Fare un fuoco: La cultura può salvare il pianeta ORA

Lucy - Sulla cultura Lucy - Sulla cultura 5/26/23 - Episode Page - 17m - PDF Transcript

Questa è una puntata speciale di fare un fuoco, perché, per la prima volta, fare

un fuoco è Lucy sulla cultura, la rivista multimediale in seno alla quale questo podcast

nasce, escono dalla rete e se ne vanno in giro per il mondo.

Per il mondo intendo proprio lo spazio fisico dove ci sono anche i nostri corpi.

Siamo insomma molto orgogliosi e molto felici di potervi finalmente incontrare dal vivo.

Dove a Monopoly? Lucy va a Monopoly, dove è fra i partner dell'Orafest dal 3 al 7 di giugno.

Orafest è un festival dove si parlerà di cinema, di letteratura e di sostenibilità.

Ci saranno grandi ospiti e Lucy avrà, avremo, una sezione tutta nostra.

Proprio perché ci prepariamo almeno speriamo al bagno di folla vorrei allora fare sui temi

di Orafest e su una città di Monopoly una puntata molto confidenziale, cioè molto personale.

Io sono nato a Bari e per me tornare in Puglia significa sempre tornare a casa e parlare di

Monopoly per ciò che mi riguarda significa, come vi racconterò, cominciare il discorso da una biblioteca.

Io sono Nicola la gioia e questo è fare un fuoco, il podcast di Lucy che racconta come le

storie continuano ad accendere la nostra immaginazione.

Ho avuto il privilegio di nascere in un posto di mare. Quando arrivava maggio, usciti da scuola,

prendevamo i motorini e imboccavamo la statale sedici diretti verso sud. Andavamo cioè in

uno di quei posti facili a trovarli lungo la traiettoria per i quali la distanza fra l'abbandono

del motorino e il primo tuffo e mare misurava circa 30 secondi. Ma vorrei concentrarmi sulla strada,

per chiunque vive in Puglia e ha ancora un'anima, dire statale sedici significa evocare un nome magico.

La statale sedici, più che la nostra Route 66, è la nostra Highway 61 Revisited, una strada lungo la

quale può succedere di tutto, un percorso di trasformazione insieme a un viaggio iniziatico.

È la via che avvicina la terra di Bari al Salento e unifica diversi spiriti, per certi versi

opposti, nelle acque dell'Adriatico. Viviamo in un incantesimo, fra palazzi di tuffo in una grande

pianura scriveva Vittorio Bodini. Ma cosa accade imboccando questa strada, muovendosi dal sud

al sud del sud dei Santi? Qua ora non Putatis recita la scultura di uno scheletro messo a guardia

della chiesa del purgatorio abitonto. Lo scheletro gemello dall'altra parte completa l'escrizione,

Veniam et Medam. In un'ora che non conoscete, verrò e mieterò.

Vittonto è nel barese, l'ambito ma non attraversato dalla statale sedici,

che si prende invece da Bari. Ma Vittonto proprio come Bari rappresenta un sud quadrato,

con cretezza, grazionalità, amore per il commercio. La solidità qui è una abilitrazionale esistenza,

la mortalità, una constatazione, il senso per gli affari, un consiglio. Una parola è poca e due

sono troppe. La bianca severità delle chiese romaniche contro l'azzurro del cielo canonizza

questa filosofia di vita. E tuttavia, nel vento e nella luce dello spettro levantino,

si individua un movimento di segno opposto. Scendendo lungo la statale, si arriva a Mola,

a Polignano, a Monopoli. Di avvia che si procede verso sud, ci si sente più leggeri.

I pensieri si accordano a un movimento circolare che si apre alla visione. Il románico impazziche

nel barocco, i santi consapevoli, San Nicola, uomo d'azione, campione di solidità, cedono il passo

ai santi che volano. Desa da Copertino, frate Asino, che si staccava da terra, dimentico di sé.

Monopoli sta nel mezzo di questa trasfigurazione. Non è un caso che la basilica concattedrale di

Maria Santissima della Maglia fu una cattedrale romanica nel XI secolo e poi barocca nel 1700,

dunque comprende entrambi gli animi. Certo Monopoli, geograficamente più vicino a Bari

che a Brindisi, è molto più vicino a Bari che a Lecce, ma nel suo cielo e nel suo porto,

o meglio nell'idea che il cielo rispecchiato nelle acque del porto ispira in chi ci arriva,

si sente il perfetto equilibrio della cibiltà meridionale. Pronta ad accogliere, desiderosa

di partire, ma anche il luogo in cui tornare, tornare e per fare cosa.

Monopoli era uno dei posti in cui, ai tempi della scuola, ci fermavamo con gli amici per fare

il bagno al mare. Era un posto molto bello, ma sotto cui un fuoco, per dirla con il titolo

di questo podcast, aspettava di venire acceso o riacceso.

A Monopoli ci sono tornato dopo molti anni da quando sono andato via. Faccio parte,

così ci chiamiamo per sfotterci, fa di noi, dai baresi della diaspora. Sono uno di quelli che

andato via, al nord, a lavorare. Sono poi però tornato a Monopoli molti anni dopo, nel 2018,

e ho trovato una città bellissima. Viva, attiva, sfolgorante tra terra e mare. Sapete quei posti

in cui arrivi e ti senti subito travolto da un'atmosfera magica. Che cos'era successo nel

frattempo? Qui ognuno può avere la sua opinione. La mia è che quel fuoco è stato acceso per così

dire sotto la città da due eventi molto precisi. Uno, la riapertura di un teatro,

due, la ristrutturazione di una biblioteca. Il teatro si chiama Radar, è una capienza

di 450 posti ed è stato riaperto nel marzo del 2018, dopo 33 anni di chiusura. La biblioteca,

a sua volta, è una delle più belle affascinanti che io abbia visitato girando per l'Italia.

Si chiama Prospero Rendella, è stata ripensata, ristrutturata e restaurata la città nel 2017.

Per alleganza e leggerezza, la prima volta che ci sono andato mi sembra quasi una biblioteca

del nord Europa. Se non fosse che si affaccia, e questo ne fa qualcosa di più bello che

una biblioteca del nord Europa, si affaccia providenzialmente sull'Adriatico.

Ed è circondata dall'architettura del XVI e del XVII secolo della vecchia città di

monopoli. La biblioteca apre la mattina, la mattina presto e chiude la sera, e sempre

piena di ragazzi organizza un sacco di manifestazioni come il Prospero Fest. È, in definitiva,

un posto capace di costruire intorno a sé, non un pubblico, non un numero per quanto

incoraggiante di utenti, parole di cui a volte diffido pubblico e utenti, ma una comunità,

come dovrebbe fare ogni presidio culturale.

Ora, se in una città c'è una biblioteca e un teatro che funzionano bene, la città

ne traraggiovamento, diventerà più viva. Anche quelli che non vanno a teatro, anche

quelli che non mettono piede in biblioteca, sarebbe bene che lo facessero, ma è un altro

discorso, anche per loro il teatro e la biblioteca lavoreranno, perché il teatro e la biblioteca,

quando funzionano, producono senso. La produzione di senso non è qualcosa che si misura, non

è neanche qualcosa che si vede a occhio nudo, è qualcosa che lavora anche invisibilmente

ed è qualcosa che trasforma il mondo e le persone intorno a sé. Ecco dunque che la

Monopoli che ho trovato qualche anno fa era la stessa che ricordavo da ragazzo, ma era

al tempo stesso diversa, trasfigurata. Ed è qui a Monopoli che inizio giugno arriveranno

registi, attori, attrici, scrittori, scrittrici, intellettuali, giornalisti e anche noi dilusi

per ragionare di clima, di sostenibilità del nostro difficile rapporto con il mondo.

Ma perché mai uno può chiedersi le arti e la cultura possono aiutarci ad affrontare

problemi come questo? Non basta la politica o la scienza o la tecnica? Prendiamo il cambiamento

climatico, forse una delle più grandi sfide davanti a cui ci troviamo. I gherciari si

sciolgono, gli oceani secidificano, la siccità avanza, le specie si estinguano al ritmo accelerato,

emigrazione di massa promettono tumulti su scala globale. Per evitare il disastro dovremmo mettere

in discussione lo stile di vita che conduciamo, il nostro sistema di consumo e soprattutto di

sviluppo. Dati alla mano dovremo cambiare molte cose. E allora perché non lo facciamo? O perché

lo facciamo con tanta rentezza? Ecco il problema è che concetti come il modello di sviluppo o lo

stile di vita non sono la conseguenza di un disegno razionale, rispondono ai stinti profondi.

Per cambiare le regole del gioco dovremmo scendere nei territori dove le pulsioni primordiali e

le correnti inconsce determinano le nostre azioni. Perché l'informazione diventi in noi conoscenza

bisogna arrivare a sentire la giù, cioè di cui siamo già adotti in superficie? E le arti,

la letteratura, il cinema, la poesia si occupano proprio di ciò che succede la giù. La giù,

tra tante cose meravigliose, ce ne sono anche di dolorose. C'è forse ad esempio anche la frattura

psichica che ci ha persuasi di essere gli eletti al centro della scena e al tempo stesso le

creature più tragicamente sole dell'universo, separate e in modo irreparabile da ciò che ci

circonda. Non è così, ma crediamo che così. La modernità. La modernità ha rimesso al centro

l'uomo, si legge nel ripri di scuola. Ma forse sarebbe meglio dire che la modernità ha contribuito

a tirarci fuori da un certo tipo di tenebra, riconoscendo a ciascuno di noi una dignità

ed i diritti prima impensabili. Riconoscere la dignità di ciascuno non significa però

scaraventare per forza l'individuo al centro della scena come abbiamo fatto.

Il problema è che un vero centro della scena non esiste, si tratta di un centro illusorio.

Chi sta al centro, chi crede, chi si illude di stare al centro, tra l'altro vive e muore solo.

Ed è da questa solitudine, da questa separazione, da questo egocentrismo, da questa paura che nasce

la violenza. Fuggire dalla gabbia di un nio tossico inchiodato a un centro inesistente,

forse è un bel po' seppure a fatica che stiamo lavorando al nostro piano di evasione.

Sono stato colpito di recente, tra il proposito, da una riflessione del neuro scienziato britannico

Anil Seth, sull'inchiesta.it, il quale a un certo punto scrive.

Nonostante la sua reputazione dubbia fra i neuro scienziati, Sigmund Freud aveva ragione su molte cose.

Guardando a ritroso nella storia della scienza, ha identificato tre ferite che sono state inferte

alla percezione di sé della specie umana. La prima si deve a copernico, il quale ha mostrato

che è la terra a ruotare intorno al sole e non viceversa. Così facendo, ci ha reso consapevoli

di non essere al centro dell'universo. Poi è venuto Darwin, che ci ha rivelato che condividiamo

un antenato comune con tutti gli altri esseri viventi, dunque non siamo così unici e speciali.

Immodestamente, Freud imputa la terza ferita contro l'eccezionalismo umano alla sua teoria

della mente inconscia, che sfidava l'idea che la nostra vita mentale fosse sotto il

controllo cosciente e razionale. Questo spostamento di punto di vista avrebbe rappresentato, secondo

Freud, una ulteriore detronizzazione dell'umanità. Ma questa detronizzazione non è un male. Dovrebbe

anzi riuscire a farci sentire di nuovo una parte del tutto. Potrebbe aiutarci a tornare

lì dove siamo sempre stati, un luogo che segretamente desideriamo molto. Il desiderio

del ritorno è un mito antico. Ecco, allora, ed è qui che avere un posto sul mare rende

più semplici le cose, che il mito del ritorno e la sua più celebre matrice narrativa, l'odissea,

può oggi forse venire letto in un modo ancora diverso. Se l'odissea di Omero era un viaggio

epico e se l'ulisse di Joyce era una parabola esistenziale con un finale misterioso, oggi,

addentrandoci in quel mistero, ci tocca forse un'avventura psichica, che il viaggio di

odisseo come ritorno al luogo da cui ci siamo allontanati via via che l'ego ci sia indurito

addosso e, così facendo, ci ha portati alla deriva. Noi, invece, vogliamo segretamente tornare a Itaca.

Mi viene in mente un frammento bellissimo di Simon Veil e anche misterioso contenuto né la

persona e il sacro, dice Simon Veil. Ciò che è sacro, lungi dall'essere la persona,

è quello che in un essere umano è impersonale. Cosa significa? Si potrebbe pensare che,

spogliato dalle zavorre di un ego troppo pesante, dell'essere umano presti troppo poco. Non è così.

Alleggerito dall'armatura di un eccesso di personalità e ridicolo come ti sei bardato per

questo mondo, scriveva Franz Kafka, si dischiude forse un fiore e si risveglia la coscienza.

È qui che torniamo a contemplare il mondo con stupore ed è qui che sgorga tutto l'amore di

cui siamo capaci e questa forse la nostra Itaca. Ecco, sono forse diventato troppo alato,

troppo maniloquente, o semplicemente mi sono troppo allargato, o forse anche io mi sto

trasfigurando e cos'è bellissimo se fosse così, ma non è detto, ma è quello che può

succedere quando si torna in puglia e ci si mette, come dicevo prima, sulla statale 16.

E allora, per parlare di tutto questo, ci vediamo con Lucy a Monopoly,

Allora Fest, dal 3 al 7 di giugno.

Fare un fuoco è un podcast settimanale di Lucy scritto e condotto da me, Nicola la

gioia. Le musiche originali, il montaggio e il sound design sono di Sharon DeLorean,

la cura editoriale ed già da Arena e Lorenzo Grammatica.

Machine-generated transcript that may contain inaccuracies.

In questa puntata speciale, realizzata in collaborazione con ORA! Fest, vi portiamo in viaggio sul tratto pugliese della statale 16, la strada magica che sfiora e unifica i diversi spiriti della costa adriatica. Ci vediamo dal 3 al 7 giugno a Monopoli (BA)!

Fare un fuoco è il podcast di Lucy che racconta come le storie continuano ad accendere la nostra immaginazione. Ogni venerdì una nuova puntata, scritta e condotta da Nicola Lagioia.
Le musiche originali, il montaggio e il sound design sono di Shari DeLorian, la cura editoriale è di Giada Arena e Lorenzo Gramatica. Si ringrazia Spreaker per il supporto tecnico.

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