Fare un fuoco: Dentro la Mostra del Cinema di Venezia
Lucy - Sulla cultura 8/30/23 - Episode Page - 32m - PDF Transcript
Secondo Joseph Brodsky, il pizzo verticale delle case veneziane è il più bel disegno
che il tempo di cui l'acqua e una metafora ha mai concesso alla terra ferma.
E come se lo spazio, consapevole della sua inferiorità rispetto al tempo, gli rispondesse
a Venezia con l'unica proprietà che il tempo non possiede, la bellezza.
La transitorietà della bellezza e della vita non è mai così evidente come a Venezia.
Se c'è allora un compito occulto che la biennale può svolgere è quello di trasformare questa
transitorietà in circolarità, costringendo la bellezza ad accadere in maniera periodica.
Ogni due anni l'arte, ogni altri due l'architettura, poi il teatro, la danza, la musica e ogni
anno, a fine agosto, il cinema.
Oggi, Alido di Venezia, comincia per l'ottantesima volta attenzione non il festival del cinema,
ma la mostra internazionale d'arte cinematografica, perché il cinema, nonostante tutto, può essere
una forma d'arte. E questa è la sua casa più antica. Venezia fu la prima manifestazione
di questo genere a livello mondiale. Noi di Lusi riprendiamo anche da cui le trasmissioni
interrotte con la pausa estiva. Siamo arrivati al Lido di Venezia da dove vi racconteremo
giorno per giorno la mostra del cinema.
Io sono Nicola la gioia e questo è fare un fuoco, il podcast di Lusi che racconta come
le storie continuano ad accendere la nostra immaginazione.
Oggi la mostra si inaugura con comandante di Eduardo de Angeris. Fino a qualche settimana
fa l'apertura sarebbe dovuta essere Challenger di Luca Guadagnino. Che cos'è successo?
Che lo sciopero degli autori, degli attori, degli sceneggiatori di Hollywood ha fatto
slittare l'uscita di diversi film prevalentemente state unitensi, alcuni dei quali sarebbero
stati visti per la prima volta qui a Venezia.
All'inizio sembrava che la mostra fosse proprio ineguai e invece Alberto Barbera e i suoi,
che alle difficoltà sono abituati, hanno fatto davvero una sorta di miracolo. Nonostante
lo sciopero sono riusciti in corsa a tirar fuori un programma di grande livello. Qui
all'idio vedremo i film di David Fincher, Giorgos Lantimos, Il Sufiacoppola e Di Wes Anderson,
di Matteo Garrone, Duke Besson, di Pablo Larraín, di Michael Mann, di Saberio Costanzo e così
via. Insomma, Barbera e i selezionatori sono stati bravissimi e io tifo per loro.
A proposito, a dire la verità, avrei un motivo in più per amare questa mostra e questi luoghi.
Alla mostra del cinema, ci ho infatti lavorato per un bel po. Per tre anni come selezionatore
e per un edizione, come giurato. Ho trascorso qui molte mattine, pomeriggi, notti, insieme
agli altri selezionatori, alla furibonda ricerca della Gemma nascosta, del diamante Grezzo,
del regista squelonsciuto da catapuntare per la prima volta sotto il riflettorio oppure
al contrario, della grande star che bisognava convincere a venire qui, anziché a Cannes
Quattoronto. Credo molto ai gruppi di lavoro. E il gruppo di
lavoro di Alberto Barbera, un attuale direttore della manifestazione, ha fatto crescere molto
la mostra. Coraggio, visione, lavoro duro, anzi durissimo. Come si gestisceRa, un evento
internazionale, io l'ho imparato qui. Alberto Barbera ha diretto la mostra dal 1999 al 2001.
Poi la ripresa in mano nel 2012 e a questo punto l'ha fatta davvero volare. Vorrei provare
allora a raccontarvi mentre la mostra inizia come funziona dall'interno. Per farlo, ho raggiunto
anche i miei vecchi colleghi selezionatori che del gruppo fanno ancora parte. Ho raggiunto Alberto
Barbera chiedendogli di raccontare all'uso i loro film preferiti fra quelli selezionati e
i loro momenti preferiti in tutti questi anni. Sentirete anche la loro voce in questa puntata.
Per cominciare intanto a raccontarvi come funziona la mostra, devo fare un salto indietro
nel tempo e anche un certo salto nello spazio, trovando un punto d'equilibrio fra il grande
Telex Celsior, il suo sinuoso profilo moresco su Lido di Venezia e Los Angeles. Il 2 marzo
del 2014, al Dolby Theater di Los Angeles, gravity di Alfonso Cuarón, vince 7 premi Oscar.
Mentre il regista messicano parlava emozionato in diretta planetaria, in Italia se individui si
scambiavano messaggi e si telefonavano nel cuore della notte. Ciascuno di loro si domandava se
fosse stato l'ecito telefonare a una settima persona, il capitano della squadra di cui facevano
parte. Magari lui stava dormendo, ma come poteva dormire chi aveva fatto e sordire alcuni mesi
prima quello che si sarebbe rivelato il film dell'anno. L'estate prima, questi individui avevano
trascorso più di tre mesi insieme. Quando dico insieme, intendo perennemente vicini gli uni
agli altri, confinati in una lingua di terra fra l'allaguna venita in Adriatico, avevano condiviso
16 ore su 24 di ogni giorno, 7 giorni su 7 sabati e domeniche compresi per oltre tre mesi.
Ognuno era stato, diciamo così, costretto a conoscere tutto delle abitudini altrui. Si
potrebbe dire che ognuno aveva esperienza persino del sonno dei propri compagni di viaggio.
I sei dormivano, il nostro albergo infatti, un tre stelle, forse non comodissimo per starci
dei mesi, il caldo imponeva di tenere le finestre aperte di notte e così chi russava veniva ascoltato
dagli altri. Questi individui avevano visto insieme oltre min de film, anzi quasi mille
cinque, nella stessa sala, non gomito a gomito, ma a una poltrua di distanza. Si fa così
per evitare che il giudizio di uno, mentre si vedono i film, possa influenzare l'altro.
Queste persone in laguna non c'erano arrivate, l'avete capito, in gita aziendale, ma perché
erano i selezionatori della mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Erano
stati fra i primi in assoluto a vedere appunto anche Gravity, il film che poi sarebbe stato
presentato alla serata di inaugurazione della mostra, morto prima di vincere quegli Oscar.
Questa edizione della mostra era la numero 70, 10 anni fa, avrebbe raccolto apprezzamenti
dalla stampa internazionale, me lo ricordo bene così come mi ricordo che al contrario
una parte della critica italiana, una buona parte della critica italiana, avrebbe stroncata
perché troppo elitaria, ricevendo in risposta la rassegnata scrollata di spalle del capitano
di lungo corso e un travaso di bile dell'ultimo arrivato fra i selezionatori, eccomi, che
all'incapacità del proprio paese di difendere quel poco che funziona non aveva fatto ancora
il calno e per dire la verità non ho fatto neanche adesso, a dicione di distanza.
L'Italia dà il peggio di sé quando lotta immotivatamente contro se stessa e Venezia
è un palcoscenico formidabile su cui esercitarsi in questa triste specialità.
Oggi non sono più parte in causa e manifesterei in modo più libero il mio disappunto ma forse
non ce ne sarebbe più bisogno perché le stesse scene di festeggiamento del 2014 infatti
si sarebbero ripetute.
L'anno dopo, con Birdman, film di apertura della settantonessima mostra, poi vincitore
di Quattro Oscar, quello dopo ancora Spotlight presentato in Anteprima a Venezia, vincitore
dell'Oscar per il miglior film e la migliore sceneggiatura originale, poi del 2017 l'Ala
Landa ancora una volta fin da apertura a Venezia e vincitore di 6 Oscar.
Per non parlare del 2018 Roma, di Alfonso Cuaron, prima Leone d'Oro a Venezia, poi
il 3 premio Oscar, che ancora nel 2019 l'anno a Venezia di Joker è così via.
Insomma potrei continuare a lungo, e il concetto a ogni modo è arrivare prima degli altri,
vedere dove gli altri ancora non hanno gettato lo sguardo, capire se un film segnerà la
stagione prima che chiunque altro lo capisca e poi anche avere un po' di fortuna.
Così funziona una mostra del cinema quando funziona.
Ovviamente questa però è la punta dell'Eisberg perché bisognerrebbe parlare, forse soprattutto
degli altri film. Di tutti i piccoli film, gli independenti, dei registissimi sconosciuti
provenienti da ogni anglo del mondo che non hanno vinto magari i premi così importanti
ma che a Venezia hanno trovato la prima grande occasione di visibilità, il loro primo
palcoscenico di un certo tipo, e che magari saranno loro fra qualche anno a ridefinire
le regole del gioco. Naturalmente, dopo questi successi, sono stati i giornali internazionali
a celebrare il fiuto portentoso dalla manifestazione lagunare, tacitando, sempre temporaneamente,
i professionisti dell'antiitalianità, che si sarebbero però sentiti libri di accusare
Venezia di conseguenza di essere al contrario diventata troppo poco. Certo, fra i professionisti
dell'antiitalianità da una parte e quelli dell'arciitalianità dall'altra, visti i
venti che tirano, non so che cosa sia peggio, ma la mostra, almeno quella di Barbera, ha
resistito sotto ogni tipo di tempesta e così vedremo cosa accadrà in questa edizione e
in quelle successive future.
Come raccontavo comunque un collaborato come selezionatore per queste tradizioni,
la 70esima, la 71esima e la 73esima, mostra d'alta cinematografica di Venezia, trascorrendo
all'ido devo dire tra le estati, le primavera e le estati più felici e impegnative della
mia vita.
Tutto per me cominciò nel febbraio del 2013. Le tappe importanti della mia vita devo dire
che spesso sono il frutto dell'azzardo al tuoi. Alberto Barbera non mi conosceva, mi
aveva visto forse una volta di sfuggita, gli era cresciuto il mio libro, aveva letto
il mio pezzo su Porto Massander, il suo primo registra molto amato da entrambi e così aveva
cominciato ad accarezzare l'idea di aggiungere uno scrittore ai critici cinematografici
che componevano una commissione. Mi telefonò, mi chiese che impegni avessi preso per le
estate, insomma io non ci dormì per una settimana, tanto io era emozionato. Dopo aver
conosciuto un po' meglio Barbera con Obi il resto della banda poco dopo, cioè a marzo
nella sede romana dell'Anica, Barbera e la sua assistente Angela Savoldi mi presentarono
i miei colleghi, Bruno Fornara, Marina Sanna, Mauro Gervasini, Oscar Iarussi, Giulia Danielo
Vallan, cui si sarebbe aggiunta Angela Prudenzzi. Mi bastò andarci a pranzo con loro per capire
che la loro mostruosa competenza in fatto di cinema non andava a discapito di convivialità
mediterranea, luterano, spirito di sacrificio, cameratismo ad asetta dei poeti estinti e
anche molta voglia di divertirsi. Non ci fu il rito di iniziazione come per i realvi
sceralisti, ma era l'ampante che il nostro padre nobile fosse d'Uma, uno per tutti,
tutti per una. Cominciamo così i lavori di selezione,
il che significava che ci saremmo sgranchiti le ossa con la visione all'Anica di circa
100 film prima di trasferirci armi e bagagli all'ido di Venezia.
Il Lido di Venezia. Il Lido è un luogo particolare. La morte a Venezia e Thomas Mann non è ambientata
Venezia, ma il Lido, e se ci arrivi primavera capisci il perché.
Attenzione, non sto dicendo che il Lido sia un posto macabro, ma diciamo ad il trascendente.
L'aria è trasparente, i liberti e ovunque, la salicorni e il giunco crescono intoccati
sotto il sole. La linea piatta del lungomare ogni tanto si interrompe perché un nonua
genario porta a passeggiungare un cane. In questa atmosfera da campi elisi, libera
dei turisti, si erge il palazzo del cinema. Fare selezionatore qui significa avere un
intera isola a disposizione. Potresti davvero sentirti in un romanzo di Thomas Mann se
non fosse che c'è da lavorare. Alla mostra Veneziana, chiunque può presentare un film.
Regola molto democratica, questo alla gente sfugge. Si paga una tassa che all'epoca era
su 60-70 euro, oggi sarà sui 100 euro, che è una cifra abbordabile, non solo per l'Universal,
ma anche faccio un esempio per due oscuri adolescenti della provincia canadese o pakistana o irlandese
o venezuelana che magari hanno finito di girare il loro primo film in smartphone e ai quali
basterà rompere il salvadanaio per costringere dei seri professionisti immersi nell'area
salmastra dell'ido a visionarlo, discuterlo e votarlo. In questo modo ogni anno ho democraticamente
maneggiato con i miei colleghi 1.500 film provenienti da tutto il mondo. Quando gli amici mi dicevano
che meraviglia ti pagano per vedere film io rispondevo, sì è vero, è una fortuna dal
primo al 250esimo film, ma dal 251esimo al 1.500esimo diventa un'altra cosa. Nessuna opera comunque
è ignorata, a ognuna viene data una possibilità ed è proprio in questo modo che puoi davvero scoprire
dei talenti nuovi. Faccio un esempio, ma moltiplicatelo per mille, chi conosceva kinky
duck prima che approdasse al lido? Per molto tempo i miei primaveri stati da selezionatore sono andato
a letto presto. Sveglia alle 6 del mattino, vi bastava aprire la finestra per osservare
incorniciato nella finestra della stanza accanto il selezionatore oscaria russia alle prese con
una sigaretta meditativa e a pianoterna un immancabile gatto bianco che in breve divenne la
mascotte del gruppo insieme a Pedro il cane di Angela Savoldi. Ora 6 e mezza dopo la colazione
andavo a correre ai murazzi una passeggiata meravigliosa a due passi dal mare, trovavo sempre
durante la mia corsa una signora giapponese che poco dopo l'alba faceva Tai Chi. Sapevo che più
in là c'era Malamocco fra i luoghi preferiti di Ukoprat, ma non avevo tempo di raggiungerlo
a piedi perché alle 9 e meno 5 dovevamo già essere in sala proiezione. Da quel momento fino a
tarda sera avremmo masticato solo cinema. Vedevamo i film fino a ora di pranzo, discuterevamo dei
film di i suoi nati mangiando l'insalata, quindi ci fiondavamo di nuovo in sala. La cena ha ancora
discussioni sui film visti, ma sempre però in quest'atmosfera di amicizia e di festosa
accettazione del nostro stato reclusivo. Fare il selezionatore anlido significa insomma ritroversi
a metà strada fra Shatter Island e il Decamerone. Di notte osservi le luci di Porto Marghera e sai
che il mondo ti è precluso. La felicità può tuttavia risiedere in una costruzione
nutrita dalle pellicole di Joshua Oppenheimer. La notte ricordo almeno i primi tempi sognavo i
film visti durante le ore precedenti. La domenica finivamo di lavorare alle 9 di sera e soltanto
allora ci rendevamo conto che le lavanderie gettoni erano chiuse e noi, durante la settimana,
non avevamo nianche avuto il tempo di lavarci i vestiti. Insomma, puzzavamo. Mi è successo più
di una volta di saltare il pranzo, unico momento libero della giornata per usare quelle
disgraziatissime lavanderie gettoni. Dunque la nostra regola era, fra saltare il pranzo e saltare
un film, meglio saltare il pranzo. Dover vedere tutti quei film confinati su un'isola significa
non potersi dedicare quasi a nient'altro. Mi dispiace, non posso, è la risposta standard del
selezionatore raggiunto per telefono dal proprio disperato Cognuge oppure da un possibile
committente, se come me è uno che scrive anche sui giornali. Ora questo isolamento forzato
e questa impossibilità di dedicarsi ad altro possiede i suoi effetti curativi. Ricordo che
Al Lido guarida una dermatite che mi perseguitava da anni e che si riaffaccia fra le falangi,
non appena torna in Roma. Potrei snotzolare molti aneddoti capaci di rendere l'atmosfera
di quei mesi, ad esempio l'eccitazione di scoprire un nuovo autore. Questo Sharon Mokry è un grande
regista, cui subito si aggiunge il terrore che la stessa cosa la stiano urlando in francese i
bravissimi rivari di Cann. Oppure l'impossibilità fra selezionatore invena di confidenze anche
sentimentali di non ridurre tutto a cinema. Domanda, la amavi come in un film di Wonka Rwai?
Risposta, no? Come in un film di Romero. Potrei dire di come l'anno in cui vinsi L'Ostrega sentì
poco e niente lo stress da competizione perché lo sempre chiuso in sala a vedere i film e che cosa
accadeva nel mondo esterno, quasi non aveva notizia. Anzi io non ho mai festeggiato, ecco lo dico
qua, non ho mai festeggiato la vittoria dell'Ostrega proprio perché lo spirito luterano del gruppo di
lavoro di Barbera mi imponeva di ritornare subito al Lido per non avere un privilegio rispetto
agli altri selezionatori. Quando, il giorno dopo la serata dell'Ostrega, Alberto Barbera vide che
ero già al Palazzo del Cinema, lui che da Bonsabaudo e sempre così misurato si lasciò sfuggire.
Nicola, ma che cacchio ci fai già qui? Mi limiterò ad altre due stantane del primo anno.
Una, il giorno in cui una squadra di uomini della Warner, oppure era la Universal, ci portò
graviti appunto chiuso in una valigetta antipilateria la quale, per il modo in cui veniva maneggiata,
avrebbe potuto contenere Plutonio. Due, qualche giorno dopo l'apparizione in sala di
uno strano tizio in fullerino e occhiali neri. Buongiorno, sono Gianfrancorosi,
solo avvenuto a portarli di persone il mio film. Aveva preso un treno fino a Venezia,
un motoscafo fino a Lido e così c'è a lungo la pizza di Sacro Gra, che non soltanto noi
prendemmo in concorso cosa inusuale all'epoca dal momento che non era un film di finzione ma
un documentario, ma la giuria presieduta da Bernardo Bertolucci lo premiò con il Leone D'Oro.
Ora chi tra i noni iniziati conosceva Gianfrancorosi prima di quel triof?
Per dirla tutta ed essere onesti, l'anno in cui lavorai come giurato, con Kate Blanchett,
presidentessa di Giuria, Rossi partecipò con notturno, non vince nessun premio e non l'ha
presa molto bene. La competizione funziona così, fa gioire ma anche soffrire,
quell'anno vince Chloe Zau con Nomadland. E a proposito di sofferenza,
abbandonare la squadra dei selezionatori è stata fra le decisioni più sofferti della
mia vita lavorativa. Ma nulla dura per sempre e io non riuscivo più a conciliare questa
con tante altre cose che nel frattempo stavo iniziando a fare e così un giorno fra gli
abbracci e le lacrime sono andato via. La cosa rassicurante è che però l'oro sono ancora
lì alla mostra e i fin che vedremo quest'anno sono il frutto del loro lavoro.
Come vi prannunciavo ho chiesto allora ai miei ex colleghi selezionatori e al direttore
barbera vi raccontare all'usi qualcosa della mostra. Il film più amato, quello che sono
più orgogliosi di aver selezionato oppure il ricordo più significativo e più importante
a livello personale. Cominciamo con Marina Sanna che ci parla di Lalaland.
Intanto per chi ama al cinema questo è l'oro più bello del mondo. Soprattutto se fatto nelle
condizioni migliori, ossia con un gruppo affietato e con libertà di espressione e di condivisione.
Anni fa quando ho incominciato c'erano ancora i DVD e quindi la possibilità di scoprire
uno e mezzocentinaia era non solo reale ma è successo più di una volta anche a me.
Il film del cuore ne ho più di uno ma ricordo ancora come se fosse ieri invece era già
il 2016, la prima proiezione di Lalaland di Damien Chazelle che quest'anno è il Presidente
di Giuria, organizzata a posta per noi durante il Festival di Cannes. A la fine del film
eravamo quasi tutti lacrime ed è stato uno dell'apertura del Festival di Onizia più
non solanti, almeno per me. I giorni seguenti era tutto un fischettare. City of land.
E la volta di Bruno Fornara andiamo in Svezia dove un piccione seduto su un ramo riflette
sull'esistenza. Il titolo del film è metafisico, fantasioso,
surrealista. Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza. Ha vinto questo
film in Leone d'Oro nella mostra di Venezia del 2014 ed è un regista svedeseroi Anderson
con due S e un film fatto a grandi quadri. Immagini fisse, fermi e senza esplorazione
dell'immagine e quadri che danno l'impressione di assistere appunto di passeggiare davanti
a una serie, un'esposizione di pitture. C'è distanza tra il passato e l'oggi, ma noi
siamo lì che guardiamo, siamo il passato, siamo che noi infelici e stupidi.
Angela Prudenzzi e alle prese con Pablo Larraín, il quale è proprio a volta e alle prese con
Diana Spencer. Se devo sceglierne uno Spencer di Pablo
Larraín perché è uno straordinario racconto gotico su una ragazza che pensava di vivere
una fiaba e invece si risveglie in un horror. Larraín si approccia alla figura di Diana
in una maniera estremamente originale. C'è la racconta durante le vacanze di Natale
a Balmoral, moglie non amate e nel momento in cui torna Spencer si riaprioppia di se
stessa. È un passaggio fondamentale perché da quel momento Diana cercherà di liberarsi
dal gioco delle tichette per costruirsi una nuova immagine e di diventare non tanto la
futura regina ma sovranada in media che lei pensa di poter governare ma finirà fagocitata
come sappiamo e questo essere divorata si concretiserà nell'incidente mortale sotto
il tunnel dell'alma. Ecco Larraín spoglia Diana dei suoi abiti principeschi, la riveste
di quelli giovanili la fa tornare Spencer anche solo per lo spazio di un sogno da chi
aperti e questa è una cosa che vediamo di fronte ai nostri occhi piano piano piano piano le toglie
agli abiti e c'è anche una sequenza memorabile e la riveste come se fosse su un set fotografico
di moda. Ecco Diana era una bambina, un adolescente curiosa, libera, lei di Diana è una donna
rinclusa in un castello di copertine patinate e purtroppo per lei all'orizzonte nessun cavaliere
a salvarla. E adesso il turno di Mauro Gervasini. Se devo scegliere un film che sono felice di aver
contribuito a selezionare la mostra del cinema di Venezia a Scherigo Atlantis di Valentin Vasianovic,
un registro ucraino che prima di questo film io non conoscevo quindi già il fatto di aver scoperto
un autore così importante e interessante mi fa molto piacere e poi per l'impatto che il film
avuto è stato presentato nel 2019 nella sezione orizzonti che ha vinto e questo ha facilitato
anche la sua distribuzione anche in Italia. È un film importante, è una specie di dystopia
ambientata nel 2025 al termine della guerra del Donbass. Ricordo che il film è stato realizzato
tra il 2018 e il 2019 quindi prima che iniziasse l'attuale guerra tra Ucraina e Russia però
si immagina già moltissime cose che sono poi accadute quindi ha avuto al suo interno un
senso profetico fortissimo. Mi piace moltissimo dal punto di vista estetico è una rappresentazione
glaciale che però fa i conti anche con la storia della dystopia e di una certa idea del fantastico
sia letterario che cinematografico c'è per esempio un grosso rimando a 1984 di Orwell e quindi
sceglie diciamo di costruire il proprio racconto attraverso i meccanismi anche del cinema di genere
pur rimanendo un film d'autore e lo fare recuperando quello che poi è il senso stesso del film cioè
un umanesimo prorompente all'interno di uno scenario che è uno scenario totalmente devastato.
E infine Alberto Barbera se i più bravi organizzatori culturali a livello mondiale si
dovessero contare sulle dita di una mano beh lui su quella mano ci sarebbe. Non so voi ma la mia
memoria da tempo è ormai un collaborodo forse un problema di saturazione o forse subgemente
l'età che avanza e non fa sconti ma anche così comunque i ricordi sono molti e tutti
molto emozionanti a cominciare ovviamente dalla mia prima edizione veleziana quella del 1999 che
si apri con Ice White Shot l'ultimo film di Starley Kubrick. La fortuna dei principianti forse
ma intanto fu una serata memorabile con Bernardo Bertollucci sul palco a leggere un erogio
fonebre che era anche un'alpecie di autocritica per tutti coloro che avevano sempre snobbato
Kubrick ritenendolo troppo cerebrale e troppo intellettuale e poche motivo. Mi piaccia tra l'altro
che non aver conservato traccia scritta di quel discorso bellissimo e poi sullo stesso palco
pochi minuti dopo Tom Cruise e Nicole Kidman e due protagonisti del film che si sono commossi
ricordando la lunghe lavorazione del film e non facile rapporto con Kubrick. Poi c'è il piacere
di aver scoperto quasi per caso dei film inattesi tra i tantissimi che arrivano alla selezione
fin di cui non si sa nulla e sono le epifanie che incapitano a un direttore di feste o alla
un selezionatore di un evento come nel caso dell'isola di Kim Kidak del 2000 visto solo il giorno
prima della conferenza stampa sfilando una vo-hs dimenticata da una pila di videocassette.
Anche quest'anno è successa la stessa cosa. Quando ha avuto il piacere di scoprire una sorprendente
opera prima indiana, il giorno stesso in cui avevo deciso di chiudere la selezione per l'ottantesima
mostra, magari il regista diventerà di colpo famoso come era toccato a Kim Kidak 23 anni fa.
Poi ci sono anche ricordi meno piacevoli legati alle scelte non riuscite per esempio il secondo
atteso film di Michael Mancetti che aveva vinto leone d'oro tre o quattro anni prima,
lo invitai per aprire la mostra nel 2001 e il suo nuovo film fu accolto malissimo oppure
un'altra serata terribile con il film di Jonathan Glazer, Under the Skin con Scarlett Johansson che
la rimasta attonita e quasi in lacrime nel ricevere i buati di disaprovazione alla prima
ufficiale del film in sala grande, poi il film è diventato è diventato un cult, uno tra
i film più apprezzati del decennio dalla critica Anglo Sassre che in parte l'aveva pure fischiato
a Verizia. Meglio molto meglio delle acrime di gioia di una emersonatissima, lei di Gagal prima
di Staris Bourne, lei che si era bagnata come un pulcino su un tapetoloso pudi non negarsi alle
foto e alle autografi di una folla di fanna impazzita. Uno dei ricordi più belli comunque lo
devò un errore commesso dalla mia assistente Angela. Quando mando l'invito per Joker che
doveva essere fuori concorso si sbagliò e così i film fini per andare in competizione,
vince leone d'oro e poi vince anche l'Oscar. La prova forse se ce le fosse bisogno che la
selezione non è una scienza esatta e i festival non sono la Bibbia ma eventi bellissimi che
ce fanno amare ancora di più questo spettacolo straordinario che è il cinema.
Vogliate bene alla mostra del cinema, date spazio, difendetela, lasciatela libera e indipendente,
anche dalla politica, anzi soprattutto dalla politica italiana che di arte e di cultura dimostra di
capirci sempre poco. Anzi un appello, evitate di mettere le mani in modo scriteriato sulla
mostra e sulla biannale, andreste a rompere qualcosa che funziona benissimo. La biannale è
un'istituzione presso che unica al mondo, pensate al suo prestigio internazionale e quindi
commisuratelo al credito di cui gode l'Italia nel mondo, capirete che Venezia ha qualcosa da
insegnare. La mostra è un'esplosione di vero cosmopolitismo in un paese spesso piccolo e
provinciale. Qui in Laguna succede qualcosa di importante e noi di Lucy in questi giorni proveremo
a raccontarlo.
Fare un fuoco è un podcast mensile di Lucy scritto e condotto da me, Nicola la Gioia. Le
musiche originale, il montaggio e il sound design sono di Sherry DeLorean. La cura editoriale è
già da Arena e Lorenzo Grammatica. Ci sentiamo il mese prossimo.
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Come funziona la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia? E cosa dobbiamo aspettarci dall’ottantesima edizione, che inizia oggi? Fare un fuoco ricomincia dal Lido, con retroscena e curiosità raccontati dalle voci di chi ne ha selezionato i film.
Ringraziamo Alberto Barbera, Marina Sanna, Bruno Fornara, Angela Prudenzi e Mauro Gervasini per i contributi audio. Questa puntata è stata realizzata con il supporto di Carlo Cracco.
Fare un fuoco è il podcast di Lucy scritto e condotto da Nicola Lagioia che racconta come le storie continuano ad accendere la nostra immaginazione.
Le musiche originali, il montaggio e il sound design sono di Shari DeLorian, la cura editoriale è di Giada Arena e Lorenzo Gramatica. Si ringrazia Spreaker per il supporto tecnico.
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