Il Mondo: La strage dei migranti che volevano entrare negli Stati Uniti. Il Guardian chiede scusa per il suo passato schiavista.
Internazionale 3/30/23 - Episode Page - 26m - PDF Transcript
Dalla redazione di Internazionale, io sono Giulia Zoli, io sono Claudio Rossi Marcelli
e questo è il mondo, il podcast quotidiano di Internazionale.
Oggi vi parleremo dell'incendio in un centro di detenzione per migranti in Messico e del
quotidiano britannico The Guardian e poi del premio WordPress foto e di un discopopo.
È giovedì 30 marzo 2023.
Però informare algo molto lamentabile, molto triste, a notte, come alle 9.30 della notte,
si produce un incendio in un albergue di migranti nella frontera, in Ciudad Juárez.
Il 27 marzo, almeno 39 persone, sono morti in un incendio scoppiato in un centro di detenzione
per migranti a Ciudad Juárez, una città del Messico al confine con gli Stati Uniti.
Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ne ha dato un'annuncia nella conferenza
stampa che avete appena sentito. Si tratta di una tragedia che molti considerano annunciata,
visto che da mesi un numero sempre più grande di persone si sta ammassando sul confine
tra i due paesi e vive in condizioni molto precarie.
Cerchiamo di ricostruire i motivi di quello che è successo con due giornalisti di Internazionale,
Camilla Desideri, editor di America Latina e Alessio Marchionna, editor di Stati Uniti.
La notte del 27 marzo, almeno 39 persone sono morti in un incendio scoppiato in un centro
dell'Istituto Nazionale di Migrazione del Governo del Messico a Ciudad Juárez, che è una città
nel nord del paese, nello Stato di Cihuahua, vicino a Rio Bravo, un fiume che segna il
confine con gli Stati Uniti. Altre 29 persone sono rimaste gravemente ferite e sono state
trasferite immediatamente negli ospedali della città, quindi probabilmente il bilancio già
grave è destinato ad aggravarsi. Il giorno dopo, questo incidente gravissimo, le autorità
messicane hanno resonata una lista con i nomi e le nazionalità di tutte le vittime. Erano
tutti i uomini e in gran parte venivano da Londuras, dal Guatemala e dal Venezuela,
ma c'erano anche persone provenenti dalla Colombia, dal Salvador e dall Ecuador.
Autorità messicane, come hanno spiegato quello che è accaduto a Ciudad Juárez?
Nella sua abituale conferenza stampa mattutina, il presidente messicano Andrés Manuel López
Obrador ha parlato di un gravissimo incidente e ha in qualche modo incolpato gli stessi
migranti per quello che è successo. Secondo lui, infatti, queste persone stavano protestando
perché temevano di essere rimandate indietro nel loro paese di origine e avrebbero appiccato
il fuoco ad alcuni materassi e oggetti o mobili presenti all'interno del centro.
In realtà, però, le immagini di una telecamera di sicurezza che sono state riprese e diffuse
da alcuni giornali locali e poi da varie agenzie di stampa mostrano il momento esatto
in cui è scoppiato l'incendio e si vedono queste migranti rinchiusi a chiave in una
cella, le fiamme che diventano sempre più alte, la sanza che si riempie di fumo e gli
agenti messicani che non intervengono per liberarli, per aprire la cella, anzi se ne
vanno via. Da tempo le associazioni per i diritti
umani e anche alcuni giornali denunciano le condizioni di questi centri di detenzione
che il presidente messicano ha chiamato albergue, cioè un rifugio, ma in realtà sono delle
vere e proprie prigioni dove i migranti sono detenuti contro la loro volontà, spesso sono
vittime di furti, estorsione e violenze, quindi le condizioni erano note da tempo e nessuna
autorità aveva fatto niente per intervenire.
C'è detto prima che le persone detenute in questa struttura non erano messicane ma soprattutto
venivano dal sud america e dal centro america, perché si trovavano lì?
Le vittime di questo incendio venivano soprattutto da alcuni paesi dell'America centrale, una
regione dove da sempre l'immigrazione è molto grande proprio a causa della violenza, della
povertà, della mancanza di prospettive sociali per molti giovani che finiscono nelle reti
della criminalità organizzata, ma anche a causa di eventi climatici sempre più intensi
e di una situazione politica che sta degenerando verso un autoritarismo e mancanza di democrazia.
Negli ultimi anni il Venezuela è stato tre paesi dell'America latina che ha subito
l'esodo più grande dal 2014, cioè l'anno successivo alla morte di Hugo Chávez e quello
in questo stato eletto Nicolás Maduro, dal 2014 a oggi più di 7 milioni di Venezuelani
hanno lasciato il paese a causa della crisi sociale, economica e politica e di questi
quasi 6 milioni si sono stabiliti nei paesi dell'America latina o dei Caraibi.
Quindi il Messico è diventato soprattutto un paese di passaggio per queste popolazioni?
La maggioranza di queste persone passano in Messico per cercare di raggiungere gli
Stati Uniti o il Canada, ma da qualche anno in Messico trovano un blocco, un muro per
vari motivi, in particolare per degli accordi che sono stati raggiunti tra il governo messicano
e quello statunitense per collaborare nel fermare il flusso di migranti che aspettano
per mesi alla frontiere in attesa che le loro domande vengano esaminate e in particolare
in questi ultimi mesi sperano che a maggio venga eliminato un provvedimento che si chiama
a titolo 42, introdotto durante l'amministrazione Trump, quindi in piena pandemia di Covid-19
che vieta tutti i viaggi non essenziali per evitare i rischi di contagio e che di fatto
autorizza i funzionari statunitensi a respingere le persone che vorrebbero entrare nel paese,
anche i richiedenti a silo.
Alessio, parliamo a questo punto dell'alto statunitense della vicenda.
Noi da qui abbiamo la percezione che la politica migratoria di Joe Biden sia più morbida
rispetto a quella a cui c'è abituato l'amministrazione Trump.
È davvero così?
In realtà no, oggi buona parte dell'opinione pubblica e della stampa negli Stati Uniti
tende a pensare che non ci siano molte differenze tra le politiche migratorie di Donald Trump
e quelle di Joe Biden e questo è piuttosto spiazzante.
Considerato quello che è appena successo a Ciudad Coares e in generale la gestione repressiva
dell'immigrazione da parte di Washington, oggi facciamo fatica a ricordare come Joe
Biden parlava dell'immigrazione da candidato durante la campagna elettorale del 2020 e anche
dopo essere entrato in carica come presidente all'inizio del 2021.
Biden si era impegnato a cancellare molte delle politiche repressive introdotte dall'amministrazione
Trump che si era fatta notare soprattutto per il modo disumano in cui trattava i migranti
e a offrire un percorso verso la legalizzazione per i circa 11 milioni di immigrati senza documenti
che già vivono negli Stati Uniti.
Cioè si parla di persone che nella maggior parte dei casi lavorano, studiano, insomma
contribuiscono a far funzionare e crescere la società statunitense.
Ma le proposte di Biden per introdurre queste nuove politiche sono state ferme al Congresso
per anni a causa soprattutto della mancanza di la maggioranza netta dei democratici al
Senato e così il presidente ha cercato di aggirare questo stallo usando il più possibile
i suoi poteri presidenziali.
Per certi versi e fino a un certo punto c'è riuscito, firmando una serie di decreti per
proteggere gli immigrati senza documenti, sbloccare i canali d'ingresso legali che
erano stati chiusi durante la prima fase della pandemia ed espandere le protezioni umanitarie.
Poi però l'amministrazione Biden è stata in un certo senso travolta dagli eventi.
Cioè a quale eventi ti riferisci?
Il peggioramento delle condizioni di vita in Venezuela e nei paesi dell'America centrale
unito proprio al fatto che al governo degli Stati Uniti c'era un presidente più favorevole
dall'accoglienza e la protezione dei migranti ha fatto aumentare il numero di persone che
cercano di entrare negli Stati Uniti dal Messico.
Se condidati dell'autorità di frontiere americane tra l'ottobre del 2021 e il settembre del
2022 circa 2,5 milioni di persone hanno attraversato il confine tra Stati Uniti e Messico senza
autorizzazione e questo è il numero più alto di sempre.
Il problema è che nelle agenzie federali, nelle comunità di confine avevano i mezzi
per gestire questi flussi anche perché tra il 2016 e il 2020 l'amministrazione trampa
aveva smantellato quello che restava delle strutture di accoglienza dei migranti e anche
del sistema per processare le richieste d'asilo.
La percezione di una situazione molto caotica al confine è stata immediatamente usata come
arma politica dai repubblicani e anche in modi molto plateali e controversi.
Per esempio, di recente i governatori della Florida e del Texas hanno mandato pulma in
pieni di migranti in Stati del Nord governati dai democratici proprio perché volevano mettere
in evidenza l'ipogresia della sinistra su questo tema e colpire il presidente.
In questo contesto la priorità per Biden è diventata arginare il flusso migratorio
introducendo politiche non molto diverse da quelle dell'amministrazione Trump.
Ecco ci puoi fare qualche esempio di una politica migratoria di Biden che ricorda quelle di
Donald Trump?
Che proprio a febbraio l'amministrazione Biden ha presentato una proposta per quando a maggio
scadrà la politica del titolo 42 di cui ha parlato poco fa Camilla e questa proposta
impedirebbe a buona parte dei migranti che arrivano al confine di presentare una richiesta
d'asilo.
E' chiaramente una misura molto contestata dalle persone che si occupano di accoglienza
e che si aspettavano un approccio, come dicevi tu, più morbido dell'amministrazione Biden
all'immigrazione.
Al momento la possibilità che il Congresso modifichi un sistema migratorio paresemente
inateguato sono inesistenti, anche perché i repubblicani hanno preso il controllo della
camera dei rappresentanti alle ultime elezioni di metà mandato e bisogna sempre ricordare
che l'ultima riforma del sistema migratorio negli Stati Uniti risale addirittura al 1986.
Grazie D'Alessio Marchionna.
Grazie a voi.
Grazie a Camilla Desideri.
Grazie a voi.
Rossi Santella, foto editor d'internazionale, parla di vincitori del premio WordPress
Foto.
Una delle tre foto a doppia pagina con cui apriamo il giornale questa settimana mostra
una donna che ha un cucciolo di alpaca in braccio, fa parte del lavoro di Alestandro
5, un fotografio italiano che vive in Peru e che con questa foto ha vinto la categoria
storia del WordPress Foto, il premio di fotogiornalismo più importante al mondo.
Alestandro 5 è uno dei 24 vincitori regionali, regionali perché dal 2022 sono state create
delle giurie su divise per aree geografiche, a Africa, Asia, Europa, America del Nord,
America del Sud, Sud è Stasiatico e Oceania, questo per evitare quello che accadeva nelle
edizioni precedenti, e cioè che vincitori fossero per lo più di nazionalità europea,
anche quando coprivano storie in altri paesi del mondo.
Le giurie regionali esaminano prima i lavori della propria area e poi tutte insieme stilezionano
i 24 vincitori che sono divisi in quattro categorie, foto singola, storie, progetti
a lungo termini e open format dedicato ai video.
La giuria globale quest'anno ha esaminato più di 60.000 immagini che sono arrivate da
oltre 3.700 partecipanti provenienti da 127 paesi.
Dal conflitto in Ucraina, al primo anno dell'Afghanistan sotto il dominio dei Taliban, la
crisi climatica, la perdia dei diritti delle donne dagli Stati Uniti all'Iran, le foto
quest'anno raccontano cose successo nel 2022.
Ma i premi più importanti, cioè i vincitori della foto dell'anno, della storia, del progetto
a lungo termine e dell'open format, saranno annunciati solo il 20 aprile, e le loro immagini
faranno parte di una grande mostra che si aprirà il 22 aprile ad Amsterdam e poi sarà esposta
in 50 paesi.
Potete trovare le foto dei vincitori su www.internazionale.it.
Il Guardian, come centinaia di istituzioni del Regno Unito, allegami finanziati diretti
con lo schiavismo, dice lo storico David Olusoka in un video pubblicato sul sito dello
stesso Guardian.
Olusoka è uno dei ricercatori incaricati dallo Scott Trust, l'organizzazione non profit
che possiede il quotidiano britannico, di indagare sui legami tra John Edward Taylor,
che nel 1821 fondò il giornale insieme a un gruppo di finanziatori e la tratta transatlantica
degli schiavi.
Dal loro lavoro èmerso che Taylor e quasi tutti i fondatori del giornale facevano affari
con aziende che importavano dalle americhe cotone prodotto da schiavi e schiave.
Il Guardian lo ha raccontato ieri, pubblicando una serie di articoli sul passato schiavista
dei suoi fondatori e le scuse pubbliche della proprietà del giornale, che ha annunciato
un programma di compensazione da 10 milioni di sterline per ripagare i danni causati
alle comunità che ti scendono dagli schiavi sfruttati nelle americhe.
Ne parliamo con John Foote, storico britannico che insegna l'Università di Bristol, dove
l'abbiamo raggiunto.
Foote ha da poco pubblicato per la terza, gli anni neri, ascese caduta del fascismo.
Guardian è fatto un'operazione abbastanza complesso, prima c'è una specie di inquiesto
storica fatto da varie unità, che ha guardato anche abbastanza in modo dettagliato alle
origine della Guardian, il fondatore, il soldi che ha fondato e ha curato il Guardian dall'inizio
dell'Ottocento in poi, e anche sulle reddità di questa persona oggi.
Quindi c'è un'inchiesto storica che ha più o meno in sintesi deciso che molti di queste
persone, incluse fondatori, avevano anche fortissimi legami con l'industria della schiavitù.
In più c'è un'operazione di riparazione, c'è una scusa pubblica, c'è una serie
di inquieste giornalistica aggiunta su questo, ci sono anche dei soldi per varie cose, bosse
di studio, bosse di lavoro, specie di riparazione diretta nella ex colonia, quindi una serie
di cose molto complesso che è stato lanciato questi giorni su Guardian.
In che modo il fondatore e i finanziatori del Guardian erano legati allo schiavismo?
La ricerca che è stato fatto in alcuni casi direttamente legati avevano dei schiavi,
hanno fatto soldi con soggiuto di cottone in Jamaica e in altri colonia dell'impero britannico
usando schiavi per fare soldi.
In altri modi, altri personalità, perché non guarda solo i fondatori, ma guarda anche
investitori nel Guardian inizio, altri sono stati più indirettamente legati alla commercio
che si basava sul sistema delle schiavi, tu che è un commercio enorme, in più in certo
senso tutto l'impero aveva questo collegamento, era un cosa triangolare, c'è il commercio
dei schiavi che facevano questo lavoro e soldi che arrivavano in Inghilterra, quindi non
c'erano schiavi in Inghilterra, non c'erano schiavi per i paesi della colonia.
La direttrice del Guardian ha spiegato che questa indagine è stata commissionata nel 2020
mentre negli Stati Uniti esplodeva il movimento Black Lives Matter, negli Stati Uniti c'è
anche un movimento sempre più forte che chiede risarcimenti economici per gli afroamericani
vittime dello schiavismo, nel Regno Unito c'è qualcosa di simile, l'eredità schiavista
di questi due paesi è paragonabile?
Secondo me, sì, non c'erano schiavi che lavoravano nel Regno Unito, questa è la differenza
ovviamente, mentre in Stati Uniti c'era il commercio di schiavi che impattava direttamente
sul territorio, però non c'è una grande differenza, perché noi, molte della ricchezza,
molte delle difficili, molte dei profitti dell'industria o in Inghilterra o nell'impero, si basava
sulla schiavitù, poi c'erano anche dei schiavi che abitavano in Inghilterra come
schiavi personale da una persona qui pochissimi comunque, quindi c'erano differenze importanti
su questo cosa ovviamente da una comunità nera in Stati Uniti, ma i soldi che facevano
queste paese, che facevano dei ventari ricchi dominanti in quei momenti anche oggi derivava
da questo horrendo commercio e dappotutto nel tessuto della città, io abito a Bristo
dove ero particolarmente forte questo commercio, questo soldi per l'industria del cioccolato,
dell'industria del tobacco e i nomi del schiavisti sono dappotutto nella città, infatti è stato
un grande dibattito su questo in questi anni.
Il gruppo di storici indipendenti incaricati di fare questa indagine è stato abbastanza
specifico, ha indicato dei luoghi perfino delle piantagioni precise a cui i finanziatori
fondatori del Guardian erano legati, sembra un lavoro di ricerca storica molto accurato,
ma al di là del lavoro di ricostruzione storica dei fatti, qual è il tuo giudizio su questa
operazione del Guardian, sulla decisione di scusarsi di fare questo a me a culpa?
Sì, la ricerca storica mi sembra molto interessante, parlare della persona vera e non della schiavitù
come sistema, perché di spesso la gente non si collega emozionalmente o storicamente
con un sistema, ma quando si collega con le realità personale di questa cosa, la strappamento
della persona, l'assultamento della persona, questo mi sembra un'operazione molto moderno,
molto nuovo, molto interessante, arrivare anche a giorni nostri, discendenti dei schiavi,
che ci sono dappertutto. C'è un secondo questione però, però che è un po' più
discutibile, che è la questione dell'effetto di questo tipo di cosa, la cosa meno interessante
mi sembra la scusa, perché mi sembra un po' simbolico, ma non ha nessun effetto su niente,
quindi c'è un piccolo pericolo magari importante di slavewashing di, ah, siamo dei bravi,
perché abbiamo fatto questo lavoro e quindi di cancellare in certo senso la storia con
questo scusa, che ovviamente le strutture di discriminazioni e di separazioni e di struttamento
ci sono tuttora nella società inglese o anche con gli americani, quindi c'è questo
pericolo che è da te ne presente secondo me.
Questo lavoro è stato presentato sul sito del Guardian anche con un video di uno storico
britannico, David Oluzoga. Chi è?
Sì, lui è un storico molto conosciuto in Gran Bretagna, lui è spesso in televisione,
spesso entrivieni e debattiti su questioni storiche, su la questione della scavitusa,
questioni della memoria, della statua e così via. È molto impegnato in queste cose e quando
è stato buttato giù la statua di Colston, Karen's che vista, fortemente impegnato nel
commercio dei schiavi, che poi vennerà su nella città di Bristol perché è dato un
sacco di soldi per esempio per scuole o case, è stato buttato giù durante le movimenti
di Black Lives Matter a Bristol, buttato nel fiume. Lui ha scritto una serie di articoli
e è intervenuto molto su queste questioni e quando c'è stato il processo contro quattro
manifestanti che facevano parte dei migliaia che avevano tirato giù quella statua con
l'intero giorno, lui è stato chiamato da una difesa per parlare e per un intero giorno
al processo parlato di storia della scavitù, non del processo, non dei fatti della statua,
di storia della scavitù e questa ha convinto in parte la giuria di trovare inocente queste
quattro persone che è una cosa molto molto raro nella storia politica giudiziario inglese
quindi è un personaggio molto interessante e importante e per quello che l'hanno messo
dentro questa operazione.
Eh, Marzo anche che i legami del fondatore del Guardian con lo schiavismo avrebbero influenzato
anche la linea editoriale del giornale che, mentre da un lato chiedeva l'abolizione della
schiavitù, chiedeva anche che gli schiavisti fossero riserciti per gli schiavi che perdevano.
Oggi, che giornale è il Guardian? La sua linea editoriale è coerente con i principi
che in questa occasione ha voluto riaffermare in modo così forte.
C'è stata un'incredibile compensazione dato alla schiavisti dopo l'abolizione della
schiavitù che era un'un quantità di soldi estrodinario che in certo senso stiamo tuttora
pagando per averli abolito la scavitù che è una cosa quasi da ridere però è interessante
perché c'è questo doppio sultamento perché loro hanno ottenuto questo cosa, infatti sono
tantissime famiglie che hanno ereditato solo di, incluso, famiglia di ricchi tuttora in
Ingotterra.
E quindi questo era stato una cosa di questo, cioè era un database di tutta questa famiglia
fatto la Università di Londra.
Guardian è un giornale leggemente di sinistra che in certo senso in operazioni in linea
con sua linea editoriale anche se l'ultimamente ha dato il lavoro a una serie di giornalisti
che magari non sono esattamente di quella linea lì, quindi storicamente un giornale
di sinistra o centro sinistra liberale però è un grosso business online, una delle cose
più lette nel mondo perché ancora gratis online, c'è stato abbastanza interessante
dei scontri politici su, per esempio, Jeremy Corbyn a cui il Guardian era molto stile quando
era capo del patito laborista.
Grazie a John Foot.
Grazie a voi.
Il disco della settimana è consigliato da Giovanni Anzaldo, editor di Musica di Internazionale.
Il nuovo disco di Lana Del Rey ha un titolo lungo ed evocativo, si intitola
Did You Know That There's a Tunnel Under Ocean Boulevard e contiene un brano che più degli
altri ci ricorda quanto sia brava questa cantautrice statunitense.
Il pezzo in questione si intitola A&W, una sigla che sta per American Horror, puttana
americana ed è un concentrato di decadentismo e gusto retro in pieno stile della Lana Del
Rey.
Nelle sue canzoni la cantautrice si descrive sempre come una donna disperata e spesso in
balia dei suoi cinici amanti, poco importa se le storie raccontate in queste canzoni
siano vere o no, e spesso lo sono in realtà.
Quello che conta è che seppur con alti e bassi ogni disco della cantautrice statunitense
riesce a partorire immaginari, mentre Lana omaggia il canzoniere americano senza dimenticare
quello che succede oggi intorno a lei, dal rap al pop di Billie Eilish.
Per carità, Did You Know That There's a Tunnel Under Ocean Boulevard non inventa niente
di nuovo, ma anche stavolta Lana Del Rey conferma di essere una grande artista.
Sottotitoli a cura di Sottotitoli e a cura di Sottotitoli
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Almeno 39 persone sono morte nell’incendio in un centro di detenzione per migranti a Ciudad Juaréz, una città messicana al confine con gli Stati Uniti. Da un’indagine commissionata dalla proprietà del quotidiano britannico è emerso che i fondatori facevano affari con aziende che importavano cotone prodotto nelle Americhe da schiavi e schiave.
Camilla Desideri, editor di America Latina di Internazionale, e Alessio Marchionna, editor di Stati Uniti di Internazionale
John Foot, storico britannico, da Bristol
Video Mexico: https://www.youtube.com/watch?v=d9C6ACwclSg
Video Guardian, David Olusoga: https://www.theguardian.com/news/video/2023/mar/28/david-olusoga-examines-the-guardians-links-to-slavery-that-reality-cant-be-negotiated-with
John Foot sulla statua di Edward Colston abbattuta a Bristol: https://www.lrb.co.uk/blog/2022/january/the-colston-four
Scrivi a podcast@internazionale.it o manda un vocale a +39 3347063050
Consulenza editoriale di Chiara Nielsen.
Produzione di Claudio Balboni.
Musiche di Tommaso Colliva e Raffaele Scogna.
Direzione creativa di Jonathan Zenti.