ONE MORE TIME di Luca Casadei: Andrea Zorzi, un campione del mondo

www.repubblica.it www.repubblica.it 6/15/23 - Episode Page - 1h 34m - PDF Transcript

Io, tecnicamente, ero incapace. I miei compagni di squadra del nazionale hanno iniziato a

giocare il grosso modo intorno ai 12 anni. Io ho arrivato a 16 anni, lungo, lungo, magro,

magro e non sapevo fare veramente nulla. C'è una frase che in qualche modo è un po' mitica

ed è legata ad Alexander Schiba. Lui era il nazionale del Nazionale di Unioris. E ricordo che

io fecci veramente un paio di stupidate, ed è un eufemismo, ciclopiche, schiantando palloni

contro il soffitto, passando errori di quelli che si metterebbe a ridere un ragazzino. E tanti

anni dopo Schiba mi disse, ma tu lo sai perché ti ho tenuto, nonostante quelle robe che non si

potevano guardare, perché ti sono venuto eleguanze rosse. E ho capito che tu ci tenevi a giocare

a parlavuolo, perché chi si vergogna si impegna.

Purtroppo non esiste una scuola che ti insegna a gestire il successo e per questo ho deciso

di realizzare questo podcast, che parla di rinascita, facendo un viaggio nella vita di

personaggi noti che mettono a disposizione la loro storia per aiutarci a cadere meglio.

Oggi avremo il piacere di fare un viaggio con Andrea Zorzi, un uomo che, prima di conoscere

la palla volo, ha vissuto la sua altezza comune handicap. Zorra è un bellissimo esempio di

quanto una leggenda non appassisca mai.

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Io sono Luca e questo è One More Time.

Ciao Andrea. Quando ho detto la tua storia ho detto che tu da piccolo, ma poi me lo racconti

tu perché ovviamente è un po' come una favola, partiamo dall'inizio. Avevi imbarazzo per

la tua altezza e io invece l'ai invidio un sacco. Per me l'ideale c'è il mio mito,

abitavo a Parigi, sono del 76 e quindi era il basket in assoluto, lo sport. Diciamo che

c'erano due grandi cose. C'era Michael Jordan, quindi riuscirà a schiacciare, e c'era Jean-Claude

Van Damme, quindi riuscirà a fare la spaccata come lui. Non poi due miti della mia infanzia,

avevi lui 1.98, tu 2.01?

Molto di più.

Sei più di 2.01?

Molto di più. Nessuno sa la mia altezza con precisione, ho mentito spudratamente. Io sono

molto più alto di quanto è scritto, perché sono privato e compreso dell'altezza.

Però è pazzesco, secondo me è veramente l'altezza, mezza bellezza sul serio, come ho

detto visto.

Di quanto?

Di quanto?

Ora c'è una storia divertente, un mio compagno, quando ero ragazzo giovane ancora, è rico

bere in gandipadova, quindi entrambi veneti. Una volta mi spiegò qual è il motivo per

cui essere alti è una mezza bellezza, ma dipende quanto.

Ok.

Se andiamo in discote che io e te, dice, entro io, o metterne una volta tu dico, che bel

toso. Se entri te, due metri a passa e che pingolone. E quindi c'è un'altezza oltre

il quale non è mezza bellezza, è un po' troppo.

Però quando eri con i tuoi compagni di squadra invece lì più o meno era più uniforme,

erano alti.

Ma la Palavolo è quella che ha servito. La Palavolo ha servito soprattutto a quello.

Quindi non era un'endica, ma un grande vantaggio. Ma anche quando andavi in discoteca banalmente

non sa se ci andavate, ma con loro, nel senso vi guardavano come gli Avengers.

Allora c'è una buona scusa con giochi a Palavolo per dire, è vero che sono alto, ma gioco a

Palavolo se ho un utilizzo. Senò l'altezza da sola può diventare un limite per l'unile

stato. Andavo in discoteca poche volte, mi vergognavo, nessuno ballava con me, vi è

dicendo tutte queste cose che vengono più o meno sempre.

L'altezza ha trasformato da un giorno all'altro la mia peggior nemica, l'altezza in una alleata

straordinaria. E questo ha venuto così di colpo da un giorno all'altro, casualmente incontrando

la Palavolo anche lì, casualmente. Però l'idea di poter dire a chi mi diceva che tempo fa

là su, ma quanto sei alto, ma quanto sito alto, queste cose qua che mi imbarazzavano,

direi sì è vero che sono alto, ma gioco a Palavolo che non è una grande risposta

di per sé, però intanto aiuta, perché è un po' di sicurezza poi l'addolescenza è

quel momento in cui ho il naso troppo lungo, l'oreche troppo grande, troppo alto, troppo

basso, qualcosa che non funziona. E per me la Palavolo fu questa casa che mi ha accolto,

che mi ha tranquillizzato. Che ha reso tutto normale.

Non solo, non solo. La reso un grande valore. E la Palavolo essere alti è un grande vantaggio.

Adesso facciamo un grande passo indietro, perché la Palavolo avviene proprio subito

e infatti me lo racconti dopo e mi ha stupito questa cosa, perché io ero convinto che per

cominciare una carriera agonistica in generale, poi non lo sai a 16 anni quando cominci se

vuoi fare quello, però bisognerà cominciare molto tempo prima. Però ci arriviamo dopo.

Partiamo dall'inizio. Quando nasci? E dove soprattutto?

29 luglio, 65, annuale che è un piccolo paese vicino a Venezia, perché in quel periodo

abitavano a Chirignago, altro piccolo soborgo di mestre.

Figlio unico? Figlio unico, papà Albino e mamma Diana.

Albino di nome? Albino Zorzi. Lui era emigrato in Australia

in 1950, come tanti altri Veneti. E non solo, con questi accordi tra Italia e Australia,

un viaggio mitico che... Per il lavoro?

Sì, doveva vent'anni. In Italia c'era lavoro. Lui nella sua famiglia un po' più numerosa.

Stava bene, ma era un po' considerato la peccora nera, quindi cosse quest'occasione.

E il viaggio mitico di mio padre, che molto ne ho contato, era...

Allora si parte domani, arriva il telegramma, si parte da Genova. Da Torre Zelle a Genova

era un viaggio della speranza. Quindi tutti quanti prima in bicicletta, poi in treno a

Padova, poi in treno a Genova, arrivate a Genova, scusate, ci siamo sbagliati.

La nave parte da Trieste. Eh, tutti in treno di nuovo, e vanno a Trieste.

Sai, conosci la motonave Toscana, il nome di quella nave, che per 35 giorni li ha tenuti

in mare e li ha portati a Kerns, che è questo luogo nel nordeste dell'Australia, dove

lavorò come tagliatore di canada zucchero. E lotte, litigi in questo lungo viaggio con

altri italiani, con serbi, questa cosa. E mio padre rimase lì per un po' di anni, un po'

in questa piccola, una piccola capanna, in mezzo alla piantazione di canada zucchero,

con un cagnolino che gli faceva a compagnia, si chiamava Giudi. E poi una mattina si svegliò,

si guardò lo specchio e disse, non mi sono riconosciuto. La barba era talmente lunga,

che non mi sono riconosciuto e ho pensato che non dovevo restare lì. E quindi chiuso

il suo contratto, andò verso Sud, quindi Sydney, Melbourne, dove sia una grande comunità

di australiani, lì pensei altri lavori, dopo qualche anno voleva sposarsi parole proprio

di mio padre, e australiane ese un poco massa moderne. Quindi non c'era questa sorta di riferimento

culturale. E quindi lui tornò in Italia proprio con lì a disposarsi per poi ritornare in

Australia, invece che una obbediana, che è sua moglie e mia mamma, che però già lavorava

in un Manicomio, in un'Isola di Venezia, San Clemente.

E dove si conoscono?

Si conoscono in una serata, in casa di parenti. Non è un matrimonio combinato, ma è un matrimonio

facilitato dai parenti, perché entrambi erano abbastanza grandi per quell'età, e senza

fidanzati, si sono conosciuti, raccontano storie di un romanticismo di altri tempi,

ma senza limiti, con alcuni enormi imbarazzi, perché in quegli anni, parliamo insomma i

fine anni 50, inizio anni 60, si davano a lei all'inizio, e poi si sposarono, e dopo

due anni arriva io con un po' di fatica, e qui c'è una storia, devo dire, per me straordinariamente

ricca e dessignificato, però per questioni fisiche la gravidanza di Diana, di mia mamma

fu molto complicata, a tre punti che a un certo punto i medici gli dissero signora

o lei o il figlio, credo, credo, non ne sono certo che addirittura consigliarono un aborto

terapeutico, non ci penso neanche lontanamente, e questo offriciasì che mia madre quindi

per nove mesi fu molto affaticata, molto incapace di muoversi, e quando andarono a

partorire, a un certo punto il medico uscì e disse, mio padre è nato, e mio padre svenne,

perché per lui o c'era io o c'era mia madre, e in realtà stiamo bene entrambi.

Ti ricordi quanto misuravi e quanto pesavi alla nascita?

4,80 grammi, lungo, sia abbastanza lungo, non gigantesco, e da lì inizia un po' questo

percorso, i miei tra l'altro dovrebbero tornare a lavorare molto velocemente, quindi

sono cresciuto con dei vicini di casa, anche lì c'è una tra storia, per cui sono molto

legato, e un padre tornato in Italia ha trovato tanti lavori in cui per il periodo era un

camionista, e stava in giro chiaramente molto tempo, mia madre aveva avuto il permesso per

la gravidanza, ma dopo quell'ottazione prima volevo tornare a lavorare o si perdeva il lavoro,

e la sera prima di ritornare a lavorare entrambi, quindi senza la possibilità di accudirmi,

hanno fatto il giro dei parenti, ma potreste darci una mano, mi dispiace, non posso, ma

non c'era più nessuno. Sai, con in macchina, dopo l'ultimo rifiuto, e mia madre piangente,

chiaramente non sa dove lasciare questo pupattolo, e a un certo punto mi ha parlato di se questo

era il paesino in cui mio padre era nato, quindi torreselle. Prima di tornare a casa, senza

sapere cosa fare, dico, boh, devo trovare i volpatti, che sarebbero i volpato, una famiglia

di vicini di casa, e quando scesero il nonno Angelo disse a mia madre, ciò, Tosa, te

vedo trista, riesco a cosa che non va, mi amare, si mise a piangere, e disse, eh, Angelo,

che se come fio e domani devo andare a lavorare, non so a chi darghi, eh, non sto a preoccuparti,

anche non sia dei fioi, uno dei più non ne manco, cosa ha avuto che cambia, e mi lasciarono

con mio nonno, che è diventato mio nonno Angelo, naturalmente solo vicini di casa non

parendi, io sono cresciuto in quella famiglia, che è diventata la mia seconda famiglia.

Se cresci tu obbilingue, tuo papà ti l'ha insegnato in inglese che hai imparato in

Australia o no? No, lui l'avevo imparicchiato, immagina, anche adesso se tu parli con gli

italiani migrati in Australia, non è uno spendice, è uno unico, è una cosa, è un

molto ibrido. Lui è in grado, e mi ha sempre sorpreso, di cavarsile e grisamente, temeno

con tutti, pur avendo come hai imparato a spizzi che bocconi su inglese, un inglese

strano, però non mi ha insegnato in inglese, quindi non ho avuto l'occasione, perché

davvero in quei quattro anni il mio padre parla l'inglese, ma se la cavano l'ha imparato

definitivamente. Invece questo linguaggio aristocratico

di darsi del lei trafidenzati, come è impattato nella tua educazione, è stata normale come

nel mondo contemporaneo di oggi o hanno attinto un po' da quegli albori lì?

No, non è arrivato a me il lei. Il lei era quando loro si sono conosciuti con quell'attesamento

ancora molto veneto, cattolico, molto praticante, molto rispettoso, con delle famiglie in quel

caso molto attenti anche ai comportamenti, quindi loro due, quando raccontavano dei loro

incontri, anche adesso usano il lei per raccontarmi, per condividere con me quale fosse il tono

dell'epoca? No, noi venete benettissimo, si parlava proprio benettissimo, mi hanno sempre

invitato i miei a imparare anche l'italiano, che però in beto non è così normale, credo

siano dei luoghi in Italia in cui c'è ancora maggiore esistenza del dialetto vero e proprio,

con questa cultura della cultura, mio padre riuscì a fare sulla terza media, mia madre la

quinta elementare, ma non ebbero dubbi sul fatto di dimmendere a dirvi comunque sto diare,

vai avanti, con questa secondo me è fortissima e anche bellissima, noterai che nel frattemine

genitorio è un'enorme, un'enorme estima e quindi credo che mi avveno anche in questo caso

spinto con l'idea di guarda che è utile, è una bella cosa e non è utile neanche perché fa i

soldi, è utile perché saper le cose va bene, tante volte io mi sono vergognata perché ero

ignorante, evita di vergognarti perché sei ignorante e prova a studiare. E è ricchente

sapere le cose, ti mette a tuo agio, ti mette le condizioni per parlare un po' con tutti.

Però per davvero credo che quel veneto io sono veneto però poi sono scappato, sono andato

da vent'anni e devo dire che dagli anni, fine anni 80, quando io me ne andai al veneto più

recente c'è un'enorme, gigantesca trasformazione che corrisponde guarda caso al boom del nordest,

se vi ricordate, il tono di anni 90, l'esplosione del marco che divenne una moneta molto molto

forte, rese ricchissimi, molti veneti, molto laboriosi, i metalmezzadri, quelli che vovano

la campagna e lavoravano anche in fabbrica e hanno mai riaperto qualche piccola officina

dove hanno fatto materiali di altissima tecnologia diventando di fornitori di aziende tedesche

e in pochissimo tempo tantissimi diventano molto ricchi. Come spesso accade tanta ricchezza,

in poco tempo, in un contesto un po' resistente alla cultura, sono ingredienti che non sempre

creano dei condizioni più efficati e migliori.

Volevano sposarsi all'ottato 9 mesi in una dura gravidanza tua mamma di Ana e quindi

a livello di amore, dopo che tu sei nato, quanto ti hanno coccolato, quanto rispetto

anche al loro lavoro, di avere un po' dei nonni puttativi che erano i vicini, ma quanto

ti ricordi l'amore, le coccole, le parole rispetto al sentimento che hai ricevuto da

piccolo?

Io ricordo principalmente grandi viaggi, mio padre è un autista, è stato un autista,

ha amato i motori, ha amato i camion, le macchine, quindi questa idea. Mia madre era una meravigliosa

organizzatrice di viaggi, ma nel senso che si viaggiava prima con la 8 e 50, poi con

la lancia fulvia e ci smetteva dunque il picnic, il tavolino, viene messo lì, il salame,

il formaggio, il vino, tutto proprio e quindi era... questi lunghi viaggi, mi la ricordo,

tra l'altro, erano anche motivo di distinzione rispetto a un veneto in cui le vacanze non

si fanno perché si lavora e si lavora sempre. I miei lavoravano anche di domenica, capitava

che il turno fosse a domenica, quindi in realtà eravamo un po' alternativi rispetto a questo

standard dei miei compagni di scuola, dei miei vicini di casa e questi bellissimi viaggi

in giro per l'Italia, a comprare i prosciutto in Toscana, l'olio in pulia, ad andare in

spiagge, cose e cose qui, sono i ricordi più belli. Non credo di aver passato tantissimo

tempo qui i miei perché i miei lavoravano entrambi. Mia mamma stava assente, lavorava

per un paio di zoni assanclemente e poi tornava a casa, quindi io da solo fin dalla prima

elementare ricordo quando andavo a scuola e mi scelto da solo. Mi facevo da mangiare

un pochino, tutte queste cose. E solo tanti anni dopo, quando anche io ho avuto un figlio,

Numa, ho capito quale potesse essere, il dramma, la paura, il terrore di mia madre che al lavoro

pensava in questo istante, Andrea prende la bicicletta, esce di casa, sta andando,

non posso a quell'incroccio maledetto, pericoloso, quei camion che passano, speriamo che non

succede assolutamente nulla avanti e indietro, avendo riprovato come mio figlio che pura

Milano comunque andava in queste cose, solo tanti anni dopo ho capito quale fosse anche

il coraggio che mi hanno avuto nel lasciarmi questa indipendenza ma anche per questioni

legate al fatto che non si poteva far altrimenti. Quindi fai un'infanzia normale, tranquilla.

Assolutamente. Quando incroci lo sport nella tua vita, no? Perché tu sei stato un grande

campione di per lavoro, lo dico, così magari sanno esattamente, perché chi non ti conosce,

che ha avuto un'enorme richiesta di ospitarti da persone più adulte, ma secondo me per

il tuo mindset tante cose che dirai potrai piacere anche le nuove generazioni.

C'è un gap generazionale sul fatto di riconoscemi. Prima perché gli sportivi come tu pensai

vengono fotografati molto, se sono bravi in giovanezza, poi quando smettono tendono a

finire nel loblio e quindi ce n'ho poche volte foto di come invecchiano gli sportivi

che pur invecchiano la parba bianca, i capelli bianchi. Quindi questo anche a me, quando

capiti di vedere le immasi di me da giovane, dico, ah, è vero. Quindi c'è anche uno

stacco di questo genere. E poi comunque chi ha meno di 35 anni in questo momento non ha

un'idea chiara di cose che intorno agli anni 90, che è il periodo in cui abbiamo fatto

delle buone cose con la paravolo. Prima della paravolo ti voglio chiedere

visto che per scaldarci un po' l'ugola prima di partire dall'inizio abbiamo parlato della

tua altezza che all'inizio per te era, come dire, una vergogna, era un ostacolo, invece

poi diventato un vero plus, quando ti sei reso conto di essere più alto degli altri?

Allora, sempre, chiaramente sempre fin dall'elementari, però era un po' più alto

degli altri. In terza, quarta, quinta elementari c'era un altro amico, Maurizio Zoggia, oppure

Claudia Trevisan, mi ricordo ancora l'appello del solo dell'elementari naturalmente, erano

più o meno alti come me. Quindi erano tra i più alti, erano magro, lunghissimo, ma non

fuori misura. Quello che è accaduto, a proposito, lo scoperto perché, facendo il

chirichetto, in vernetto non puoi fare altro che il chirichetto, io l'ho fatto per tanti

anni, a un certo punto la tonaca dei chirichetti era troppo corta e quindi mi toccava usare

quella di Don Marco che era un po' più lunga, quindi lì iniziavo già a vedere la differenza

tra me, da come io crescivo e come crescevo le mie coetane, i miei compagni. E però c'è

un momento in cui questa cosa, come dire, esplode in modo assolutamente casuale, che

mi conto che io, come tutti i termini, ho dato un paio di calci a pallone davanti al

campetto della scuola, davanti al campetto della Chiesa di Torrezelle, ma veramente

scarissimo. Non praticavo sport di nessun tipo, frequentavo l'inizio classico, anche lì

per un caso fortuito, andando a scuola a Castelfrancoverneto, che è in provincia di Treviso, ma essendo

residente a Torrezelle, che è in provincia di Patova, quando io arriva e vi si posso

scrivere il mio liceo scientifico, si, ci piacerebbe, ma abbiamo finito in umore. Se

vuole, c'è posto al classico. Vabbè, facciamo in classico, facciamo, senza avere idea. Tra

l'altro, scoprendo che non sapevo veramente niente, cioè l'attino greco furono delle

pugni in faccia. Io non sapevo cosa fosse un complemento oggetto e quindi che l'accusativo

è il caso, è un complemento oggetto di cosa si tratta, mentre gli altri erano più

orlorati. Comunque, quarta zinnazio riesco a cavarmela, in quinta zinnazio, a un certo

punto, il prof di educazione fisica, mi disse, senti, ma…

Quinta zinnazio vuol dire che è da… È il secondo anno, intorno a 15 anni, 15 anni

e mezzo, il prof di educazione fisica mi disse, ma, senti, ma così alto, ma così tallo, ma

fa sport, perché non facevo nulla. Quanti rialto, 15 anni?

187, 187, non li ricordi precisi comunque… L'hi ero veramente il più alto, non c'era

più educazione. L'hi ero già il più alto, ma non fuori

misura come adesso. Quindi l'idea è fare sport, sport per gente alta, basket o pallavolo.

Esciarsi la pallavolo solo perché era più vicina a casa mia, non per altre ragioni,

non perché avessi il mito dello sport, non perché volessi fare sport, in casa non si

parlava di sport più di tanto. Semplicemente era un invito, tra l'altro, un invito fatto

i miei genitori perché io a scuola andavo così così. E loro dissero, ma sto ragazzo qui,

provate a fargli fare sport, che magari gli dà un po' di motivazione in più. Immagini

in quegli anni, quando sport e scuola erano spesso nemici, un prof del liceo classico

che arriva a dire al bino e di anano, ma provate a fargli fare sport che mai lo aiuta. E fu

effettivamente così. È assolutamente una cosa un po' speciale. Quindi mi trovai in

parestra a Silvelle di Trebazelle, Paesino, vicino a Torrezele, parliamo sempre di provincia

di Padova, Pianura, Veneta, iniziavani 80, ed ero chiaramente a 16 anni, quindi già avanti,

per iniziare a giocare a pallavolo, scarso, ma scarso da morire. E però ero in mezzo gente

alta. E quindi per me questa idea qui, la pallavolo non mi dava nessuna gratificazione su piano

sportivo, su come giocavo, ma ero in mezzo gente alta. Potevo andare in girata domenica con

qualche mio compagno, che era più o meno alto con me. E questa cosa era di enorme tranquillità.

In qualche modo ti raccontavo, quando vai in discoteca sei troppo alto. E capisci che le ragazze

ti guardano un po' storto perché sei troppo alto. Se chiedi di ballare un lento sei barazzato tu

ed sei barazzato anche lei, ma giustamente. E a quelle tappe basta veramente poco per sentire

si fuori posto. E quindi l'altezza, che poi è diventata un enorme vantaggio, in quegli anni era

solo quanto sono alto, sono troppo alto per i miei gusti, vuoi essere un pochino più basso.

E la pallavolo cambiò, letteralmente, la prospettiva di questa altezza,

solo a quale non c'era scelta da fare. Quindi ti sentivi a tuo agio in mezzo

dei persone alte, ma è riscarso perché non avevamo mai fatto sport e tanto meno una pallavolo,

e quando c'è lo switch? Quando è che capisci che può succedere qualcosa in più?

Allora, come tu pensai, ricordi, non sono testimoni fedeli. Però mi hai capito più volte di

chiedere anche a miei ex allenatori cosa sia accaduto, perché avessero investito su di me,

avessero creduto in me così tanto, perché per davvero io tecnicamente ero incapace.

I miei compagni di squadra del nazionale hanno iniziato a giocare in grosso modo in

torno ai 12 anni, hanno lavorato sì fondamentali, sulle tecniche di base,

sul bagger, sul palleggio, sulla ricezione, quant'altro. Io ho arrivato a 16 anni,

lungo, lungo, magro, magro e non sapevo fare veramente nulla. C'è una frase che in qualche

modo è un po' mitica ed è legata dall'Exander Schiba, un allonatore polacco,

assomigliava molto al rasporting, sopra cilia grossissime, occhi inquisitori.

Lui era all'allonatore del nazionale di Unioris. E ricordo che io fecci veramente un paio di

stupidate e deoneofemismo ciclopiche, schiantando palloni contro il soffitto,

facendo errori di quelli che si metterebbe a ridere un ragazzino. E tanti anni dopo Schiba

mi disse, ma tu lo sai perché ti ho tenuto, nonostante quelle robe che non si potevano guardare,

perché ti sono venuto le guance rosse. E ho capito che tu ci tenevi a giocare a parlavuolo,

perché chi si vergogna si impegna. Ora, questo è il riassunto un pochino…

Però immedesimiamoci in un ragazzo che vuole cominciare, che normalmente anche,

non so se il mondo del calcio diverga così tanto, però i genitori sono convinti che,

se non li mandi a giocare quando hanno cinque, sei anni subito non diventeranno mai dei campioni,

quindi piacerebbe che tu potessi sfatare questo mito. Ma nella parlavuolo, a 16 anni,

è comunque tardi, se vuoi fare un percorso. Quindi tu sei partito scarso, sei partito tardi,

e cosa è successo? Quando è successa quella alchimia dove, invece, stavia al passo rispetto

a tutti gli altri? Allora, fecero una selezione per i mondiali di parlavuolo e i uniores. Sebbero

giocati qualche anno dopo, io avevo 17 anni, quindi un anno dopo, appena iniziato, e chiamarono

letteralmente chiunque fosse un po' alto e giocasse a parlavuolo. Era tale l'interesse,

però che in esempio questi mondiali che non hanno fatto scelte con selezioni,

hanno chiamato praticamente tutti. La domanda è, perché ti hanno tenuto? I racconti esterni sono

che ho fatto che qualcuno ha intravvisto nei miei occhi, nelle mie timidezza, nelle mie dimensioni un

potenziale. Quante volte giocava a stimana in quel periodo? Da il secondo anno malenavo tutti i giorni.

E il primo? Tre volte alla settimana. Quindi è riscarso, facevi tre volte alla

stimana, vai su tutti i giorni, vuol dire che comunque ti senti all'altezza, vuol dire che c'è

qualcosa che ti dà fiducia in te stesso, se non molli? Sì, mi stai portando su un tema

che è di enorme delicatezza ed è un'importanza, perché è delicato. Da una parte io non sopporto

più per l'età che ho l'idea che volere è potere, che la sconfitta non è un'opzione,

che dipende solo da te. Trovo che questi slogan, che naturalmente hanno un fondo di valore,

siano diventati eccessivamente retorici. Mi piacerebbe portare un po' l'idea che è vero che

la motivazione, che l'impegno, che il sacrificio con tutte le dovute cautele sono importanti,

ma non che si può fare ciò che si vuole. Per me questa è una chiave fondamentale,

se no diventa veramente... Quindi mi dice lo sport non è inclusivo se vuoi arrivare a quei

livelli? Allora, partiamo da quest'idea qui. Battaglia, devo dire un po' più recente. Devo

dirlo a chi mi conosce meno, io queste cose che dico adesso sono chiaramente il ripensamento,

la rielaborazione di un uomo che ha quasi 60 anni... Il frutto della tua esperienza.

...che ha pensato tante volte a quel tuo carriera, non pensavo e non dicevo queste cose quando ero

giocatore e quando ero più giovane. Quindi chiaramente adesso alla prospettiva prevalente

quella dell'uomo adulto che ripensa un passato. Sport inclusivo? No, naturalmente no. Al massimo

può essere inclusivo lo sport perché hai così tante discipline. Sport per gente alta,

sport per gente bassa, sport per gente veloce, resistente o muscolosa, quindi che lo sport in

generale offre un sacco di opportunità. Cioè c'è spazio per tutti. Ma lo sport è intimamente

selettivo. E lo è per una ragione più che legittima secondo me. Se vuoi garantire l'equità della

competizione, devi essere selettivo. Non puoi far gareggiare uno troppo forte,

troppo grande, troppo grosso, con uno troppo piccolo. Si fanno male. Quindi per garantire

l'equità della competizione devi essere selettivo. Allora l'idea è, lo sport non si può configurare

come un ambiente inclusivo. Può essere uno sport in cui impari i tuoi limiti. Certo che si,

devi fare i conti col tuo corpo, devi rispettarti e sono cose bellissime, importantissime.

Però è unico la pena dire quali sono i valori che lo sport può portare e quali sono i valori

che lo sport invece non può portare. E ripeto, lo dico perché anche in questo caso sento tante

volte dire che lo sport è un mestro di vita, che lo sport è un modello educativo. Anche lì,

di che sport parliamo? Parliamo dello sport top level, professionistico, dello sport ammatoriale,

parliamo della dività motorie. È chiaro che in ogni contesto c'è qualcosa di molto bello che

può essere portato avanti. Però c'è un po' di retorica che per me è particolarmente pericolosa,

perché è come se lo sport godesse di una disponibilità molto superiore ad altri ambienti.

Quando invece io credo nello sport, ma essendo un esportivo come se sentissi su di me il compito

di difendere anche occhio che se fate promesse dovete mantenerle. Se dite che lo sport è inclusivo,

poi non potete premiare solo la prestazione. Perché non è a palavolo, non basta essere

alti, ma essere alti aiuta, certo che aiuta e dove sarebbe l'inclusività.

Percorriamo la tua carriera. Dicono che tu hai fatto parte della squadra più forte di tutti

i tempi a palavolo, ma adesso me lo racconti, andiamoci per gradi. 16 anni e mezzo, tre

allenamenti a settimana, a un certo punto prendi fiducia in te stesso, un allenamento al giorno,

sei felice, immagino, c'è un contesto che ti appaga, ti piace, ti sarei fatto degli amici,

c'è per darci dentro in quel modo farolin, qualcosa succede nella tua testa?

L'appagamento è principalmente sul piano umano, cioè io stavo molto meglio in palestra che in

discoteca. Ecco perché quando si dice occorre fare grandi sacrifici, è vero,

io per molti anni ho lavorato 12 mesi all'anno, ho fatto poche vacanze,

alla sera non si usciva, stava tante ore in palestra, quindi si contigura come una vita

impegnativa, ma il mio ricordo personale non vorrei neanche sminirlo troppo,

non è quello o quanta fatica che ho fatto, perché in fondo stare lì,

giocare a palavolo con i miei amici alti, in un contesto rassicurante era il luogo più

confortevole che io potessi frequentare. Quando hai sentito di essere in grado di farcela?

Ci sono un paio di step. Il primo è, come tu dicevi, quando in poco tempo ti convocano

i nazionali uniores, ti rendi conto che il tuo livello non è a livello degli altri,

però fisicamente sei un potenziale importante. Qualcuno ha detto anche che sono stato una

fast learner, uno che è imparato abbastanza velocemente e quindi mi hanno tenuto in quella

nazionale, abbiamo participato agli europei e mondiali uniores in cui ho giocato anche

abbastanza, un'indicazione perché conosce la palavolo, io ho giocato sempre schiacciatore,

schiacciatore opposto, vuol dire che il mio compito era principalmente, anzi quasi esclusivamente,

schiacciare. Non ero coinvolto in tutti i fondamentali, io non ero molto completo in

ricezione, in palleggio, però poteva essere un ruolo super specializzato, di fatto essendo

grande, grosso, con le mani gigantesche, quel ruolo mi permetteva di essere anche un po' meno

completo ma di essere super efficace. Diciamo così, un finalizzatore negli sport di squadra.

Come si chiamano i ruoli dei sei giocatori? Pallizzatore. Uno solo? Uno solo. Quello girato?

Dall'anni 70 in poi si è passato da 4-2, che significava quattro schiacciatori e due

pallizzatori al 5-1, un solo pallizzatore che pallizza sempre quando è in prima linea,

quando è vicino alla rete e quando è in seconda linea, quindi distante da rete,

un unico pallizzatore. Poi ci sono due schiacciatori ricevitori, che sono quelli che ricevono la

palla, quindi ricevono la palla in fondo, stanno dietro, poi si muovono, che si può muovere nel

campo di pallavolo. Ci sono due centrali, si chiamano centrali perché stanno al centro della

rete e sono quelli che si occupano di murare e di attaccare la palla molto molto veloce.

E poi c'è uno schiacciatore opposto perché parte dalla parte opposta del pallizzatore,

più in diagonale, perché lo stiamo così. Quindi schiacciatore opposto, attaccante principale.

I centrali, attaccanti, primo tempo veloce e muro, gli schiacciatori sono un po' quelli più

completi. Il pallizzatore è chiaramente il regista, il playmaker, la mente della squadra.

Nel 1998 c'è fu una rivoluzione regalamentale, nel quale hanno inserito anche un nuovo roll

che è il libero, che è un ragazzo un po' più basso di solito perché gioca sempre distante da

rete e può solo ricevere e difendere. E quindi se è un po' più basso, più veloce dei compagni,

questa cosa l'ha fatta apposta per carare almeno un ruolo nella pallavolo in cui l'altezza non

fosse un vantaggio così discriminante. E lui prende il posto di quale dei sei che hai detto prima?

Di solito dei centrali, poi entraremolo al dettaglio, in realtà il centrale,

che di solito è alto alto, grande grande, sta in prima linea, quando va in battuta,

batte, finisce thinnerce quelle azioni, lui va in panchina ed entra il libero.

Ok. E quindi il libero non sta alle regole della sostituzione dei compagni perché proprio

per questo entra, ed esce con molta velocità, di solito entra perché dietro è molto più efficace per

la sua velocità, per la sua abilità e i fondamentali in cui quelli alti non sono particolarmente bravi.

Se vuoi un effetto collaterale non previsto, l'idea della federazione mondiale era quella di dire

perché non cerchiamo di fare in modo che anche la parlavolo dia spazio a un'artleta non gigantesco.

Il libero è una grande idea. Peccato che il libero, occupandosi dei

cui fondamentali in seconda linea, ha liberato gli alti giocatori di questo compito e sono

ancora più alti gli alti giocatori. Quindi i centrali, grazie al libero, quelli moderni sono

ancora più alti dei centrali del passato. Questo è uno dei cosiddetti effetti collaterali

non previsti, con la buona idea di provare a essere più inclusivi.

Entriamo nell'escursus quindi dopo un anno, 17 anni e mezzo circa, un allenamento al giorno,

ti convocano e poi giochi vicino a casa, a qualità?

Abbastanza. Io faccio due anni...

Ci chi ti porta agli allenamenti tutti i giorni?

Allora, io faccio due anni a Silvelle, quindi andavo con mio motorino.

Da solo, ok.

Poi arriva una scuola di Padova, dia 2, quindi la seconda serie, che dice questo ragazzo qui

potrebbe provare, se la abbiamo bravo al natore, vinta da noi, 35 chilometri.

Sei in quinta?

Non ti ha mai rallentato di studi lo sport? Non sei mai stato bocciato perché comunque

dedicavi molto tempo lo sport?

No, no.

Ce l'hai fatta?

Ce l'ho fatta con un po' di condiscendenza da parte dei professori che hanno capito.

Io ho fatto del mio meglio, mi hanno promosso col 37, 37 in quegli anni era il minimo con

cui sono ricito a passare l'ezzamen di maturità, e il mio spostamento da Torrezelle a Padova,

40 chilometri, mia madre ha già in pensione in quegli anni e quindi ricordo che ho presi

il foglio rosa e quindi potevo guidare a Pato che a Tianco ci fosse un patentato e quindi

tutte le sere facevo i miei andate, ritorno a Pado, ho fatto 20.000 chilometri con il

foglio rosa, mia madre mi aspettava durante l'allenamento e fino a quando non ho avuto

la patente da solo mi ha accompagnato, mi ha sostenuto, mi hanno aiutato e queste cose

che era chiaramente decisiva. Quando vai linea a due ti pagano? Non ancora, per la

verità c'erano, ricordo, 200.000 lire al denso, di imbolso spese, ma era proprio,

era proprio così. Invece in questo caso c'era come dire un impegno sul piatto d'oramento

quotidiano, allenatori bravi, compagni di squadra bravi, la 2 e la serie B da il calcio,

quindi si iniziava a commuttarsi veramente con persone alte e durante l'estate Nazionale

e i Uniores, annamenti, viaggi, tournée in giro per il mondo.

In gioco avevi 12 mesi l'anno? 12 mesi all'anno, 12 mesi all'anno, in continuazione sempre

quello. Vederi felice?

Felicissima, felicissima. Teni conto, felice, noi abbiamo fatto trasferte a Cuba, siamo

andati in giro per il Brasile, siamo andati a fare nell'Unione sovietica.

Già quell'età o dopo? No, già quell'età lì. Già con i Uniores avevano iniziato

a viaggiare ed erano cose meravigliose, c'era proprio anche la soddisfazione di fare

qualcosa che già percepivo come speciale, il mio livello di gioco non era ancora straordinario,

paragonato ai miei compagni o ai miei versari internazionali, però che già quello della

Uniores fosse un ambiente meravigliosamente attraente questo nome, era bellissimo.

Era uno sport povero ricco, perché comunque le trasferte insomma il sarà stato nero,

no, muovere quella macchina. La Palavolo è da molte anni uno sport molto

diffuso, tra i più diffusi in Italia, con un rapporto invertito tra maschi e femmine,

tantissime ragazze che giocano a Palavolo e meno maschi, e con la nostra generazione ha fatto

il salto definitivo da sport diffuso, ma non ricco e non popolare, e con quelle vittorie

agli innovatori non sono anche uno sport popolare e anche abbastanza ricco. Però per tutti un

esempio specifico proprio quando io ho vent'anni, quando arrivò la Sant'Al di Parma,

che insieme con la Parini di Modena, erano le squadre più forti di Italia, venne a Torrezelli,

disserò, vorremmo che Andrea venisse a giocare da Parma, avevo preso il diploma col 37,

avevamo giocato i mondiali Uniores e poi arriva a Settembre, come sono andati quei mondiali?

Abbiamo perso in finale con l'Unione Sovietica un argento.

Ti hai insegnato qualcosa di l'evero di mentalità, in quell'anno ti si è sbloccato

qualcosa, quindi non era più miglioro nel piano di gioco, ma una mentalità per vincere,

una concentrazione per vincere, una coesione con la squadra, una armonia di squadra.

Credo che si non aspetti un po' diversi. L'armonia, la coesione con la squadra,

nella parla volo in modo particolare è un elemento imprescindibile. C'era questione

anche molto tecnica, non di natura morale, tecnica. La parla volo è l'unico sport di squadra che

per regolamento ti obbliga a passare la parla al tuo compagno, perché non puoi toccare la parla

da volte consecutive. Quindi questo fa sì che, se in alcuni sport l'azione individuale può

diventare risolutiva, perché non è dietata, nella parla volo tu sei, nello sport, col più alto grado

di interdipendenza tra tutti. Questo fa sì che sei obbligato. Non c'è una, come dire,

caratteristica etica o morale. I parla voli si sono più bravi a collaborare. L'ambiente li plasma e li

obbliga a collaborare. Quindi questione di coesione nella parla volo è inevitabile.

Per quanto riguarda invece l'idea di capire quali fossero i criteri per essere performante,

efficiente. Quelli sono arrivati un pochino dopo, sono arrivati. Era ancora di flusso molto

giovanile, un po' incosciente in cui tra coraggio e incoscienza non sai bene dove sta il limite,

queste cose. Quindi per me quegli anni sono bellissimi, mi ricordo chiaramente, ma non sono

ancora molto leggeri, spensierati. Non sono ancora catalogabili quanto hai vinto come hai giocato,

a chi livello sei. Il flusso bellissimo, sta lì dentro e quant'altro. Ai vent'anni arriverà chiamata

di una delle due squadre più forti in Italia, A1, si dice A1 nella…

Bravissimo, sì, si diceva A1. Adesso la Superlega. Adesso si chiama Superlega, però da pochi anni,

in quegli anni la A1 era la massima serie. E le due più forti erano Parme Modena?

Era Parme Modena. E chi ti chiama?

Mi chiama Parma e, per dirti quelle fosse la relazione anche tra popolarità ma anche aspetto

economico, mi offrierono un milione e cinquecento milari al mese. Mio parco che passava l'autista

degli autobus prendeva un milione e cinque al mese. Quindi uno stipendio di un autista

degli autobus che era per me una enormità. Cioè vado fuori di casa in un'altra città per

giocare a palavolo e mi pagano anche. Quindi questo nella mia testa è stato un momento in cui la

palavolo ha smesso di essere solo quel meraviglioso luogo confortevole in cui si stavo bene,

mi piaceva giocare, si vinceva e si perdeva. Interessava fino a un certo punto, stava diventando

una cosa bella. Interessante anche professionale. Lo spostamento a Parma chiaramente fu eccitante,

vi lascio immaginare Torrezelle, mille abitanti. Parma, nell'Ottantacinque, era non la città più

vivibile ma di gran lunga e la più bella città d'Italia, insieme a tutte le classifiche del

mondo. Era ricca, la Parma, c'erano un sacco di grandi azienti, c'erano bellissime donne,

bellissime ragazze e tra l'altro io arrivo lì e sono un giocatore di una squadra molto popolare.

Quindi diventi anche famoso. Bravo, se prima, scusa, ballereste un lento con me. No, perché

sei troppo alto. Te lo chiedevano allora te? La prima partita che ho fatto in Serie A a Parma,

senza giocare, in panchina basta. A fine partita arriva la fila delle ragazzine che chiedono un

autografo. Io mi sono seduto su un tavolino ed ero veramente felice come una pasca,

perché mi stava cambiando il mondo da un giorno all'altro. Chiaro, qui cambiava anche il luogo,

però la palavola è diventata qualcosa di professionalmente tangibile, uno spostamento

da casa dei miei genitori e tra l'altro era un nuovo zorro, non era ancora zorro, era il nuovo

Andrea. Di prima era l'Andrea Pingolone in difficoltà troppo alto e qui era il giocatore di

Pallavolo. I tuoi genitori come hanno preso il fatto del trasferimento, erano tristi,

hanno capito, erano felici? Qual era lo stato d'alima in casa? Essendo figlio unico.

Provo condensata la cosi, lo disse l'Andrea. Ci sembra una bella occasione. Se ce la fai,

siamo felici, veniamo a vederti e l'hanno fatto sempre, hanno fatto in trasperta, in casa a Parma,

mi hanno seguito sempre e se non funziona torna a casa e siamo a posto. Che adesso da adulto,

da genitore, dico che si è il modo migliore per accompagnare, senza forzare, senza mettere

pressioni. Quindi questa è la naturalezza e loro mi hanno seguito per tutta la vita.

A proposito di pressione vedi io sono amantere il calcio, quindi non conosco la Pallavolo e vedo

nel calcio magari dei giovani che arrivano in una squadra importante e c'è l'ansia della

prestazione, fanno molta fatica di inserirsi. Poi si mette un po' troppo a fretta ai giovani,

quindi ci si aspetta sempre un grande risultato subito, soprattutto se una persona arriva all'estero,

quindi arriva da una cultura calcistica diversa, quindi non gli si lascia il tempo di sviluppo,

ma questo è un altro argomento, volevo capire a te la pressione e l'ansia di prestazione come

affronti la prima grande sfida. È un lavoro, ti pagano ai popolarità, quindi insomma hai l'occhio

di Bua in un certo qual modo puntata anche quando sei in panchina e come vivi quella cosa?

Li senti questa ansia o invece la parte leggera prende il sopravvento e riesce ad integrarti

molto facilmente? Da i 20 e 24 anni, quindi i primi 4 anni in serie A... Tutti a Parma?

Tutti a Parma. Sono rimasto lì 5 anni, sono rimasto a Parma, quindi un lungo periodo.

I primi anni a Parma per me sono ancora una incredibile inconscienza. Nonostante ci fosse

l'importanza della squadra, anche delle grandi sconfitte, i giornali che ne parlavano i

quotidiani, ricordate, internet era di là da venire, il limite tra pubblico privato era

assolutamente solido e inattaccabile, la convinzione che i tifosi avessero il diritto di dire a fare

quello che volevano non era ancora stata lasciata passare e quindi il contesto era radicalmente

diverso e la palavolo non era il calcio, quindi il numero dei tifosi e la tipologia dei tifosi

era chiaramente diverso, quindi le pressioni che siamo sottoposti noi palavolisti è decisamente

inferiore a quanto accade a sport popolare e ricchi come in calcio, però per alcuni anni non

ho sentito questa pressione. L'ho sentito in setto punto invece quando è accaduto che per un po'

di anni abbiamo un coperso contro la premiglia di Modena dove c'era Julio Velasco che poi si

ha preso del nostro grande allunatore, c'erano in miei pari età che giocavano meglio e vinceremo

di più di me e l'ho diventato il magnifico perdente con lui che giocava bene quando contava poco

e giocava male quando contava molto. Vedi già quel ruolo che era contato prima? Sì, io ho fatto

solo quello in vita mia, a parte un paio di piccole esperienze diverse ma ho fatto sempre quello

in vita mia, quindi proprio finalizzatore fino all'osso. Pugnere, vavate sempre secondi? Sì,

sì, sempre secondi. Sempre secondi e questa cosa poi ha iniziato a pesare molto anche perché

non c'era più... Matteo all'ambiente? A entrambi, a entrambi, Parma è una città

molto richiedente sul piano della Pallavolo, ma non è anche culturalmente questo orisini francesi

di Parma, questo loro accento ancora un po' rotolato con la R, li rende all'interno del

parlamento emiliano, quelli che vogliono essere comunque i migliori e quindi anche nella Pallavolo

la sconfitta non è raccolta con grande simpatia come inevitabile che sia. Per un certo punto dopo

qualche anno in cui potevo essere il giovane che ha la responsabilità, ma se erano anche gli altri,

ad un certo punto ero tornato in cui adesso sei tu che devi provare a dimostrare quello che sei

capace di fare quant'altro e questo è stato un momento per me la vera grande cesura nella

mia vita in cui la parte inconsciente di gioco è diventata, vuoi essere un giocatore forte,

devi prendere la responsabilità e anche la pressione aumentata radicalmente e despolenzialmente.

Siamo nel 90. Siamo nel 90. Siamo nel 90.

Siamo nel 90. Sì, a Parma, è il tuo ultimo anno?

Mi ultimo anno, c'è un'altra data ancora più importante per quanto mi riguarda che legata

alla Nazionale 89, Julio Velasco, quello che ha vinto gli scudetti consecutivamente con la

Panini di Modena contro la nostra scuola di Parma, diventa la natura della Nazionale e crea un

nuovo percorso con i due gruppi di queste due squadre, quindi a c'è il riminemici,

tutti insieme. Io non sono sicuro, ma penso che forse a domenica a sera noi perdiamo gara 5 di

finale scudetto contro la Panini, quindi la peggior sconfitte che non posso avere e il mercato di

tutti insieme a Modena, a riparticola Nazionale. Lui è stato l'allenatore che ti ha fatto

farlo switch mentale alla domanda di prima? Lui, quel gruppo, quell'ambiente, Julio Velasco,

anche tu che forse lo conosci molto la Palavolo, lo conosci perché è un grandissimo annatore,

un grandissimo speaker, una persona di enorme intelligenza, di grande fascino,

grande comunicatore, una persona che con il suo accento sudamericano rende ancora più attrainteresco,

lui è veramente una persona affascinante. Direi questo, direi, lo dico da suo giocatore talvolta

si tende a focalizzarsi un po' troppo solo sui suoi meriti. Lui ha avuto un metodo, certo che

si gigantesca, ma quella squadra è la composta di un grandissimo annatore e da grandissimi

giocatori. Mi fai i nomi dei tuoi compagni? Lorenzo Bernardi è miglior giocatore di Palavolo del

ventesimo secolo, della squadra, che è la miglior squadra del Palavolo del ventesimo secolo.

Andrea Lucchetta, Luca Cantagalli, Andrea Gianni, Toffoli, veramente una quantità di giocatori

straordinari. E l'89 è il momento di grande cambiamento perché lì c'è uno step. Sei in serie A,

sei pagato abbastanza bene, però lì, come dire, il livello cambia radicalmente. Quella

nazionale che vince l'europeo in modo imprevedibile a Stockholm diventa un fenomeno

nazionale. Perché l'Italia non aveva mai vinto negli ultimi anni? No, non aveva mai vinto l'europeo.

Mai? Mai, mai. Aveva mai vinto. Il risultato più grande era una medaglia di bronzo alle

olimpiadi di Los Angeles nel 1984, una medaglia d'oro alle universiadi, che però è un torneo

chiaramente minore e poco altro. Quindi la prima medaglia d'oro è dell'89 con quel gruppo.

Nell'89, con quella squadra, con quella mentalità, fai un upgrade mentale. Quindi nel 90, quando ti

viene chiesto nel parma di essere consapevole della tua nuova missione di prendere la squadra in

mano, che succede? Buon pocosi, allora. Lì c'è una chiave che a me piace moltissimo questi due

gruppi, a certi rivali, che riescono grazie a un ambiente virtuoso, durissimo, di super

competizione, ma onestamente competitivo, a trasformare questo conflitto personale nella

benzina meravigliosa per fare tutti sempre del loro meglio. Fantástico, faticoso da morire.

Nulla era complicato come giocare contro i nostri compagni nei club. Gli allenamenti

da nostra nazionale erano veramente a livelli altissimi, perché Belasco bravo a stimolarci e

anche un po' a manipolarci su questa nostra sfida reciproca. Veramente fantastico. Però,

per quanto mi riguarda questa onestà, questa pulizia di sfida reciproca, è stata qualcosa di

meraviglioso. Nessuno ha mai tentato di far deviare la propria competizione su comportamenti

non corretti. Cioè io sono più forte di te, te lo dimostro nel rispetto delle regole e tu fai

uguale a si e io faccio meglio. Meraviglioso. Qual è la competizione più importante al mondo

per la parla volo olimpiadi? Quella che l'abbiamo mai vinto. Olimpiadi. Becisamente. E la successiva

va bene, io lo ricordo perché lo fanno i NBA, quel Dream Team nel 1992 a Barcelona. Bravo. Allora,

velocemente, cronologia 89, meravigliosa rivoluzione, si vince l'europeo a Stockholm. La parla volo

diventa popolare anche in Italia, se finisci in televisione. Nel 90 ci sono i mondiali.

Ed Italia nel 90 vince la World League, un torneo utinerante con milioni di dollari di previ per

una volta. Vinciamo i Goodwill Games che hanno un torneo non di grande rilevanza ma tecnicamente

valido e vinciamo il mondiale in Brasile con una famosa semifinale Maracane Zigno, 27.000

tifosi brasiliani contro Brasile, Quintoset, 14.13, Lucchetta, ultimo punto, andiamo in finale,

che vinciamo con Cuba. Questa è velocissimamente la storia, però il Brasile, la patria della

parla volo, dei tifosi scatenati e noi che vinciamo lì è proprio qualcosa che ha cambiato il

nostro mondo e anche la percezione nostra rispetto all'Italia e al mondo in generale.

Arrivano i soldi, molti soldi, Berlusconi, Gardini, Benetton.

Tu vuoi dire Berlusconi e Gardini e arrivano i soldi? Nel senso stava diventando così popolare

quello sport che investono in quello sport? Nel senso comprano squadre?

Esattamente, esattamente. Berlusconi compra squadre il Milano?

Berlusconi compra Milano, Benetton continua con Treviso e Gardini compra Ravenna.

Ok. Finin conto che io nel 90 giocavo a Parma,

tanto abbiamo vinto i cinque tornei, i quintupleti abbiamo fatto, tutti i cinque tornei abbiamo vinti,

arriva Milano e mi offre più di dieci volte quanto io prendevo a Parma.

Quindi a Parma hai preso un milione e mezzo per cinque anni o hai aumentato poi nel tempo?

Non ho aumentato, ho aumentato. E quindi hai preso più di venti milioni quando

sei andato a giocare a Milano? In realtà già a Parma nei cinque anni era aumentato molto,

era già un buono, per quegli anni era già un buon stipendio,

ma Milano, esattamente come Ravenna con Gardini, hanno trattato la parmavolo come se fosse quasi

il calcio, quasi il calcio. Io ricordo che disse anche ai miei tifosi di Parma, vado a Milano per

una scelta di vita. E quando tornei a giocare a Parma con la maglia di Milano mi accostero con

gli strisciuni quelle vecchie 100 mila lire con la mia faccia al posto di quelle, non so se

ci sia verde o chi altro, quindi insomma era chiaro che l'offerto economico era irrinunciabile. Però

sta di fatto che nel 90 quindi c'è un cambio mostruoso di popolarità, conseguenza diciamo

così quasi inevitabile, non è facile tenere la testa e i piedi per terra quando ti cambia il

mondo così velocemente, quando diventi uno. Io lo che t'endiamo a Sanremo, Sanremo negli anni

90, anche adesso è veramente cose inimmaginabile. E cos'è accaduto che invece di continuare ad

essere quella squadra che ha tenuto la rotta con molta disponibilità, quel massimo impegno,

un pochino siamo distratti in un mondo che era così attraente, così lucicante.

C'è una domanda su quello, no? Perché mi hai parlato il disaggin di Scoteca,

usi il benchmark da Scoteca come capitare del disagio, però ti vedo una persona più che

timida, abbastanza riservata, molto ducata e quindi volevo immaginarti da noto come vivevi

il successo. In quegli anni di Milano di Berlusconi e quindi in un momento abbiente, no, della tua

vita dove girava tutto bene sia la Quattarosa che la Pecugna e tutto quello che girava in

quel sistema. Come vivevi quel momento lì? Allora, considera questo il premio per l'oro

all'europeo, il premio della federazione era 60 milioni di lire. Ok? Io presi l'assegno,

andai in un concessionario di camper e comprai con 60 milioni di lire uno di più bei camper che

ci fosse in quel momento. E ho fatto il camperista, quindi sulla riservatezza il mio tempo libero era

in Giro in Camper, non in discorso di questo. Mi capitava qualche volta ovviamente di fare

qualche evento, qualcosa in giro, davvero la probabilità era forte in quegli anni, forte

soprattutto di noi, io Lucchetta Bernardi quant'altro, probabilità quasi a livello calcistico.

A me piace, mi piace, ma non sono molto a mio agio in questi luoghi pubblici quindi se devo

farlo faccio, ma non frequento volutamente luoghi così affollati.

Vai a Milano e quanto tempo ci rimani? Quattro anni. 90, 94.

90, 94. Nel frattempo ci sono le Olimpiadi. Bravo. Milano è anche legato al fatto che io,

qualche anno prima, ho conosciuto Giulia Staccioli, meravigliosa e fantastica ginastia della

ritmica, alle Olimpiadi di Seul, ci conosciamo, inizio al rapporto che all'inizio è abbastanza

conflittuale, quindi in realtà litigliamo quasi per un anno, poi ci fidanziamo. Giulia

vive a Milano, nonostante i genitori siano toscani, studia, vive a Milano, gareggia a Milano

e quindi quando vengo a Milano in realtà inizia anche a consolidare il mio rapporto con Giulia,

che in quegli anni inizierà a lavorare con Momix, andrà poi negli Stati Uniti, resterà per qualche

anno nella compagnia, tornerà in Italia e fondrà i Cataclò, che è questa compagnia di danza.

Pazesca. Che hanno fonda i Cataclò. Nel 96. Siamo esposati nel 93. Il diazio di nozzi che

abbiamo fatto è per accompagnare lei, nel Connetica, dove ha alla sede la compagnia di Momix,

di Moses Pendleton. Lei poi ha girato il mondo per anni con Momix e poi a tutto punto ha smesso.

E tu dove stavico da leggiereva il mondo? Io giocavo a Treviso e a Macerata.

Vi sposate? Prima li tigliamo. Sì, li tigliate. Poi ci vi danziamo. Ok, quindi insomma,

mettete le radici, è ben solide. Dopodiché vi sposate? 93. E poi? Poi io continuo a

giocare ancora qualche anno. Lei crea Cataclò nel 96 e il nostro rapporto, credo, si riconosca,

secondo me in un infinito amore, Macerà l'indipendenza dell'autonomia. Lei è venuta qualche

volta a Treviso, venuta qualche volta a Macerata quando io giocavo, però ha sempre mantenuto

i suoi personali interessi che comunque erano da questo punto un po' legati alla danza,

alla parte artistica. Papa di Giulia è un grande sculture, ha gigantesche sculture in giro per

il mondo, tra l'altro a Seoul, dove siamo conosciuti io e Giulia. C'era una scultura

gigantesca di 60 metri che unisceombi parazzo del Nuoto, dal palazzo della ginastica, dove siamo

incrociati casualmente con un'opera d'arte del padre di Giulia. L'amore prosegue, la vita in comune

comincià con la giusta indipendenza e dopo qualche anno gli osmetto di fare il palavolista nel 98 ed è

in quel momento senza tra l'altro averlo cercato che Giulia rimane in cinta e nasce in Numa che è

nostro figlio, N-U-M-A, figlio unico, quindi nascere il 1999, febbraio 1999. Nel 2004 io e Giulia ci

separiamo perché direi che come spesso accade, accade alle donne, hanno una forma più sintetica

per raccontare quello che accade e la maternità per Giulia, un po' la quotidianità del nostro rapporto

aveva iniziato a erodere un po' quello che era il modo in cui stavamo insieme. Giulia, più

volte mi ha raccontato, con un enorme onestà che avere un figlio in qualche modo ti obbliga e ti

porta anche a cambiare un po' le tue priorità e quindi tutte queste cose messe insieme aggiungiamo

anche chi ha appena smesso di fare il palavolista, non ero più un atleta, non sapevo bene che cos'ero

ancora, smettere di fare l'atleta non è esattamente la cosa più semplice del mondo sia che tu sei

popolare, sia che tu non lo sia, quindi tutti questi aspetti hanno, secondo me, creato le condizioni

di questa separazione, che però è durata 7 anni, è 2011, io e Giulia, siamo andati insieme e siamo

ancora felicitamente sposati, valito e moglie, padre e madre felice di Numa che adesso studia

fisica e sta per fare gli ultimi due anni a Roma e molto felice, gratto di questa storia così

speciale che, ripeto, si configura con autonomia, indipendenza, un lungo distacco, una grande

onestà reciproca e un inspirato ritorno che però è stata tra le più belle gioie che ho mai

però una domanda su questo, per 7 anni ognuno farà sua vita, vostro figlio ha 5 anni, dai 4 anni

fino agli 11, ok, va con la mamma, sta con entrambi, ok quindi abitate vicino, abbastanza vicino, a

Milano, dopo 7 anni dove sai che forse ognuno di voi ha avuto delle altre esperienze no, in quel

tempo lì, vostro figlio che era un pupazzino, che vi rivede insieme e dirà che è strano, c'era una

sensazione forse particolare per lui rivedere i suoi genitori sotto lo stesso tetto, ma tu a

livello mentale come hai affrontato questa cosa e il ritorno? Perché devi comunque accettare tutto

quello che può essere successo perché quando ami senti molto tuo, quell'amore, ne sei un po'

un po' geloso, non possessivo, ne sei geloso? Legittima domanda, con una spiegazione, io non

so con precisione cosa sia accaduto a Giulia, cosa ha fatto Giulia con precisione, lo so a

grandi linee, non ne avete mai parlato, ne abbiamo parlato non nel dettaglio, la cosa però che ha

portato entrambi a tornare insieme è che entrambi, seppur con percorsi diversi e forse con necessità

diverse, io maschio quarantenne, lei, donna, quarantenne, con necessità, i nostri percorsi sono

sicuramente un po' diversi, sta di fatto che in quei 7 anni nessuno dei due ha mai avuto una

relazione seria, ha pensato per davvero di ricostruire la cosa dei nuovi e quindi il nostro

figlio ci ha visto separati, non ci ha visto in altre relazioni e per me questa chiave è stata

importante, cioè se, nonostante l'assoluta libertà, in qualche modo, senza sapere bene

perché non è cominciato qualcosa, vuol dire che il nostro rapporto era rimasto in qualche modo

legato e questo è sicuramente più forte di qualunque altra... Ed è diventato tutto naturale

quando siete ritornati insieme, tutta la quotidienità con vostro figlio, non c'è mai stato un

imbalazzo del passato di quei 7 anni, giusto? No, no. È bellissimo, cioè è più unico che

raro. Sono molto d'accordo con te. Ritorniamo alla carriera, 90, Milano, poi dopo ci sono...

Ah no, solo le piedi, la legione, quindi arriviamo alle le piedi di Barcellone perché poi avete fatto

tante altre cose prima che tu ti ritirassi nel 98. Tu hai nominato il Dream Team. Anche voi

eravate il Dream Team. Però è questa cosa. Il Dream Team è nato con questi mega super

campioni dell'NBA, Magic Johnson, Charles Barclay, Larry Birdo e Tom Malone, che decidono,

sai cosa, andiamo a vincere l'oro olimpico Barcellona. Non stavano a villaggio olimpico,

stavano negli alberghi, giocavano a golf al mattina, al pomeriggio rifilavano 60 appunti a

calunque squadra, il vero Dream Team che ha stravinto. Nella palavore... Ma sì, dai

fai così, l'Italia è Dream Team, perché? Perché ha vinto l'Europeo, il Mondiale,

la World League... Tutte queste cose qua. Arriamo lì lo squadrone vestinato alla vittoria finale.

Nei quarti di finale, in Italia o l'Anda, Quinto Set, ultimo punto, fanno punto gli Orandesi,

loro vanno avanti e noi siamo eliminati. E il quarti di finale, che è un fallimento dolorosissimo.

E lì è fatica. È fatica perché è il torneo più importante, è la cosa cui tenevi di più,

è un processo che era partito con tante buone intenzioni, e lì sembrava un po' tutto finito,

anche se l'età del gruppo era media. E quindi per tutti ormai pensate alle prossime rimpiedi.

Quello che accade è che Velasco fa una scelta coraggiosa ed è quella di rinunciare ad un

terraria lucchetta, che è il nostro capitano, il giocatore più carismatico, anche più popolare.

È un momento molto difficile da raccontare anche dopo molti anni perché le versioni di Velasco e

di Lucchetta non coincidono e il loro rapporto non è più tornato come prima. Velasco dice che

l'acchi dopo l'ultima partita aveva criticato apertamente e in pubblico un compagno di squadra.

Questa cosa non può accadere in una squadra. Lucchetta dice che invece Velasco tameva la

sua personalità e quindi lo ha tagliato per altre ragioni. Il nome era stato di dire che la

verità sta nel mezzo, perché non sono un fautore che la verità stia nel mezzo. Penso che Velasco

avesse intuito che poteva tecnicamente fare a meno di Lucchetta, che voleva dare un volto

diverso alla nuova nazionale, che per quattro anni era molto codificata in sei titolari e sei

riserve. Molti ragazzi erano cresciuti e quindi voleva ripartire con una stile diverso, con un

maggiore competizione, con maggiori cambi. Io ero vice capitano di più di quattro anni,

sono rimasto per punizione vice capitano anche nei secondi quattro anni perché ricordo che

pubblicamente disse che nessuno aveva il diritto di lasciare a casa Lucchetta,

neanche il nostro allenatore. Naturalmente erano stupidati allo scoperto anni dopo. Velasco

questa cosa me la fece notare, mi criticò durissimamente e mi disse resti vice capitano e

capitano divenne Andrea Gardini. Inizio un nuovo quadrienno con l'obiettivo di tutti di provare a

vincere il nostro grande oro olimpico che è il sogno di ogni palavolista e di ogni atleta

meno che non sia un tennista o sia un calzatore. Vi è mancato Lucchetta dopo questa decisione,

oltre a te e a tuoi compagni di viaggio oltre che di squadra? No, è questo il motivo per cui

Andrea Lucchetta con noi non ha un rapporto facile perché in qualche modo noi si sente

l'escluso, si sente il tradito. Io non direi tradito, però certamente noi siamo ti avanti.

Abbiamo tirato avanti tritto per dritto continuando a fare ciò che abbiamo fatto,

massimo dell'impegno, massima competizione, massima onestà nella competizione recifroca,

gruppo allargato non solo sei giocatori titolari, molti di più e la nazione ne ha

marchato veloce. Di nuovo l'europeo, di nuovo il mondiale, il nuovo World League,

quindi se vi vince praticamente tutto. E si va ad Atlanta nel 96. E questa volta,

nei quarti di finale, si schianta l'Argentina. In semi-finale vinciamo 3-0 con la Yugoslavia,

cioè con la Yugoslavia, e in finale ci di nuovo l'Ollanda che questa volta vince al

quinto set 18 a 16. Allora, tra quarto di finale e finale la differenza che in finale ti porti a

caso in Argento, anche se per anni quella medale d'Argento non era più un bel ricordo, era più

un oro perso che un'Argento vinto. La finale non era una partita che ti taglia la gola come

il quarto di finale. La differenza è un quarto di finale, se lo perdi hai proprio fallito. Non c'è

niente da salvare di un torneo per una squadra come la nostra che voleva vincere. In una finale

si è arrivato in fondo, è doloroso perdere per due punti, ci sono voluti un po' di anni per

fare pace con quella medaglia d'Argento e però per quanto mi riguarda è stata anche alla

fine la decisione che non avrei avuto la forza, le energie per restare altri quattro

anni nazionali e pensare alle altre olimpiedi. Così invece con i miei compagni hanno fatto,

hanno continuato a restare il nazionale, hanno vinto il terzo mondiale, hanno rinvinto gli europei e

sono arrivati all'altro olimpiede senza vincere loro ma s'è provato per la terza volta consecutiva.

Io credo che in quel momento in qualche modo essi intuito che le mie energie direi forse anche

le mie curiosità fuori dal campo di Palavolo hanno un po' influenzato la mia disponibilità a

restare concentrato e quindi ho giocato un paio di anni molto felici a Macerata, una squadra

a 33 anni, due anni di cui ho un ottimo ricordo, non abbiamo fatto grandi risultati alla squadra

giovane che volevo consolidarsi, lo ha fatto anche chiamando a me che ero ancora un giocatore

importante, abbiamo fatto secondo me quello che si aspettavano i dirigenti e anche i tifosi e poi

a 33 anni ho smesso, ho appeso le scarpe al chiodo. Non presto? Cioè nel senso hai cominciato

tardi e hai smesso presto? Sì, molto, molto, molto presto. Perché volevi sempre dare il tuo

cento e sentivi che non lo avevi più? Sì, questa è la versione a cui faccio riferimento più

spesso. Ma è la verità? Direi di sì, direi di sì, io ci penso direi di sì, credo che

ci fosse una grande dose di orgoglio e anche di superbia, abituato ad essere un giocatore

importante, non sopportavo di giocare bene o bene il che non t'avevo voluto. Secondo aspetto,

sapevo anche però per le buone abitudini acquisite in un gruppo meraviglioso che se

vuoi provare a dare il meglio, vi sei disposto ad essere totalmente votato a quello che fai.

Sei disposto a stare in palestra tutto il tempo necessario, a fare qualunque sforzo e pensare

solo alla palavolo? Se sì, puoi provarci, ma se non sei pronto a farlo, vuol dire che non sei più

adatto quel ruolo. Quando prendi quella decisione, pensi anche al passo dopo quello che avresti

fatto dopo l'annuncio o no? O dici prendo un momento sabbatico o farò l'allenatore, rimango

dell'ambiente, cosa pensi? Allora, per me sono due steppe. Uno è a metà di quel campionato,

qui alla fine smetterò, non ho ancora deciso. Nel 98. 98, bravissimo. Quindi,

gennaio 98, a metà campionato, io sto giocando da far schifo e non mi piace, sono dispiaciuto,

non mi piace che mi criticino, queste cose qua. E a un certo punto dico allora, secondo me Zorro,

se tu a fine anno smetti hai sei mesi per dimostrare a te e agli altri che sei un grande

giocatore. Se sei mesi sono un tempo che si può fare qualunque cosa, ti chiudino la scatola e per

sei mesi pensi solo a giocare alla palavolo. Succede? È successo, è successo. Quindi chiudi bene.

Cioè, le energie di spusizione, tutte e nei prossimi sei mesi non esiste niente altro che giocare al

massimo livello, la performance sale di molto e io finisco il campionato contento di quello che

ho fatto. Ma arrivo anche all'offerte, visto che hai giocato bene perché non continui e si

trattava anche di molti soldi, si trattava. Se ti sei dovuto inventare fantasmi, mettere paletti,

creare storie assurde, vuol dire che non c'hai più quella capacità di rinnovare questa motivazione

che è parte integrante di qualunque atlete che vuoi stare ad alto livello. E quindi mantieni

fede al tuo pensiero che ti ha aiutato a dire smetto a giugno e mi sono dedicato a altre cose.

È molto onesto rinunciare a dei soldi che ti propongono, perché non sei tu a doverle

mendicare, ma qualcun altro vede un valore e te li propone, tu dici stop.

Avevo detto tante volte nelle interviste che la cosa bellissima dello sport è che ti prometti di

guadagnare e non stai proprio lavorando, cioè fai quello che ti piace e guadagni anche e che

la cosa bellissima è che quando hai un po' di soldi puoi scegliere.

Hai risparmiato i soldi che hai guadagnato in quegli anni?

Abbastanza.

Sì, dipende molto anche da quanti ne spendi, naturalmente questa è la grande difficoltà quando

tu guadagni dei soldi quasi sempre finisce indicesa all'interno di una fascia, di consumo

che dipende.

Di uno stile di vita, certo.

Io ho preso molti più soldi di quanti ne spendo, semplicemente perché per questioni forse legate

alla mia famiglia, al mio essere un ex contadino queste cose qua, trovo enorme soddisfazione nel

sapere che posso togliere un sacco di svizi, ma poi non sono nello IOT, non sono in niente di partica.

Ho una bellissima casa in Cridua Milano, mi piace molto quello che posso fare, però sono molti

più soldi che ho preso di quelli che ho speso e quindi questa cosa mi rende molto tranquillo

e direi soprattutto libero.

E quindi nel 98 che cosa fai?

Nel 98, essendo il primo di quella generazione che smette, di fatto mi ritrovo una sorta di

prateria totalmente non presidiata nel mondo della comunicazione, nel mondo degli elenti e

quindi mi chiamerà Rai per commentare e inizia un mondo che non l'avevo immaginato per la verità

come non l'avevo progettato, però mi sono trovato con questo spazio ricchissimo.

E l'hai colto?

L'ho colto anche se la cosa che mi pizzeva dei più era lavorare con Cataclone.

Io per 7 anni ho fatto il produttore e il Light Designer.

Dal 98?

Dal 98.

Cioè hai fatto un mestiere che non avevi mai fatto?

Io ho fatto l'ultima partita, credo, a inizio di giugno, il giorno dopo ero a Milano con

il Volvo caricato con gli Atrezi per andare in Francia alle Spaschiron in plastita lì durante

il Mondiale di Calcio in cui Cataclone ha fatto un mese di tourneo.

Io mi sono occupato di quindi la produzione di Cataclone, del disegno Lucci.

E ma chi te l'ha insegnato questo mestiere?

Voi ho visto fare dei primi spettacoli?

Cioè mentre giocavi comunque...

Mentre giocavo, seguivo la compagnia di Cataclone e ho visto fare...

Cioè perché per star vicino a tua moglie seguivo...

Quando potevo andare a un dispeto stare a teatro era.

La cosa più eccitante che mi capitava, montare le quinte, cablare i proiettori e lavorare

con la Strand Light che è la prima console che ho usato in vita mia e fare i montaggi

era eccitazione, l'ho stato puro e quindi pure se non ho scarissimo Light Designer per

un po' di anni ho garantito a Giulia quell'equilibrio tra uno scarso Light Designer che conosceva

lo spettacolo e quindi con effetti anche piuttosto semplici però seguiva perché non c'erano

i soldi per poter si garantire un grande Light Designer e quindi io ho occupato questo spazio

intermedio.

Perché allora erano ancora più o meno agli albore e agli inizi.

Stavano crescendo, stavano crescendo e il teatro come tu pensai se va bene va in pari,

va a deve andare molto bene.

Stavano esplodendo gli eventi aziendali, le convention e quelle sono pagate molto molto

meglio quindi Cataclone in atta in quegli anni fino al 2000 più o meno ha potuto contare

su enormi introiti da parte di eventi aziendali che venivano rinvestito totalmente negli spettacoli

per avere una compagnia stabile per lavorare sulle idee coreografiche di Giulia e io per

sette anni ho fatto questo quindi girando qui furgoni montando, smontando d'inverno d'estate

con enorme gioia a tal punto che ero così preso da questa cosa che considera una bella

cosa che Leo Turini forse non lo conosci è un giornalista molto a notte in Italia, lui

si occupa di Formula 1, era l'inviato, che dove fosse quello dello sport, come lui era

a Parigi per immondiare il nomatodo di calcio, lo invitai alle spaschiron a vedere lo spettacolo

e gli si, ti piace questa cosa stai facendo adesso e gli schisse guardate come si è ridotto

il grande zorro, fa il lucifero, scherzando un po' ironicamente però tale era questa

mia convinzione che neanche immaginavo che potesse essere considerata quasi un downgrade

queste cose e però furono anni fantastici. Per quanto tempo lo fai? Per sette anni perché

poi nel 2004 in realtà bene la separazione con Giulia e quindi anche sì devo dire che anche il

lavoro che non ho eminato prima forse è una piccola componente della nostra separazione.

Ti avete mischiato tutto? Sì un po' troppo essendo entrambi sportivi. Giulia non è banalmente

competitiva come lo sono io però comunque non è neanche è una donna di grande personalità e

quindi anche in quel lavoro l'idea era Giulia è la choreografa. Giulia non solo ha il diritto,

ha il dovere di avere il controllo dell'aspetto artistico di quella compagnia e io avrei dovuto

essere un assistente, un collaboratore, cosa che faccio malino. Quindi io penso che questa cosa

di qualche modo ha aumentato quelle che sono comunque le complessità che sono relazionali

di una coppia che sta insieme da tanto tempo, che si muove, che cresce. Lei riconosciuto con

tempo questo? Le abbiamo parlato in modo molto esplicito di questo con Giulia. Ma anche adesso

nonostante noi si fa qualcosa insieme, andremo in noman tra poco tempo per Catacloa.

Che adesso è diventato incredibile, cioè è cresciuto tantissimo il vero. Lei è sempre il

Deusic Machina? Lei si è. È il boss. Sì, ha cambiato pelle mille volte. Devo dire che

io trovo di enorme fascino per esempio vedere come siano cambiate le sue idee, le sue modalità,

ma anche gli tessi ballerini. All'inizio Catacloa erano ex sportivi, ex zinastri,

che andavano sul paccoscenico con delle qualità fisiche inimmazinabili. Qual è il problema di

un zinasta che è abituato ad eseguire un gesto e, al teatro, l'esecuzione dopo un po' non regge.

L'interpretazione, l'idea è di avere un piacere a elaborare il movimento,

non tanto a eseguirlo in modo perfetto, quindi questa sorta di eccesso di dettaglio

nel zinasta emerge. Attenzione, il zinasta nasce e cresce pensando all'esecuzione.

Quindi la scelta di Giulia era lavorare con atleti, ballerini, atletici, che però hanno questa

idea dell'interpretazione, della rielavorazione del gesto, del sentimento. E quindi,

paradossalmente, è meglio avere qualche volta cosa, non avere fin in fondo un gesto atletico un po'

meno evoluto, ma più interpretato rispetto a questa cosa, che qual cosa potrebbe essere un po'

troppo semplice. Se pensiamo al circuito, in alcuni casi, qualcosa, questa può essere un

piccolo esempio. E quando voi, in concomittanza, diciamo la vostra pausa, emotiva, non lavorate

più insieme, tu che fai? Come riempire i tuoi giornati? Allora, io in quegli anni avevo una

collaborazione straordinaria con Sky Sport, ho i diritti della palavolo, tantissime partite,

mi hanno aiutato loro moltissimo a crescere sul piano proprio giornalistico e gli

ex-atleti hanno sicuramente un enorme potenziale perché hanno vissuto in campo delle esperienze,

riuscire a raccontarle in un linguaggio che potrebbe essere quello giornalistico del telecronista o

quello del commentatore nello studio o quello del giornalista che scrive sono operazioni che

non vengono così, medettamente. E quindi ricordo che inizio colaborò con la gazetta e iniziò

a scrivere pezzi non troppo lunghi, però raccontavo anettoti, raccontavo le mie impressioni, mi

correggevano spesso perché essendo ancora un po' un giocatore facevo molta fatica a criticare,

non ha giocato bene, tendevo a focalizzare gli aspetti positivi. Quando io leggevo i giornali,

invece io guardavo qual era l'aggettivo a fianco del mio nome e se non era bello ma

raviavo col giornalista, quindi da giornalista ragionavo da atleta. Il commentatore, capire

con chi è che fare, lavori per Sky Sport, lavori per l'Arai, per chi sta iscrivendo, cosa devi

raccontare. È meglio dire lungolinea o meglio dire parallela? È meglio lungolinea perché si capisceombi di più

lungolinea e quindi anche chi non conosce la palla volo, quando sei noioso? La modularità della palla

volo che è battuta, ricezione, palleggio, schiacciata e poi la palla e quindi è abbastanza ripetitivo,

permette che il telechronista racconti play by play e il commentatore tecnico racconta invece quello

che accade. Guarda il replay, però potrebbe essere un po' noioso come incrociare le voci,

quali sono i toni e devo dire che a Sky che in quegli anni secondo me ha cambiato in modo in Italia di

raccontare lo sport, non solo la palla volo ma anche il calcio, è stata una fucina meravigliosa. C'era una

relazione giovanissima, super motivata, quindi quegli anni furono dedicati totalmente a sviluppare

queste mie enorme curiosità. Io credo di essere quasi bulimico. Sono malato di lettura,

parlato con tutti i rischi che hanno gli autodidatti, di pensare poi di essere competenti perché hanno

letto un pezzo di un libro o un libro e sì, queste sono i rischi che corro tutti i giorni per questa

curiosità di ambienti che riguardano lo sport, li trovo di una bellezza.

E oltre al tuo arricchimento culturale e quotidiano, oggi qual è il tuo business?

La formazione aziendale. Io ho tre grandi attività in questo momento.

Una è la parte giornalistica, la collaborazione con Sky, ho collaborato con da Zoning.

Qui non è mai smesso, quella branca lilla è sempre tenuta attiva?

No, è successo che Sky non ha avuto sempre i briti della palla volo, quindi la mia collaborazione si è

spostata per un anno anche nel calcio per esempio. Un'esperienza molto bella, anche devo dire molto

sfirante, perché poi in realtà nel giornalismo sportivo la competenza è una qualità richiesta.

Perché Zorro parla di calcio? Per la verità io non parlavo di calcio,

avevo dovuto una certa abilità nell'iparale di alcuni device, la lavagna tecnica sulla quale

disegnare queste cose qua, mi hanno chiesto di usarla anche nel calcio. Io facevo domande,

facevo domande, ma scusa, mi spieghi perché questo passa la parla di qua e non di là?

Questa cosa ha funzionato un pochino, però dopo un po' mi era sembrato che il mio ruolo fosse un

po' forzato, quindi preferito non proseguire il processo con il calcio. Poi Sky mi ha sempre

ritenuto però in fondo un partner potenziale, quindi mi hanno richiamato per l'Olimpiadi,

mi hanno chiamato non c'è a parlavole, quindi rimane un po' la mia casa ed è un bel mestiere,

mi piace moltissimo. Il secondo, l'attività economicamente più rilevante è la formazione

agendale, nel senso che è un ambiente nel quale agli exportivi che hanno elaborato un po'

questo racconto e questa dimonianza offrono abbastanta soldi, senza che siano richieste.

Ma come funziona esattamente la formazione agendale? Nel senso che fai più sessioni o vai

soltanto una volta e dai loro il mindset? Spiega meno meglio perché non l'ho mai vissuto.

I testimoniali sportivi chiedono principalmente la sessione unica. Negli ultimi anni,

visto che questa cosa viene ormai da decenni, non è in una novità. L'abbiamo rubata agli

Stati Uniti, l'abbiamo rubata, copiata agli Stati Uniti. Lo fai con un'agenzia che ti procura?

No, sono un battettore libero. Sono un battettore libero anche su questo.

Diciamo che quello che avviene è che i grandi temi di solito sono il team building,

la ricetta per vincere. La mia posizione è quella di essere molto critico.

Infatti perché tu non sei quello della ricetta per vincere, ce n'ami questi.

Io chiedo questo, gli dico perché la palavolo può essere utile,

perché un giocatore e non un allenatore, perché l'esperienza sportiva non è

sovrapponibile a quelle aziendale. C'erano motivi certo che può essere utile ma solo

a certe condizioni. Quindi la mia idea è provare ad essere sincero in quelle che sono le analogie e

anche le molte differenze. Credo che le aziende in qualche modo lo apprezzino. C'è una grande

onestà in questo. Tendenzialmente però ti chiedono sempre un momento motivazionale e poi non si segue

il percorso superiore proprio. C'erano due le esperienze, una è la testimonianza verbale,

quindi si racconta, e in altri casi invece usiamo una formazione esperienziale, vuol dire che

chi viene con noi? Non fa delle esperienze o con la palavolo o negli ultimi anni col teatro.

Quindi l'idea è quella di fare in modo che poi che la nostra comunicazione spessissimo è una

comunicazione diciamo così verbale. Usare la palavolo come gioco o meglio ancora il teatro

inteso come corpo può essere un'occasione per togliersi i panni che vestiamo molto frequentemente,

provare a lasciarsi andare con quello sforzo di fiducia faticosissimo e uscirne senza chivesi

cosa mi porto via di questa esperienza ma vedendo che tu per un attimo hai abitato un luogo che

non frequenti e in questo mondo di eccessiva accelerazione di sfida verso l'esterno questi

momenti di cambio di ritmo possono essere molto utili. Sono le due modalità, una è molto impegnativa

perché devi arrivare ad avere quella fiducia delle persone che arrivano chiaramente resistenti. La

testimonianza è un pochino più facile, quello che provo a fare è se riesco a fare in modo di

non entrare in quella testimonianza talvolta un po' retorica che è legata agli slogan della

ricetta per vincere il segreto del successo e via dicendo. Volere potere così via e c'è

un terzo polmone di business o sono? No, c'è un terzo polmone che non è di business ma che è di

cuore e della parte teatrale. Io da dieci anni dopo l'esperienza come te che... Ti nutre l'anima,

ti piace, sei felice? Io recito, c'è uno spettacolo. Il primo è la leggenda parlavolista volante che è

un spettacolo ispirato alla mia vita, poi c'è avventuroso viaggio olimpia che è un mix tra l'altro

con un paio di ballerini anche di Giulia Staccioli. La mia compagnia di viaggio è sempre Beatrice

Visibelli che è questa attrice meravigliosa Toscana e Nicola Zavagli che è il regista e l'autore.

E poi è uno spettacolo fatto con Giulia correndo questo rischio che è Play Zen, dove io faccio la

parte di un vecchio sensei giapponese tra altro c'eco che ha questi sei performance catacloche

sono i miei lievi indisciplinati e attraverso le coreografie quindi il movimento e parte del

racconto raccontiamo storie come l'arrenamento, come la voglio di stare concentrati quant'altro in

modo. È uno spettacolo penso per i ragazzi, per le scuole, per le scuole superiori per la verità,

però devo dire che questa parte qui di una trasformazione di concetti che ho sentito miei in

ambito competitivo, trasformarli nel teatro mi piace da morire. Non è un business chiaramente,

ma il cuore lo riempie.

Visto che le persone che ascoltano il mio podcast attraverso la storia di qualcuno portano sempre a

casa una grande motivazione, il mindset, la mentalità per cercare di raggiungere degli

obiettivi che magari avevano accantonato non si sentivano più in grado di poter raggiungere.

Un grande metodo che ho trovato su di me è a volte andare delle persone a chiedere loro,

persone che sono molto vicine a me perché è una domanda molto facile ma molto imbarazzante e

chiedo le persone quali pensi che siano i miei punti di forza e i miei punti deboli,

i miei qualità, i miei difetti. Quindi dimelo sinceramente. E la prima volta che questo accadde,

tre anni fa, è stato per me illuminante perché non mi ero reso conto né della tabella di destra,

di quella di sinistra perché sei come uno struzzo, c'è tutti i giorni e la testa sottotterra

continui a fare le tue cose. Quando mi ha spiegato ma dato i titoli, mi ha mostrato cose,

ho chiesto lui degli esempi per riconoscerle bene, mi ha fatto migliorare enormemente e quindi ti

vorrei chiedere su te stesso. Hai mai fatto un lavoro del genere? Ho chiesto a qualcun altro

realmente quali erano i tuoi punti di forza o comunque le tue qualità e soprattutto per

migliorare i tuoi difetti? Dire sì è un po' presumptuoso, dire parzialmente sì è la verità.

L'ho fatto le periodi dell'esparazione, è chiaro che al punto di sì cosa è successo, cosa sta

accadendo, di chi è la colpa, c'è una colpa e quindi mi ritrovaio a raccontare ambienti per

me molto belli come alcuni monasteri buddisti. Non sono buddista ma trovo che quell'approccio di

grande speculazione anche filosofica sia particolarmente bello, affascinante. Devo dire che c'è

una sorta di benvenuta kryptonite in Giulia e Numa, mia moglie e mio figlio, che essendo i migliori

conoscitori di me stesso hanno anche questo piacere proprio per amore e i miei confronti di

limitare le mie tendenze. Io sono iper-competitivo, sono quasi sempre, quasi su tutto, tendo da

pesantire un pochino l'atmosfera perché mi piace essere saccente e mostrare le mie cose quindi

con loro capita spesso che hanno questa capacità di smontarmi in zero secondo quelle cose che

mi ritrovo a fare, qualche volta anche per questioni professionali mi capita più spesso di

dover rispondere a domande che mi fanno i giornalisti, gli appassionati, gli sportivi e

loro vogliono non avere dei dubbi, vogliono sentirsi dire le cose che gli fanno piacere e

quindi in qualche modo, e come se, capito anche a te credo, ti costruisi quella cartolina,

la usi e quindi sì, alcuni amici e Giulia e Numa sono quelli che mi aiutano sempre a

ricordare quali sono i miei errori, che sono sempre l'azionatura, eccesso di competitività,

desiderio di saccienza, di mostrare la mia intelligenza, ma questo è legato anche al mondo

sportivo credo, essendo spesso legato al fatto che gli sportivi non sono particolarmente intelligenti,

qualunque occasione per dire ho letto questo libro, c'è quella citazione, viene fuori subito

perché come se volessi confermare che io... Adesso riesci a trattenerti e elaborare questa voglia in

modo diverso o no? Vorrei dirvi sì, ma non credo di farlo più di tanto,

e credo anche che a volte il motivo sia legato al fatto che, non so se tu ci crederai,

ma ogni volta che comunque è uno sportivo e io sono un exportivo, viene chiamato

se cita un libro o se fa un pensiero che sia un pochino non lineare, viene considerata una

specie di singolare situazione che accade talvolta e quindi mi rendo conto che qualche

volta quando faccio degli interventi, che sono poi pensati, dire a loro guardate se vi capita

questo libro può essere... è qualcosa che anche professionale può essere utile, che va però

anche lungo il mio desiderio di dire guardate che io ho letto questi libri, che le so queste cose,

che non sono il tipico sportivo ignorantone quant'altro. Vorrei condividere con te,

fatto ti chiedo anche la tua opinione, perché ho già detto un po' di volte che non sono

difensore della verità sta nel mezzo, io quasi sempre non posso fare altro che ragionare per

estremitazioni, per contraposizioni e quindi facciamo un esempio della competizione,

competizione perché in fondo sono nato così, mi hanno allenato e mi hanno pagato per essere

competitivo e quindi è chiaro che quel tema lì l'ho praticato a fondo e è lungo e sono molto

legato alle mie identità competitiva e quindi l'idea è caro zorro, tu non corre il rischio di non

essere competitivo, corre il rischio solo di essere troppo competitivo. Allora l'ipotesi è un po'

questa, se noi immaginassimo una specie di comportamento che passa da un eccesso all'altro,

l'eccesso di competizione o la mancanza di competizione, se noi riuscissimo a capire

quali sono grosso modo i settori che praticiamo più frequentemente, quindi io sono sicuramente

spostato verso l'eccesso di competizione, non so quanto, ma verso l'eccesso di competizione,

quindi per te, caro Andrea, qualunque momento per diluire quella voglia di dimostrare che tu sei

più bravo, di tirare gli occhi, di dire sono bravo, ovvero sono bravo, ogni volta che fai questo

lasciano andare, diluiscile un pochino, tanto non corre il rischio di cadere nella troppa poca

competizione, se qualcuno invece dovesse sentirsi in mancanza di competizione, forse ti farò bene,

ogni tanto prova a spinger, però questa idea mi ha stato dipendolo, che ti aiuta ad andare in quella

direzione che è frequenti di meno e come se per me fosse un po' una bussola dei comportamenti che

prova a metter in atto. Posso dirti un mio parere? Certo, te l'ho chiesto. Io credo che per non arrivare

all'eccesso di dimostrare ciò che sei, ti devi sentire di esserlo veramente e forse parlo per

me in questo momento. Molte volte mi dicono, ma perché quando parli con le persone racconti

parti dall'inizio, cioè come se tu non ci credessi veramente di esserlo e quindi fai questa ringa

pesante lunga ogni volta riparti da lì, perché mi sono reso conto di non crederci veramente di

essere quello che raccontavo di essere e quando realmente me le sono convinto, non ho più avuto

bisogno di farlo. Condivido, anche se credo sia un tema un po' diverso da quello che ti ho accennato.

Attenzione, non sto dicendo, quello che tu dici è esattamente quello che anch'io provo, cioè il mio

bisogno di riconfermare sempre e di consolidare, sono qui perché non è esportivo, ho fatto questo,

quell'altro, nel dubbio ti sto dicendo, gli sono. E questo è il comportamento che in alcuni casi è

eccessivo e inutile, in altri casi è richiesto. Potrebbe essere anche troppo come dire, a volte

presuntuoso, dare per scontato che debbano sapere chi sei o chi non sei. Però se è un ambiente dove

ti chiamano come personaggio, quindi come persona che attraverso la sua personalità ha fatto delle

cose, lo sanno già. Quindi puoi raccontarli come ci sei riuscito se stai dando loro uno strumento. Non

metterli il tuo palmarès per ricordarglielo. Sono cose molto diverse.

Assolutamente, assolutamente. E su questo, su questo totale condivisione, l'altra prova a

riconfigurarlo un pochino e come se ogni volta che ho la sensazione di avere un sacco di buoni

ragioni, per darmi ragioni, sia segnala del pericolo. Siccome mi riflessi, vanno sempre in un certo modo,

vanno sempre col desiderio di essere confermato e la mia tendenza è avere una certa stima di

me stesso. Quindi l'idea è, occhio Andrea, perché quando ti senti in quel momento in cui si ho

elaborato un bel pensiero, è bella questa cosa qui, lì c'è il rischio più grande perché quasi

sempre a me capisci di sbagliare con questo modello qui che è un po' quello competitivo,

ecco perché stavo postulando il fatto di andare in direzione opposta per trovare l'equilibrio

poi. Per capire, per sperimentare. L'equilibrio non so neanche se vai che è la pena pensare

tanto all'equilibrio perché l'equilibrio è qualcosa che cambia il continuazione.

Sì, ma poi questo balance non lo sai generare da solo e appunto sentendo il profumo dell'opposto

che poi si va a configurare in maniera estremamente autonoma.

Mi piace profumo dell'opposto e mi piace molto. Ti faccio l'ultima domanda dell'intervisto.

E' paura della morte?

Direi di no, ma la morte di mio padre, la morte di mia sovcera non molto tempo fa,

hanno aperto porte molto dolorose. C'è una reazione che ho metto in atto quasi sempre

ed è quella di chiudere, di chiudere. Una volta un psicholo come disse che è come se io non

avessi nessuna capacità per modulare le mie emozioni ma che ho solo una sale cinesca.

Accesa o spenta? Anche qui, do la colpa, allo sport, per me giocare a palavolo ha significato

tenere sotto contro le emozioni perché l'eccesso di citazione non è prototodo di lucidità.

L'eccesso di depressione non è prototodo di lucidità. Prova a usare un compressore emotivo

per stare in quello stato che io ritenevo essere il migliore possibile. Questo cosa fa che tu

chiudi. Sopra non ci deve essere e sotto niente. È come se le emozioni diventassero dei nemici.

In alcuni casi è molto utile, è molto efficace, ma in un campo di palavolo. Nelle relazioni non è

utile attivare il compressore emotivo in continuazione. Non è utile aver paura di quell'emozione.

Nel caso della morte che la domanda quella principale io faccio così o dal lontano e quindi è come se

non mi riguardasse. In alcuni casi quando è così vicina, quando è così intima, è stato

dolcemente caloroso con mio padre, dolcemente caloroso, molto doloroso. E poi non so dirli se

questo significa che non ho paura della morte, ma significa che la morte che ho incontrato è quella

delle persone vicine e mi termuli. Grazie di tutto. Grazie Andrea. Grazie a te.

Stati Uniti, anni 50. Siamo in piena guerra fredda. Il governo americano è disposto a tutto

per dibattere il nemico, dagli esperimenti con il porridge radioattivo, alle iniezioni di plutonio sui

soldati fino ad arrivare ad un esperimento che ha dell'incredibile. Operazione Midnight

Climax, il bordello psichedelico della CIA. Lo puoi ascoltare sull'app di One Podcast e su

tutte le principali piattaforme. Una produzione dream and dream per One Podcast.

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Oggi avremo il piacere di fare un viaggio con Andrea Zorzi, un uomo che, prima di conoscere la pallavolo, ha vissuto la sua altezza come un handicap. Zorro e’ un bellissimo esempio di quanto una leggenda non appassisca mai. Il dream team di One More Time e’ composto da: Giovanni Zaccaria, Mauro Medaglia, Davide Tessari, Alice Gagliardi e Filippo Perbellini.

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