. Andrea è quello che ha 8 anni meno?

Sì. E Luca è quello che ne ha 11.

Allora nel 2001 è un anno molto particolare, lo premesso prima. Che succede?

Io e mio fratello Andrea lavoriamo nell'ambulanza, tutti e due.

Succede che non facciamo soccorso, accompagniamo come fossimo dei taxi le persone in radioterapia

e in dialesi in città lontane, da Fano, ancora a Bologna o l'Illano.

E capita un giorno che devo iniziare a portare mia madre in radioterapia o mio fratello

perché ha un tumore, si scopre che ha un tumore. Andiamo avanti, io lo faccio questo lavoro

per tre anni e mezzo, poi nel 2000 e lei muore. Nel libro chiamo questo anno 2001 di Sennelostrazio

perché poi, sei mesi dopo, il mio fratello muore, quello più piccolo, Luca, di cui non

abbiamo parlato, e ha più o meno vent'anni, e muore buttandosi sotto un treno a Fano.

E lì è come se la vita mi dicesse qualcosa o come se io volessi apprendere qualcosa dalla

vita. Mi dono una svegliata perché nel frattempo, una cosa che non ho detto, mio padre è un

incidente in macchina pesantissima, un frontale in macchina contro un camion, due anni prima.

Quindi quando tuo padre è in ospedale, quando esce non ha più una moglie e non ha più un figlio.

In realtà succede questo, quando esce ancora tutti. Il problema è questo, che lui per

un tanto di tempo non ci riconosce, pensa che io sia il padre, cosa di questo tipo. Quindi

sta in coma un mesetto, un mesetto e mezzo. Poi quando esce ancora non è lui. Nel frattempo,

l'azienda che aveva aperto anni prima, un'impresa di pulizie, va a Ramengo diciamo, va a finir male.

Lui esce, scopre questa cosa e non ha più niente. Io non ho più niente, mia madre non

ha più niente, nessuno ha più niente e andiamo a abitare da mia nonna, che abitava nelle case

popolari. Mia nonna è la madre di mia madre. Questa casa è di 25 metri, quindi c'è una cucina e

c'è un piccolo bagno, una camera. Nella camera c'è mia nonna nel letto matrimoniale con mia madre,

che dormono insieme. Io andrei e Luca per terra perché non c'era spazio e questo più o meno

per due anni, tre anni. Io continuavo a studiare, facevo le mie cose, mio fratello Andrea lavorava

con me e Luca, Luca faceva altro, lavorava anche lui, però adesso non mi ricordo bene dove lavorasse,

però cambiava lavoro perché nessuno dei tre ha mai studiato diciamo, quindi la mammo dediti molto

al lavoro sin da piccoli. Succede che mio padre esce, non si ritrova più l'azienda, non si ritrova

più niente. Cosa fa? Da matto, qual è? Perché lui è riuscito sempre a tirarla avanti in qualche

modo, lì però casca in una cosa un po' più grande di lui. Lui non ha più niente, incontra conoscere

una persona non molto fidata, anche se lui in quel momento non lo sa. Questa persona gli chiede,

porta questo quantitativo di cocaína in Argentina, nascosta nei fondi di bottiglia, quando torni,

il tuo compenso sarà un milione, credo, un milione di euro o un miliardo di lire,

credo un milione di euro, 99-2000 insomma, torna, non lo beccano, lui non ha mai fatto uso di cocaína,

non era proprio niente. Non lo beccano o lo beccano? Non lo beccano. Però questo era un superpettito,

era uno del grande Nitto Santa Paola per farti capire che tipo fosse. C'erano state nel frattempo

intercettazioni ambientali, micro-spirantino della macchina, quindi ricostruiscono tutto e io scopro

questa cosa insieme a mio fratello e l'altro fratello e mia madre su TG di canale 5 alla sera,

mentre eravamo a tavola. Vediamo le foto a segnaletiche e tra le varie foto c'era anche

quella di mio padre. Ma lui c'era in quel momento? No, era già a Rebibbia. Ok. Perché era un po'

che non lo sentivamo. Come ti dicevo prima, non siamo stati molto attaccati. D'amore sì, ma

fisicamente meno, perché non ti ho detto una cosa che per me sembrava normale, si erano separati.

E te lo stavo per chiedere ma non volevo interrompere. È una cosa che parte da lontano,

per questo sono abituato, già 8 anni mi chiesero con chi volevo stare,

se con Bruno o con Rosanna si chiamava mia madre. E quindi per me sono sempre stati separati

anche in casa, quindi non è una cosa strana. Quindi noi ci troviamo in questo piccolo monolocale,

il mio padre c'era un altro piccolo monocale che era a Bibbia. Il 2001 succede quello che ti ho

detto, mio padre non lo fa uscire neanche per venire ai funerali e quindi lui sa tutto della

graviera. Poi nel 2003 viene spostato i due milicigliari a Pesaro, perché mio padre era di Pesaro,

mia madre di fanno, è di Pesaro, mio padre. E quindi come dire, le cose vanno avanti,

io capisco che c'è qualcosa che non va, non posso stare ancora seppur vicino a mio fratello o a

mia nonna o mia madre, perché non ti ho detto che in quell'anno muore anche mia nonna, muore

mia nonna, poi mia madre e mio fratello. Quindi se ne va via, come dire, la piazziana, la porta

a bandiera della casa, mia madre muore, poi muore mio fratello. Quindi quella casa rimane libera,

rimaniamo solo io e mio fratello Andrea. Quando tuo padre prende quel milione di euro di aiuti?

Non lo prenderà mai. Questo problema, sì, c'è il problema. Non è questo,

però oltre al danno la beffa, quindi non c'è guadagnato niente, anzi. Ti posso fare una domanda?

Certo. Non rispondermi se non te la senti. Vi so che ti hai emolto le tue emozioni per te.

Sì. Quando tua madre muore, che succede dentro di te?

Allora, quando scopro che sta male perché me lo dice...

Te lo dice lei? Sì. E come te lo dice?

Mi dice che si sente un nodolo da diverso tempo, però non ha mai fatto una visita e non la fa.

Ecco che scopro poi che i suicidiani ho diverse forme e la fa quando è troppo tardi.

Quindi dal momento in cui inizia a fare la chemia o la radiotrapia,

vedo che si sta perdendo sempre di più, la sua fine è già scritta.

Quella sofferenza diventa un misto tra sofferenza e odio.

Odio per vederla in quelle condizioni, odio perché soffre e spero che muoia.

E non mede la più soffrire? Sì, il prima possibile.

Lei era diventato meno di 40 chili e quindi andavamo noi tutti i giorni.

Io e mio fratello è ancora Luca perché c'era ancora Luca e dà aiutare all'ospedale.

Quindi a quel punto non vedi l'ora che riposi, che si metta a riposare anche lei.

Luca. Luca era quello più attaccato a mia mamma.

Io quando tornavo a casa, lui era sempre lì che parlava con mia mamma,

a differenza mia di Andrea, non che non le volessimo bene, ci mancherebbe altro,

ma avevamo rapporti anche prossemici completamente diversi.

Quindi probabilmente morta mia nonna, che era diciamo il portante,

che è famiosare queste parole psicologiche di mia madre,

se ne va mia madre e Luca, se ne va di conseguenza se me si dopo.

Poi lui mi dissero agli amici che diceva spesso la vita è una merda,

non ho voglia di vivere questa cosa per lo sapute dopo.

Tu non avevi avvertito niente prima, non ti aveva dato mai un segnale?

No, anche se so che si drogava spesso.

Che tipo di darmi? Che si era fatto anche di heroina.

Però queste cose lo sapute dopo.

Quindi enfatizzava, lo portava a essere più depresso,

cioè vedere la vita più nera.

E quindi scopro della morte di Luca, mentre stava guidando l'ambulanza,

arrivano alla sede, arriva la polizia, mi dice di seguirli,

non mi dicono niente ancora.

Mi portano in comando, mi dicono, guardate, dobbiamo dire una cosa,

mi ti ti assedere per favore, mi portano l'acqua.

Luca, c'è il ruolo del tuo fratello?

Sì, noi pensiamo che si sia buttato sotto un treno.

Ovviamente bisogna riconoscerlo prima, però nel tasco che abbiamo trovato

le chiave di casa. L'ultima prova è se vuoi farla

e andare a casa tua e vedere se queste chiavi entrano nella seratura.

Andiamo, le chiavi ovviamente entrano nella seratura, quindi scopriamo che era lui.

E hai dovuto fare riconoscimento o no?

Sono stato molto… non so se è intelligente, l'ho fatto fare a mio zio,

perché non volevo che l'ultima immagine di mio fratello fosse quella brutta lì.

Poi ho scoperto che treni Italia ci hanno fatto causa,

perché non avevamo i soldi, non abbiamo pagato i danni,

perché sai poi bisogna pagare i danni al treno,

quindi del tempo fu una cosa interessante perché non avevamo un euro,

quindi non riusciamo a fare neanche funerali.

E poi da lì capisco probabilmente inconsciente che devo cambiare,

devo fare qualcosa, devo lasciare quella casa di M, perché…

Portava quei ricordi?

Sì.

E quindi al tempo mi fidanzo con una ragazza di Fano,

le studia d'antropologia, va a fare la specialistica Roma, la seguo, abitiamo insieme.

Hai 31 o 32 anni?

31 o 32, sì.

Io ho sempre riconternato comunque a studiare, non mi ero mai fermato,

e quando arrivo a Roma inizio a scrivere un libro,

mentre faccio il lavapiatti per un ristorante napolettano tra stevere.

Di notte scrivo di giorno lavoro,

quindi scrivo il libro che è una monografia su I Swice Shut di Kubrick,

non c'era ancora in Italia.

Lo scrivo in un paio di mesi senza internet, insomma non avevamo niente,

anche perché io ero un mantenuto, perché non avevo niente,

lavoravo come lavapiatti, però la casa era della mia fidanzata,

del genitore della mia fidanzata, non mia, quindi diciamo che ero le sue spalle.

Questo libro viene pubblicato nel 2003, il libro va bene,

viene studiato in tutta l'Università Italiane,

ovviamente nell'Essegnamento di Cinema e Filmologia,

e diciamo che per me a quel tempo me lo sentivo un po' come la mia laurea.

Nel 2003, però, rientriamo a Fano, perché la finisce la specialistica,

e io a Roma non sono riuscito a fare epe di tanto,

mi presentavo un po' in tutte le redazioni dei giornali più prestigiosi per scrivere di cinema,

ma puntualmente mi chiedevano chi la manda,

quindi mi manda piccone, è una frase realistica,

e quindi sono tornato a Fano.

Tu e Andrea, dopo quello che hai appena raccontato,

vi unite ancora di più?

O vi disunite, cambiate completamente la vita,

vi distanziate come funziona?

No, più o meno rimane lo stesso atteggiamento tra me e lui.

Quindi, no, ancora non ci uniamoli.

Arriverà un po' più tardi, diciamo, un'ugnione, una frequentazione più importante.

Quando arrivo a Fano, non ho niente neanche a Fano,

ovviamente perché mi lascio con questa ragazza, quindi...

In quel momento, ti lascio con questa ragazza,

non è niente, sei in difficoltà,

ti vieno a manchiare tua mamma, tua nonna, tuo fratello.

Non hai mai pensato di fare una grande cazzata?

No, no perché...

Se io a un certo punto mi sono detto, ma finirà a questo momento,

perché in quel punto è una cosa difficile da spiegare,

ma pensi che possa succedere a qualcos'altro.

Che sotto titoli d'avia questa cosa sfiga, sono una persona sfortunata,

c'è credi in Dio?

Se io, come noi tutti, siamo una manifestazione di Dio,

credo in me stesso, che mi è molto più facile, perché sono molto più vicino.

Ma parlavi, guardando il cielo, non parlavi mai a...

Sono molto programmatico anche nella disgrazia.

Io, per esempio, mi sottrago dalla disgrazia, non l'alimento.

Cioè il protagonista è chi muore, non il parente.

Oggi viviamo in tempi in cui i parenti vanno in televisione per anni,

o addio tu rentri in politica, dopo una morte di un parente.

Io non sono così, non giudico, però il protagonista era mio fratello,

il protagonista era mia madre, quindi io non ho mai parlato,

mi sono sempre sottratto.

Una volta mi farai dare una cosa al funerale di mio fratello,

ho detto a un amico che era venuto,

dopo dove andiamo a mangiare, ma andiamo da Andrea, facciamo cena da Andrea.

Io non dicevo sul serio,

sapevo per primo che la vita andava avanti,

e mi ricordo che questo mio amico mi mise il braccio su,

sulle spalle per Demis e Simone, come se fossi matto.

Quindi lì capì che bisogna essere normali ogni tanto,

farsi vedere normali per essere accettati.

Sei arrabbiato con Luca per quello che ha fatto?

Che sentimento provi messo i confronti?

Di mani e tenerezza.

Anche perché poi sai, poi si dice se l'avessi saputo,

se gli fossi stato più vicino,

sono tutte cose che servono per consegnarsi un senso di colpa

che non abbiamo, io non avevo nessun mezzo per poter capire nulla o qualsiasi cosa.

Quindi ci provi, perché viene automatico, dove ho sbagliato,

poi crescendo, o incontrando, studiando,

capendo, ti accorgi che non potrei far niente, non mi sarei mai accorto.

Tu lo ami?

Sì, sì, io amo lui, amo i miei madri,

ovviamente l'immagine che ho di loro, ecco questo sì.

Andiamo a Manti.

E' i 31 o 32 anni, ritorni quindi dopo l'esperienza specialistica a Roma,

dove faceva i lavapiatti,

dove facevi quello che hai spiegato, ritorni a Fano, non è in nulla,

ci eravamo soffermati su quel punto, e come prosegui?

Proseguo che mi ha ospita un mio amico, Andrea, non mio fratello.

Che anche lui era ancora Fano? Nel frattempo, Andrea?

Mio fratello era ancora Fano, sì.

Però adesso c'è uno Monimiani, c'è il tuo amico che ti chiamo Andrea.

Mi ho ospita, l'unico posto è uno sgabuzzino,

quindi due metri per un metro, ed ormo per terra.

Ed è frattempo, ho trovato un altro lavoro velocemente da Berloni Cucine.

Dalle mie parti le aziende di mobili sono importanti, quindi lì il lavoro c'era.

Inizio a lavorare, lavoro lì per un anno e un anno e mezzo,

nel frattempo studio, leggo, guardo fi, un solito discorso,

ma nel frattempo conosco una ragazza di Milano, qua,

cioè qua, scusami, a Fano, io sono a Fano in questo momento.

E faccio la spola, intanto guarda a trovare, Salima.

Una brevissima ragazza, si era contenta che l'ha cito.

Quindi la venivo a trovare a Milano, anzi,

lei stava sul parco del Ticino, ci lo vigevano da quelle parti, in mezzo alla campagna.

E un giorno, mentre sono da Berloni, mentre carico in frigorio,

ho fermato un messaggio e mi dico, passavo qua a Milano,

ho visto un cartello che dice, Fondo sociale europeo,

organizza un corso di tecniche di reddizione televisiva.

Perché non lo fai?

E io subito gli chiedo cosa richiedono, il diploma, lo sai che non ce l'ho.

Poi ci penso, dico, sai che c'è?

L'ha lasciato.

Sì, lascio tutto,

mi trasferisco da lei come feci a Roma con altra ragazza, diciamo.

E faccio questo corso,

ha avuto certifico di avere il diploma,

porto il mio libro, quasi di scolpa,

un nuovo diploma, ma ho questo.

Cura scubric.

Sì.

Mi prendono, faccio tre mesi di corso,

risulto il più sveglio,

avevo ragazze un po' più piccole di me, laureati,

io ero più grande, ma non laureato.

E quindi vinco tra virgolette uno stagio in maniolia,

c'è nero uno solo.

E inizio a lavorare in maniolia.

2000 e tre.

2003, 2004, sì.

Inizio a lavorare per essere setata, non so se te lo ricordi.

Però io ero un rompi palle,

perché ero un stagista, 34 trenne,

senza Laura, senza diploma.

No, col diploma, sì.

Però avevo, ero pieno zeppo di teoria,

quindi io rompevo le scatole a tutti,

dicevo, no, montarlo così, no, la musica qua.

E non mi sopportava nessuno.

Dopo un mese circa scopro camera caffè,

nel senso che non la guardavo,

ma scopro che di fianco,

negli uffici dove lavoravo io, c'era camera caffè,

che era coprodotto da ITC, da caschetto e da maniolia, giusto?

Bravissimo.

E imparano tutti bene di Christophe Sanchez,

che era produttore dei miei org-regista, autore, etc., etc.,

ma al contempo tutti dicono, no, tratta male, no, è uno stronzo.

A me queste cose piacevano, più mi dicevano questa cosa,

e più mi interessava conoscere questa persona.

Quindi vado come per andare nella redazione di SSD,

in realtà vado 6 e mezza del mattino,

dritto a camera caffè,

pensando che non trovavano nessuno,

ma lasciando un copione di camera caffè.

Io non l'avevo mai visto, l'avevo visto la sera prima insieme alla mia fidanzata.

Pensando di capire qualcosa, prova a scrivere un copione.

Pensa di non trovare nessuno, invece trovo Christophe Steso Sondivano,

che fomava una segretta alle 6 e mezzo del mattino,

e faccio, mi scusi, no, non ti preoccupare, entra.

Avrei un copione, ok, lascielo pure lì.

Lo lascio lì e me ne vado.

Alla sera, a mezzanotte, ricevo una chiamata

ed era lui.

Ciao Simone!

Pronto? Si, sono Christophe Sanchez.

Ha letto il tuo copione.

Si capisce defectiva che non avevi visto camera caffè,

però ci vedo del talento,

ti va di venire a fare un colloquio?

Sì, quando, non so, verso l'una ce la fai di notte.

Ovviamente arrivo verso l'una e mezza, le due di notte,

e lui è lì e mi dice, guarda,

secondo me sei bravo,

ti vasse,

ti prendo, ti do 4.000 euro al mese,

400 euro a copione, più la casa pagata.

Puoi immaginare come sta.

Vi ci pensero un attimo, sono già qua.

Esatto, fino a qualche mese prima lavoravo da Berloni, quindi...

Uno switch.

Esatto, e io li ho detto ovviamente di sì

e ho iniziato a lavorare lì,

abitando a Milano in questa casa pagata da Magnolia.

Dove vai a vivere con la tua fidanzata?

No, la mia fidanzata rimane in campagna, sì.

S'è stata una bellissima esperienza, perché ho imparato un sacco di cose,

ho capito che criticare è molto facile,

fare è molto più complicato.

E l'arzi nella pratica è un altro mestiere.

Esatto.

Lì è proprio definitivamente, ho capito che non era il mio mestiere,

quello di fare il critico.

Che vai a fare l'autore tu?

Vado a fare lo scienziatore, camera, caffè, sì.

Lo faccio per un anno e mezzo.

Poi cambia la produzione, se ne va a Cristò,

se ne vanno le pedine, secondo me, più importanti,

fino a quel momento, quindi non voglio più di...

di stare lì, perché io spesso mi leggo a un uomo,

a un leader,

che mi fa fare un pezzo di strada con lui.

Ok.

Poi, se questo leader non c'è più, si ferma il treno,

scendo,

quando non c'è più,

o quando penso di aver capito tutto quello che mi serviva.

Quindi me ne vado,

finisco tutti i soldi, non ho più casa,

un'altra volta rinizio da capo.

Quando finisci tutti i soldi, come li spendi?

Perché non li avevi mai guadagn...

Forse guadagnavi un quarto di quello stipendio,

mille, qualcosa, euro, né guadagni quattro mila.

Come li spendi i tuoi soldi?

Cene.

Niente di trascendentale.

No, no, niente di trascendentale.

Permettendoti dei lussi...

Sì, che non potevo permettere.

Sì, non sono uno che mette da parte.

Ok.

Cioè adesso sto iniziando a capire che forse la mia venerà in dettaglia,

ora che iniziava a diventare più serio.

E quindi, torno, diciamo, in mezzo alla strada,

abito un po' in Via Palma, un po' da un amico,

un po' da... non avevo più niente.

Ma non avevi lavoro?

Non avevo lavoro.

E perché lo lascio?

Quando lo lascio non penso, non ho lavoro,

lo lascio, perché se non voglio più farlo, come la scuola non lo faccio.

Però mi presento la film-master,

con la nomea dell'autore

di uno dei programmi più successo di Mediaset.

Parli di cabra e caffè?

Sì.

E mi aprono le porte.

Al tempo si sta aprendo la struttura di film-master television.

E a me danno la responsabilità di gestire, di costruire,

di creare, di far crescere la parte relativa alla sitcom.

Ok.

Quindi scriviamo un sito, un sur sitcom.

A un certo punto mi assegnano un'assistente.

Quell'assistente, dopo un tattio di mesi, se ne vai, li chiedo dove vai,

mi diceva da lavorare con Andrea Pezzi.

E succede che mi fa un click la testa.

Andrea Pezzi faceva Ovo in quel momento.

Bravissimo.

E mi spiega, vado a lavorare da lui.

Che cosa fa Ovo?

È una sorta di Wikipedia per immagini,

una televisione con documentari sullo scivile umano di tre minuti l'uno.

Ok.

A me, Andrea, lo me lo ricordavo dai tempi di MTV,

quindi piacceva come e lo volevo conoscere,

ma lei, capendo il mio, diciamo, arrivismo,

perché se c'è qualcosa che voglio fare, la faccio,

non c'è niente da fare, non mi ferma nessuno,

non me lo dice, non mi dà il numero di telefono, niente.

Quindi non riesco a conoscere.

Ci arriva in un altro modo.

E arriva lui attraverso il suo braccio destro di allora.

Li dico, sono Simone, vorrei conoscere a Andrea se è possibile,

perché lo stimo, perché, eccetera, eccetera.

Va bene, organizziamo un pranzo, facciamo un pranzo lì in zona Viamaroncelli.

Lo conosco e ci piacciamo, stiamo a pranzo un'oretta,

e poi mi chiede quanto vuoi, cioè lui mi vuol sumere.

Non chiede curriculum, non chiede niente.

Guarda, io prendevo 120.000 euro all'anno.

Ok, va bene, ti diamo questi soldi,

ma lui scopro dopo che non mi credeva.

Ti dirò, non avevo neanche i soldi per pagare il pranzo.

Fortatamente lui anticipa, ovviamente, o Freud non ti preoccupare.

Poi passano dei mesi e ci sentiamo epistolarmente, diciamo,

perché Ovo ancora deve partire.

Io spero sempre che mi abbia preso davvero,

perché non c'è fermato niente, non c'è una carta.

E allora io li rompo sempre le scatole,

gli mando copioni di documentari,

che non so se serviranno meno, ma li faccio vedere che sono attivo.

Fino che il settembre, questo mi ricordo del 2007,

inizia a lavorare per Ovo e sono direttore dittoriale.

Quindi devo formare una redazione che non c'è,

faccio, non so quanti centinaia di colloqui, sono da solo,

e trovo 70 persone nella redazione nel giro di un mese,

quindi faccio centinaia di colloqui.

Assumo quelle persone, poi da lì parte divento anche direttore di produzione,

poi direttore creativo, inizio a occuparmi dei video,

cosa che mi piace ancora di più,

e da lì quello che successe è quasi storia, diciamo.

Avvi mai viaggiato fino a quel momento, fuori dall'Italia?

Io non ho mai viaggiato, mai fatto vacanza con i genitori,

ma è andato a pranzo a cena con i genitori fuori di casa,

quindi ho viaggiato soltanto nel 1992 a Shermyshake,

perché la danzata del tempo, una sicuratrice,

visse un premio con la migliora sicuratrice della città di Fano,

e questo premio era un viaggio a Shermyshake per due persone,

quindi io andai con lei e fu il primo viaggio.

Però non ti ho detto una cosa fondamentale,

io ho fatto un altro lavoro meraviglioso secondo me.

Quando nel 1993 finisce koll'Arenò,

con l'Ispoglio non va bene,

io prima cosa vado in Inghilterra,

è un classico negli anni 90 soprattutto,

e faccio il lavapiatti, poi da lì mi sposto a South Pole,

poi però da lì volo prendo un aereo e vado alle Canarie

a tener i rife nello specifico,

e a tener i rife è la struttana dei mesi,

prima di finire i soldi come al solito.

Cosa faccio a tener i rife?

Faccio l'OPC, io non ho mai capito...

Non so cosa voglio dire.

Non so neanche io cosa voglio dire OPC,

di che cosa è la CROIMO, però ero, non so se ci sono ancora,

uno dei quei ragazzi che rompevo le palle turisti per strada

per vendere l'appartamento in multipropietà.

Cioè ferma, ve la gente che camminava per strada?

Tutti gli italiani o spagnoli,

quindi con cui riuscive a avere un dialogo,

anche perché non c'era uno stipendio.

E quindi la vi sono provigioni.

Esatto, quindi lo dovevi fare per forza,

se non facevi la fame e alle canari al tempo a tener i rife si faceva,

c'erano molti che la faceva.

È molto formativo, eh.

Molto formativo, perché dovevi fermare, pensa,

la gente che non conoscevi.

Playa dell'Asamerica,

che è una via importante di tener i rife,

lì c'erano probabilmente 1500 OPC,

quindi ci si faceva con correzza vicendevolmente,

gli OPC da tutto il mondo, quindi in varie lingue.

Io fermavo principalmente gli italiani.

E molti per precederti andavano a prendere l'aeroporto addirittura,

si mettevano fuori dell'aeroporto,

vedevano dei turisti che arrivavano con le valigie,

li dovevano convincere,

li dovevamo convincere a salire su un taxi pagato dall'azienda per cui lavoravi,

nel mio caso si chiamava Santa Monica,

io avevo un tesserino, anche certificava al fatto,

li caricavi sul taxi,

facevamo un viaggio di 25 km in autostrada coloro,

li portava a resort, magnifico, con campo da golf,

dove lì gli facevano una testa così per due ore,

c'era buffet, c'era tutto,

per due ore, per venderli immediatamente la multipropietà.

E quindi la provigione la prendevi sulle coppie che portavano al resort.

Perché davano subito un racconto.

Sì, sì, sì, sì.

Ma poi c'erano delle cose, delle riunioni con centinaia di persone,

oggi uno di voi sotto a 500 pesetas,

e tu mettevi la mano sotto, sei rifornato a vendere questa roba.

Pensa che chi gestiva tutta questa roba era un italiano,

un po' glese, che poi ha vinto il grande fratelli spagna.

Ok.

Lo scoperto anni dopo.

Ma era tutto reale?

Perché me ne parli con...

Sì, era tutto reale,

poi scoperto anni dopo che era tutta una truffa,

quelle case non diventavano davvero loro,

affittavano lo stesso periodo a più persone,

la stessa casa, quindi un casino.

Ok.

Pensa che i più bravi erano gli eroinomani.

Pur di farsi,

convincevano anche...

Avevano una favella incredibile.

Incredibile, sì.

E quindi io avevo sia la macchina,

mi dava un osservo motorino,

quindi potevo spostarmi velocemente.

E quindi ti dovevi, come dire, inventare un modo

per portare la coppia al resort prima degli altri.

E quindi io mi ero inventato dei gratte vinci,

ho fatto stampare dei gratte vinci.

Tenevo nella sinistra quelli falsi e nella destra quelli veri.

Cioè quello non vi...

Scusami, non vincente,

sulla sinistra è vincente sulla destra.

Quindi il marito facevo scegliere,

tiravo dalla tasca sinistra il mazzo, diciamo, di gratte vinci,

lo facevo scegliere,

facevo scegliere in un vincente,

a me dispiace.

Poi andavo via, salivo sul motorino,

poi li richiamo, dicevo, dai facciamo una,

tiravo dalla destra quelli vincenti alla moglie.

La moglie prendeva il vincente

e l'anno dopo avrebbe avuto una vacanza pagata

in uno degli appartamenti del resort.

Era vero,

solo in quella settimana li facevano una testa così,

ovviamente, per venderli la casa.

S'è stata un'esperienza molto formativa

perché io prima i periodi mi vergognavo,

ma dovevo mangiare.

Mi vergognavo, ma dovevo mangiare.

Quindi alla fine sono diventato una peste,

nel senso che fermavo tutti.

Sì, ti ha svezzato parecchio.

Sì, poi impari a riconoscere gli italiani da lontano.

Lei è italiano, eh?

Come fa a saperlo?

Gli italiani gli spagnoli si assomigliano.

Hanno lo zainetto sulle spalle,

eccetera eccetera, quindi si deve capire

se è italiano o se è spagnolo.

La signora di Torino,

perché magari prima avevi sentito parlare in dialetto

al bar mentre compravamo un gelato.

S'è stato molto, molto bello.

Eravamo ovo, 70 persone, fai un botto di colloquie.

Poi sono diventati molti di più, sì.

E?

Che succede dopo?

Succede che io faccio il direttore creativo,

quindi facciamo un sacco di video.

Come vai il rapporto con Andrea Pezzi?

Il rapporto è bellissimo perché diventiamo amici.

Amici, nel senso che pranziamo, ce niamo,

abitiamo vicini, eccetera eccetera.

Andiamo ai vacanze insieme.

E poi, in questo caso,

io sono il mio primo,

e io sono il mio primo.

Abitiamo vicini, eccetera eccetera.

Andiamo ai vacanze insieme.

Dall'altra molto formativo,

perché Andrea è una persona molto esigente.

E se da una parte avvo cercato uno come Christophe,

dall'altra parte diciamo che il proseguo.

Ok, un altro mentor.

Esatto.

E quindi lavoreamo insieme.

Andrea si fida molto di me,

quindi delega molto.

Io mi occupo di dare forma e vestito ai video.

Poi, facendo i video, mi devo occupare anche dei testi,

la traduzione dei testi in inglese,

lo spichieraggio.

E quindi, anche lì,

quando mi assumono,

non so fare quello per cui sono assunto.

Poi, piano piano, facendo finta di niente, imparo.

E lì è successo la stessa cosa.

Con Andrea è andata tutto bene.

Finché, un giorno,

anzi, a metà del cammino insieme a lui,

cambiamo ufficio e nell'ufficio c'è una cucina.

E io non ho mai cucinato

e mi sono detto perché non ho provato a cucinare.

Piano piano, piano piano, è un cucino.

Un cucino a tutti i giorni ha in certo punto iniziato a cucinare per tutti.

Tutti i giorni a pranzo, quindi

una volta per venti personi, una volta per 30,

una volta per l'amnistatore delegato di Telecom,

una volta per il VIP che viene a trovare Andrea,

una volta, quindi anche per gente importante,

una volta per lo chef stellato.

Non sanno mai chi c'è in cucina,

cioè il direttore creativo dell'azienda,

però arrivano a questi ospiti dei piatti che loro piacciono.

Come impari a cucinare?

Impari, inizio a fare i primi, i secondi,

poi il pesce, poi la carne, poi i dolci se capito,

Sperimentavi?

Sì, copiavo le ricette in rete, le trovavo e le replicavo.

Ok.

E quindi, mi rendo conto, mi dicono che sono bravino.

Tant'è che poi arrivano a persone importanti a mangiare

e io sono quello che cucina per loro,

ospiti importanti, ci sono di il d'acchiudere, magari.

E allora cucino, e ogni tanto vengono in cucina a conoscermi.

Ma io ti ho visto, sì, sono il direttore creativo

quello che hai salutato all'entrata.

E quindi li imparo a cucinare.

Finché faccio anche degli hamburger.

E sembra che vengano bene.

Una mia amica, mia collega, ha pensato che quell'hamburger

fosse così buono, che appena mangiato che mi regalo

un libro dedicato agli hamburger con tutte le ricette di hamburger

di una famosa catena di hamburger gourmet

che si chiama Blend Parisina.

Parò io vado avanti, la voglia, il desidero dentro di me

di fare qualcosa da solo è sempre più forte.

E arrivo fino a un certo punto che dico

ok, me ne vado perché voglio fare qualcosa mio.

Bene, ho un bel TFR, che spendo tutto ovviamente nel giro di poche settimane

anche perché devo muovermi, capire cosa fare, cercare qualcosa di nuovo.

Nel frattempo però sono molto legato, non penso ancora

a quello che poi sarà accaduto, al mestiere che ho bene imparato,

il direttore creativo, comunicazione, marketing.

Quindi voglio andare a fare un viaggio a New York

perché ho preso appuntamento per fare alcuni colloqui.

Nel frattempo sto finendo i soldi, abito in Via Padova insieme a una mia amica.

Anzi no, la casa era mia, dove vado a abitare con una amica?

Quello che faccio è tirare a lucido la casa, ridargliela, prendere la cauzione,

prendere la cauzione, e arrivo tipo a 1.600, 2.000 euro con la cauzione.

Però succede, succede che voglio andare in America,

ma non posso permettermi il viaggio, perché poi quando ritorno non ho più niente.

Quindi da Buon Disperato, come scrivo nel libro,

mi imbarco grandistinamente in un cargo

che parte da Genova Prà, dal Porto.

La potrei fare lunga i giorni in cui vado al Decathlon per trovare la misa d'atta,

quindi un giovotto scuro, un cappello scuro, pizzetto d'ordinanza,

cerco di sembrare più possibile uno di loro.

Con uno zaino, con dentro un set di vestiti da colloquio,

e un sacco di barrette energetiche per il viaggio.

Mi imbarco nella stiva di carico, mi nascondo lì e sto lì per giorni.

A un giato punto ho la fortuna che consiste nell'aver trovato lì vicino

un container under deck, si chiama, scopro dopo che si chiama così,

se mi aperto, dentro c'è il ben di Dio italiano, dal tonno,

all'acqua San Pellegrino, c'è di tutto.

E quindi io, durante il viaggio, mi rifocillo anche lì,

ma durante la notte scopro che non sono l'unico,

quindi non c'ero solo io in quella nave clandestino.

Esatto, perché quel container under deck è aperto più volte,

lo sento di notte, vedo cosa succede, eccetera, eccetera.

Destinazione della nave?

New York.

Era la prima tappa?

Sì, il porto di New York, New Jersey.

Arrivo a New York e ho dei colloqui, prendo una stanza condivisa,

faccio i colloqui, mi sembra andati bene, è molto freddo a New York,

perché vicino a Natale è il periodo per farti capire.

Anche se quando parto da Genoa, mi ricordo che era caldo,

si stava bene, erano circa 11 gradi e c'erano un bel sole.

Che cosa succede?

Succede che sono tentato dallo stare lì e tornare.

I colloqui, si sembra andati bene, ma sai, gli americani sono sempre molto gentili.

Faccio per entrare dentro uno Starbucks, perché era freddo,

e volevo ricaricare la batteria del cellulare.

E cosa succede?

Succede che mi ferma un barbone, cioè io lo guardo un barbone strato,

lui mi ferma e mi dice in inglese, Mr. English, Mr. Franceso e Mr. Tedesco,

capisco che mi dice, guarda che è inutile che ti cerchi lontano da casa,

e dentro che ti devi cercare, e mi dice una roba del genere.

O io credo di aver capito una cosa del genere.

Poi sto lì, ci parlo alcuni secondi più che minuti, 50 secondi, diciamo.

Poi mi dice, mi dà un piccolo diario, ti e lo tu,

non sono riuscito a farci niente con questo diario, provaci tu.

Io lo prendo, lì per lì non ci faccio caso, però cerco 50 euro,

gli voglio dare 50 euro, anche se non avevo un euro.

Fortunatamente lui non li vuole a tutti i costi, mi dà un calcio, mi dice dentro al via.

Vado allo Starbucks, ed inizio a sfogliare questo piccolo diario,

questo piccolo agenda, dove dentro ci sono tante ricette,

dei suoi genitori quando da Hamburg aspettavano la nave,

delle volte anche per mesi, dopo la Seconda Guerra Mondiale, per andare in America.

E spesso loro erano, cioè spesso, molti per campare lì prima che la nave arrivasse,

cucinavano per tutti i coloro che dovevano emigrare in America, stavano per mesi.

E dentro c'era anche una fantomatica, come la chiamo, ricetta di un hamburger,

che loro facevano, non solo la ricetta del hamburger, c'erano tantissimi ricette.

Però questa cosa mi suona un po' strana, perché si parlava prima di hamburger,

il libro regalato, eccetera, eccetera.

Quindi quando torno in Italia il mio pensiero si focalizza su una cosa sola,

che è quella di fare qualcosa di mio, non so più un euro, notte passate sulle panchine,

una persona che lavora McDonald's mi fa mangiare gratuitamente per un sacco di volte,

perché non avevo soldi per mangiare.

Dov'è dormivi?

Prima dormo per strada, sulle panchine, poi dormo a casa di un'amica, sempre in Viapadova.

Viapadova torna spesso, e come ti dicevo, sono tornato con in testa solo quella cosa,

solo di fare qualcosa magari sulla cucina, ma non volevo, mi dicevano che ero bravo a cucinare,

ma non volevo fare qualcosa che riguardasse la ristorazione,

perché non sono il tipo che sta in cucina tutta la vita, a cucinare, non esce mai,

sabato, domenica, non ero il tipo, quindi la mia idea era quella di fare qualcosa che

fosse indipendente da me e scalabile, io ero fissato per McDonald's come modello di business

al tempo, e quindi volevo fare una cosa del genere, non ho soldi.

La prima cosa che faccio è chiamare una mia amica, una mia ex, che mi aveva conosciuto,

sapevo che in fondo non aveva la persona, e chiedo lei se c'è dei soldi da investire

su questo progetto, che al tempo forse si chiamava hamburghi invece di burchi, una cosa del genere.

Cioè è stato il tuo nome provvisorio?

Sì, sì, però un po'.

Poi chiamo Martina, che poi è diventata la mia socia, che anche era anche la mia ex ragazza,

perché non le due persone che mi conoscevano, da una parte forse poteva avere un po' di

soldi da investire, da una parte Martina era quella che era sempre stata nella ristorazione.

E tutte e due mi rispondono positivamente, poi con la prima Simona, bravissima ragazza,

intelligentissima, non è andata, aveva un carattere un po' particolare, forse ce l'avevo io.

Devece Martina è diventata la mia socia, ancora la mia socia, lavoreremo a spalla a spalla

tutti i giorni. Quindi Martina si è trasferita a Milano con pochi soldi insieme, abbiamo girato

un po' l'Europa per capire quale fosse davvero un hamburger buono, e poi scopri che l'hamburger

buono lo fanno in Germania, lo fanno in Spagna, lo fanno in Francia, lo fanno dappertutto,

tranne che in Italia al tempo, perché noi siamo capaci di fare i panini,

buonissimi, ma gli hamburger sono un'altra cosa. E allora mi sono detto, soffare gli hamburger,

proviamo a trovare dei soldi, un po' li mette Simona, un po' un socio che entra,

che lavorava con me. Un po' Simona o Martina? Simona. Ok, ma anche Martina, mette.

No, no, io e Martina, zero soldi, non avevamo un euro. Poi arrivano altre due persone che

erano persone che avevano lavorato con me in ovo, quindi mi conoscevano, sapevano che erano comunque

una persona seria. E una di due ha messo un po' di soldi, l'altro mi ha, come dire, donato un colloquio,

un incontro con un direttore di una banca, dove ho ricevuto i primi 50.000 euro, nonostante noi

non avessimo, poi ho imparato a conoscere questa parola, uno storico. E quindi alla fine con 50,

60, 70.000 euro abbiamo aperto il primo punto. Hai rilasciato le fiduazioni che ha garantito?

Io, tutti insieme, però quello che poteva garantire o sia nulla. Quindi abbiamo aperto

il primo punto vendita con 60, 70.000 euro e via Savona numero 15, ma costava realtà 200.000 euro,

quindi pagavamo in ritardo, avevamo 28.000 euro di debutti al mese da pagare. Prima giorno abbiamo

fatto 144 euro, quindi puoi immaginare la nostra attenzione. Si chiamava Hamburgi o già? No,

lì si chiama Burghez. E ma come ti viene il nome? Allora, potrei dirti mille emotivi,

ne ho inventati un po'. Ah, ok. Uno perché la Z, che noi della mia zona non sappiamo pronunciare

bene, agganciava tutte e tre le persone, Simona, Martina e me, perché siamo tutti della stessa

zona. Quindi poteva essere una cosa. Poi mi piacevano i Gorillaz. Quindi io non mi ricordo per

quale motivo, se me lo chiede uno, dico Gorillaz, se me lo chiede un altro, vi dico quest'altra cosa.

Che Hamburgi faceva molto italiano. Io quando Burghez è sbarcato a Milano, io che l'ho cominto

che fosse una catena americana. Burghez. Assolutamente. Sono mai pensato che fosse italiano.

Bravissimo. Ed è quello che hanno pensato in molti, tant'è che dopo due, tre mesi avevamo già

richieste di franchising da tutta Italia. Perché vedevano una comunicazione strana,

una comunicazione che sembrava più di una grande azienda, ma forse solo perché io venivo

da quel settore lì, non quello della ristrazione. E cosa è successo? È successo che avendo tutti

qui debiti, la gente entrava ma poco la volta, perché non erano abituati a mangiare quel tipo

di hamburger. Mi ricordo Barbieri un giorno, Venne, dice che il pane non era buono, che

dovevano andare a farci fare il pane da un fornaio. Socco di cose negative perché da noi venivano

ad inizialmente quelli che conoscevano quel tipo d'hamburger, Shake Shack in America,

Fight Guys, Neh Out. Noi eravamo su quella sponda lì, non quella gourmet, che poi il

gourmet non esiste. Poi era questo manto discorso. E quindi all'inizio è stata dura.

Quello che volevo fare è come farci conoscere, senza aspettare il passaparola, che è una cosa

lunga e noi abbiamo un sacco di debiti, prova a fare una comunicazione un po' fuori dalle righe.

E poi ho iniziato a far credere che avessi un'agenzia importante. Invece ero io che lavoravo

dalla mattina alla sera insieme a Martina, insieme a mio fratello, che non ti ho detto ma nel

frattempo ho fatto tornare dalla Brasile perché lui è andato in Brasile e stava là. E abbiamo

aperto noi tre, insieme a Simona che da fa non è tanto veniva a trovarci, e lavoravamo, io

lavoravo due anni anche loro lì dentro. Quindi ho capito benissimo quali erano i problemi,

le migliorie, le operation, tutto. E di notte quindi pensavo invece alla comunicazione e il

marketing da fare. E poi per alcuni posto un po' strani, ci siamo fatti conoscere forzatamente,

mi invitavano al tempo c'era, credo, Matrix, Ladurso, un sacco di programmi televisivi e

radio, ricordo un'intervista per Radio 24, perché la comunicazione era, come dire,

disruptive? Sì, per dirla peggio un po' pesante. Provocatoria? Provocatoria, sì.

Che anche la censura, leggevo, non so se l'avevi detto tu o meno, che comunque ti stimola molto la

creatività, non potendo fare mille cose ti porta a pensare in maniera più acuta?

Certo, pensa se, faccio sempre quest'esempio, il Papa Michelangelo non gli avesse detto di

fare la capella assistiva lì in quel modo, in quel momento, quella superficie eccetera eccetera,

ma gli avesse chiesto, fai quello che vuoi. Quindi la committenza per me è il 50% dell'opera o della

creatività, se non hai un committente che è sulla tua linea è complicato. La censura è quella che

ti mette apparellamente il committente o la società. Pensare che a Milano è andato in giro un

tram che ho scritto burghia, selamburga, è il più schifoso del mondo, per me è soddisfacente,

non per la frase, ma perché la parola schifosa è un tram che penetra le vie di Milano, è una cosa per

me molto strana. Che ne inizio a voler iscriver attacchetti al tram. Prima ancora volevo far la

pubblicità a McDonald's. Però loro non potevano ovviamente perché ce le avevano anche cose in

pianificazione durante l'anno. E poi non sarebbe stato possibile. Quindi diciamo che la comunicazione

di burghia si riassume nel fatto che è inutile che dice che il tuo prodotto è buono, come l'Oste

dice che il suo prodotto è buono. È ovvio che ti dirà che è buono. Tutti comunicano in maniera

molto autoreferenziale, quindi tu lo fai esattamente al contrario. Che vuol dire sempre che è buono?

Assolutamente. Non vorrei credere che io pensi davvero che sia schifoso. E quindi l'essere

disruptive significa semplicemente spesso anche essere onesti. Noi nel bicchiere scriviamo che

questa bibita che stai bevendo è buona, ma devi sapere che continuiamo a otto cucchiaini di

zucchero. È disruptive, ma al contempo ti sto dicendo varietà. Ci sono post che dicono non

andare a mangiare da burghia e spiedi una volta, due settimana perché ti fa male. Parti che non

lo penso che fa male perché i nostri prodotti sono di qualità. Però, come dire, non fa bene,

è ovvio, mangiate anche un'insalata, mangiate anche un piatto di pasta. Quindi noi spesso diciamo

la verità, ma anche il famoso post sulla cassiera filipina che ha fatto tanto discutere e ne ha

parato fino anche Salvini. Io semplicemente volevo dire la verità. Dicevo che non trovavo...

Sì, perché tu dicevi nel post che fondamentalmente l'italiana hanno la palestra al martedì,

hanno il moroso, il mercoledì. È un po' per dire che l'aniavano tanto e quindi preferisco

prendere una ragazza filipina che non pago meno perché... Esatto. Tutti sono schegliati dicendo

ah sì, perché filipini tu li paghi meno. No, c'è un contratto nazionale uguale per tutti,

non è questo. Il problema è che, al tempo... La voglia di lavorare è quello che tu vuoi dire.

Esatto. Avevo difficoltà a trovare anche personale italiano. Quindi io faccio un post, mi ricordo

così proprio scritto senza pensare odio quanto sono creativo, ma fare un post su una ricerca di

personale però un po' più creativo senza semplicemente scrivere. Stiamo cercando. Non vuole

dire che tu disdegnassi l'italiano? Assolutamente no. Ma è un modo per dire se hai voglia di

venire, devi aver voglia di lavorare. Esatto.

Facciamo un secondo passo indietro perché tu mi hai detto 144 euro di caso il primo giorno, 28.000

euro di debiti al mese e dovevo bisogna capire come riesci a, come dire, a costruire i burgers.

E parli di comunicazioni disruptive e mi viene da pensare se non avevi soldi dove comunicavi.

Spiegami un attimo questo. La prima risposta è abbastanza semplice, non ci pagavamo.

Ok. Mangiavamo lì, dalla mattina alla sera.

Quindi siete gli evitati anche? Sì, sì, sì. Ma anche adesso. Poi pagavamo i dipendenti,

l'unico che avevamo, poi abbiamo preso un dipendente. Ok. E le banche. I fornitori cercavamo

soprattutto la impresa eh, di la cinese, cercavamo di spostare i pagamenti magari di 5 giorni, 10 giorni,

15 giorni. Però se tu sposti i pagamenti e quindi cerchi insomma di intergirsi è un certo punto se non

in casso. Esatto. Dopo burgers, però ho iniziato a…

Quando? Dopo quanto tempo? Abbiamo fatto le prime 1000 euro.

In caso giornaliero? Sì. Dopo 28 giorni, 27 giorni. Poi siamo arrivate 2.000, 3.000, 4.000, 5.000,

ma nel giro di pochi mesi. Quindi sei partito abbastanza velocemente. Passa parola.

Sì. Fortunatamente sì, perché poi grazie a quella comunicazione ci cercavano tutti i tagli,

abbiamo già i fondi, l'investimento arrivavano, gente che voleva fare il franchising e non l'abbiamo

ancora mai fatto. Non hai fatto entrare in fondo? Né fondo ancora né franchising. Ok. Tutti i negozi

di proprietà e con i vostri soldi. Esatto. Poi però siamo stati lì due anni, nonostante noi

potessimo fare, sai, quelle aperture forzate, tu hai tutti di capitale apri forzatamente anche se

non c'è richiesta. Volevo arrivare a quel punto. Oggi tu vedi adesso non faccio i nomi dei

brand per una questione di rispetto, ma li vedi a Milano, quando entra un fondo aprono da

per tutto, continuamente in maniera schizofrenica. Cosa pensi di questo? Penso che sia una cosa

legata molto più alla finanza che alla imprenditoria. Come oggetto c'è un ristorante invece di qualcosa

di più volatile, però è una cosa di genere che costruisci spesso una bolla che poi vai a

piazzare al doppio il triplo qualche no dopo dell'investimento fatto dal fondo che a sua

volta vende un altro, che a sua volta vende un altro, eccetera eccetera. Ecco noi non volevamo

fare questo errore, secondo me errore, per altri invece è una soluzione incredibile perché

magari se la tua azienda non va questo è o cu va così e così è la soluzione migliore perché

poi ti copri le spalle, se arriva la pandemia sei coperto eccetera eccetera. Eravamo alla

comunicazione dicevo se non avevi soldi come facevi a comunicare? Cioè come passavi il

messaggio all'inizio? Su Facebook e su Instagram senza avere un euro. Il post della Cassiera

Filippina mi costa otto euro di sponsorizzazione e arriva a tutta Italia, poi arriva tutto da

Ansa ma anche da altre agenzie fuori dall'Italia. E altri sette otto post che hanno fatto parlare

un po' l'Italia senza nominarli perché non voglio cadere ancora in critiche non gli ho pagati.

Cioè quindi i media che ti criticavano ti stavano comunque regalando una grandissima

visione. Esatto, mi interessavo usare i media una volta per tutte a mio favore che era quello di

fare dei post strani per far parlare non avendo soldi per sponsorizzare i post. Cioè tu puoi far

anche un post nero puoi fargli raggiungere a milioni di utenti se paghi e ovvio però non era

quello il mio caso io dovevo non avevo i soldi quindi doveva avere un contenuto forte per far sì

che ne parlasse nel modo organico per farlo diventare virale. Torniamo alla scalabilità del

business. Apprenvia Savona. Per due anni non apri più altri punti vengenti, giusto? Ti soffermi a

quello, tari, capisci come è andamento del business e poi sei pronto a moltiplicare.

Sì, per due anni non apriamo niente. Quando prima ho detto negozi e proprietà intendevo a gestione

diretta, no? Sì, gestione diretta. Non apro più niente fino per due anni quindi fino a 2007.

Il 2007 mi venne in mente di aprire una cosa che avevo già in mente. 2.17? 2.17 scusami. Una cosa

che avevo già in mente è un format che poi ho chiamato Burgets Go che è solo delivery e

takeaway non c'è sala perché pensavo che il delivery sarebbe stato il futuro. Quindi prima

dell'avvento appunto di tutti i player di dentro? Sì, molto prima. Una azienda molto importante,

molti nazionali che si chiamano Rocket Internet vede questa cosa, vede Burgets Go,

gli interessa, ci propone di entrare in società, nonostante noi vessimo ancora solo due punti,

bar 3, per un investimento molto importante, per un'apertura di 200 punti vendite in Europa di

Burgets Go che non accetto perché volevo ancora imparare e fare le cose da solo. Apriamo dopo

due anni secondo il terzo punto, uno è Burgets Go, l'altro è in Biaustà che è un punto invece

un po' più grande e poi da lì piano a piano abbiamo iniziato a aprire ogni punto vendita

andava bene da solo, quindi non era forzato, se andava bene ne apriamo un altro, se andava

bene ne apriamo un altro fino ad arrivare ad oggi. Per te il marketing ha supportato il

prodotto però poi se il prodotto è una merda, se lo amplifichi è una grande merda, quindi il

prodotto oggi regge, è buono e la gente ci torna, quanti punti venite ai aperto? Venti.

Dislocati in varie città. Sì, da Milano fino diciamo Verona, passando per Brescia,

Como, poi Genova, Bologna, Roma, Napoli. Ok quindi se è andato giù Roma, Napoli e funziona

giù? Allora, a un certo punto decidiamo perché noi cosa è successo? C'è successo che abbiamo

passato la pandemia? Probabilmente l'unica catena Milano, non solo da sola senza fondi dentro,

quindi è stato molto complicato. Poi dopo la pandemia non bastante è arrivata la guerra,

quindi l'innalzamento dei costi dell'energia, l'innalzamento di tutti i costi dei fornitori,

dal pane alla carne, qualsiasi cosa, pensa che la carne è arrivata a costare il doppio e tu non

ti puoi certo permettere di vendere un panino al doppio o quasi. Quindi hai abbassato la tua

margenità? Sì e nel frattempo usciti dalla pandemia abbiamo detto se che c'è facciamo

mentre l'hai qualcuno non si sa mai come andranno le cose. Abbiamo visto un sacco di fondi interessati,

ci siamo focalizzati su uno solo e poi dopo un tò di mesi di due diligence di cose non abbiamo

trovato la quadra e non si è fatto niente. Nel frattempo però avevo aperto diversi punti vendita

velocemente per alzare la quotazione di Burgers. Quello che dicevamo prima? Sì e l'unico errore

che ho fatto è stato quello di aprire in una zona sbagliata di Napoli. In questo momento lo

abbiamo chiuso perché stiamo cercando di aprirlo in una zona diversa, più vicino all'università.

Cosa significa una zona sbagliata? La pedonabilità? La cultura? No, la zona

sbagliata è, nello specifico, una zona troppo turistica. Va bene McDonald's per la zona

turistica o Burger King perché vieni da fuori e li conosci, li riconosci. Burger sei pretamente

italiano. Però costava poco, però dovevamo farlo, però la zona comunque è figa. Insieme di

cose l'abbiamo fatto. Poi ci siamo accorti che andava bene ma non come avremmo voluto perché

a Napoli c'è una grassissima richiesta di Burgers e ci sono tanti possibili futuri affigliati e quindi

abbiamo deciso di fermare il punto vendita e adesso stiamo cercando in una zona vicino

all'università. Anche perché è una città molto importante, non è in senso? Sì, importantissima.

Come affluenza, come turismo, come tutto? Esatto, Napoli è importantissima

ed è una delle città per noi probabilmente più importanti per il futuro prossimo.

Ok, rimarrà in Italia, c'è pur avendo apparentemente nel DNA questa parte internazionale ma rimane

in Italia, come strategia, intendo. Come strategia ci continueremo a ampliare in Italia,

ma parallelamente abbiamo diverse richieste dalla Spagna, dagli Emirati Arabi, dagli

England, quindi probabilmente ci affaceremo quasi sicuramente le Emirati Arabi perché sono

già arrivati tutti là, non lo potremmo fare da solo perché aprire uno store. Ti serve un partner

in locco? Un strategico, il locco e non solo strategico. Quando tu hai detto, ho cercato un fondo,

gli hai cercati tu, ti cercavano loro o un mix delle due cose? Ci hanno sempre cercati,

ma noi abbiamo sempre risposto picche perché l'anima interessa era quello di fare da solo

più possibile. O una domanda, quell'oro che ti cercavano, avevano mai assaggiato il tuo prodotto?

Guarda, questa è una bella domanda perché secondo me il 70% no. Quindi quelli colpiti

dalla comunicazione? Sì, quelli fuori da Milano, quasi tutti no, ma venivo a incontrarmi per capire

che era sta persona strana che va fatto queste cose qua e volevano investire per la comunicazione,

poi assaggiavano il panino perché gli obbligavo, non mi sedevo al tavolo senza che loro assaggiavano

l'hamburger e dopo si andava avanti sul discorso, però molti vendivano solo per la comunicazione.

Quanto fatturi era esso? Sì, 13 milioni.

Tu hai parlato di scalabilità prima. Il fondo ovviamente vuole comprare un qualcosa sì che

può decuplicarsi nel tempo e potrà rivendere, ma di scalabile, quindi non ad personam. Perché

ti dico questo? Perché tu hai sempre mutato, hai cambiato il lavoro continuamente, ti sei un

po' rotto le balle a un certo punto e facevi sempre l'ina, cioè guadagnavi 10.000 euro al

mese con Andrea Pezzi, poi raccimoli i tre mesi di cozione per andare su una navecargo e quindi

ogni volta cambi e lascii tutto. Come sei messo da questo punto di vista adesso? Nel senso,

il fondo ti obbligherà credo per due anni, tre anni a rimanere dentro o hai già costruito una

struttura che ti potrebbe permettere di uscire anche velocemente sempre che tu ne abbia voglia.

No, quasi mi obbligano. I fondatori, ma soprattutto sono stralegati al marketing,

non vogliono perdere soprattutto quello. Ma un fondo che ti compra vuole anche comprarti la

tua agenzia creativa, perché non l'abbiamo detto. Come si chiama la tua agenzia creativa?

Up per Beastside. Dove lavori anche per il mercato? Esatto, lo lavorò anche per altre aziende.

No, quello no, ma magari si contestualizzerà un contratto blindato per il quale io assicuri

la comunicazione alla società Burghitz per un tot di anni. Questo sì, soprattutto di quello,

hanno paura, perché il panino una volta fatto lo fai, ok? Poi però magari quella parte di

creatività l'ha o ce l'hai o è più complicato ripeterla e ritrovarle in altre aziende, in altre

studi. Ma tu che visione hai per il futuro? Di cosa

hai voglia in questo momento? Allora, intanto di far diventare importante a

per Beastside, perché c'è molto margine e voglio mettermi c'è bene su con la testa.

Una agenzia creativa. Esatto, che è un'agenzia creativa. Poi è un sacco di idee per la testa.

Voglio arrivare a una quotazione decente per Burghitz, fare un percorso con il fondo,

con un fondo eventuale. Ma vuoi anche quotarti in borsa?

È una cosa che diventerebbe troppo lunga, io non so se ho...

Per questo ti ho fatto la domanda, sapendo che hai un tempo di scadenza personale sull'entusiasmo

che devo per questo. Sì, sì. Io l'entusiasmo ce l'ho, finché ci

lavoro ce l'ho e chi lavora con me lo sa. Però voglio prima o poi fare entrare un fondo

di investimento per capire come si lavora con un fondo di investimento, quindi crescere...

Managmente alto. Esatto, crescere ancora di più attraverso

questa operazione per poi avere tutte le schile adatte per un giorno o futuro, fare qualcosa

altro, magari sempre l'allegato di ristorazione, con un'esperienza evidentemente più importante.

Io non ero ristoratore, non sono ristoratore. Non ero direttore che attivo. Non sono direttore

che attivo, non ero uno che lavorava nell'ambulanza. Cioè, lo ero, ma non lo sono. Io non sono quello

che faccio. Quello che faccio mi serve per diventare uno, qualcosa. Se l'albaro si vede

dai frutti, si riconosce, penso di aver fatto qualcosa in questi anni. E quindi non sono

legato né a un hamburger. Io scrivo dei libri, non l'abbiamo parato, ma scrivo dei libri

legati al marketing e alla psicologia soprattutto. Ne uscirà uno...

Ne ho scritti tre di libri, giusto? Ne ho scritti in verità cinque.

Io sapevo, hai swatchat, poi marketing...

Marketing...

Marketing, records, reloaded perché il primo era ormai. Quindi ne ho usciti un'altra

edizione con i capitoli in più. Con un editore hai fatto Marketing, Recorded.

Si, e con lo stesso editore hai visto che Marketing, Recorded è andato bene. Uscirà

un libro che ha sentito la la rappresentazione del mondo. E uscirà in giugno.

Poi ne ho usciti un altro, lo veri sulla tazza... Ah scusami quello è l'Angelo Secondo

Burger. Esatto.

Bravoissimo. Un'altra cosa è recconta tutta la storia questa qua.

Alla fine esatto e quindi la gente non sa mai come interfacciarsi come ma allora lui sa fare i panini

o sa scrivere libri di marketing, c'è un autore televisivo e esatto quindi è difficile che la

gente ti apprezzi, ti apprezza sempre nella penultima cosa che hai fatto perché la dimostratura è

che ha saperti farla, ma nell'ultima. Anch'io ho fatto tantissime cose nella vita,

all'inizio per sopravvivere, però c'è una cosa che mi fa battere il cuore, il podcast ne una non

sapevo neanche di esserne in grado, ma c'è ne un'altra che vorrei fare in futuro, cioè io quando

ho costruito The Fouse, tu sei venuto, a me piace fare i posti, mi piace farti sognare quando ti

porto in quel posto senza parlare, ti voglio raccontare tutto semplicemente attraverso le

pareti, attraverso il mood che respiri in quel momento, mi piacerebbe quindi prendere dei luoghi,

farli diventare qualcosa e rivendere quel luogo o prendere un tram, uno scuola bus,

qualsiasi ambiente e dargli una vita diversa. Io so che questo mi emozionerebbe molto,

ma adesso che sono un periodo un po' stressato non mi posso permettere di cimentarmi in qualcosa

di nuovo, ma sicuramente un mio sogno per il futuro, mi emoziona soltanto dirlo. Qual è il tuo?

Avendo provato tante cose, sai cosa ti fa battere il cuore?

Bella domanda. Mi fa battere il cuore, il risultato finale, la meta, il goal. Tutto quello che c'è prima

è una sofferenza probabilmente, un impegno, una competizione al fine di arrivare a quel

risultato finale che dura quattro secondi. Mi ricordo la prima volta che ho vinto a capire

italiani, ho esultato e la felicità è durata 10 secondi, 20 secondi, un minuto e tornavo a casa

dopo aver vinto, dopo essere diventato il più forte e mezzofondista italiano e già tornava

alla condizione umana classica e mi dicevo adesso cosa devo fare e lì piano piano ho capito che

bisogna metterlo in fila ai successi e mai scendere sì perché ne stai preparando un altro e quindi

una volta che la cosa l'hai fatta è demostrato a te stesso che la sai fare perché stare ancora

lì. Ti capisco molto bene, lì parla il tuo essere pragmatico, il risultato finale parla nei

numeri e non parlo io quindi soffro per mostrarti e dimostrano che a te stesso credo di esserne in

grado, in qualsiasi campo. Soprattutto a me stesso. Però a un certo punto, visto i tuoi 52 anni e io ne

ho quasi 47 e sono in una fase mia, vi te che non conoscevo, no? Di burnout, di stress mentale e mi

sono reso conto che il tempo e le energie sono limitate e quindi se dobbiamo sempre soffrire per

godere pochi secondi io non ci sto più. Quindi ho cercato di capire, lascia stare il risultato

finale, cosa mi rende felice. Questo podcast mi rende felice, quindi io vivrei, oggi gli metto

ancora io per farlo, non mi porta ancora un indotto, ma mi rende felice, quindi devo lavorare

come quando tu leggevi, facevi le tue cose che ti piacevano però dall'altra parte e dovevi

faticare se non lo portavi a casa i soldini. Ecco io in questo momento pensare di continuare,

perché mi sono sempre chiesto, ma tu Luca, dove vuoi arrivare? Tu continui, continui, fai i tuoi

trofei personali, poi non lo dici neanche troppo perché non vuoi neanche essere arrogante, quindi

che vita vuoi fare? Oggi io voglio essere felice, fare una cosa che mi renda felice a prescindere

dal risultato economico che fortunatamente oggi non sono più inoline come ho sempre fatto nella

vita, quindi oggi ho costruito le mie riserve per permettermi anche quello. Non credi che sia

troppa sofferenza sempre soffrire per arrivare a un risultato e come a un micro-orgasmo e poi

dover rifaticare anni per un micro-orgasmo, non è più bello provare a godere tutto il tempo?

Sì, io diciamo che ho fatto un'iperbole, è ovvio che nel mente del percorso è bello,

perché poi ci sono tante piccole tappe che sono comunque una vittoria anche quelle, però io penso

una cosa che la cosa più importante è la motivazione per cui tu fai una cosa, ci sono persone che

fumano e muoiono di tumore, altre persone fumano fino a cent'anni senza problemi, una volta una

persona mi disse è c'è quella persona lì, fuma e quell'altra si fa fumare dalla sigaretta.

Fumano tutti e due, ma la motivazione è completamente diversa, quindi se io faccio

una cosa perché voglio dimostrare agli altri, non la farei, ma mi impegna farla perché voglio

10 milioni o 100 milioni, o faccio entrare un fondo perché voglio subito monetizzare,

è ovvio che forse poi non starò bene, ma se faccio la stessa cosa pensando che l'unico

interesse è quello di rendere felice a me le persone che mi stanno di fianco e non per fare

il figo, non per dire ah ho venduto quel fondo lì o mi sono quotato eccetera eccetera, è un'altra cosa,

quindi io credo che la motivazione che fa star male le persone non ciò che fanno,

ma perché lo fanno e quindi almeno io mi sono avuto convinto di questo, quindi potrei anche

sbagliare, anzi assolutamente sì, però credo che il giusto approccio a ciò che fai sia l'unico

modo che ti possa assicurare un po' di tranquillità, è ovvio se fai una cosa perché ti obbligano non

va bene, se fai una cosa perché lo vuoi dimostrare a tua mamma o la tua fidanzata non va bene, se fai una

cosa perché pensi che per te va bene e ti rende felice allora quella cosa probabilmente sarà

salvifica per te. Come va l'amore per te oggi? L'amore va benissimo. Sei felice? Sì sto con Arianna,

una ragazza bellissima, bravissima, con un sacco di voglia anche lei di lavorare, di imprendere,

ambiziosa ma umile, semplice, uno ragazzo di vecchi tempi. Con grandi valori? Con grandi valori e

l'ho trovata insomma, è una età abbastanza avanzata, pensavo di non riuscirci, fece ma molto

bene. Figli? Figli ne ho un casino, ho tutti quelli a cui voglio bene che lavorano per me. No,

non sono appassionato di figli a parte gli scherzi, quindi chi sta con me lo sa già prima perché io

dico prima magari facciamo appuntamenti con una ragazza fidanzata nel passato dicevo io non voglio

figli già il primo appuntamento così non prendevene sicuramente. Ti faccio l'ultima

domanda. Sì. Un po' meno leggera ma molto introspectiva, ti voglio chiedersi è paura della

morte? Allora, sai che molti dicono no, un po' un po' sì, ho proprio paura della mattia, la morte

è quasi un passaggio naturale, sai come il bambino, il feto che nasce, lui non avrebbe mai voluto

andar via da quella vita dove mangiava, stava bene al caldo, infatti piange quando esce, no,

una sorta di piccola morte per lui, un passaggio da uno stato all'altro, io penso che questa morte

che tutti definiscono a morte non nascita, sia un passaggio da un'altra parte magari dove,

dove non c'è niente, non voglio fare un po' il poeta ma il filosofo mi sa che non c'è niente,

però sì, ho paura della morte ma relativamente, ho molto più paura della sofferenza visto che

ne ho vista abbastanza della malattia queste cose qua, io per esempio prima che succedesse

quella cosa mia madre non ho paura, niente paura, poi era un ex atleta, era fortissimo,

era stracontrollato dai migliori equipe mediche d'Europa eccetera eccetera, quindi ero invincible,

dopo che ho iniziato a vedere, a portare in continuazione malati per anni in ospedale,

lì ho capito che forse è una cosa molto più semplice a malarsi, quindi sì, ho paura più

della malattia che della morte. Abbiamo finito, grazie Simone. Grazie Teruca.

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Stati Uniti, anni 50, siamo in piena guerra fredda, il governo americano è disposto a tutto

per dibattere il nemico, dagli esperimenti con il porridge radioattivo, alle iniezioni di plutonio

sui soldati, fino ad arrivare ad un esperimento che ha dell'incredibile.

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Oggi avremo il piacere di fare un viaggio con Simone Ciaruffoli, protagonista di una vita ricca e dolorosa che, dopo aver raschiato il fondo piò volte, ha saputo trovare gli ingredienti per risorgere, creando un brand di hamburger iconico. Il dream team di One More Time è composto da: Giovanni Zaccaria, Mauro Medaglia, Davide Tessari, Alice Gagliardi e Filippo Perbellini.

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