Fare un fuoco: Perché i sogni aiutano a vivere

Lucy - Sulla cultura Lucy - Sulla cultura 5/19/23 - Episode Page - 20m - PDF Transcript

Questo è allora l'ombelico del sogno, il punto in cui esso affonda nell'ignoto.

La citazione è di Sigmund Freud dall'interpretazione dei sogni, un libro o forse il libro con cui

si apre il novecento e si chiude qualcosa di persino più grande di un secolo, la modernità.

Convenzionalmente la storia dell'uomo viene divisa, almeno per ora, in quattro parti,

età antica, medioevo, età moderna, contemporane età. Di questa età alla nostra la contemporane età

è come se non avessi ancora un nome. Tutte le età sono contemporane mentre accadono,

a un certo punto si rivelano e si fanno dare un nome e poi finiscono.

Quando sarebbe finita allora, sempre per convenzione, la modernità?

Secondo alcuni, nell'estate del 1914, con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale,

quell'incredibile disastro fece crollare d'un colpo la certezza tutta moderna che la storia

dell'uomo fosse un continuo progresso, una continua scesa, un continuo miglioramento delle

nostre sorti. Altri ritengono che questa data possa essere

spinta più indietro. 15 aprile 1912, l'affondamento del Titanic

avrebbe segnato sul piano simbolico la fine di un'epoca di ottimismo, di fiducia nella

tecnica e nella capacità dell'uomo di governare il suo destino.

Oppure, volendo parlare di fine della modernità in termini di collasso culturale, cioè di

crollo delle vecchie certezze, potremmo andare ancora più indietro e collocarci nel 1899,

l'anno appunto in cui Sigmund Freud pubblicò l'interpretazione dei sogni.

Sono infatti anche i grandi maestri del sospetto, come lui, come Nietzsche, Marx,

ogni scienzetti come Einstein, a fare a pezzi il vecchio mondo.

Ma il sogno, il sogno con cui si aprì una nuova epoca, che poi sarebbe la nostra,

perché oggi se ne parla così poco, cosa resta di tutti i sogni che abbiamo creduto di poter

sognare? Sentiamo forse la necessità, o almeno io, la sento, di tornare a occuparci dei sogni.

Dobbiamo avere di nuovo il coraggio di spingerci là, dall'altra parte, dove tutto sembra

tingersi dignoto, ma dove siamo forse sempre stati.

Io sono Nicola la gioia e questo è fare un fuoco, il podcast di Lucy che racconta come

le storie continuano ad accendere la nostra immaginazione.

L'idea di ritornare al sogno come oggetto di indagine è perché no, come bussola e

rivelazione, mi è venuta leggendo un libro molto bello di Vittorio Lingiardi, un libro

uscito da poco che è sentito l'ombelico del sogno. Vittorio Lingiardi ha anche tenuto

per noi di Lucy una bellissima lezione sull'argomento, la trovate sul nostro sito

e sul nostro canale, YouTube. Vittorio Lingiardi è uno psicanalista e uno

psichiatra, insegna psicologia dinamica alla sapienza di Roma ed è uno autore di libri

che a me piacciono molto e spesso in grado, tra l'altro, di cogliere molto bene attraverso

i suoi libri lo spirito del tempo, cioè i nodi particolarmente difficili da sbrogliare

dell'epoca in cui viviamo. Il suo precedente saggio, per esempio, si intitolava Archipelago

N ed era un libro sul narcisismo. Viviamo, in effetti, in un'epoca in cui il narcisismo

è incoraggiato, basti pensare ai social.

L'autora presentazione, la promozione di sé sono attività a cui è difficile sottrarsi,

a cui magari è utile, in certi casi, sottoporsi, ma è anche facile abusarne, finendo ne schiacciati,

tanto che a volte può diventare complicato capire quale sia la linea di demarcazione

che separa il narcisismo come disturbo della personalità dal narcisismo come forma di

adattamento sociale. Dubbito che un popolo di narcisisti possa risolvere i problemi

più urgenti della nostra epoca, perché sì, viviamo in un'epoca piuttosto difficile.

Un'epoca per certi versi oscura, da una parte, ci dicono, viveremmo nell'antropocene,

e questo è il nome che daremmo alla nostra contemporaneità, vale a dire, la prima epoca

durante la quale l'essere umano è in grado di determinare delle modifiche territoriali

strutturali e climatiche così profonde nel pianeta da incidere, come mai prima, sui

suoi processi geologici. L'epoca della nostra massima potenza, però, è anche un'epoca

in cui tutto ci sembra pericolosamente fuori controllo. Non riusciamo a governare, per

esempio, i cambiamenti climatici che noi stessi abbiamo innescato e che potrebbero

avere effetti disastrosi. Non controlliamo a sufficienza gli equilibri economici mondiali

e, infatti, siamo colpiti sempre più frequentemente da crisi impreviste e violente, e hanno che

la situazione geopolitica sembra sfuggirci di mano, basti pensare alla guerra in Ucraina

con i suoi horrori quotidiani. Come uomini del ventonesimo secolo stiamo, insomma, parecchio

inguaiati, perché allora tornare al sogno proprio adesso. La domanda forse però è un'altra,

perché ultimamente gli sogni si è parlato così poco. Il sogno, come stato della coscienza,

ma anche il sogno in senso figurato, il sogno di un mondo migliore, per esempio.

Provo a fare qualche ipotesi sulla latitanza del sogno, ovviamente facendome aiutare dal

vittorio l'ingiardi. Fa notare l'ingiardi, per esempio, che si dice ho fatto un sogno. Si dice,

invece, ho avuto un incubo, non ho fatto un incubo. Al massimo diciamo ho un sogno,

ma solo se lo decliniamo al presente. Il cambio di verbo, fare, avere, e di tempo verbale,

presente, passato prossimo, a seconda che si tratti di un sogno, di un incubo, segna forse un

aspetto interessante. Da molto tempo preferiamo non parlare più di sogni in senso figurato,

perché la locuzione a avere un sogno ha un connotato utopico.

I have a dream, diceva Martin Luther King. Ecco, la nostra non è considerata più un'epoca di utopie,

tanto che se vici ho un sogno rischi di essere deriso. Ma chi ha un destino più tragico in

questo caso? Chi viene deriso o chi lo deride? Arrivare a negarsi di poter sognare è terribile,

almeno a mio parere. Soprattutto però parliamo così poco di sogni credo,

perché negli ultimi 30-40 anni ci siamo persuasi, o forse un insieme di cose,

c'è persuasi che non più l'interno, cioè l'esplorazione interiore, ma l'esterno,

l'analisi del mondo, dell'esteriorità, fosse la vera dimensione da indagare per capire il

tempo in cui viviamo. Questo è successo anche per le arte, successo per esempio con la letteratura.

Siamo passati da una letteratura molto interiore, quella del novecento, a una letteratura tutta

estroflessa, quella fra novecento e ventonessimo secolo. Peccato che tutto questo non abbia

funzionato o non funzioni più. La nostra epoca è andata decisamente in crisi e ciò che sembrava

facile da analizzare, l'esterno, a un certo punto non si è fatto più afferrare. Al contrario,

a vederlo da fuori oggi il mondo sembra più che mai un posto incomprensibile e in certi

casi una sorta di cruciverba a troce. Dunque ecco, ipotizzo, che ritornare al sogno, al sogno in

senso figurato, la speranza di un mondo migliore, ma anche al sogno come stato di coscienza,

all'ombelico del sogno, a quell'orizzonte degli eventi oltre il quale si precipita davvero

dentro qualcosa di ignoto o poconoto, ma al tempo stesso di fondamentale e magari di

rivelatorio può risultare davvero importante, se non vitale.

Diverso è il modo in cui l'uomo si è avvicinato al sogno nelle tantica, in quella moderna e

in quella contemporanea, fa notare Vittorio Ringiardi nel suo libro. Nell'antichità,

ad esempio, i sogni sono messaggi che ci arrivano direttamente dagli dei,

i quali, tuttavia, sono dei messaggeri inaffidabili.

Odissea, 19. libro. Uno straniero si presenta a Penelope. È Ulisse, ma lei non lo sa.

Sente però un istintiva fiducia nei confronti di quest'uomo, tanto che gli parla di sé e gli racconta

un sogno. Anzi, gli chiede di interpretarlo. Odisseo non ha dubbi. L'Aquila, che nel sogno di Penelope

sgozza venti oche bianche, non può che essere il marito che torna alla reggia, e i broci sono le

venti oche. Lei però è cauta. Straniero, dice, sono inspiegabili e ambigui i sogni.

Aggiunge, Penelope, che due sono le porte da cui i sogni fanno ingresso durante il

sonno. Una ha i battenti di corno, l'altra via vorio. I sogni che passano dal candido a vorio

avvolgono la mente di inganni. Quelli che passano dal lucido corno, invece, sono fidati e si avverano.

Dunque, i sogni per gli antichi sono nel migliore dei casi delle premonizioni. Se guardi bene

dentro di essi, vedrai il futuro, e questo potrà aiutarti a capire in anticipo che cosa dovrai fare.

Calpurnia, la moglie di Giulio Cesare, ebbe un sogno premonitore, il giorno prima delle

Idi di marzo. Il giorno prima, cioè, che suo marito venisse assassinato. Peccato che Cesare non

le diede a scolto. Nel peggiore dei casi, però, i sogni sono ingannevoli. Sono quelli che passano

ingannevolmente dal candido a vorio. E se gli presti troppo a scolto, potrai finire, nei guai.

Con Aristotele c'è un cambiamento epocale. Passiamo dal sogno come manifestazione divina al

sogno come prodotto del sognatore. Lente di ingrandimento sulla nostra vita psicofisica.

Aristotele ha insomma laicizzato la dimensione unirica e ha fatto del sogno un oggetto della

psicologia. Il sogno è l'attività psichica dell'uomo addormentato. I sogni sono nostri, non degli

dei. Ma ne siamo sicuri? Certo, per Freud è così. Il sogno in questo caso non viene dal futuro,

ma dal passato. Viene dai nostri traumi, dai rimossi, dalle scene primarie dell'infanzia. Il sogno

come svelamento, smascheramento, come sigillo alle nostre paure, un sigillo da rimuovere o come

allegoria delle nostre pulsioni più inconfessabili. Un concetto molto Aristotelico.

Mi domando però se per esempio invece con Jung non sia possibile, certo in maniera nuova,

attuale, laica, se non sia possibile saldare il presente con l'antichità. D'accordo,

i sogni non vengono dagli dei, sono il prodotto del sognatore. Però sono anche il prodotto dei

sognatori, di noi intesi come collettività, come genere umano. Lo sguardo di Jung è rivolto sia

alla soggettività del sognatore, sia alla sua, cioè alla nostra appartenenza, per così dire,

a un respiro più ampio. L'inconscio collettivo. L'equivalente allora di ciò che per gli

antichi era la materia divina, cioè la materia non personale dei sogni, per noi potrebbe essere

l'inconscio collettivo, ma forse possiamo leggerle in modo ancora più vertiginoso.

L'inconscio non è soltanto il ricettacolo di esperienze personali rimosse, ma anche il luogo

di una psiche che affonda le sue radici nell'antichità genetico-culturale della specie umana.

Il sogno, mi domando allora, potrebbe dunque forse essere anche la porta che ci collega non

soltanto alle nostre radici umane, ma anche alle nostre radici pre-umane, a quando non eravamo

ancora sapi e smauminidi e prima ancora magari pesci. In fondo anche gli altri animali sognano.

Cosa è rimasto dentro di noi allora di tutto questo? Philip K. Dick si chiedeva,

nel suo libro più celebre, se gli androidi sognassero delle pecore elettriche. Noi potremmo

provare a spingere questo interrogativo per gli umani verso un passato forse persino più

misterioso del futuro immaginato da Philip K. Dick. Gli umani nel sogno sognano anche i sogni e pensano

i pensieri dei loro antenati non umani? Al di là di questi miei interrogativi sono tante le

suggestioni in cui ci accompagna Vittorio Lingeardi nel suo libro. Ci parla per esempio dello psicanalista

britannico Wilfred Bjorn. Per lui, il sogno, non è un modo di proteggere il sonno dando

soddisfazione segreta ai decidere infantili, come direbbe Freud, né una rivelazione mitopoietica

scaturita da un inconscio taumaturgico, come direbbe Jung. Per lui, Wilfred Bjorn, il sogno è un

laboratorio, una cucina, un apparato digerente sempre in attività. È una forma poetica,

un incontro armonico di corpo e mente. Grazie ai sogni, dice Bjorn, possiamo elaborare e trasformare

impressioni sensoriali ed emotive grezze in componenti mentali capaci di rappresentare e

simbolizzare la realtà. Insomma, l'attività onirica è elevata a elemento strutturale della vita

mentale. I sogni sono necessari per pensare i pensieri. È un bellissimo concetto. Forse,

però, il mio personaggio studio so preferito, fra quelli evocati da Vittorio Lingerdi nel suo

libro è Thomas Hodgen, psicoanalista 76n che vive e lavora a San Francisco.

Per Hodgen scrive Lingerdi, il sogno è una conversazione interiore continua, notte e giorno.

Come l'isistenza delle stelle non si limita alle ore di buio, così il nostro sognare è

un'attività della mente presente anche quando i sogni sono apparentemente oscurati dal bagliore

della vita da svegli. Così concepito, il sogno non ha più solo a vedere con il processo attraverso

cui si rende cosciente l'inconscio. Piuttosto, si tratta di rendere inconscio il conscio,

cioè immergere l'esperienza cosciente nei ricchi processi di pensiero della vita inconscia.

Immergere il conscio nell'inconscio. A me sembra l'invito a una bellissima

avventura che per paura e diffidenza ci stiamo forse negando da troppo tempo. Certo,

lì sotto potrebbe esserci anche un incubo, o forse ciò che ci sembra un incubo una volta

superato lo spavento iniziale si rivela poi una dimensione piena di possibilità.

Che fare dunque della nostra epoca? Un'epoca che, come dicevo, ci appare non solo pericolosamente,

ma anche tristemente fuori controllo. In una situazione del genere dovremmo stare perennemente

ben svegli, certo? Eppure lo stato di veglia non è forse sufficiente da solo a farci fronteggiare

i problemi del nostro tempo. Dovremmo forse provare ogni tanto a far tuffare il conscio

nell'inconscio, a immergere almeno un po' la veglia nel sogno.

Nei sogni del resto, scriveva Delmarsh Farts, cominciano le responsabilità.

Fare un fuoco è un podcast settimanale di Lucy, scritto e condotto da me,

Nicola LaGioia. Le musiche originale, il montaggio e il sound design sono di

Sharon DeLorean. La cura editoriale è di già d'arena e Lorenzo Grammatica. A venerdì prossimo.

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Perché abbiamo smesso di parlare dei nostri sogni? Possono aiutarci a immaginare un mondo migliore? Con l’aiuto dello psichiatra Vittorio Lingiardi, nella sedicesima puntata esploriamo questa dimensione dove tutto si tinge d’ignoto, ma le possibilità sembrano infinite.

Fare un fuoco è il podcast di Lucy che racconta come le storie continuano ad accendere la nostra immaginazione. Ogni venerdì una nuova puntata, scritta e condotta da Nicola Lagioia.
Le musiche originali, il montaggio e il sound design sono di Shari DeLorian, la cura editoriale è di Giada Arena e Lorenzo Gramatica. Si ringrazia Spreaker per il supporto tecnico.

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