Fare un fuoco: “Non si può vivere senza amare”: il libro maledetto di Malcolm Lowry
Lucy - Sulla cultura 10/27/23 - Episode Page - 30m - PDF Transcript
La storia è la storia di amore più disperata che la letteratura moderna abbia mai raccontato.
È la storia di un uomo e di una donna che si amano profondamente ma il tempo stesso
hanno perduto il loro amore. Si amano ma proprio mentre sono una di fronte all'altro sono costretti
a constatare che c'è un muro invisibile a separarli. Come è possibile? Per tradizione le
storie tragiche sono quelle in cui l'amore è contrastato, la rivalità fra Montecchi e Capuleti
in Romeo e Giulietta oppure la prepotenza di Don Rodrigo nei promessi sposi e così via.
Questo però accadeva nel passato, la modernità e la contemporaneità presenta un altro tipo di
problemi. Può succedere infatti che due persone ancora profondamente innamorate senza bisogno
di uno stacolo esterno non riescano a entrare più in contatto fra di loro e non ci riescono perché
magari uno dei due ha perso la fiducia in se stesso, perché sta crollando, si sta autodistruggendo e
paradosso nel paradosso proprio attraverso quel processo di disgregazione gli diventa tutto
chiaro, persino il senso della vita gli diventa chiaro mentre perde la cosa più importante.
Il libro di questo per parlarvi può essere considerato una sorta di sinfonia, di profezia,
dimonito, è una musica hot, una canzone, una tragedia, una commedia, una farsa e sotto il
vulcano di Malcolm Laurie capo lavoro della letteratura moderna. È un libro di culto
d'accordo poco frequentato dal grande pubblico e come alcuni oggetti preziosi e sapienziali e
forse proprio per questo poco frequentati può dirci cose molto profonde su come
siamo fatti per questo ne parliamo. Ma prima di tu farci ne racconto un'avvertenza sotto
il vulcano nel profondo è anche un libro iniziatico e un esperimento alchemico.
Io sono Nicola la gioia e questo è fare un fuoco, il podcast di Lucy che racconta come le storie
continuano ad accendere la nostra immaginazione. Era il 1946 e Jonathan Cape,
l'editore di Malcolm Laurie, a cui era stato appena consegnato il primo manoscritto di sotto
il vulcano, aveva suggerito dettagli per rendere più fluida la lettura. Si trattava di un libro
lungo, complicato, difficile, legittimo da parte di un editore cercare di renderlo più legibile.
Il problema però è che si trattava anche di un capo lavoro e i capolavori spesso non sono
migliorabili, se gli togli un tassello in nome della leggibilità si rischia di far crollare tutto.
Dunque, l'editore provò a semplificare il libro. Malauri, Malcolm Laurie, tenne duro,
aveva lavorato al suo romanzo per dieci lunghi anni. Sapeva che la sprezza della sua brosa,
una sprezza sontuosa, oscura, magica, affascinante come un giardino di una casa in rovina,
era lo sforzo richiesto al lettore per rendersi degno, dicevamo, di un vero percorso iniziatico.
Di cosa parla sotto il vulcano? La storia si consuma tutta nell'arco di una giornata,
il 2 novembre del 1938, il giorno dei morti. E racconta l'ultimo giorno di Jeffrey Firmin,
consolo britannico confinato in un angolo del Messico, alcolizzato cronico,
alla deriva in una terra di skeletri danzanti. Mentre la sua vicenda, la vicenda del console,
si consuma nel continente americano e al suo centro dei personaggi europei,
l'Europa proprio a volta sta scivolando su un piano inclinato che la porterà al disastro.
Non c'è data più sinistra, se ci pensate, di quel 1938 in cui nell'Italia fascista
vengono promulgate le leggi raziali e nella Germania nazista si consuma la notte dei cristalli,
prefigurazione di quello che accadrà pochi anni dopo nei campi di sterminio.
Ma insotto il vulcano tutto questo è solo sullo sfondo e, oltre lo sfondo, è un rumore di
fondo, un rumore inudibile, percipito in qualche modo, davanti a cui brilla, si mostra e si consuma
un'astruggente storia di amore di questo il centro del racconto. Il console Firmin è stato
abbandonato da sua moglie, Yvonne, di cui è perdutamente innamorato. Il problema è che Yvonne,
un'attrice cinematografica al cui fascino si rivela quando non è davanti alla macchina da presa,
bel lei ama ancora il console suo marito e decide di tornare da lui. Lo fa appunto nel giorno dei
morti e si trova costretta a constatare quanto la crepa tra lei e Firmin sia enorme. Firmin è
accolizzato, non riesce a stare lontano della bottiglia, questo lo gette in una profonda
disperazione ma gli dona anche delle facoltà simili a quelle di un veggente. Come se non
bastasse, alla coppia si aggiungono altri due personaggi. Il primo è il fratellastro del console,
più giovane di lui e imbevuto di teorie marxiste prossime al disfacimento, il secondo invece
è un produttore cinematografico che frequenta il console sin da quando erano ragazzi. Il problema
però è che entrambi in passato hanno avuto una relazione con Yvonne. L'improbabile quartetto
compie il proprio viaggio al centro della terra attraversando la lunghissima giornata del 2
novembre fino a un epilogo tragico. Il console Firmin e Yvonne sono insomma una sorta di orfeo
ed euridice dei tempi nostri, barcollano in un mondo sotterraneo nel tentativo di raggiungersi
perché i loro spiriti si incontrino di nuovo o i loro fantasmi, fantasmi sui generis perché
sono fantasmi di persone ancora vive. Oh Jeffrey dice Yvonne perché non puoi tornare indietro,
dovrei continuare così sempre così a camminare in questa stupida tenebra anche ora lì dove non
posso raggiungerti. Mentre il console e Yvonne barcollano fianco a fianco in questa lunghissima
giornata messicana a un certo punto nella vetrina di un negozio vedono la fotografia di una roccia
millenaria della sierra madre spaccata per metà. In mezzo c'è un abisso invalicabile. Yvonne
desiderando di ricongiungere due frammenti pensa che lei e il console sono forse simili a quella
roccia. I due intanto sono arrivati a casa, la casa in cui tanto tempo prima erano stati felici e il
giardino che una volta era rigoglioso simile al giardino dell'Eden li ha adesso abbandonato al
caos più totale. All'improvviso su una veranda marito e moglie si riabbracciano.
Il problema è che la vicenda del console e Firmin è maledettamente simile a quella del suo
inventore, Malcolm Glory. Scrive Laura Lilli in una passionata descrizione dello scrittore britannico.
Malcolm Glory era uno di quei grandi inglesi di questo secolo ma era totalmente inadeguato al
mondo. Non poteva tenere in mano una penna o una matita, se lo faceva la testa gli si
svuotava completamente. Era persino incapace di allacciarsi le scarpe. Non era in grado di fare
la sua firma per una dedica o dietro un assegno. Così dettava tutto ciò che aveva da scrivere
a sua moglie Margerie, stando in piedi e appoggiandosi con il dorso delle mani sul piano della
scrivania. In questa posizione era atteso al punto che le gambe gli si riempivano di
veneva ricose. Era Laurie, uno scrittore maledetto come Duran Thomas anche lui bruciato dall'arco
totalmente incompatibile col mondo in cui viviamo e probabilmente con qualunque tipo di mondo.
Scrive Enzo Golino, un critico letterario che ha molto amato Malcolm Glory. Pochi scrittori come
lui sanno raccontare il primo ordiale senso di colpa che accompagna i vistini dell'umanità. Più
vicino a Conrad e a Melville che ad Ostoieschi, l'autore di Sotto Il Vulcano trasforma l'autobiografico
console Jeffrey Firmin in un simbolo dell'angoscia metafisica. Denso di riferimenti culturali che
includono suggestioni d'antesche, la cabala, il jazz, il mito di Faust, il teatro Elisabetiano,
sotto il vulcano si propone anche come un'allegoria politica. La guerra di Spagna, a cui ha
partecipato il fratello del console, assurge a sintomo della follia bellica che diria poco,
devasterà il mondo.
Glory dicevamo ebbe una vita tragica, internamenti in ospedale, elettroshock a ripetizione, il delirium
tremens che gli impediva di scrivere materialmente, poi ci fu l'incendio della sua casa e la perdita
di alcuni manoscritti a cui stava lavorando per fortuna non quello di sotto il vulcano e poi
arrivò l'impresa di sceneggiare Tenera e la Notte di Francis Scott Fitzgerald che lui amava
moltissimo per l'industria olivudiana, venne prodotto un copione di 500 pagine che però
poi non sarebbe mai diventato un film. Glory morì in maniera altrettanto tragica, 50 compresse
di sonnifero dopo un litigio con sua moglie a proposito di una bottiglia di gin, ma poi vedremo
meglio di che si tratta il 27 giugno del 1957. Scrive sempre Laura Lilli, ma con Glory sembrava
non avere alcuna padronanza e nemmeno consapevolezza del proprio corpo, adorava il mare, dalla sua
casa in canada si poteva addirittura tuffarsi dalla finestra, in acqua si metteva pancia in
suo a fare il morto e in questa posizione poteva anche addormentarsi, una volta ci rimase tante ore
che si ustionò gravemente. In altre parole il poeta, questo particolare tipo di poeta almeno
scrive sempre Laura Lilli e una persona incapace di qualunque altra cosa tranne che di scrivere,
è un cervello attraversato da continue scariche, d'intuizioni, folgorazioni,
simboli e significati a catena, sempre più complessi e irruenti. L'alcol sembra l'unico
aiuto per farli fronte, forse ma con Glory è una delle ultime personificazioni del divino idiota.
Per amore di Dio, Yvonne, torna da me, ascoltami, è un grido di pianto, torna da
me, Yvonne, non fosse altro che per un giorno soltanto, scrive Firmin a sua moglie quando
lei non è ancora tornata. E Yvonne risponde. La sera scivolo sotto le coltri e tu selli
che mi aspetti, che altro ce n'è la vita oltre alla persona che si adora. Tu credi di essere
perduto ma non è così, perché gli spiriti della luce ti aiuteranno e ti porteranno verso l'alto,
a dispetto di te stesso. Scrivetto a Masupincio, che è un altro ammiratore di Malcolm Glory,
elettore di Malcolm Glory. Glory da ragazzo si scrisse al St. Catherine's College di Cambridge e
proprio a Cambridge nel novembre del 29 accaddi un fatto che lo funestò per il resto della vita.
Il suo compagno di stanza, un ragazzo di nome Paul Freight, si suicidò. Esistono
varie versioni di questa tragedia, pare che Paul Freight desidera se avere una relazione
sessuale e che l'ore lo avesse respinto. Sembra inoltre che non si sia limitato a respingerlo
continua pincio. Si dice che l'ore abbia incoraggiato l'amico a togliersi la vita,
forse viene persino un contributo attivo, sigillando la stanza nella quale lo studente si
asfisciò poi con il gas. Certo è che l'ore si sentì responsabile di questa morte e il senso
di colpa gli causò una ferita psichica che non si rimbarcinerà mai. Molti anni dopo l'ore rischiò,
cosa sempre pincio, di confrontarsi con un altro tipo di rimorso. Gli stati di delirio in cui precipitava
per via di suo eccessi, il vivitore spesso deflagravano i comportamenti violenti. Per ben due
volte tentò di strangolare la sua seconda moglie. E non è escluso che un terzo tentativo sia all'origine
della prematura e per molti versi misteriosa scomparse di l'ore avvenuta il 27 giugno 1957.
Qui pincio racconto un po' meglio la relazione fra l'ore e Margerì. Margerì e Malcolm, scrive,
si conobero il 7 giugno del 1939 a Los Angeles, all'angolo di Hollywood Boulevard e Western Avenue.
La data del fatale incontro è un'altra tessera di quel mosaico di coincidenze che ruota attorno al
mesi di giugno. Aderichiro il quadro c'è il fatto che l'incendio che distrusse la casa di
Malcolm e Margerì ebbe l'uovo il 6 giugno, ovvero la vigilia dell'anniversario del loro incontro.
Quella di Malcolm e Margerì fu una straordinaria, scrive Pincio, storia d'amore. Ma non fu esente
da lati oscuri e non soltanto perché Malcolm era soggetto agli eccessi di violenza, di cui abbiamo
detto, ma anche perché Margerì aveva le sue frustrazioni. Da una parte, senza di lei sotto
il vulcano, non avrebbe mai visto la luce, quindi una sorta, forse, di Zelda Figerrad,
il personaggio di Von, modernato su di lei, fu lei a spingere loro in questa direzione. Va
considerato anche che Margerì era, oltre che un'attrice, un'aspirante scrittrice, pubblico
anche con scarso successo un paio di romanzi polizieschi. Appunto il parallelo con Zelda Figerrad.
È un romanzo poliziesco, continua Pincio, sembra anche essere la morte di l'Ori. L'inchiesta
archivia l'Overdose di Alcoli a Barbiturici come una disgrazia accidentale. L'Ori aveva
bevuto e come spesso capitava c'era stata una violenta discussione. Margerì raccontò alla
polizia di avere rotto la bottiglia di gin per impedire al marito di continuare a bere. Lui
l'aveva minacciata con le schegge di vetro e lei era fuggita passando la notte dai vicini. Era
rientrata nel mattino seguente e aveva trovato il marito disteso sul pavimento, ormai morto,
e mezzo a vetri rotti fra un mobile fracassato e avanzi di cibo. Questa versione presenta
punti poco chiari. Una cosa strana per esempio è che Margerì abbia scritto continua Pincio agli
amici di avere trovato un biglietto in cui Malcolm dichiarava di essersi suicidato. Margerì non
spiegò tuttavia perché distrusse col biglietto e non ne fece menzione con la polizia. Un'altro
aspetto scuro riguarda il misterioso suotamento di una boccetta di sonniferi. Qualcuno ha avanzato
il sospetto che Margerì abbia indotto con l'inganno l'Ori a ingerire i barbiturici che lo hanno
ucciso. Poco tempo prima l'Ori aveva detto una psichiatra, una frase che induce a pensare. Può
finire soltanto in due modi. Io ucciderò Margerì o lei ucciderà me. Probabilmente la verità su
ciò che davvero accadde quella notte in quella notte di fine giugno è destinata a restare. Un mistero.
Fra i più titolati a parlare di Malcolm l'Ori c'è poi Marco Rossari che ha tradotto sotto
il vulcano in italiano e gli ha anche dedicato un libro, L'Ombre del Vulcano. Scrive Rossari.
È un capolavoro che racconta quel riflesso impalpabile che è l'animo umano. In un effimero
numero di pagine riesce a catturare le nostre ambizioni, i nostri desideri, le nostre infelicità ed
è un'impresa che va ancora seguita, sostenuta. L'Ori riesce a dominare l'amore, la morte,
l'ubriacchezza, il nichilismo, il messico, la guerra, il fascismo, riesce a tenere tutto insieme e lo
fa con una grazia commovente, toccante, forse proprio per la sua personalità fragilissima,
ma anche titanica, perché davvero è riuscito a divorare un secolo in un libro, scrive Marco
Rossari. Ma perché in un certo senso sotto il vulcano è anche un libro alchemico, come dicevamo,
un rituale o forse addirittura un gesto religioso. Gershon Scholem, filosofo ebraista
e storico delle religioni, a un certo punto nel suo le grandi correnti della mistica ebraica,
scrive una cosa molto interessante, la riproduco. Quando il rabbino e mistico polacco Baal Shem doveva
assolvere un compito difficile, andava in un certo posto nel bosco, accendeva un fuoco,
diceva le pregliere e ciò che voleva si realizzava. Quando, una generazione dopo, un suo discepolo si
trova di fronte allo stesso problema, si ricò in quel posto nel bosco e disse, non sappiamo più
accendere il fuoco ma possiamo dire le pregliere e tutto avvenne secondo il suo desiderio. Ancora
una generazione dopo, un discepolo di quel discepolo si trovò nella stessa situazione, andò nel bosco
e disse, non sappiamo più accendere il fuoco, non sappiamo più dire le pregliere ma conosciamo
il posto nel bosco e questo deve bastare. E infatti bastò. Ma quando un'altra generazione
trascorse è un discepolo, di quel discepolo, di quel discepolo dovette anche agli misurarsi con
la stessa difficoltà, restò nel suo castello, si mise a sedere sulla sua sedia dorata e disse,
non sappiamo più accendere il fuoco, non siamo capaci di recitare le pregliere e non conosciamo
nemmeno il posto nel bosco, ma di tutto questo possiamo raccontare la storia. E ancora una
volta questo bastò. In un suo libro, il cui titolo sembra giocare involontariamente con il
titolo di questo podcast, il fuoco e il racconto, il filosofo italiano Giorgio Agamben riprende
il passo di Gershon Scholem che abbiamo appena citato. È possibile leggere questo aneddoto
scrive Agamben come un'allegoria della letteratura. L'umanità, nel corso della sua storia, si allontana
sempre più dalle sorgenti del mistero e smarrisce poco a poco il ricordo di quelle
che la tradizione li aveva insegnato sul fuoco, sul luogo e la formula. Ma di tutto ciò,
gli uomini possono ancora raccontarsi la storia. Ciò che resta del mistero è la
letteratura e questo, commenta sorridendo, il rabbino può bastare. È credibile che ci
possa pagare di un racconto senza più rapporto con il fuoco? La risposta è, a nostro parere,
dipende dalle storie. Ci sono storie che per come sono strutturate, per la cifra linguistica di cui si
avvalgono, per la tensione che le tiene insieme, non sono altro che la proseguizione nel discorso
pubblico con altri mensi. Robaccio, ecco, potremmo dire perché il discorso pubblico è inerte,
povero, non dirato stupido, dice solo ciò che dice. Ci sono poi altri tipi di storie che per come
sono strutturate, per la cifra linguistica di cui si avvalgono, per la tensione che le tiene insieme,
non dicono solo ciò che dicono, ma molto di più. Ci sono storie che tengono acceso il fuoco,
pur avendo noi smarrito la strada per il bosco e pure non sapendo più recitare le preghiere,
ma quel fuoco, da qualche parte, torna ad accendersi, a rischiararci e soprattutto a
rischiarare temporaneamente ciò che altrimenti sarebbe nell'ombra e che noi abbiamo la possibilità
di nuovo discorgere. Scrive sempre a Gamben, precario. Precario significa ciò che si ottiene
attraverso una preghiera, prex, una richiesta verbale, distinta dalla questione, una richiesta
che si fa con tutti i mezzi possibili compresa la violenza ed è per questo fragile e avventuroso
precario. E avventurosa e precaria è la letteratura, se vuole mantenersi nel giusto rapporto
con il mistero. Come l'iniziato a Eleusi, lo scrittore procede al buio e in penombra su un
sentiero sospeso fra dei inferi e superi, fra oblio e ricordanza. Vi è tuttavia un filo,
una sorta di sonda lanciata verso il mistero che gli permette di misurare ogni volta la sua
distanza dal fuoco. Questa sonda è la lingua ed è sulla lingua che gli intervalli e le rotture
che separano il racconto dal fuoco si segnano implacabili come ferite. I generi netterari sono
le piaghe che l'oblio del mistero scalfisce sulla lingua. Tragedia ed elegia, inno e
comedia, non sono che i modi in cui una lingua piange il suo perduto rapporto con il fuoco.
Il fuoco è il racconto. Il mistero e la storia sono i due elementi indispensabili della letteratura.
Ma in che modo un elemento, la cui presenza e la prova inconfutabile della perdita dell'altro,
può testimoniare di quella senza scongiurare l'ombra e il ricordo perché dove c'è racconto
il fuoco si è spento e dove c'è mistero non ci può essere storia. Così scrive Agamben. Ora,
la grande letteratura si infila in realtà in questa strettoia impossibile. La grande
letteratura è il racconto dell'impossibile. È mal con l'Ori e uno degli scrittori che questo
impossibile riesce a coglierlo, a afferrarlo, a prenderlo da qualche parte magari negli inferi
e a portarcelo in superficie, a farcelo vedere o meglio a farcelo decifrare. C'è l'offre perché noi
lo possiamo decifrare. Se è vero che il donore e una delle porte sempre aperte verso la conoscenza su
questo, i tragici greci insomma avevano colto nel segno, ma con l'Ori fu anche un sapiente a suo
modo. Il suo capolavoro sotto il vulcano al di là della bellezza formale e nonostante le
atmosfere in apparenza così cupe è un libro che crede ancora nella vita. È così che a volte
mi vedo, scrive l'Ori, un grande esploratore che ha scoperto chissà quale terra straordinaria da
cui non potrà mai fare ritorno per raccontarla al mondo. L'Ori non è più qui tra noi, ma in
realtà quel racconto di una terra straordinaria noi ce l'abbiamo ed è il suo romanzo. La domanda
è però a questo punto. Siamo ancora in grado di leggerlo quel romanzo, accettiamo ancora che
il console e i film insiede a tavola con noi. Sotto il vulcano è un libro che ci sfide in
moto duplice. Al nostro sempre più confortante deficit d'attenzione contrappone una scrittura
che sembra difficile ma è solo profondamente umana e a un'epoca vicinismo diffuso pone
questa domanda a che serve una volontà se non hai una fede. Oggi siamo pieni di volontà,
gonfi del mito dell'efficentismo, ma è il nome di che cosa in fondo. Non abbiamo più una fede.
Tutti sproloquiamo su come dovrebbe andare il mondo pur di non guardarci allo specchio
pur di non sporgerci sul pozzo delle nostre vite. A tutti noi sotto il vulcano ricorda allora che
indagare il mistero di cui siamo fatti è un compito fondamentale ma è un compito impossibile
da affrontare senza lo strumento conoscitivo per eccellenza. E qual è questo strumento conoscitivo?
Non si può evvivirsi in amare. Questa frase scritta sul muro di una casa a canto cui passano il
console e i von è uno dell'ethmotif di questo libro e noi siamo in grado di fronteggiare questo
moto senza arrossire o vergognarci. Crediamo ancora in quella cosa che ci faceva palpitare il cuore che
ci scorreva lungo la spina dorsale come una scossa elettrica o non ci crediamo più? Non si può
vivere senza amare. 29 nuvole. Un uomo 29 è nera già sui 30 anni e lui aveva 29 anni e finalmente se
bene questo sentimento avesse preso corpo in lui durante tutta la mattina sapeva che cosa
fosse l'intollerabile urto di quella conoscenza che sarebbe potuta venire a 22 anni ma che non
li era venuta che li sarebbe dovuta venire almeno a 25 e non li era venuta neanche allora quella
conoscenza concesa finora solo alle persone che stanno sull'orlo della tomba che non si può
essere giovani per sempre che infatti in un batter docchio ecco non si è più giovane che in meno
di quattro anni passati così velocemente che la sigaretta di oggi pareva fumata ieri uno ne
avrebbe avuti 33 e in altri 7 40 in altri 40 80 67 anni sembrano un periodo di tempo lungo ma
allora elli avrebbe avuto 100 anni non sono più un prodigio non ho più scuse per comportarmi
in questa maniera irresponsabile non sono poi un tipo talmente brillante non sono giovane
d'altra parte sono un prodigio sono giovane sono un tipo brillante non lo sono forse tu sei un
buggiardo gli dissero gli alberi che si aggettavano nel giardino sei un traditore frussarono le
foglie dei banani e sei anche un villiacco aggiunsero alcune note di musica danzante
fare un fuoco e un podcast mensile di luci scritto e condotto da me nicola la gioia
le musiche originali il montaggio il sound design sono di shari dell orian la cura editoriale di
giada rena che ha letto l'ultimo estratto e lorenzo grammatica ci risentiamo il mese prossimo
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Probabilmente è la storia d’amore più disperata che la letteratura moderna abbia mai raccontato, ma anche un testo alchemico, un’autobiografia del suo autore e un’allegoria politica: nella terza puntata della seconda stagione parliamo di “Sotto il vulcano”, capolavoro di Malcolm Lowry ambientato nel Día de los muertos del 1938.
Fare un fuoco è il podcast di Lucy scritto e condotto da Nicola Lagioia che racconta come le storie continuano ad accendere la nostra immaginazione. Ogni mese una nuova puntata.
Le musiche originali, il montaggio e il sound design sono di Shari DeLorian, la cura editoriale è di Giada Arena, che ha letto l’estratto finale, e Lorenzo Gramatica.
Si ringrazia Spreaker per il supporto tecnico.
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