Daily Five: Rischio di guerra mondiale per Taiwan? Proviamo a capire tutto dal principio

CNC Media CNC Media 4/11/23 - Episode Page - 23m - PDF Transcript

Quando ieri mattina, cioè lunedì mattina, qui da noi in Italia erano le 10, dall'altra

parte del mondo, 9 navi da guerra e una settantina di caccia militari cinesi caricati con vere

munizioni hanno circondato e sorvolato l'isola di Taiwan, non è stato l'inizio di una nuova

guerra ma nemmeno di una normalissima e innocua esercitazione militare. La Cina lo sappiamo

attra le sue future opzioni, l'idea di invadere Taiwan e l'operazione condotta ieri è stata

proprio una simulazione di questa invasione, oltre che una ritorzione e una minaccia. Ma

perché la Cina terrorizza continuamente Taiwan con queste esercitazioni militari? Perché

vuole invaderla e perché non lo ha ancora fatto? Ma soprattutto cos'è Taiwan? Perché

quest'isola è così importante per la Cina ma anche per gli Stati Uniti? Tanto che la

sua eventuale invasione potrebbe dare inizio a un conflitto mondiale tra superpotenze.

Allora, venti secondi di sigla e proviamo a capire per bene cosa sta succedendo nel

marcinese meridionale e perché deve interessarci tanto.

Io sono Emilio Mola e questo è Daily Five, il podcast di CNC Media per comprendere l'attualità

e conoscere il mondo che ci circonda una notizia la volta.

Oggi è martedì 11 aprile e, come vi dicevo, nelle ultime ore è stata molta preoccupazione

l'imponente esercitazione militare condotta dalla Cina attorno all'isola di Taiwan. In

realtà chi conosce bene la situazione sa che questo di spiegamento di forze nemmeno

questa volta avrebbe portato a nulla di allarmante, diciamo, a nessuna guerra e che si è trattato

solo di una risposta, sicuramente muscolare, ovviamente, alla visita che la Presidente

di Taiwan effettuato la scorsa settimana negli Stati Uniti accolta dallo speaker della

camera dei rappresentanti americana. Ogni volta che un esponente di spicco degli Stati

Uniti incontra un esponente di spicco di Taiwan, la Cina fa quello che ha fatto ieri, ovvero

anziché un colpo di telefono manda aerei e navi da guerra verso l'isola per manifestare

così, diciamo, la propria disapprovazione. Ma non si può capire il perché di questa

dinamica che si ripete ogni volta se non capiamo bene questa questione di Taiwan.

Allora, Taiwan è un'isola che si trova a sud della Cina, a circa 150 chilometri di

distanza, e che la Cina considera come propria. Tutto ha inizio nel 1912, quindi poco più

di un secolo fa, quando l'impero cinese cade definitivamente e al suo posto nasce la Repubblica

di Cina. Andando molto a spanno, ovviamente, è importante sapere, diciamo, di questa fase

che nella neonata Repubblica di Cina sorgono due importanti partiti politici, uno che potremmo

definire per semplificare di destra, ovvero il Kuomintang che va subito al governo della

Cina e l'altro di sinistra, ovvero il partito comunista cinese. Nei decenni che seguono,

questi due partiti danno il via a una guerra civile tra di loro per la conquista del potere

e questa guerra, nel 1949, sarà vinta definitivamente dal partito comunista cinese, guidato da Mao

Tse Tung, che così prende in mano le redi di della Cina, che da quel momento si chiamerà

Appuntore Repubblica Popolare Cinese, quella che conosciamo oggi insomma. Bene, che fine

fanno i nemici del partito comunista, ovvero i militari e i dirigenti che avevano combattuto

per il partito Kuomintang guidato da Chiang Kai-shek? Per sottrarci alla vendetta dei

comunisti questi seguaggi del Kuomintang fuggono dalla Cina, attraversano il mare, inseguiti

dai cinesi e si riparano sulla vicina isola di Taiwan. Non lo fanno sia chiaro con l'intenzione

di rimanerci, ma con l'intenzione di le carsi leferite, riorganizzarsi per poi ritornare

sul continente e provare a riprendersi tutta la Cina. Tatté che il Kuomintang, considerandosi

il vero legittimo governo della Cina, decide di chiamare l'isola di Taiwan su cui si sono

rifugiati Repubblica di Cina. Per cui da quel momento sorge questo paradosso, il mondo

si trova ad avere a che fare con due cine, una che è quella che conosciamo tutti, quella

enorme, quella nel continente e quella comunista che si fa chiamare Repubblica Popolare Cinese,

l'altra cina, ovvero l'isola di Taiwan che si fa chiamare ancora Repubblica di Cina

e all'inizio, in realtà non solo all'inizio, entrambe le cine rivendicheranno se stesse

come la vera Cina, cioè la Cina di Pekino dirà io sono la vera Cina e la Cina di Taipei,

la capitale di Taiwan, dirà no, la vera Cina sono io. All'inizio il mondo riconoscerà

come vera Cina quella che sta sull'isola, quella sull'isola di Taiwan, tant'è che

addirittura nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU la Cina, i cinesi saranno rappresentati proprio

dal governo di Taiwan, poi le cose cambieranno, cambiano negli anni settanta, gli Stati Uniti

per dividere il mondo comunista decidono di riconoscere come la vera Cina quella di Pekino

che era in contrasto chiaramente con l'Unione Sovietica e Taiwan, viene per così dire tradita.

In realtà questo tradimento è solo sulla carta, perché gli Stati Uniti pur riconoscendo

sulla carta la Cina comunista come unica Cina, cioè la Cina che conosciamo oggi tutti,

in realtà di fatto gli Stati Uniti continuano ad avere rapporti molto intensi con Taiwan

che trattano quasi come se fosse uno stato a sé, uno stato indipendente, a inizio in

questo modo quella che oggi definiamo ambiguità strategica, cioè considerare Taiwan come

cinese sulla carta ma poi con i fatti proteggerne la libertà e l'indipendenza come se non fosse

cinese.

E perché questo?

Perché gli Stati Uniti vogliono di fatto che Taiwan resti indipendente e non finisca

nelle mani della Cina, perché negli anni Taiwan è diventato una specie di avamposto

degli Stati Uniti sotto il naso della Cina.

Taiwan per gli Stati Uniti è un modo di tenere sotto controllo alla Cina, è un modo di avere

le proprie forze militari al ridosso della Cina, ma soprattutto è un modo per non concedere

alla Cina di diventare padrona del proprio mare, perché se questo dovesse accadere, se

un giorno la Cina dovesse avere, conquistando Taiwan, la totale libertà di spostarsi per

mare senza avere più questo tappo che è Taiwan, questo tappo filo americano tra le scatole,

gli Stati Uniti finirebbero per perdere il proprio monopolio, il proprio dominio sui

mari e quindi sul mondo.

Per chi volesse capire meglio di cosa stiamo parlando, cioè capire meglio questo concetto

di dominio sui mari e dominio sul mondo che si chiama Tala Stograzia, consiglio l'appuntata

di Daily Five del 6 febbraio.

Oggi, che cos'è Taiwan?

Oggi Taiwan è un'isola guidata da un sistema democratico, libero, la cui popolazione ha

sempre meno interesse a definirsi come legittima Cina e sempre più interessa a essere semplicemente

Taiwan, a essere libera, indipendente e taiwanese, è un'isola che nessuno, salvo una dozzina

di staterelli sparsi per il mondo, riconosce come stato indipendente, anche se ne fatti

almeno in occidente, la trattiamo come uno stato indipendente ed è un'isola molto ricca.

Taiwan è la patria mondiale dei microchip e sapete benissimo quanto i microchip oggi

siano importanti essenziali per il mondo, per noi occidentali e quindi quanto sia importante

per noi che la Cina non metta le proprie mani, cioè di un governo totalitario e autoritario

su questo tesoro inmenso.

Ora concludiamo con l'aspetto militare.

Come abbiamo visto alla Cina, vuole riprendersi Taiwan, per il governo cinese Taiwan è una

questione esistenziale, abbattere quella democrazia e trasformare Taiwan definitivamente

in un territorio sotto il dominio della propria dittatura e esistenziale sia per una questione

geopolitica, visto che, come abbiamo detto, questa conquista consentirebbe alla Cina di

poter muoversi liberamente sui propri mari senza dover più incappare in navi americane,

e in secondo luogo per una questione proprio di orgoglio nazionale, per la Cina prendere

riprendersi Taiwan significa porre la parola fine a quello che i cinesi chiamano il secolo

delle umiliazioni, umiliazioni in flitte dagli occidentali e per questa ragione lo stesso

presidente cinese Xi Jinping ha detto che entro il 2049, anno in cui si festeggerà il

primo secolo di vita della Repubblica popolare cinese, Taiwan sarà cinese o con le buone

o con le cattive.

A questo punto la domanda facile che sorge è questa, ma perché la Cina, questa enorme

super potenza da un miliardo e mezzo di abitanti non si è ancora presa la piccola Taiwan,

non si è ancora presa con la forza, cioè dovrebbe essere un gioco da ragazzi per lei,

no?

Beh, in realtà no, è per due motivi.

Il primo è che gli Stati Uniti hanno dichiarato apertamente che se la Cina dovesse invadere

Taiwan, gli Stati Uniti interverrebbero in sua difesa per i motivi che vi ho detto prima,

andando così il via a uno scontro tra i due eserciti più potenti del mondo e magari

a una guerra mondiale, in secondo luogo perché Taiwan non è mica così facile da invadere.

L'isola di Taiwan può essere attaccata e invasa in un modo unico, cioè con uno sbarco

anfibio, significa che le navi devono arrivare fin sulle spiagge dell'isola e poi li sbarcare

i propri militari, ma i punti in cui questo si può praticamente fare sono pochissimi e

come potete immaginare, sono una vera e propria fortezza.

La stessa Taiwan, proprio per non essere invasa in funzione proprio deterrente, in questi

anni ha trasformato se stessa in una forza inespugnabile, hanno cioè attuato quella

che gli analisti hanno definito strategia del porcospino o metodo della difesa aistrice.

In pratica, giusto per semplificare, Taiwan è tappezzata di punti di lancio di missili

mobili e occultabili con i quali le navi cinesi sarebbero bombardate da tutte le direzioni.

Insomma, per i cinesi a gretire Taiwan significa farsi molto, molto male, significa subire

migliaia di perdite senza, ripeto, contare l'intervento degli Stati Uniti, ecco perché

si parla di tecnica dell'istrice, di difesa, strategia dell'istrice del porcospino, perché

come un predatore desiste, chiaramente questa tecnica del porcospino non serve a battere

la Cina, serve semplicemente a farla desistere, cioè a farle capire che qualora dovesse

attaccare, subirebbe talmente tante perdite che probabilmente lo stesso popolo cinese

potrebbe dire al proprio governo, ma ne vale davvero la pena, quindi ecco perché questa

tecnica dell'istrice, perché proprio come un predatore che attacca l'istrice e sa che

se l'attacca si punge semplicemente vedendola, allo stesso modo la Taiwan spera che la Cina

vedendo come ormai si armata Taiwan, desista dall'intenzione di invaderla proprio per

non pungersi, per non farsi male. E ora un'ultima domanda, ma se questo dovesse

accadere, se Stati Uniti e Cina dovesse orandare allo scontro per Taiwan, come andrebbe a finire?

Per avere una risposta, il Center for Strategic and International Studies, CSIC, di Washington,

ha condotto diversi wargames, ovvero giochi di guerra, che a dispetto del nome sono simulazioni

virtuali molto serie, che cercano di prevedere come possa andare un determinato conflitto.

E il risultato di tutti questi tentativi, di tutti questi tra virgolette giochi di guerra

è sempre allo stesso. Un eventuale scontro tra USA e Cina per Taiwan sarebbe distruttivo

per tutti e tre. La Cina avrebbe difficoltà enormi ad arrivare a Taipei, la capitale di

Taiwan, verrebbe falsidiata dai missili dei sottomarinni statunitense giapponesi, oltre

che da quelli taiwanesi una volta effettuata lo sbarco. E non è escluso che la Cina per

far desistere gli americani spari un colpo, una bomba nucleare nei pressi delle Hawaii,

che sono a punto americane, a quel punto anche se non ci sarebbero danni, magari a persone

perché verrebbe sparato questo colpo militare in un punto tale da avere solo un effetto

deterrento, un effetto dimostrativo, però gli americani a quel punto potrebbero anche

rispondere a loro volta con ordegni nucleari, oppure no, magari finirebbe lì. Ma va precisato

comunque che l'opzione nucleare è molto remota, visto che non si tratterebbe di una guerra

in cui gli americani invadono la Cina o i cinesi invadono l'America, quindi lo scontro

dovrebbe rimanere sul terreno delle armi convenzionali. Ma, ripeto, ne uscirebbero tutti con le ossa

rotte e agli Stati Uniti potrebbero servire anni per ricostruire le navi e gli arzenali

distrutti in questa guerra, mettendone quindi a rischio il dominio globale, perché a quel

punto gli Stati Uniti senza più gran parte del proprio arzenale sarebbe squarnito attaccare

la Cina, non dico da chiunque, ma quasi. Quindi in conclusione, visto che tutti hanno

da perderci questa guerra, si potrà evitare o ci sarà? Beh, in realtà le probabilità

sono molto alte che questa guerra ci sia perché la Cina non può fare a meno di conquistare

Taiwan e gli Stati Uniti non possono fare a meno di difenderla, perché appunto per entrambe

le due superpotenze, Taiwan è una questione esistenziale. Non è come il caso dell'Ukraine,

per cui l'Ukraine o diventa russa o meno non cambia granché sul fronte degli equilibri

geopolitici. Taiwan, sì, Taiwan può compromettere il dominio dell'America sul mondo oppure nel

caso di conquista a gevolare il dominio sul mondo della Cina, può cambiare proprio una

era della nostra umanità. L'unica alternativa è quindi quella diplomatica, ma si tratta

sempre in questo caso di convincere con le buone nella via diplomatica. Taiwan e i Taiwanessi

a cosa? Beh, significa doverli convincere a rinunciare alla propria libertà e ad accettare

di diventare sudditi della dittatura cinese pur di evitare questa guerra. La Cina chiaramente

potrebbe pur di convincere Taiwan, assicurare l'isola, all'isola ampia autonomia se accettasse

di farsi a nettere con le buone, ma abbiamo visto come finita con Hong Kong, cui fu fatta

la stessa promessa. E dopo questo interminabile, ma credo necessario

pippone su Taiwan, ci tocca rimanere sul fronte della politica internazionale, perché stanno

facendo molto di scutere alcune dichiarazioni fatte dal presidente francese Emmanuel Macron

proprio attorno alla questione dell'eggemonia americana sul mondo e in particolare sull'Europa.

Parliamo di quello che potremmo definire un tabù per gli europei, ma che Macron, proprio

dopo la visita in Cina, ha deciso di infrangere. L'autonomia strategica, ha detto Macron,

deve essere la battaglia dell'Europa. Non vogliamo dipendere dagli altri sulle questioni

cruciali, il giorno in cui non hai più libertà di scelta sull'energia, sul modo di difendersi,

sui social media, sull'intelligenza artificiale, perché non hai più le infrastrutture necessarie,

allora esci dalla storia. Il paradosso, ha proseguito Macron, sarebbe che proprio nel

momento in cui stiamo costruendo una vera autonomia strategica europea, ci mettiamo

a seguire alla politica americana per una sorta di riflesso di panico. Colgo l'occasione

per sottolineare un punto, non dobbiamo dipendere dall'extraterritorialità del dollaro.

Allora, sia chiaro, il concetto di autonomia strategica dell'Europa per Macron è abbastanza

un chiodofisso e spose questa sua dottrina, chiamiamola così già nel 2017, alla Sorbonne.

Ma dirlo allora era un conto. Dirlo oggi, di ritorno dalla Cina, dove ha parlato con

Xi Jinping, tra virgolette, diciamo, il nemico degli Stati Uniti, in un momento poi così

delicato per il conflitto in Ucraina e per le tensioni su Taiwan, conflitti nei quali

l'Occidente Democratico deve dimostrarsi unito contro le aggressioni di due dittature, contro

due democrazie. Dicevo, beh, detto in questo contesto, suona almeno per gli Stati Uniti

molto più preoccupante questa presa di posizione in questo momento di Macron. E anche qui sia

chiaro, ognuno può farsi l'idea che vuole sulle parole di Macron, l'idea di un'Europa

autonoma da tutti, libera e indipendente, chiaramente è molto accattivante, molto

affascinante. Bisogna però tener presente un paio di fattori.

Primo, non è un caso che a sollevare questa esigenza sia proprio la Francia, perché la

Francia è l'unico Stato europeo che non ha mai abbandonato delle proprie aspirazioni

imperiali, chiamiamo così, chiamiamole così, ed è l'unico paese europeo con un proprio

arzenale nucleare. Questo per dire che la Francia negli Stati Uniti vede una specie di competitor

al proprio dominio sull'Europa. In pratica, se proprio vogliamo essere sinceri, la Francia,

quello che sogna, potrebbe non essere proprio un'Europa libera e indipendente, ma più

un'Europa che passi dalle dipendenze degli Stati Uniti alle dipendenze della Francia.

In secondo luogo, se noi europei in questi decenni abbiamo potuto dedicarci al benessere

economico e allo Stato sociale, è perché abbiamo delegato totalmente, e volentieri,

la nostra difesa proprio agli Stati Uniti. Oggi l'Europa, per il livello a cui si trovano

le proprie forze armate e teoricamente attaccabile quasi da qualunque superpotenza, proprio perché

noi investiamo sul settore militare il minimo indispensabile, tanto se ci attaccano c'è

a mio cugino americano che ci protegge e che si fa carico lui di tutte le principali

spese militari, che noi invece usiamo per il nostro benessere. Ecco, per essere onesti

e per essere autonomi dagli Stati Uniti bisogna considerare, ammesso che questo possa mai accadere

pacificamente, sia che probabilmente si tratterebbe di passare semplicemente dalle dipendenze di

uno Stato, cioè l'America, a quelle di un altro, cioè i francesi, almeno nelle aspirazioni

di Parigi, sia che poi ci toccherebbe mettere pesantemente mano al portafogli per creare

quella difesa militare che oggi non abbiamo e che nessuno, tanto meno la ricca Europa,

può permettersi l'usso di non avere.

Chiudiamo rimanendo in argomento polemiche, ma stavolta lasciamo decisamente alla politica

internazionale per scendere qualche gradino e tornare alle nostre fantastiche beg domestiche,

perché il terzo polo, quello di Matteo Renzi e Carlo Gallenda, è un passo da lo sfasciarsi

nella culla. I rapporti tra i due leader che sono sempre statitesi, poi sono migliorati

in questi mesi, salvo sfilacciarsi di nuovo negli ultimi giorni, sono completamente esplosi

proprio questa mattina, perché al centro della contesa c'è proprio la fusione tra

azione, il partito di Gallenda e Italia Viva, il partito di Renzi, per dare vita a un partito

unico, ovvero il terzo polo. Quando queste fusioni avvengono e avvengono tra partiti

molto simili e che hanno più o meno lo stesso peso, quel che succede è che si innesca una

contesa tra chi deve comandare sull'altro, visto che non è facile capire chi deve farlo

quando appunto i numeri sono più o meno simili, ed è lì che iniziano i tatticismi dell'uno

per fregare l'altro, salvo poi accusarsi a Vicenda. L'inesco del giorno scrivere pubblica

è in una parola, tatticismi appunto. I tatticismi sarebbero quelli del leader di Taglia Viva

che azione ritiene inacettabili. Renzi non vuole prendere l'impegno e sciogliere Taglia

Viva e finanziare il nuovo soggetto e le campagne elettorali attaccano da azione. Nel mirino

c'è la rimozione di Rosato alla guida di Taglia Viva e gli affari privati dell'ex-premier

Renzi a cui da ultimo si ha aggiunto anche la direzione del riformista, che lo distrarrebbero

secondo quelli di azione dalla costruzione del partito unico del libero al democratici.

La pazienza del gruppo dirigente di azione sarebbe quindi finita. Taglia Viva respinge

le accuse al mittente e rilancia. Facciamo il Congresso piuttosto e basta Belline Anonime,

da dove è partito tutto. Tutto esploso dall'annuncio di Matteo Renzi, come sapete ne abbiamo

parlato nei giorni scorsi, di voler fare il direttore del riformista. Matteo Ricchetti

chiede al leader di Taglia Viva di decidere tra politica o informazione. Quando mi telefono

a Renzi, mi parla del partito o mi intervista per il riformista, si chiede il capogruppo

del terzo polo alla camera. Con il Congresso tutti i dubbi saranno sciolti, replica il

senatore Ivan Scalfarotto, la vera ragione per cui Carlo impazzito e che ha capito che

qualcuno di noi vuole candidarsi contro di lui, confidano i renziani alla presse e che

continuano a fare il nome di Luigi Maratino, quale è possibile avversario del leader

di azione nella corsa alla segreteria. Per placare gli animi, poco fa, le due parti

hanno provato a gettare un po' di acqua sul fuoco. Dopo l'ennesimo attacco di calenda

a Ricchetti, Renzi ha chiesto ai suoi di non fare polemica tra Pella e Taglia Viva. Abbiamo

accettato tutte le richieste di azione, tesseramento, tempi del Congresso, mio passo indietro, nome

di calenda sul simbolo e soldi. Adesso andiamo avanti e si face il partito unico il Congresso.

Se calenda ha cambiato idea, lo dica. A stretto giro arriva il tweet di risposta di calenda.

La prospettiva di un partito del libero e democratici aperto inclusivo resta l'unica

via utile al Paese. Va perseguita seriamente e rapidamente con i soggetti realmente interessati,

polemiche da cortile non ci interessano e non vi prenderemo parte. Insomma, per chiudere,

però ora siamo alla ridda di accuse e controacuse. Quando Renzi e Calenda, vi ricordo, si misero

assieme per costruire il terzo polo, in tanti scommisero che questo matrimonio sarebbe

durato pochi mesi, loro smentirono seccamente e dissero che invece sarebbe durata. Non

hanno atteso nemmeno la crisi del settimo mese.

E con questo per oggi ci fermiamo qui, io vi ringrazio, vi saluto e vi do appuntamento,

a domani alle 17, con Daily Five.

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A breve potrebbe scoppiare una guerra tra Cina e USA per Taiwan. Ma cos’è Taiwan? E perché è così importante? Spieghiamo tutto dal principio.

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