ONE MORE TIME di Luca Casadei: Paolo Crepet, lo psichiatra non è per i matti

www.repubblica.it www.repubblica.it 5/11/23 - Episode Page - 56m - PDF Transcript

Maske non è un proletario, è uno che fa miliardi e gli fa bene a modo suo, però è che fa

Babbo Natale quando dice che compra Twitter, perché fa bene all'umanità, è un simpatico,

però no, non è esattamente così, è quello che lui vuole, è questo che tutti stiano,

su 280 caratteri quanto sono oggi Twitter, la democrazia è una cosa molto complicata,

su cui bisogna ragionare, il futuro è complessissimo da qualsiasi punto di vista.

Purtroppo non esiste una scuola che ti insegna a gestire il successo e per questo ho deciso di

realizzare questo podcast che parla di rinascita facendo un viaggio nella vita di personaggi

noti che mettono a disposizione la loro storia per aiutarci a cadere meglio.

Oggi avremo il piacere di fare un viaggio con Paolo Crepe, uno psichiatra burbero quanto

umano che ha vissuto l'esperienza di guardarsi dentro durante questa intervista.

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Io sono Luca e questo è One More Time.

Allora, la liturgia di One More Time è partire dall'inizio, dare valore ai fallimenti,

ai momenti bui perché sono formativi nella vita delle persone e quindi io le chiederò

e la prima volta che do del lei, però giustamente per rispetto della bocca di differenza di età

lo faccio.

Quindi mi piacerebbe parlare molto con Paolo Persora.

Ma quando nasce e dove?

A Torino in un posto che si chiama Corso Sommeillé che io ricordo molto bene perché io ho degli

stranissimi ricordi direi quasi prematuri nel senso che ricordo delle cose che normalmente

non si riesce a focalizzare perché sei veramente piccolo però non so perché ma sono stato molto

prematuro da punto di vista della curiosità delle cose e quindi ricordo perfino quell'età.

Io sono poi andato via da Torino, credo a 5 anni.

In che famiglia nasce, nel senso che genitoria ha avuto da un punto di vista di coccole,

di amore fisico?

Intanto io vengo da una famiglia di artisti nel senso che i miei nonni erano 3 su 4 artisti

nel senso che mio nonno e mia nonna paterna lo erano, mio nonno materno lo era.

Diversi, molto, un intellettuale dell'arte e un artigiano dell'arte.

Un artigiano, però sì.

Un ceramista, giusto?

Un ceramista, ma lui faceva di tutto, sapeva fare tutto perché all'epoca quegli uomini

avevano delle mani prodigiosi e poi chi arrivava lì era iperselezionato nel senso che le

accademi erano un luoghi dove non facevano andare avanti, chi non sapeva disegnare, chi

non sapeva farle a chi, il mio nonno, i miei nonni entrambi facevano anche cose molto

difficili, tipo per esempio l'acquorello, l'acquorello è una tecnica pazzesca, basta smagliare

una pennellata, buttivi al foglio, e allora la carta costava.

Quindi questo è il mio habitat, il mio padre, il professore universitario, medicina, si

era laureato a Firenze perché nel frattempo il mio nonno si era trasferito a Firenze,

prima Luca, poi a Firenze, ha insegnato l'academia Limeo, poi si è laureato lì prima della

guerra, poi c'è stata la guerra, poi c'è stato dopo guerra, poi è arrivata mia mamma,

un gran ballo del circolo ufficiale.

Ma a Coccole come era messo?

Era messo bene perché mia nonna romagnola non era forse hyper affettuosa, nel senso

di come si pensa adesso Gigi Gigi Gigi Gigi Gigi, quella robina l'ha, no, però la carezza

e il complimento, quelli miliardi, miliardi, però con una certa sobrietà, a me non mi

ha mai mancata quella vicinanza che sapevo che c'era, nel senso che c'è sempre stata.

Ma andava interpretata o era dichiarata, nel senso c'era?

No, era molto da interpretare, no, dichiarato c'era fuoco, no, no, ti voglio bene, queste

cose qua, sì, ovvio che sì, ma non le ricordo.

Nel senso buono, nel senso che c'era il bene e non c'era il ti voglio bene.

Ok, e poi quindi cambia città all'età di cinque anni?

Padova, ok.

Padova, perché mio papà ha cominciato a insegnare lì, poi ha fatto una grande carriera,

una città di Padova.

Padova era ovviamente vicino a Venezia, quindi vicino alle sue radici, alla sua città,

perché lui era nato da Venezia, Veneziano, mio nono, mio nono, eh?

E quindi si hanno tornati volentieri lì.

In realtà poi mia mamma, che era cresciuta al mare, la Pesaro, ha sempre maldigerito

quella nebbia, perché poi la Padova degli anni 50 e 60 era la Padova padana, culturalmente

non strepitosa, perché era molto bigotta, molto anche ipocrita.

C'era una piccola parte in cui mio padre era inserito, che era una piccola parte dell'academia

laica per cui l'esercizio della libertà ha lo conosciuto lì da subito.

Figlio unico?

No, mio fratello Matteo ha due anni più di me.

E che rapporto avete?

Buono, buono, anche se siamo lontani, viviamo lontani, viviamo anche due vite molto diverse.

Ogni volta che ci vediamo scopriamo la bellezza anche di tante cose che abbiamo vissuto assieme,

essendo lui più grandi di me, faceva un po' da rompi, ghiaccio, da ragazzini qui.

Giucavate insieme quando eravate ragazzini?

No, no, no perché io avevo dietro casa mia,

a frazzo della valle che è un luogo meraviglioso.

Dietro c'erano i preti dell'Antoniano che erano per noi da punti di vista familiari,

poco interessanti da punti di vista della cultura e delle potere enorme che avevano in città.

L'Antoniano c'è passato anche a Mario Draghi, era l'establishment vero.

Mio padre faceva parte dell'establishment, ma di quello meno genufresso vedevano così.

E io davo dai preti perché c'erano i campi di pallone, c'era spazio,

ed era cinque minuti dal cancello di casa mia,

per cui mi potevo sfogare questo, credo, che fosse importante,

perché erano molto ribelle, avevo bisogno di spazio,

mentre mio fratello era molto più riflessivo, molto più ponderato.

Sì, mio fratello è all'interno, io sono all'esterno.

E con chi si confidava di più tra suo padre e sua madre quando era piccolo, adolescente,

o quando c'erano dei problemi che era la spalla, semmai ce ne fosse stata una?

Non nel senso classico del termine, ma il mio padre no.

Il mio padre era, me lo sono goduto anche così,

nei suoi ritorni alla sera, dall'ospedale, le chiacchere, era molto ironico,

perché mio nonno a sua volta, mio nonno era sarcastico, che era diverso.

Mio padre era ironico, mia madre era una donna...

Si vedeva che era cresciuta non lontano della Romagna,

nel senso che era una che ti tirava fuori problemi,

per cui con lei certo ha parlato, però non c'era la moda di...

per questo poi nella mia vita professionale ha sempre dettato i genitori amici,

perché penso che non ce ne sia, gli amici sono quelli con cui giochi a pallone.

Per amici magari è la complicità di non avere un giudice,

ma avere una spalla con cui confrontarsi.

Sì, sì, ma vi ho risultato anche giudicato,

nel senso che era anche giusto che qualcuno mi giudicasse o valutasse,

dipende dai verbi, perché io era veramente complicato.

Cioè, io nella mia vita ne ho schivate tante,

a volte ne ha anche proprio schivate, prese,

e ho cominciato da ragazzino che studiavo poco,

perché non trovavo passione,

sì, le medie, il liceo, queste cose qua.

Mi interessavano più i ragazzi e le ragazze del liceo,

o anche qualche professore del liceo mi interessava,

mi piaceva, mi affascinava,

ma non le materie,

le materie poi ho dovuto cercarmelo un po' da me.

Schivare vuol dire che qualche botta l'ha presa da piccolo?

Beh, sì, penso proprio di sì,

nel senso che da sempre,

cioè io mi sono spacchato da una volta un taglione,

perché ho preso una ringhiera.

Non ho intendevo se suo padre l'ha picchiana?

No, no, no, no, no, no, no.

Botte, perché era esagitato, è semplicemente questo?

No, no, botte nel senso che sono andato a fare la miglior creta.

No, no, le cose che succedono ai bambini agitati.

Da questo punto di vista,

mio padre e mia madre erano due persone

che non hanno mai avuto bisogno di usare la violenza,

perché c'era autorevolezza in loro,

c'erano delle regole molto precisi.

Stavano a sguardo una frase attorria, normalmente.

Se si tornava più tardi del previsto,

c'erano delle conseguenze,

ma non le botte,

botte non so neanche cosa vogliono dire,

né io ho mai venato, quindi...

Dalla poca voglia di studiare nella adolescenza,

dove ha trovato poi lo spro nello stimolo per andare all'università?

Ma molto anche andando a trovare il mio padre all'ospedale,

perché l'ospedale lui lavorava era una cosa molto felliniana,

nel senso che era molto moderna,

poi che era stato costruito negli anni 60,

era molto da vanguardia,

e il mio padre faceva il medico del lavoro,

quindi all'epoca c'erano overeanime,

exminatori,

gente che faceva cuoio,

che si ammalavano, morivano come le mosche,

e quindi c'era questa idea della cura,

c'era questo popolo,

poi il mio padre è un vecchio socialista,

per cui si trovava,

sguazzava bene contro quelle persone,

io vedevo questa riconoscenza che la gente aveva

nei suoi confronti,

e poi c'erano dei luoghi,

che sono stati luoghi della mia fantasia,

per esempio il cinematografo,

perché al piano credo terra,

o addirittura sotto terra,

mi ricordo, c'era una grande sala di cinema,

dove io la domenica andavo spesso,

c'erano dei film imperdibili,

perché ovviamente facevano maciste,

Spartacus,

Hercules,

e tutto quella serie lì,

e quindi sero io,

credo anche il mio fratello,

e poi tutti gli altri erano,

spesso di moribundi, che stanno.

Ma cosa la tratta di quel momento,

il fatto che suo padre fosse una figura utile,

che lo vedevano come una persona,

quasi come un super eroe,

nel senso che poteva fare qualcosa per il prossimo,

o perché, sentiva il forte,

bisogno di dare un contributo all'umanità,

non nel senso intorno, nel mondo della vecchina?

No, ma il tuo padre è che doveva piacessero le persone,

le storie delle persone,

le storie delle fabbriche dove lui andava,

perché ovviamente l'attività non era solo in un ospedale,

e questo poi me le riportava,

nei suoi racconti, nelle sue cose,

però vede, la mia famiglia

ha stata una sorta di luogo

dell'understatement.

Cioè nel senso che tutti facevano qualcosa,

ma nessuno lo diceva.

Per esempio, io ho scoperto di mio annonno,

quello paterno, che aveva lavorato con modigliani,

credo 15 anni fa.

Lo scoperto io, attraverso delle mie ricerche

vicino a Firenze,

dove c'era un signore che aveva collezionato

le cose di mio annonno,

e mi consegnò queste lettere,

che modigliani aveva scritto dei suoi amici a Livorno,

perché da Livorno era andato a Venezia,

poi da Venezia andò a Parigi,

e parlava di questo signore simpatico,

Csarsin Signore, suo coetane,

un ragazzotto che gli faceva vedere a Venezia,

perché ovviamente è stata una guida per lui...

Come si chiamava?

Angelo Maria.

Per me è sempre piaciuto molto questo fatto

di non sbandierare,

di non fare quello che...

Cioè, mi ho pensato mille volte,

ma uno non so se gli fosse capitato

di prendere un caffè con Picasso,

avrebbe rotto le pale per 40 anni,

da dire, girava lo zucchero in quel mondo.

Invece uno sta a due o tre anni

con un genio del 900,

il bello è che non dice nessuno,

io l'ho trovato, fantastico.

In un mondo che si sbandiera per nulla,

chi invece ci avrebbe,

gonfaloni e bandierone,

lo tiene per sé,

perché poi ho capito che era una cosa sua.

In realtà non c'entravano i libri di storia dell'art,

non c'entravano una vicenda umana

che è molto sofferta,

questo l'ho capito profondamente,

sofferta, perché erano due ragazzi

che hanno dovuto decidere dove andare.

Da una parte si scopriva il mondo,

e dall'altra parte il mondo stava finendo,

e Venezia era quello che stava finendo.

E a proposito di musici spiratrici, geni, mentori,

lei ne ha avuto uno nella vita?

Una guida in particolare che è basaglia.

Cosa vuol dire un mentore?

Vuol dire che ti attrae,

ti affascina in un mondo che non avevi considerato prima,

cioè ti fa diventare compulsivo in un qualcosa

che fa parte in modo totalitario della tua vita?

Che cosa significa avere un mentore?

Un appuntamento.

Ok, costante.

Un appuntamento che tu cerchi

perché non devi cercare, non viene da te.

Ma come si fa a farsi che questa persona

ti dia la disponibilità?

Vuol dire che deve essere anche lui attratto da lei?

Ma certo, no, no, ma io ho sempre stato un po' snob,

e ho sempre avuto anche un pessimo carattere.

E in questo io, lui, ci assomigliava molto,

perché basaglia è una persona non facile.

Ricordo l'itigata e fu ribonde per i suoi amici

che andavano avanti fino alle due, alle tre di notte.

No, sulle cretinate, sui massimi sistemi,

sulle grandi.

Questo mi affascinava molto,

ma anche personalmente era una persona così ardita,

era ardita anche come carattere.

E poi era anche lui enorme, metà ironico,

uno che non è in giro tutti.

E con me probabilmente non lo so,

perché poi lo deduco dai fatti.

Aveva trovato così una solta di giovanotto simpatico

con cui c'erano tante affinità.

Per esempio, io e lui siamo andati in giro per il mondo,

sempre a cercare botteghini,

piccoli negozi di antiquariato.

Ci piaceva contrattare il prezzo, poi non comprare niente.

Insomma, lui era più vecchio di me,

ma eravamo due ragazzi interessanti.

Il suo ruolo era farla spugna silenziosa?

Il mio ruolo era San Giappangia.

Qualcosa che le si porta ancora dentro che lui le ha insegnato?

Ma mi ha insegnato a non essere basagliano, per esempio.

Lui diceva, fai di tutto, ma non essere me stesso.

Non che se lo trovai molto interessante,

nel senso che un po' come si dovrebbe dire oggi,

non seguo la moda, ma ho un mio stile.

Questo sarebbe molto interessante,

declinato proprio in questi giorni,

questa era che tende molto alla moda

e poco alla declinazione di sé.

Entriamo nel percorso di studi,

ma molto velocemente per poi arrivare

a entrare in profondità in delle cose che vorrei sapere.

Quindi, la prima facoltà che frequenta, la prima laurea?

La medicina, a un certo punto,

siccome mio padre era prassi la facoltà di medicina,

mi capitavano queste cose che io detestavo.

Cioè, una solita domandina, ma lei è parente di.

E allora, la terza che mi hanno detto,

io ho detto a mio padre che mi ha andato via,

e lui non ha detto niente.

In realtà, sono andato a Verona,

ma non a caso, perché lì c'era

il più grande neurologo italiano

che si chiama Poso Arterzian,

con cui mi sono laureato, che era un geniaccio incredibile,

amico fraterno di Franco Marzaglio.

Armeno, quindi figlio del mondo,

è un uomo che non sapeva cosa voleva dire,

provincialismo,

con la gente che sapeva quattro lingue,

che passava da Pirandello ai neuroni,

con molta facilità.

E da lì fa una seconda...

E da lì, no, da lì, poi,

ho pensato che dovevo lavorare subito,

perché avevo furia di andarmene via,

andai a Darezzo, dove, in realtà,

ero già stato da studente,

perché c'era uno di questi manicomi

cosiddetti aperti,

mi interessava lavorare lì,

e così presi una stanza

con lavandino incluso.

Mi ricordo che in quella assoluta miseria,

perché poi veramente, se ci ripeso,

non c'era niente.

E ero felice.

Cosa hai imparato da quel ambiente?

Da un manicomio.

Il manicomio era un posto, per me,

straordinario, perché da un lato c'era

la sofferenza pura,

e non quella così delicata,

c'era quella pura, c'era proprio...

Poi, perché era un luogo studiato

da mezzo Europa, per cui venivano,

da ovunque, c'erano ragazzi e ragazze,

c'era il lavoro, ma io non ho mai capito bene

cosa fosse il lavoro, cosa fosse il non lavoro.

Poi, siccome il dolore era parecchio,

aprivo una galleria d'arte

per confortarmi verso sera.

Quindi avevo conosciuto questo grande...

è stato uno dei più grandi antiquari italiani

che stava là e che mi aveva preso in simpatia,

e ha detto, tu vuoi fare una galleria,

ti do il mio fondo, che era un fondo coitrusco, meraviglioso,

dove io per qualche anno tenne questa galleria d'arte,

non guadagnai una lila, ovviamente, però era divertente.

Cioè, un sacco di artisti che sono venuti,

è stato molto bello per me,

perché ho sempre tenuto insieme queste cose,

non ho mai potuto scindere.

Quando sono dato in giro per il mondo,

ho sempre cercato qualcosa che avesse che fare

bellezza con l'armonia, con l'incanto,

con queste cose qua.

Non ho mai amato essere chino sul lavoro,

ho sempre pensato che lavorare

possa tenere gli occhi in alto.

L'estetica, la creatività.

La creatività, io sono sempre stato uno.

Poi disposto sempre a qualsiasi cosa,

e poi, detta pensata dopo, avevo ragione.

Per esempio, una svolta della mia vita

è stata una bistecca,

nel senso che il direttore del Manicomio

era arrivato da un non-molto.

Io sapevo già bene l'inglese,

perché ero stato all'Ondra,

figlia da ragazzino che da studenti di medicina.

Quindi mi chiamò, dicono,

mi dicono che sei bene l'inglese.

Dice, cosa fai stasera? Niente.

Ci va una bistecca,

per me una bistecca era come mangiarsi tre tartufi.

Quindi vieni in questo posto,

diciamo, signore, così ti metti vicino,

fai due chiacchi, traddini un po'.

E così incontrai questo nuiosissimo signore,

che non sopare neanche chi fosse,

ma neanche chi è stato in realtà chi fosse.

Il giorno dopo mi dissero che era il numero uno

degli psichiatri del mondo,

perché era il capo della organizzazione moderna

della sanità, per la parte salute mentale.

Prima di andare via questo signore,

io evidentemente gli ero simpatico

per come mangiava la bistecca, non so,

o per il mio inglese.

E mi ha detto, ma tu vorresti fare un concorso?

Io senza niente sapere cos'era, in realtà.

Ho detto, ma certo,

se mi avessero detto,

vuoi andare in Sara, in bicicletto,

io ho detto, perché no,

cioè io non ero...

Concorso era?

Era un concorso dell'organizzazione moderna della sanità,

per uno studio che è stato un studio importante,

si chiama International Stadium Schizophrenia,

che è stato, forse,

il lavoro più importante nel campo delle psicose.

Io lì cominciai a lavorare,

dall'India all'ingleterra.

Lì hanno cominciato i suoi viaggi?

Beh, avevo già cominciato da giovanotto.

Però da turista, esploratore curioso, non per lavoro?

Sì, dai ragazzi, con le cose, ovvio.

Non stavo certo a pado a grattarmi la testa,

quindi poi io sempre avuto amori e amicizie

che andavano verso da qualche parte.

A me le persone stantie, proprio un po' si,

quattro chiacchere in nosteria,

però poi non ne potevo più.

Quindi questa cosa qua è avveduta,

ovviamente, poi quello è stato anche

un 3D Union con Franco Basaglia.

Poi ci sono state delle altre strane coincidenze,

per esempio con i fotografi,

perché la mia vita è stata strana, devo dire.

Questo che arrivò, che si chiama Remonde Pardonca,

ancora vivo, è uno dei più grandi fotografi del mondo,

venne Manicomio perché avevamo pensato

con Franco di che bisognasse fotografare

per far capire alla gente che cos'era,

Manicomio, se non ci credevo.

Questo arrivò e da lì inizia una grande amicizia.

Lui era già, aveva fondato Gamma,

che era stata la più grande agenzia di fotoreporter del mondo,

ai tempi della guerra in Algeria,

e poi entrato a Manicomio,

l'empireo dei fotografi del pianeta.

E lui è un tipo superaticissimo,

con cui avevamo sempre continuato,

poi ad avere più o meno rapporti per Igi, etc.

Questo mi apri un'altra cosa,

perché poi morto Basaglia con Renato Nicolini,

che era il famoso assessore romano,

quello dell'estate romana,

follie più strabilianti,

dei poeti maledetti sul lungo mare, di vicino Ostia.

Siamo state cose epiche.

E poi era l'aroma che ancora trassudava,

non dico Fellini,

ma tutto il resto, sì, da Monicelli.

Quindi era una Roma meravigliosa,

in cui arriva il 1979 con Franco Basaglia,

lui poi morì,

e io sono rimasto lì in qualche modo,

non so, perché qualcuno mi diceva,

rimani lì almeno apparentemente.

E quindi organizzai questa mostra,

che si chiamava Inventari di una psichiatria,

che è stata la raccolta di tutti i più grandi fotografi

che hanno fotografato la follia.

La follia, anche in senso dei frecchi,

dei mostri, di quelli strani per la città.

E poi mi telefonò la cosa enorme,

mi telefonò l'ambasciata americana,

chiedendovi di andare là,

io subito pensavo,

ho anche fatto qualcosa nell'ultimo viaggio.

Invece mi volevano dare un premio,

che era Lifetime,

che era una più grande rivista di fotografie dell'epoca,

come migliore mosa di fotografie.

A questo è stata una cosa interessante,

perché è cominciato in un maniera

che nessun altro poteva pensare che cominciasse così,

cioè fai lo psichiatra,

nel frattempo mi era lavorato in sociologia urbano,

fai lo psichiatra, fai queste cose,

poi ti occupi di fotografie,

sembrava quasi che uno buttasse via del tempo,

invece non stavo guadagnando.

Non le hanno detto che Franco Basaglia era morto,

lei dove era in quel momento?

Ero, sapevo che stava male,

avevo anche visto che era tornato a casa sua,

che l'avevano riportato a casa.

Io l'ultima volta che l'avevo visto, diciamo così,

come ci ho parlato, è stato il 2 agosto del 1980,

ma il 2 agosto del 1980 era a Bologna

e scoppiò la stazione.

Io devo prendere quel treno, no,

quindi è stato un giorno intenso.

Pessa, vedere a questa gente squartata,

non è proprio quello che ti aspetti

la mattina quando ti svegli, no?

Sapevo che non sarebbe stata una giornata facile.

E io ho preso la prima opulma,

successe le 10-25, come qualcuno si ricorderà,

e andai a Venezia con il primo opulma,

perché non c'erano più treni,

portò a Ferrara, pomeriggio, tardi,

e poi arrivai a Venezia, qui 2-3 giorni,

rimasi lì, e poi lui morì, mi pare il 30 agosto.

E io lo seppi, ma non era una sorpresa,

nel senso che era quello che sapevo che credo.

Lui è stato male con me a Berlino,

prima volta che è stato male.

Mi ricordo che è stata bellissima,

passeggiata fino a arrivare al muro di Berlino,

imprecco contro il mondo,

perché quel muro era l'emblema dell'egoismo dell'uomo.

E io gli disse, ma tu sei l'unico che non dovresti

parlarmare di quei muri, perché lei buttati giù?

E lui disse, sì, si butta giù un muro,

poi se ne fa un'altra.

Ancora più alto.

E guardando verso Oriente oggi,

sappiamo che c'è un muro da febbraio.

Che cos'è l'amore per lei?

Cosa significa l'amore per lei?

Ma tante cose.

Creatività, complicità, divertimenti, eronia, sorpresa.

Io ho amato tante persone,

ma per me l'amore non è solo l'atto sessuale,

mi sembra abbastanza limitativo,

anche perché tendenzialmente si ripete.

Mentre tutto il resto, no.

Quindi come puoi mangiare un hot dog a Long Beach,

è quando ti ricapita.

Quindi se sei uno che va a Long Beach,

se sei uno che incontra delle persone strane

e ti dicono facciamo questo, facciamo quell'altro,

ma io non è che sono stato uno che seguiva i groppetti,

anzi non sono sempre stato un po' delicatuccio

da questo punto di vista.

Però era interessante il fatto che quanto più tu sei generoso,

poi la gente è generosa con te.

In termini di esperienze di vita, di racconti di vita,

di disponibilità, di sguardi.

Questo è avvenuto tanti anni e continua ad essere naturalmente,

penso che non debba finire mai,

perché credo che le persone che ti raccontano delle cose,

sono le persone più preziose.

Non ho mai scelto le persone da punto di vista social, economico,

un po' come con l'andestatement della mia famiglia.

Ne potrei mai dire delle persone importanti che ho conosciuto,

perché secondo me sono cose mie.

E da uno di questi amori nasce sua figlia, la sua unica figlia.

Che cosa aveva di diverso quell'amore rispetto agli altri

per prendere questa grande decisione di vita?

Ho avvenuto così, eravamo ragazzi abbastanza giovani,

tutto sommato.

La madre Madalena è una persona che lavorava nel restauro.

E' sempre un incrocio con l'acqua in tutto.

Non sarebbe possibile.

E poi, sì, un rapporto che poi si è evoluto in maniera

con delle discontinuità, finale,

in senso che poi le due strade si sono separate.

Madalena, non lo so.

Io non amo parlare di lei, in senso che...

De la mamma di Madalena o di Madalena?

Tutte due, soprattutto di Madalena.

La mamma di Madalena è ormai.

Siamo due persone di una certa età che possono prendere un tè.

No, di mia figlia, perché ho sempre il tibolo di invadere.

Lei ha 27, 28 anni.

E che rapporto avete?

Non lo riesco a decifrare.

No, infatti non è decifrabile.

Ed è giusto che sia anche poco decifrabile,

perché non mi piace che sia.

È anche molto conflittuale, in senso che come è ovvio che sia.

Avendo io un caratterazzo, è ovvio che questo non sia limitato

solo a qualche amico o a qualche persona con cui il lavoro.

È proprio omnicomprensivo.

Poi magari mi sciolgo via via.

Però io ho un approccio molto anche severo, per certi versi,

ma perché la mia vita è stata severa come non è stata una passeggiatina

così di salute.

Mia mamma è morta, giovane, inaspettatamente.

Lì non c'era nessuna previsione che potesse essere fatta.

Quindi è stato un troncare, un rapporto formidabile,

perché era un rapporto a distanza, ma di grande complicità,

di vera grande complicità.

E quindi quello ho dovuto, come con Franco Basale,

ho dovuto ricontinuare io come se un attore,

provvisamente, dovesse fare due parti,

non solo quello che c'era sul cupione.

Ho detto che lei, nel suo percorso professionale,

guida molte persone a guardarsi, penso innanzitutto, dentro.

Lei lo fa mai su se stesso?

Purtroppo.

Inevitabile.

No, perché da quello che mi diceva di sua figlia era come io sono fatto così.

No, no, ma non è che mi accetto.

Io sono fatto così e sono in conflitto così,

nel senso che io mi chiedo.

Non sono uno che lei non sa chi sono io.

No, che si è consapevole di quelli che sono i perimetri del suo essere,

ne sono assolutamente convinto.

Volevo capire se lavorava volte per allargare i confini.

Beh, quello lo fanno agli altri.

Sono gli altri che ti aiutano a allargare i confini.

E lei è disposta ad ascoltarli quando lo fanno?

Sì, esatto.

Anche i miei pazienti sono stati formidabili con me.

Nel senso che...

Come avrei mai potuto incontrare tutta quella vita?

Ma neanche vivendo mille volte.

Devece una volta può piovarti e vedi se tu fai un lavoro che non è mica male,

perché tu vai a teatro.

Ci sono degli attori, attrici, spettacolari,

che raccontano le loro vite e poi alla fine ti pagano pure.

Sì, un po' è così.

Infatti io sono sempre molto riconoscente di quella persona che magari per una volta sola è venuta.

Ma questo avviene nella mia attività di psicoterapeuta,

ma avviene anche così.

Io faccio talmente tanti...

3.000 o 8.000, non mi ricordo più.

Serate, conferenze di varie umanità, diciamo così.

E ogni volta succede qualche cosa di strano.

Io non dico mai di no, sa perché?

Perché se tu dici solo al teatro imperdibile di Milano o di Torino,

quella potresti anche evitartela effettivamente,

è talmente tutto previsto e prevedibile, anche un po' scontato.

Invece vai nel paesino, nella frazione degli appenneni.

Pensi che l'altro giorno sono stato in un posto che io conoscevo da giovane,

che si chiama Anghiari, che è un teatro meraviglioso,

e c'era talmente tanta gente che io non lo sapevo,

ma il sindaco aveva fatto ripire il teatro.

E poi dice mezzo, io pensavo di aver finito.

E invece c'era la piazza piena, sono andati via i primi, sono tornati i secondi,

quindi io faccio due conferenze, l'ho trovato meraviglioso.

Dice mezzo, ho cominciato la seconda conferenza

con tutti quelli che stavano aspettando dalle 8, dalle 7 e mezzo.

Non lo dico per vantarmi, ma lo dico perché è veramente

qualche cosa che non puoi saperlo prima.

Visto che lei ha detto che è una grande dote che lei ha

e che le hanno insegnato e l'ascolto, a ascoltare tanto,

voglio sapere se lei ha permesso a sua figlia di dirle realmente

ciò che pensava di lei e se lei l'ha ascoltata in quel momento.

Ah sì, ci sono stati dei... non è un lavoro continuativo.

Ma questo non potrebbe esserlo, ma non è di questo che...

anche come mio padre io non ho fatto delle conferenze.

Cioè non avete mai avuto un vero confronto?

Sì, ma... ma momenti, non vieni qua che adesso parliamo

per carità, è successo... poi l'ascolto non vuol dire ascoltare parole.

L'ascolto secondo me è ascoltare con gli occhi,

ascoltare quello che vedi, che è una cosa molto importante

e poi anche non dirmi che sei inquieto, ma tanto lo vedo lo stesso.

Io ho letto un estratto nel suo libro dove parlava per la prima volta

di suo padre, l'ultimo libro dove appunto voi vi comunicavate

attraversi i vostri silenzi, lei sapeva leggere i silenzi di suo padre

e se li sapeva gustare e godere.

Però penso che le generazioni di oggi hanno bisogno di esempi un po' più concreti,

non tutti hanno questa intelligenza emotiva nel saper dare queste letture.

Per questo che l'ho fatto queste domande, perché poi One More Time serve molto,

un po' come terapia per gli altri che ci si immedesi,

ma noi riescono magari a identificarsi in dei momenti e a farli proprio,

a capire come ci si rialza, come si affrontano certi momenti,

perché è troppo facile lamentarsi di ciò che succede, però poi bisogna reagire.

Certo, rialzarsi non te lo insegna nessuno, se non le cadute.

Esatto.

Sono le cadute che ti insegnano a rialzarti.

Se uno vive, le cadute ci sono le debolezze, le fragilità.

Io per esempio sono una persona molto fragile,

al di là di quello che fosse uno può avere, non so, percepito,

perché poi, sa, i media, i media sono stati molto importanti per me,

ma a volte sono stati anche dei danni, però è andata bene così,

anche da quel punto di vista lì, è stata una vita non certo programmata,

perché il rapporto con la televisione, io ho fatto tante cose,

con persone che mi hanno insegnato, l'ascolto anche quello, non tutti,

alcuni, penso Paolo Limiti, è stato un grandissimo maestro per me,

mi diceva anche come a cavalar le gambe, mi diceva se avevo messo due etti in più.

No, no, era tremendo, perché ci teneva molto costante,

tante persone con cui ho lavorato, e questo dà ovviamente,

perché poi sono stati dei momenti della vita di questo paese

in cui io ero nei titoli di testa, diciamo così, no?

Cogni, no, i grandi drammi del paese che ci devo fare, c'ero,

non mi sono tirato indietro, mi sembrava importante parlare

con la tragedia alla gente, perché poi la gente rimane smarrita,

quando senti di una ragazza che ammazza coltellata e la mamma,

il protellino, no, novi ligure, oppure appunto il bambino,

come Cogni, oppure altre cose, è che da un lato hanno creato

certo molto popolarità, ovvio, andavi dal tabacchino

e ti riconoscevo questo vent'anni fa, o anche di più.

C'è una vita fa, ero giovane, andavo bene in televisione,

perché ero diverso.

Cosa le ha tolto la TV?

Buona, mi ha tolto la TV...

O più che altro la popolarità?

No, mi ha disturbato, ma questo sono sempre stato disturbato

da una buona parte degli intellettuali.

Questo deve essere stato un problema con Basaglia,

perché siccome Basaglia era detestato da una gran parte degli intellettuali,

che poi, da rito nazionale, ti offrono il caffè quando ti incontro,

ti fanno qualche losing, salvo poi di dire che sei peggiore, mafioso o chissà cosa.

Quindi questa cosa qua, cioè l'invidia,

detta in termini molto...

Perché se non lo userei, non ho capito come mai,

perché tutto questo poi è comportato, per esempio,

una sorta di silenzio stampa che è durato lustri.

Lei diceva che lei stessa è una persona fragile,

quindi lei è corazzata parentemente da una persona un po' burbera, un po' aggressiva,

che non è così, perché in fondo c'è una grande umanità,

ha dei vantaggi essere stronzi.

No, essere stronzi, no.

E' senso che essere burbero non vuol dire essere stronzo, naturalmente.

Io non ho mai avuto nessuna attrazione nei confronti di persone cattive.

Non in senso cattive, no.

Io usavo stronzo come sinonimo di burbero,

per essere corazzato non di cattivo.

Sì, no, no.

Per ampliare il discorso, in senso che le persone così che godono

a vedere che la vecchietta è scivolata sulla buccia di banana è pieno.

I social sono un ripetitore inguaribile delle sfigue del mondo,

perché le cose buone non sono così social.

Quelle cattive lo sono molto.

Perché fanno emergere qualche cosa che è dentro di noi,

che in qualche modo è una sorta di sadismo,

una sorta di invidia per chi forse stava passeggiando troppo bene,

troppo allegro, che se ti viene adosso una macchina anche meglio.

Ecco, a me questa distruzione delle cose,

distruzione dei rapporti, non lo so,

la gelosia, tutte queste parole di cui sono pieni i romanzi

che hanno fatto fortune per gli scrittori.

Però a me non dice molto, non mi interessa molto,

non so come dire, penso che sia molto più difficile fidarsi.

E quindi mi interessa di più.

Parliamo di social, nel senso che lei dice che la democrazia

è apparente sui social invece l'unica cosa democratica

e che abbiamo tutti dei diritti, il voto, poi tutto il resto,

invece non è assolutamente democrazia,

invece guardando i social sembra che tutti abbiano delle vite perfette,

sembra che sia tutto fatto con lo stampino.

Visto che il social sembra quasi il punto attrattivo

più alto dell'essere umano, nel mondo contemporaneo,

cosa pensa di questo, nel senso avrà in cura tantissime persone,

parliamo degli adolescenti, con loro che sono in catalessi

su questo schermo e sembrano non avere altri interessi.

Che effetti possono nascere dentro di loro dopo?

Cioè dove li porta questi giovani che stanno 14 ore

con la testa china sul telefono?

Ragionare molto di meno, pensare molto di meno

e essere molto meno liberi, è evidente a tutti,

ma forse questo è anche un effetto voluto da chi,

perché la libertà è anche sofferenza, è anche fatica,

perché se vuoi essere libero, se vuoi andare in giro

e dire quello che pensi,

poi le faccio un esempio, appunto, dei giovani,

dei rave parti,

quando è successo questa cosa moderna, ricente,

io ho scritto una cosa che mi sembrava ovvia,

cioè che il problema non erano i rave parti,

ma i siti parti che ci sono ovunque,

oppure nei paeselli fino alle 4 di mattina,

con distribuzione di sostanze spaventose,

è che è la stessa cosa,

solo che quelli fanno un po' più di casino,

sono un po' più ammassati,

forse c'hanno anche qualche decibel in più,

ma è la stessa identica cosa rispetto al baretto

che c'ha la musica techno fino alle 3 di mattina

ed avanti c'ha degli zombie.

Non capisco la differenza.

Dire questo è stata una cosa,

perché forse questa cosa qua nasconde anche degli interessi,

perché non dirlo,

perché i soci sono un interesse,

perché il mask non è un proletario,

è uno che fa miliardi,

gli fa bene a modo suo,

però è che fa Babbo Natale,

quando dice che compra Twitter,

perché fa bene all'umanità,

è un simpatico,

però no, non è esattamente così.

E quello che lui vuole è questo,

è che tutti stiano su 280 caratteri quanto sono oggi Twitter

e si dice che quella è una poco di buono,

piuttosto che la meloni no,

mentre quell'altro sì,

è una contrapposizione che non porta alla democrazia.

La democrazia è una cosa molto complicata,

su cui bisogna ragionare.

Il futuro è complessissimo da qualsiasi punto di,

siamo 8 miliardi, siamo 8 miliardi.

Girerà sta gente e gira.

Quindi che ci sia della gente che arriva sulle nostre costa

mi sembra una cosa più ovvio che possa accadere,

però non per questo pensiamo che l'Africa

debba essere un luogo non di sfruttamento,

ma dove si mettono energie e denari.

E invece non facciamo questo con tutta evidenza da sempre,

prima gli schiavi, poi l'uranio,

piuttosto che qualche altro metallo prezioso

in cambio di qualche chilometro di ferrovia,

che il futuro non possa essere full elettric,

che mi sembra ovvio.

Quindi qualsiasi cosa, esercizio del pensiero e della critica,

oggi è paradossalmente più difficile di 30 anni fa.

Eppure siamo tutti più liberi,

lei può andare adesso allinate e prendersi un vuolo locoste

e andare a Berlino con il prezzo di un sandwich, di una birra.

Possiamo dire tutto quello che ci pare apparentemente.

E invece è un paradoso.

Questo uso compulsivo può intaccare un po' la psiche di questi giovani

e gli può portare uno stato depressivo.

Siamo in piena pandemia da questo punto di vista.

E un genitore come può intervenire su questa cosa?

Intanto evitando lui di stare in curvo sul telefonino

chiuso in bagno possibilmente,

perché i ragazzi non sono scemi.

Quindi se vedono un papà e mamma che smannettano

e chiedono a crollare sul divano,

le tre di notte, cos'devano fare i ragazzi e le ragazze?

Poi credo che tra i ragazzi e le ragazze

ci siano anche delle idee come sempre divergenti,

perché lo strabismo è un bene dell'umanità.

Quindi uno pensa che siamo tutti allineati e coperti,

che siamo tutti un po' uguali, tutti molto omogenei,

non ci accorgiamo che c'è qualcuno che nel frattempo

è uscito dalla coda ed è andato in una merceria,

invece che in un hypermercato.

E magari ti fa venire in mente che il mondo

è anche fatto di un'osteria e non solo di un social.

E questo probabilmente cambieranno le cose.

Io non sono così convinto che il destino sia già tutto scritto

come chi ci sta vendendo queste cose.

Penso che i ragazzi e le ragazze si dovranno inventare

un mondo molto diverso, probabilmente anche con più regole,

non con meno regole.

Per esempio, la dignità deve essere una regola.

La dignità sul lavoro deve essere una regola.

Non puoi prendere un euro allora.

Non si può.

Eh vabbè, ma poi il pomodoro se non costa,

la signora, l'ipermercato poi le costa troppo.

E ho capito io.

Però ci dobbiamo parlare.

Perché se vogliamo dare retta al diritto della signora

di comprarsi la conserva ad una certa cifra,

e questo comporta lo schiavismo,

beh, c'è qualcosa che non va.

Perché questo crea quella istabilità

che poi degenera con grande facilità.

Oggi siamo in un momento di grandissima,

lei parlava di diritti.

Quattro quinti del pianeta non ha diritti.

Perché se una ragazza si scioglie i capelli a terra,

la mazza no.

Quanti pazienti ha avuto lei più o meno nella vita?

Non lo so.

Non so perché così.

Migliaia?

Sì.

Tra queste migliaia ci sono dei giovani.

Volevo capire da un punto di vista delle droghe.

Nel senso che parliamo della droga parentemente

più leggera che la cannabis,

dove ci si documenta, sembra che comunque

sia propedetica, che sia curativa,

sia terapetica, non faccia male.

Lei invece ha costatato il contrario

attraverso i suoi pazienti,

mi interessa molto sapere la sua.

Non solo io per la verità.

La cannabis è una terapia,

nel senso che aiuta le terapianti dolore,

per esempio, un ottimo quadruvante

per quelle persone lì.

Poi noi abbiamo giocato un po' equivocato

sul termine curativo, terapia, terapetica.

Perché poi non lo è esattamente così,

nel senso che in un certo percentuale,

che non è enorme,

ma in una certa percentuale,

è addirittura molto dannosa.

Nel senso che fa venire a galla un nucleo

che magari era sopito un nucleo psicotico,

e di questi ne abbiamo visti tanti,

di ragazzi e di ragazze.

E poi comunque porta ad una sorta di...

Perché uno fa una canna?

Normalmente ti dico,

perché così sono meno stressato,

perché vedo...

Il problema è che tutti devi stressare,

perché la vita ha vent'anni.

Cosa fai? Vai in casa di riposo?

Cioè è l'esatto posto.

Sono tutti in qualche modo anche la cocaína,

anche l'alcool, sopra una certa soglia,

sono tutti degli anestetici,

quindi li prendiamo inconsciamente,

perché questo mondo non ci piace,

questo mondo è complicato da cambiare.

Allora abbiamo accettato una scoffita generazionale.

E a questo è stato.

La droga è arrivata negli anni 60,

io ero presente,

perché faccio fa un troppo casino.

E qualcuno ha pensato,

adesso ti organizziamo,

possiamo amica metterli tutti in galera,

però gli diamo...

Li sediamo?

Sì, li sediamo un po'.

E questo...

Io ho visto migliaia e migliaia di morti di eroina,

perché all'epoca si moriva di eroina.

Adesso di cocaína non esattamente,

tranne quando vai ad osso un albero

alle 5 di mattina,

perché vai a 200 km all'ora,

e non hai riflessi.

Però tutto questo perché c'è un giro,

perché ci piace.

Allora a me piacciono i ragazzi e le ragazze,

quando evocano qualche cosa di pazzesco.

Invece non sta avvenendo come io vorrei,

come io mi aspetterei,

e non credo che sia il discorso di un futuro tua genario.

Non mi arrendo a questo,

non credo che sia un discorso da vecchi,

è da vecchi stare sul divano,

a guardarsi in Netflix.

È da molto anziani.

Ma vai in una sala,

goditi una cosa,

anche questa cosa qua è terribile.

Abbiamo anestitizzato perfino

l'emozione di un film.

L'emozione del film è stata la più grande,

probabilmente scoperta del 900.

Ultima domanda,

hai paura della morte?

Sì, non solo ho paura della morte,

ho paura della sofferenza,

ho paura di non poter mantenere

probabile un sogno.

Grazie Paolo.

Grazie a te.

Grazie mille.

Il video di tutti i nostri social.

Il video di tutti i nostri social.

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Oggi avremo il piacere di fare un viaggio con Paolo Crepet, uno psichiatra burbero quanto umano, che ha vissuto l’esperienza di guardarsi dentro durante quest’intervista.

Il dream team di One More Time è composto da: Giovanni Zaccaria, Mauro Medaglia, Davide Tessari, Alice Gagliardi e Filippo Perbellini.

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