Fare un fuoco: Mina: cantante, sacerdotessa e rivoluzionaria

Lucy - Sulla cultura Lucy - Sulla cultura 4/21/23 - Episode Page - 18m - PDF Transcript

Lucy

Era all'estate del 1978 e io avevo 5 anni. Credo fosse sera.

Eravamo a casa di mia zia. Gli adulti chiacchieravano in soggiorno

e noi bambini eravamo appena rientrati dal cortile, dove eravamo stati lasciati liberi di giocare per ore.

I bambini in questione erano tre, io, mio cugino e mia cugina.

Stanchi ma ancora agitati, eravamo andati in cucina a bere un bicchiere d'acqua.

Poi, mio cugino aveva acceso la televisione e una bomba era esplosa in faccia tutti e tre.

Non so come si possa rendere conto di un apparizione o meglio di una rivelazione.

Ci proverò. Una mano accompagna sinuosa, una nota musicale e la sua orbita aerea.

Poi arriva una faccia gigantesca, un corpo pallido infiammato di piacere.

Il rosso dei capelli, la moltiplicazione di quella faccia in una corrispondente moltiplicazione di schermi azzurri.

Di nuovo, il corpo intero, le braccia che si alzano e le mani che prendono i capelli e si riportano indietro.

Era sesso, era bellezza, era tenerezza e umanità in un puro distillato di potenza femminile.

Se vuoi andare, ti capisco, se mi lasci, ti tradisco, ma se dormo sul tuo petto, diamarti, io non smetto.

E, sopra ogni cosa, una voce quale dimostrazione pratica dell'esistenza di Dio.

Dove non era riuscito Tomaso da Quino, ce l'aveva forse fatta una ragazza di busto arsizio.

Io sono Nicola la gioia e questo è fare un fuoco, il podcast di Lucy che racconta come le storie continuano ad accendere la nostra immaginazione.

Ciò che io e i miei cuggini avevamo appena visto era la sigla finale di Milne e una Luce, un programma televisivo di giochi e varietà condotto da Claudio Lippi e trasmesso per tutta quelle state su Raiuno.

Pochi mesi prima, nel maggio del 1978, Aldo Moro era stato assassinato dalle Brigate Rossi.

La sinistra extraparlamentare era a pezzi, il partito comunista era a pezzi, la democrazia cristiana era a pezzi, il paese intero era smarrito e si muoveva, costeggiando il buio.

Ma sull'inizio della fine della Prima Repubblica, a pochi anni dal riflusso, mentre una certa idea d'Italia e un certo sogno tramontavano, la voce e il volto e il corpo di Mina Anna Maria Mazzini, detta Mina, che quel sogno aveva contribuito a costruirlo, la suon di musica e di voce, passarono per l'ultima volta davanti ai nostri schermi.

Ciò che per noi bambini era un inizio, la prima volta non che la vedevamo, ma che prendevamo con scienza di Mina, per il resto del mondo dell'Italia in particolare, fu una fine.

Mille e una luce sarà infatti l'ultima volta in cui Mina comparirà in un programma televisivo, mentre il ritiro vero e proprio dalle scene ci sarà di lì a poco.

Il 23 agosto 1978, Mina farà il suo ultimo concerto alla Bussola sul lungomare di Marina di Petrasanta, dove tutto era iniziato.

Continuerà a incidere di ischi Mina, ma non si farà più vedere in pubblico, moltiplicando in questo modo l'attenzione su di sé.

Assenza più acuta presenza, scrive Attiglio Bertolucci.

Per noi bambini però bastò quella canzone e quella esibizione per capire che eravamo davanti a qualcosa di completamente diverso, fuori formato, più grande, più bello, più vero, più sfuggente di tutto ciò che avremmo potuto vivere attraverso quella cacofonia di suoni, immagini, discorsi e punti di vista a cui normalmente diamo il nome.

Mina faceva ovviamente parte del discorso pubblico, ma il tempo stesso lo trascendeva, lo sfidava, lo violava, oppure lo costringeva a spingersi su vette dove chi quel discorso lo fabbricava istituzionalmente non avrebbe mai avuto il coraggio e la libertà anche solo di immaginare figuriamoci di salire.

La canzone in questione era ancora ancora ancora, scritta da Cristiano Malgioglio e Pare, scelta all'ultimo momento da Mina per la sigla finale della trasmissione.

Come ha scritto in un libro Chiara Stefani la ripetizione ossessiva di tutte le parti anatomiche, corpo, braccia, bocca, mani, collo e la richiesta impellente di azioni ben precise,

abbracciami, amami, pigliami, consumami, fammi morire, indica una confusione totale fra sesso e amore,

la scalata melodica fino al registro medioaputo e avvolgente e i DJ cominciano a parlare di curva orgasmica,

intendendo una sequenza musicale caratterizzata da un crescendo non soltanto di altezza ma anche dinamico fino a un picco massimo finale.

Quando rivedo quelle immagini e li ascolto quella voce io tremo.

Non credo sia soltanto la sensualità liberatoria dell'ishibizione a colpirmi,

ma la sensazione che proprio attraverso una pulsione primitiva come quella sessuale,

Mina spingendosi da dentro verso fuori riesca a coprire buona parte del nostro spettro emotivo

e attraversandoci da capo a piedi compia su di noi una sorta d'incantesimo,

simile a una sacerdotessa ci fa una limpia,

ci ripulisce temporaneamente dalle nostre brutture, dalle nostre mediocrità, dalle nostre ipocrisie e soprattutto dalle nostre paure.

C'è a lontana per esempio dalla più hysterica e pericolosa delle aspirazioni, quella che riguarda la purezza

e al contrario ci fa scoprire veri perché impuri,

meritevoli di esistere perché limitati, persino grandiosi, ma in quanto transitori e destinati a finire.

L'importante è finire.

Tutto però era cominciato molto tempo prima, nel settembre del 1958.

Quell'anima lunga che sembra un contrabbasso con tutte le corde a posto, quelle carni bianche da gelato alla crema,

quella creatura che recita poco e male, ride al momento sbagliato coprendo si la bocca con la mano.

Ma se si spengono le luci e le comincia a cantare, da quella voce escono grandi palcoscenici, pianto e risate.

Così Tutto parlava di Mina quando ormai Mina era diventata, esattamente come Tutto, una parte dell'identità nazionale.

Mina cresce a Cremona. A 13 anni è una buona nuotatrice, partecipa a diverse gare e si classifica seconda a una competizione regionale.

Sua nonna, Amelia, cantante lirica, le fa prendere lezioni di piano forte, ma il suo strumento è la voce.

Le prime esibizioni, dicevamo, sono la Bussola di Marina di Petrasanta.

In quel periodo Mina viene descritta come una ragazza solitaria, tranquilla, al tempo stesso piena di entusiasmo.

Insomma, sono le solite cose che si dicono di certi miti quando ancora si rinfrescano nel cono d'ombra dell'anonimato.

Ascolta cantanti Mina come Frank Sinatra, Ellaffi Gerard, Elvis Presley, ma quando canta lei non assomiglia nessuno di loro.

Il problema è che la superiorità di Mina rispetto a chiunque le stia accanto è incontestabile e addirittura imbarazzante.

Quando si esibisceGreat per la prima volta in pubblico, il 23 settembre 1958, arriva a Rolo del Rè, provincia di Cremona.

Su quello stesso palco ci sono due cantanti famosi, Natalino Otto e Flo Sundons, sono reduci da Sanremo,

e però vengono totalmente ecclissati da questa ragazzina di 18 anni.

La gente l'ascolta, la vede e impazzisce, chiede il bis per lei e non per loro.

I genitori della giovannissima Mina sono leggermente nervositi dalla situazione che si sta venendo a creare, ma il papà rassicura la mamma.

Lascia la fare, dice, tanto cosa vuoi che sia, durerà qualche settimana questa follia.

Ecco, di anendoti del genere ce ne sarebbero a bizeffe.

Alcuni veri, altri sono distorti dalla forza della leggenda, altri ancora sono pura a geografia.

Non possiamo ricordarli tutti, non sono certo capace io di riassumere in pochi minuti la forza e la bellezza di Mina.

Non posso dire che cosa Mina è, ma cosa sento che sia.

Mi lascio così attraversare anche io dalla misteriosa potenza della sua voce e provo umilmente a restituire l'esperienza,

a mettere in parole, parole, parole, parole, ciò che forse è intestimoniabile.

La prima cosa è la felicità di quella voce.

Da dove viene?

La questione non è come mai è così potente o così intonata e non è nemmeno come mai è così bella.

La questione è che è così bella perché è viva.

Ascoltatevi dischi di Mina e cercate per esempio di capire dove cade la voce.

Ecco la voce di Mina in alcuni brani e così libera che spesso dà l'impressione di cadere pochissimo prima o pochissimo dopo rispetto a dove crediamo dovrebbe fare.

È questa impercettibile sfasatura che in realtà è solo un'illusione dovuta all'impossibile sovrapposizione di padronanza e libertà che le coincidono.

Questa illusoria sfasatura, dicevo, non è parte integrante di una struttura tutto sommato rigida come quella della forma canzone,

ma la sovverte ridefine con la stessa forma, la trasforma in qualcos'altro, qualcosa di vivo che ti si muove dentro.

È, ad esempio, impossibile ascoltare una canzone come la banda quando è cantata da Mina senza sentirsi posseduti da una felicità incontenibile.

Certo c'è il Brasile, la Bossa Nova, la Samba, il pezzo fu scritto e composto da Cico Buarque e de Hollanda,

ma anche nella voce di Mina risuona la tradizione bandistica italiana che attraversa tutte le nostre province.

Si spinge indietro nel tempo, riattiva, ritrova il carnevale, diventa una celebrazione pagana e infine la madre terra personificata che cinguetta e risuona con tutte le sue creature.

Secondo punto, Mina attinge dalla nostra tradizione, la rafforza, la rinnova prodigiosamente e lo fa in un paese dall'identità molto fragile sul piano istituzionale.

In Italia le arti hanno spesso svolto un ruolo di suplenza da questo punto di vista.

In un paese che ha raggiunto l'unità tardivamente e le cui istituzioni hanno spesso dato dimostrazione di una fragilità maggiore di quanto sarebbe stato legito aspettarsi

e toccato alle arti e alla cultura fare spesso da stampella.

Prima che si stesse politicamente l'Italia ha cominciato a esistere letterariamente, artisticamente, musicalmente.

La politica è arrivata più tardi ed è arrivata molto spesso incespicando.

Prima dell'Italia parlano meravigliosamente Dante, Leopardi, Manzoni e poi a cavallo dell'unità e dopo l'unità le parlano Federico de Roberto, Natalia Gisbur, Tomosi di Lampridusa, Beppe Fenoglio, Alberto Moravia, Pierpaolo Pausolini, Amelia Rosselli, Elza Morante, come del resto Giuseppe Verdi, come del resto Giorgio De Chirico, come Federico Fellini, come Mina.

Tutti quanti loro non soltanto contribuiscono a costruire il nostro Paese, l'Italia come sogno, se volete come eterna incomputa, ma quindi proprio per questo come eterna possibilità,

ma hanno spesso ottenuto insieme l'anima del Paese in mancanza di un collante migliore.

Ce l'avevamo quasi fatta a diventare un popolo.

Il terzo elemento, il terzo segreto di Mina verrebbe da scherzare, viene chiamato in causa a poco e male.

Parliamo sempre delle qualità canore di Mina, della sua ugola, della sua forza espressiva.

Ma non riesci a esprimerti in quel modo se non sei anche capace di addentrarti nell'animo umano con una particolare disposizione a cui diamo a volte il nome di amore,

che non è in questo caso soltanto l'amore sensuale di cui ho parlato prima, ma anche l'amore come forma superiore d'intelligenza.

Per capire che cosa sto provando a dire fare parlare direttamente lei, rispondendo nel 2004 su Vanity Fair ha un suo fan a un certo punto Mina scrive una cosa che mi ha colpito moltissimo.

Bisogna essere capaci di affondare lo sguardo nel profondo di quel abisso smisurato che è il nostro cuore.

Guardarci dentro per accorderci che quel mondo rovesciato di cui spesso ci lamentiamo è fatto anche dalle nostre piccole mostruosità.

Siamo tutti complici di una catena di cedimenti, di trasgressioni, di colpe piccole e grandi.

Esiste, quanto meno, una catena di bene non fatto, di amore non dato, di carità e lusa, di grettezza sordida e quotidiana che si dilata dal nostro comportamento

e crea una somma di iniquità che esce da noi e diventa una smisurata schifezza che inghiotte chi, meno di noi, sa costruire difese contro il suo terribile potere di invasività.

E non ci rendiamo conto che dentro quella struttura sociale viviamo anche noi, con tutto il nostro non bene quotidiano.

Grazie Mina Anna Maria Mazzini detta Mina, grazie per tutto il bene quotidiano, corporeale, terreno, aereo, cosmico con cui continui amorevolmente a inondarci.

Fare un fuoco è un podcast settimanare di Lucy scritto e condotto da me, Nicola LaGioia.

Le musiche originali, il montaggio e il sound design sono di Sharon DeLorean.

La cura editoriale è già da Arena e Lorenzo Grammatica. A venerdì prossimo.

Buon appetito.

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Nell’Italia fragile del 1978, un bambino assiste incantato a una delle ultime apparizioni pubbliche di Mina. Nella dodicesima puntata, è proprio lui a celebrare la voce e lo “sguardo nel profondo di quell’abisso smisurato che è il nostro cuore” della straordinaria artista.

Fare un fuoco è il podcast di Lucy che racconta come le storie continuano ad accendere la nostra immaginazione. Ogni venerdì una nuova puntata, scritta e condotta da Nicola Lagioia.
Le musiche originali, il montaggio e il sound design sono di Shari DeLorian, la cura editoriale è di Giada Arena e Lorenzo Gramatica. Si ringrazia Spreaker per il supporto tecnico.

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