Fare un fuoco: Buon compleanno, Roberto Bolaño

Lucy - Sulla cultura Lucy - Sulla cultura 4/28/23 - Episode Page - 14m - PDF Transcript

Ogni volta che reggo qualcuno parla ormale di me, mi metto a piangere, mi rotolo sul

pavimento, mi graffio, smetto di scrivere per un periodo di tempo indefinito, mi cala

l'appetito, fumo di meno, faccio sport, esco a camminare in riva al mare che tra parentesi

sta meno di 30 metri da casa mia e chiedo ai gabbiani, i cui antenati si mangiarono

i pesci che mangiarono ulisse perché io, perché proprio io chiedono mai fatto del

male a nessuno. Il fatto è che il 28 aprile Roberto Bologno

avrebbe compiuto 70 anni, al prossimo 14 luglio saranno vent'anni che è morto.

Nella frase che ho citato prima, lo scrittore Cileno rispondeva baffardamente a chi gli

chiedeva quale fosse il suo rapporto con la critica. Amo molto, Bologno, lo considero

un classico contemporaneo, una vera eredità per chi nel XX secolo crede ancora nella

letteratura. Il problema è che intorno a Bologno si è creata anche molta retorica

ed è difficile omaggiarlo senza banalizzarlo. Oggi proveremo allora a farlo attraverso

il ricordo di uno scrittore che lo conosceva bene.

Io sono Nicola la gioia e questo è fare un fuoco, il podcast di Lucy che racconta come

le storie continuano ad accendere la nostra immaginazione.

Lo scrittore attraverso cui ricorderemo Bologno è un altro mago della letteratura

in lingua spagnola, Enrique Vilamatas. Vilamatas è nato e vive a Barcellona. Bologno nacco

in Cile, si trasferì in Messico, poi torno in Cile appena in tempo per farsi arrestare

dopo il golpe di Pinochet. Quindi, dopo varie peregrinazioni in America Latina, arrivò

in Europa praticamente da Esule, senza soldi, sconosciuto, armato soltanto di allegria e

disperazione. Si trasferì a Blanes, una cittadina sul

mare poco distante da Barcellona. Ecco allora il ricordo di Vilamatas, la traduzione in

italiano e di Natalia Cancillieri. Ogni scrittore latinoamericano si trova

davanti tre possibili destini, l'esilio, la clausura o la sepoltura. Bologno lo conobbi

alla fine della sua fase di clausura, anche se sarebbe più esatto definirla di anonimato.

Lo conobbi, il 21 novembre del 1996 al Barnovo di Blanes. Mi ero fermato lì con un'amica e

subito dopo aver ordinato vi di entrare Roberto Bologno. Lei, la mia amica, aveva appena

finito di leggere stella distante e ricordo che domando a Bologno se fosse Bologno.

Sì, rispose lui, e io, Ero Vilamatas, aveva aggiunto lei.

Cristo, l'esclamazione era dello stesso buonagno e la conversazione che seguì mi sembrò durare

quanto la lunga risata di tutti questi anni. Ricordo che con Roberto ho sempre parlato come

se ci conoscessimo da sempre. Viveva con la moglie Carolina e loro figlio Lautaro al 17

di Carrer degli Oro e aveva un piccolo studio al 21 della stessa via. Non aveva il telefono e la sua

casella postale era la numero 441. Lì riceveva le notizie relative ai suoi premi letterare

di provincia. L'ultimo arrivò alla fine di quel 1996 per il racconto Sensini, un capolavoro.

L'importo del premio era una cifra modesta, ma Carolina e Roberto, che vivevano dello stipendio

comunale di lei, accolsero la notizia con un entusiasmo che si addiceva più al Nobel,

che a un premio locale. Credo che risiedere a Blanes, vivere un amaro tempo di silenzio,

abitare nella disfatta, ma con il mare e leosterie, sia stato un bene per Bologno.

Quando penso a lui, non posso fare a meno di rievocare un'epoca felice che tocca a certi

artisti, i gloriosi giorni senza gloria vissuti prima del successo, prima dell'invidia,

degli ego e del mercato. Giorni in cui questi artisti erano misteriosi e antisociali e per

quanto deplorassero muoversi fra tanta tristezza, vivevano pienamente nel loro personale regno

dell'arte. Il caso del lungo isolamento di Bologno mi ricorda i libri di cui ci parla e gli

ascanetti nella provincia dell'uomo, quei libri che teniamo lì per molti anni senza leggerli,

libri dai quali non ci separiamo mai e che portiamo con noi da una città all'altra,

da un paese all'altro e che magari sfogliamo solo al momento di disfare i bagagli. Poi,

però, dopo parecchi anni, arriva un momento in cui, come spinti da un imperativo superiore,

non possiamo fare altro che prendere uno di quei libri e leggerlo da cima a fondo.

Allora, capiamo perché l'abbiamo custodito con tanta cura, doveva stare molto tempo a

nostro fianco, doveva viaggiare, doveva occupare spazio, doveva essere un carico e ora è arrivato

a destinazione. Ora si disvela, illumina gli anni in cui è rimasto umuto accanto a noi.

Proprio come quel libro, Bologno probabilmente non avrebbe potuto dire tante cose se non fosse

rimasto umuto per tutto quel tempo. In quel periodo, E' lecito supporre che abbia accumulato la

formidabile energia che sprigionerà a partire dal 1994. All'energia che andava accumulando

bisognerebbe forse aggiungere la felicità di non essere nessuno e al tempo stesso essere

qualcuno che scriveva. Era arrivato a Blanes nell'estate del 1985 per lavorare in un negozetto

di bigiotteria, dove lui serviva i clienti. Quando il negozio gli lasciava del tempo libero,

entrava nei bar di Blanes e parlava con la gente. E' stato così che ho trovato degli amici,

avrebbe ricordato. Quegli amici erano pescatori, camerieri, giovani drogati, la famosa scuola della

vita. E' duro passare periodi di desolazione, non capisco, ma nel momento in cui lo scrittore si

lascia le spalle. Le tenebre delle indifferenze si presenta alla luce del giorno, beh allora,

di solito, si presenta armato fino ai denti. Un samurai a Blanes. Mi fa pensare a quell'autore

madrioleno che una volta scrisse, il carattere si forma la domenica pomeriggio. Con Obbi Bolagno,

quando stava uscendo da quella fase di interminabili domeniche durante le quali si era plasmato il

suo animo selvaggio, l'anno che iniziò con la pubblicazione della letteratura nazista in America

e che si concluse con quella di stella distante. Di quel giorno al Barnovo ricordo di aver avuto

la sensazione o il presentimento di essere davanti a un vero scrittore. La poesia, la vera poesia,

si lascia presentire, si annuncia nell'area come terremoti che si dice vengono preavvertiti

da certi animali particolarmente sensibili. Beh, io quel giorno fui uno di quegli animali.

Quel giorno in lui ho subito visto o riconosciuto un Eremita lunatico, un personaggio di quelli che

consideravo ormai introvalvili perché credevo che appartenessera un mondo da me intravisto in

gioventù, ma che era andato perduto per sempre. Un tipo di scrittore che non dimentica mai che la

letteratura è un mestiere pericoloso, una persona che non solo è coraggiosa e non fa la minima

concessione alla volgarità imperante, ma che denota un'authenticità formidabile e riesce a unire vita

e letteratura con assoluta naturalezza, un superstite di una specie in via distinzione,

uno di quei tipi molto ostinati, consapevoli che tutto falso è per di più e tutto assolutamente

finito. Credo che quando ci si trova nella situazione di ponderare le dimensioni del falso e della fine

di tutto, allora, solo allora, l'ostinazione può aiutare, può indurre affarevanti indietro per la

propria cella e cercare di non mancare l'unico e minimo istante perché quell'istante esiste che può

salvarci. Devo aggiungere che nel 1996, ricorda sempre Vilamatas, letterariamente parlando, mi

sentivo disorientato da parecchi anni e così conoscere Bologno fu come ritornare sui miei passi.

Certi pomeriggi mi trovavo con lui e passeggiavamo in rivalmare. Ancora oggi, la sua più famosa

dichiarazione di intenti mi aiuta ad andare avanti con spirito indomito. La letteratura di Sebolagno

somiglia molto alla lotta dei Samurai, ma un Samurai non combatte contro un altro Samurai,

combatte contro un mostro e di solito sa che verrà sconfitto, sapere in partenza che

sarai sconfitto e combattere lo stesso. Quattro giorni dopo l'incontro al nuovo andai all'hotel

con Des di Barcellona per la conferenza stampa della presentazione di Stella Distante. La presunta

durezza di Bologno sembrava uno spiraglio a una certa possibile allegria. Magari perché tutto

iniziava a essere nuovo per lui, magari perché tutto era diventato di colpo più avvincente,

la macchina dell'anonimato con tutta l'energia accumulata nel tempo si metteva tutta un tratto

in movimento fatto sta che si percepiva una moderata euforia. Dopo una cinquantina di minuti,

quando il clima si era fatto più e rilassato, si fece prendere Bologno da una domanda sul Cile

e cominciò a sciorinare un lungo monologo, letteralmente molto affascinante, fuori dal

tempo e dallo spazio, un monologo sulla disciplina, sulla marzialità britannica del esercito cileno.

Credo che, a partire da quel quarentesimo minuto, Bologno avesse fermato il tempo. Biavia che parlava

e parlava e parlava, saltava sempre più agli occhi che era uno scrittore privo dei tic

dei narratori professionisti. Questo fu particolarmente evidente negli eterni minuti finali

della conferenza stampa, quando dimostrò una sconfinata generosità narrativa, un vero impeto

di passione per quanto stava raccontando. I giornalisti sembravano pescatori ipnotizzati al

tavolo di un qualsiasi Barty Blanes e, per un momento, lì, al condes di Barcellona,

fu come se lui si fosse messo a scrivere un nuovo romanzo e a scriverlo direttamente nella vita.

Ringraziamo Enrique Vilamatas per aver sostato, idealmente, intorno al foco insieme a noi,

per ricordarci di Roberto Bologno. Lo guardiamo a lontanarsi nello scurità e aspettiamo,

prima o poi, che torni a raccontarci un'altra storia.

Fare un fuoco è un podcast settimanale di Lucy, scritto e condotto da me,

Nicola La Gioia. Le musiche originali, il montaggio e il sound design sono di

Charlie DeLorean. La cura editoriale è già d'arena e d'orenzo grammatica. A venerdì prossimo.

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Il 28 aprile del 2023 Roberto Bolaño avrebbe compiuto 70 anni. Nella tredicesima puntata, omaggiamo il grande scrittore cileno attraverso le parole di un collega che lo conosceva bene, Enrique Vila-Matas.

Fare un fuoco è il podcast di Lucy che racconta come le storie continuano ad accendere la nostra immaginazione. Ogni venerdì una nuova puntata, scritta e condotta da Nicola Lagioia.
Le musiche originali, il montaggio e il sound design sono di Shari DeLorian, la cura editoriale è di Giada Arena e Lorenzo Gramatica. Si ringrazia Spreaker per il supporto tecnico.

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